Archive pour septembre, 2010

Omelia per il 20 settembre 2010, commento a Luca 8,16-18

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13624.html

Omelia (22-09-2008) 
a cura dei Carmelitani
Commento Luca 8,16-18

1) Preghiera

O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
meritiamo di entrare nella vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 8,16-18
In quel tempo, Gesù disse alla folla: “Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce.
Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere”.

3) Riflessione

• Il vangelo di oggi ci presenta tre brevi frasi dette da Gesù. Sono frasi sparse che Luca colloca qui dopo la parabola della semina (Lc 8,4-8) e della sua spiegazione ai discepoli (Lc 8,9-15). Questo contesto letterario, in cui Luca colloca le tre frasi, aiuta a capire come vuole che la gente capisca queste frasi di Gesù.
• Luca 8,16: La lampada che illumina. « Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce.” Questa frase di Gesù è una breve parabola. Gesù non spiega, perché tutti sanno di cosa si trattava. Apparteneva alla vita di ogni giorno. In quel tempo, non c’era luce elettrica. Immaginiamoci questo. La famiglia è riunita in casa. Inizia il tramonto. Una persona si alza, prende la lampada, la copre con un vaso o la mette sotto il letto. Cosa diranno gli altri? Tutti grideranno: “Ma sei matto. Metti la lampada sul tavolo!” In una riunione biblica, qualcuno fa il commento seguente: La parola di Dio è una lampada che bisogna accendere nell’oscurità della notte. Se rimane chiusa nel libro della Bibbia, è come la lampada sotto un vaso. Ma quando è posta sul tavolo illumina tutta la casa, e quando è letta in comunità è comunicata alla vita”.
Il contesto in cui Luca colloca questa frase, si riferisce alla spiegazione che Gesù ha dato della parabola della semina (Lc 8,9-15). É come se dicesse: le cose che avete appena ascoltato non dovete guardarle per voi, ma dovete irradiarle agli altri. Un cristiano non deve aver paura di dare testimonianza ed irradiare la Buona Notizia. L’umiltà è importante, ma è falsa l’umiltà che nasconde i doni di Dio dati per edificare la comunità (1Cor 12,4-26; Rom 12,3-8).
• Luca 8,17: Ciò che è nascosto si manifesterà. “Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce.” Questa seconda frase di Gesù si riferisce anche agli insegnamenti dati da Gesù in particolare ai discepoli (Lc 8,9-10). I discepoli non possono tenerli per loro, ma devono divulgarli, perché fanno parte della Buona Notizia porta da Gesù.
• Luca 8,18: Attenzione ai preconcetti. “Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere”. In quel tempo, c’erano molti preconcetti sul Messia che impedivano alla gente di capire nel modo corretto la Buona Notizia del Regno annunziata da Gesù. Per questo fatto, l’avvertenza di Gesù in relazione ai preconcetti è assai attuale. Gesù chiede ai discepoli di essere consapevoli dei preconcetti con cui ascoltano l’insegnamento che lui presenta. Mediante questa frase di Gesù, Luca sta dicendo alle comunità ed a tutti noi: “Fate attenzione alle idee con cui voi guardate Gesù!” Perché se il colore degli occhiali è verde, tutto sembra verde. Se fosse azzurro, tutto sarebbe azzurro! Se l’idea con cui guardo Gesù è sbagliata, tutto ciò che riceve ed insegno su Gesù sarà minacciato di errore. Se penso che il messia deve essere un re glorioso, non vorrei sentire niente di quanto Gesù insegna sulla Croce, sulla sofferenza, sulla persecuzione e sull’impegno, e perderò perfino ciò che pensavo di possedere. Unendo questa terza frase alla prima, possiamo concludere quanto segue: chi trattiene per sé ciò che riceve, e non lo condividere con gli altri, perde ciò che ha, perché si corrompe.

4) Per un confronto personale

• Hai già avuto esperienza di preconcetti, che ti impedivano di percepire e di apprezzare nel suo giusto valore, le cose buone che le persone fanno?
• Hai percepito i preconcetti che si nascondono dietro certe storie, racconti e parabole che certe persone narrano?

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 19 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Beato John Henry Newman…oggi pomeriggio ho seguito la messa di questa mattina registrata dalla televisione francese KTO, fra poco c’è la partenza da Londra per Roma

Beato John Henry Newman...oggi pomeriggio ho seguito la messa di questa mattina registrata dalla televisione francese KTO, fra poco c'è la partenza da Londra per Roma dans immagini sacre Cardinale

http://www.latprov.it/2010/02/beatificazione-del-cardinale-john-henry-newman/

Publié dans:immagini sacre |on 19 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte e buona domenica

buona notte e buona domenica dans immagini...buona notte...e la-llamada-de-las-ninfas
http://www.smashingapps.com/2009/06/07/23-striking-examples-of-nature-photography-through-the-photographers-eye.html

Publié dans:immagini...buona notte...e |on 18 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per domenica 19 settembre, prima lettura dal profeta Amos

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10632.html

Omelia (23-09-2007)  alla prima lettura dal profeta Amos
don Marco Pratesi

Lo sguardo di Dio

La prima lettura è parte di un gruppo di cinque visioni nel libro di Amos (7,1-9,4). Si tratta qui della quarta, nella quale il profeta vede un canestro di frutta matura. Un quadretto apparentemente idilliaco ma dal senso terribile: « È maturata la fine per il mio popolo, Israele: non gli perdonerò più » (8,1-3). Israele è come un frutto maturo per il raccolto, che è in questo caso giudizio di condanna.
Ricordiamo che Amos predica intorno alla metà dell’VIII sec. e si riferisce al regno del nord, che in quel momento sta vivendo un periodo di prosperità e di ottimismo. Si tratta però, denunzia il profeta, di una prosperità mal fondata: prospera anche l’ingiustizia e l’oppressione sui deboli. A commento della visione del cesto di frutta, leggiamo precisamente questa tirata contro i commercianti, i quali costruiscono il loro benessere sulla pelle dei poveri. L’interesse personale prevale su ogni altra considerazione. Le stesse pratiche religiose (novilunio, sabato) non inquadrano e regolano l’attività economica ma risultano da essa inquadrate, ne sono soltanto una scomoda sospensione. Si diminuiscono le misure per somministrare la merce, si aumentano quelle per il denaro in pagamento, si alterano le bilance; si trae profitto dall’indigenza altrui al punto di vendere vantaggiosamente anche gli scarti.
C’è disprezzo della vita umana, posta a servizio del profitto al punto da essere oppressa e soppressa. C’è ingiusta appropriazione dei beni del prossimo, della cui ignoranza o impotenza si approfitta. C’è indifferenza nei confronti di chi non ce la fa e soccombe nella lotta. Non uccidere; non rubare; aiuta il bisognoso: parole rese vane dalla ricerca del profitto come criterio dominante. La conclusione è dura, senza appello: Dio non dimenticherà mai queste azioni.
Il quadro è chiarissimo e non occorrono grandi sforzi per percepirlo nella sua terribile attualità. « Tollerare, da parte della società umana, condizioni di miseria che portano alla morte, senza che ci si sforzi di porvi rimedio, è una scandalosa ingiustizia e una colpa grave » (CCC 2269). Dal livello personale a quello planetario, il giudizio annunziato da Amos ci ricorda che Dio non può che respingere decisamente ogni assetto che riduca l’uomo a semplice strumento di guadagno. Questo si traduce in concreto nel fatto che un tale « ordine » è per sua natura malfermo e destinato a crollare. La realtà ci mostra quanto esso possa risultare devastante sia per la famiglia umana che per l’ambiente. Sarebbe insensato dimenticare che « lo sguardo del Signore è – rimane – sopra il povero (salmo responsoriale): da lì niente può distoglierlo. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 18 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per domenica 19 settembre 2010: Che cosa farò ora?

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19357.html

Omelia (19-09-2010) 
mons. Gianfranco Poma

Che cosa farò ora?

Iniziamo oggi la lettura del cap.16 del Vangelo di Luca e riprendiamo, con Gesù, il cammino verso Gerusalemme. Non dobbiamo dimenticare la meta verso cui tendiamo che è la partecipazione al mistero pasquale di Cristo come senso dell’esistenza cristiana: il dono totale di sé come via per entrare nella pienezza della vita. Con gradualità pedagogica raffinata, il Vangelo ci dischiude gli orizzonti sempre più vasti della vita che ci è offerta e ci educa perché sappiamo attuarla: una vita di libertà e di amore, non ripiegata su sterili gelosie o invidie, una vita di fraternità e di concreta condivisione, possibile perché è la vita di figli amati da un Padre con infinita gratuità e misericordia. Il Vangelo di Luca ci ha fatto sedere alla mensa del Padre, chiedendoci di non aver paura di metterci agli ultimi posti; ci ha fatto gustare la gioia dell’abbraccio del Padre e ci ha chiesto di imparare a vivere concretamente lo stile di fratelli mostrando il volto gioioso di chi sente amato e diffonde l’amore del Padre. La meta verso cui il Vangelo ci guida è lo splendore del volto pasquale di Cristo che risplende sulla quotidianità del nostro volto: ma non ci nasconde che per arrivare alla gioia della libertà e dell’amore occorre passare attraverso il dono totale di sé del venerdì santo. Luca non si stanca di ripeterci che il Vangelo ci chiede tutto per poter donarci tutto: con estremo rigore e realismo pedagogico ci guida nel cammino della nostra liberazione da ciò che ci chiude in noi stessi, le nostre paure, il nostro egoismo, gli idoli a cui ci aggrappiamo, illudendoci della nostra possibilità di autoliberarci.
Il cap.16 del Vangelo di Luca ha una grande importanza in questo senso: ci presenta la necessità di scelte radicali, senza compromessi; ci svela con estrema chiarezza che la ricchezza può diventare un idolo che rendendoci schiavi ci chiude la strada verso la libertà; ci mette di fronte alla nostra responsabilità perché, in piena libertà, decidiamo quale senso dare alla nostra vita.
Occorre tuttavia osservare che, se è molto chiaro ciò a cui tende questa pagina evangelica, è molto più difficile coglierne la ricca complessità del pensiero: qui più che mai appaiono le caratteristiche del Vangelo di Luca, la chiarezza nel porre la radicalità della proposta evangelica e nello stesso tempo la necessità della mediazione culturale che rende possibile che la forza trasformante del Vangelo si innesti nel concreto della storia. « Nessun domestico può servire due padroni: o odierà uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà a uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona ». (E’ significativo questo termine « mammona » che indica la ricchezza, ma che nella sua radice ebraica significa la fede, quasi ad indicare che la ricchezza può diventare una fede che compete con la fede in Dio) Luca non lascia spazi all’illusione della conciliabilità dell’amore per Dio e dell’amore per la ricchezza: amare Dio è libertà, amare la ricchezza è schiavitù. E’ ugualmente cosciente il Vangelo della complessità concreta del vivere la logica evangelica nella storia: il rischio di inutili e facili moralismi, integralismi è evitato con la dialettica che Luca riesce a stabilire tra la radicalità escatologica del Vangelo e l’attualità della mediazione culturale in continua tensione. Questo richiede, di conseguenza, uno studio attento, non semplicistico delle pagine evangeliche: per Luca il problema non è la demonizzazione della ricchezza come tale, ma la coscienza che la ricchezza può diventare facilmente l’idolo attraverso il quale l’uomo pensa di poter diventare onnipotente mentre ne diventa solo schiavo. La radicale scelta di Dio rende l’uomo libero a tal punto che può usare anche delle ricchezze senza esserne schiavo: la pedagogia lucana tende a far sperimentare al discepolo di Cristo un Amore talmente totale per Dio da farne un uomo che nella libertà sa usare di tutto.
In questa prospettiva va letto il nostro brano: Lc.16,1-13. Purtroppo la lettura liturgica si ferma a questo punto, omettendo i versetti successivi che sono molto importanti per l’interpretazione di tutta la pagina evangelica: « I farisei che erano amanti del denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole ». Luca ancora una volta dice senza mezzi termini che la proposta evangelica appare risibile a chi non vive quella profonda esperienza di Dio che ha descritto nel Magnificat: Dio è colui che compie meraviglie per il povero che si affida a lui, che riempie di beni gli affamati e manda i ricchi a mani vuote… E Luca ancora ci presenta Gesù come colui che rende visibile nella storia questa presenza di Dio. A questo proposito diventa molto importante la parabola iniziale che con grande superficialità chiamiamo dell’ « amministratore infedele »: in realtà, anche questa parabola, come tutte, parla di Gesù e della sua presenza nel mondo. « Un uomo era ricco e aveva un amministratore e questo fu denunciato a lui come dissipatore dei suoi beni… »: non è certamente di facile spiegazione questa parabola che termina con l’elogio dell’amministratore denunciato come « dissipatore dei beni ». Il suo significato si chiarisce se ricordiamo che, secondo l’uso comune nel mondo mediterraneo orientale, l’amministratore si pagava da sé aumentando quanto era dovuto al proprietario. L’accusa rivolta all’ amministratore è di trattenere troppo per se impedendo il progresso degli affari del proprietario. Dopo che il proprietario gli ha chiesto ragione della sua azione, l’amministratore riflette e decide di diminuire a ciascuno i suoi debiti, riducendo il proprio compenso e rinunciando al suo supposto arricchimento. Per questo comportamento viene elogiato e viene di nuovo accolto come amministratore: per la sua accortezza nel riflettere e la sua abilità nell’uso dei beni questo amministratore diventa un esempio per i discepoli di Gesù. La parabola, in linea con i capitoli precedenti, presenta ancora il progetto di Dio sull’umanità: una comunità che gode dei beni del Signore: Gesù vuole mostrare che questa non è una utopia irrealizzabile di cui ridere con compatimento. Nella sua vita egli ha mostrato di essere l’amministratore che sa riflettere concretamente sulla realtà, che sa che i beni gli sono affidati per il bene di tutti, sa non mettere il proprio tornaconto al centro di tutto, sperimentando che la logica della condivisione è l’unica che assicura il vero bene per tutti. Ma solo chi fa l’esperienza dell’amore del Padre, ha il cuore, la mente e le braccia del Figlio per gustare con i fratelli la gioia della condivisione dei suoi doni. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 18 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino: Nessuno è salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che dal cielo discese

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010525_agostino_it.html

Dai « Discorsi » di sant’Agostino, vescovo (Serm. de Ascens. Dom., 98, 1-2; PLS 2, 494-495) 

Nessuno è salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che dal cielo discese

« Oggi il nostro Signore Gesù Cristo è salito al cielo; salga con lui il nostro cuore. Ascoltiamo l’Apostolo che dice: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose dell’alto, dove Cristo è assiso alla destra di Dio; pensate alle cose dell’alto, non a quelle della terra. Come infatti egli è salito ma non si è allontanato da noi, così anche noi siamo già là con lui, sebbene nel nostro corpo non sia ancora avvenuto ciò che ci è promesso.

Egli viene ormai esaltato al di sopra dei cieli; tuttavia soffre qui in terra tutti gli affanni che noi, che siamo sue membra, sopportiamo. Di questo diede testimonianza gridando dall’alto: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? E: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare. Perché anche noi non fatichiamo sulla terra, in modo tale che per mezzo della fede, carità e speranza, tramite le quali siamo uniti a lui, riposiamo già fin d’ora con lui in cielo?

Egli, pur essendo là, è anche con noi; anche noi, pur vivendo quaggiù, siamo anche con lui. Egli può fare quello sia per la potestà, sia per la divinità, sia per l’amore; noi invece, anche se non possiamo fare questo, come lui, per la divinità, lo possiamo tuttavia per l’amore che nutriamo verso di lui.

Egli non abbandonò il cielo, quando di là discese fino a noi; e neppure si e allontanato da noi quando è nuovamente asceso al cielo. Infatti che fosse là, mentre si trovava qui, lo asserisce così lui stesso: Nessuno, dice, è salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo, che dal cielo discese e che è in cielo. Questo è stato detto in conseguenza dell’unità, perché egli è il nostro capo e noi siamo il suo corpo. Dunque nessuno può fare questo se non lui, perché anche noi siamo lui, per il motivo che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.

Così infatti l’Apostolo dice: Come, infatti, il corpo è uno, sebbene abbia molte membra; e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, formano un solo corpo, così anche il Cristo. Non dice: così Cristo, ma dice: così anche il Cristo. Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo. Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è asceso se non lui, mentre noi siamo saliti in lui per grazia. E parimenti non discese se non Cristo, e non salì se non Cristo, non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo. »

Preghiera

Dio onnipotente, guarda la tua Chiesa che esulta e ti rende grazie in questa liturgia di lode, poiché in Cristo che ascende al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te: concedi a noi, membra del suo corpo, di vivere la speranza che ci chiama a seguire il nostro capo nella gloria: Lui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

« a cura del Dipartimento di Teologia Spirituale
della Pontificia Università della Santa Croce »

DOMENICA 19 SETTEMBRE – XXV DEL TEMPO ORDINARIO

 DOMENICA 19 SETTEMBRE - XXV DEL TEMPO ORDINARIO  dans Lettera a Timoteo - prima pastore

http://www.cercoiltuovolto.it/wp/2009/video/commento-al-vangelo-di-domenica-3-maggio-2009/

(immagine del Buon Pastore l’ho messa in relazione alla lettura dell’Ufficio)

DOMENICA 19 SETTEMBRE – XXV DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C25page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Tm 2, 1-8
Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)

I cristiani deboli
Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta, Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo.
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalla stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).

Responsorio   1 Cor 9, 22-23
R. Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnarli a Dio. * Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
V. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe con loro.
R. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno

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