Archive pour septembre, 2010

omelia 23 settembre 2010: Ma Erode diceva:  » A Giovanni ho fatto tagliare la testa, ma chi è costui del quale sento dire queste cose? ». E cercava di vederlo.

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10644.html

Omelia (27-09-2007) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno

Ma Erode diceva:  » A Giovanni ho fatto tagliare la testa, ma chi è costui del quale sento dire queste cose? ». E cercava di vederlo.

Come vivere questa Parola?
Chi è Gesù? La sua identità suscita ricerca in tutti i tempi della storia. C’è chi la fa in modo curioso, come Erode, il quale, venuto a sapere dei miracoli che un certo Nazareno compie per le strade di Galilea e udito che la gente si chiede se non sia Giovanni Battista risuscitato dai morti, non si scompone. La fama di Gesù non turba la sua coscienza, ma risveglia soltanto la sua curiosità: potesse vedere un miracolo!
Ma accanto ad Erode e lungo i secoli seguenti, c’è pure chi vuole andare a fondo di una realtà che tocca la vita e quindi si mette con passione alla scoperta dei segni che riguardano il Figlio dell’uomo, colui che ha sconvolto la storia, colui che è venuto a rivelarci che Dio è Padre.
Non solo i santi da altare, ma innumerevoli persone semplici, umili hanno intuito l’identità del Cristo e l’hanno seguito giorno dopo giorno con purezza di cuore.
« Beati i puri di cuore, perché vedono Dio » solo così, attraverso la trasparenza della propria vita, ci si avvicina al mistero del Signore Gesù, che  » da ricco che era, si fece povero.. ».
Madre Teresa, che, pur nel buio di una notte spirituale, non ha mai cessato di cercare il Maestro, diceva:  » Voglio essere solo una goccia d’acqua pulita che rifletta Dio! ».

Oggi, in un momento di preghiera e silenzio, dirò così:

Signore Gesù, segno di contraddizione fra gli uomini, tu hai costituito un enigma per i potenti del tuo paese, accecati dall’ambizione e dal vizio. Rendi il nostro cuore umile e semplice perché sappiamo riconoscere che tu non sei soltanto un profeta, ma il Figlio del Dio vivente, che regna con il Padre e con lo Spirito Santo per i secoli dei secoli.

Preghiera di S. Ignazio di Loyola
Il fondatore dei Gesuiti ha desiderato, come tutti coloro che scoprono Gesù, di conoscerlo sempre più a fondo. Per questo, lui, soldato e uomo di potere, quando ha iniziato a scoprire il mistero del Salvatore, ripeteva spesso e con passione: Fa’ che io ti conosca intimamente, o Cristo, e compagno della tua croce possa risorgere con te

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La première Pâque juive – Bellini: preparation pour Pessah

La première Pâque juive - Bellini: preparation pour Pessah dans immagini sacre 15%20BELLINI%20PREPARATION%20POUR%20PESSAH%20B

http://www.artbible.net/1T/Exo1201_Passover_source/index.htm

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TORNIAMO INDIETRO, ALL’APERTURA DELL’ANNO PAOLINO: A LEZIONE DA PAOLO

TORNIAMO INDIETRO, ALL’APERTURA DELL’ANNO PAOLINO: A LEZIONE DA PAOLO, DAL SITO:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_castagna10.htm

Domani si apre l’ »Anno Paolino ».

La storica Marta Sordi rilegge la figura e le gesta dell’ »Apostolo delle genti ».
Il rapporto con i primi cristiani, con l’impero romano, con la cultura del tempo.
E l’attualità del suo insegnamento:
il cristianesimo come « sfida » e « proposta » per ogni uomo.

A LEZIONE DA PAOLO

Maestro del dialogo autentico, perché non celava le differenze.
Accanto all’intelligenza, alla cultura e allo « slancio apostolico », in lui c’era tanta simpatia.
«Mi sorprende la sua capacità di legarsi rapidamente alle persone che si trovava accanto.
Amici o nemici, umili o potenti».

   
EDOARDO CASTAGNA
(« Avvenire », 27/6/’08)

Accanto all’intelligenza, alla cultura e allo « slancio missionario », nel cittadino Gaio Giulio Paolo doveva esserci anche un’altra dote: la simpatia. «Quello che mi sorprende, nella vita di Paolo, è la sua straordinaria capacità di legarsi rapidamente alle persone che si trovava accanto. Amici o nemici, umili o potenti» . La storica Marta Sordi – docente emerita di « Storia greca » e « Storia romana » presso l’ »Università Cattolica di Milano », massima esperta dell’epoca dell’ »Apostolo delle genti » – descrive Paolo nella sua concretezza, lo riporta sulle strade polverose dell’Anatolia, dove la sua missione mosse i primi, decisivi passi. Una lettura umana che, alla vigilia dell’apertura dell’ »Anno Paolino », dona ancor maggiore risalto all’originalità e all’attualità della sua opera, capace ancora oggi di indicare strade concrete da percorrere nel confronto tra i cristiani e tutti gli uomini. «La sua capacità di stringere amicizia era davvero eccezionale. Lo si vede fin dall’incontro con il proconsole di Cipro, Sergio Paolo, che ebbe un ruolo fondamentale nel determinare il cammino della sua predicazione. Il legame con l’Apostolo fu talmente stretto che Paolo lasciò il suo vecchio « cognomen », Saul, per adottare quello dell’amico. Era un uomo dalle doti umane straordinarie, che si accompagnavano a quelle intellettuali, allo spessore teologico».

In effetti, l’importanza del suo pensiero e della sua opera è tale che talvolta si sente indicare in Paolo, e non in Gesù, il vero fondatore del cristianesimo…

«Sì, tra i non cristiani ricorre la tesi che Paolo sarebbe andato al di là dei comandi di Cristo, annunciando il Vangelo al mondo intero e non solo agli Ebrei, fondando concretamente il cristianesimo. Questo non è vero. Non è vero storicamente, perché era stato Pietro a convertire per primo un pagano. E non è vero nemmeno teologicamente, perché in fondo Paolo non fece che ripetere quello che aveva fatto Gesù Cristo stesso. Inizialmente predicava solo agli Ebrei, nelle sinagoghe; fu Sergio Paolo a « costringerlo », in un certo senso, a predicare il Vangelo tra i pagani, consigliandogli di andare ad Antiochia di Pisidia e da lì iniziare la predicazione nell’Asia interna».

L’itinerario paolino determinò in qualche modo anche il suo modo di rivolgersi al «pubblico»?

«In tutta la sua prima missione, da Antiochia a Listri a Iconio, percorse la « Via Sebaste », costruita da Augusto e lungo la quale si allineavano colonie romane dalla popolazione « composita »: Greci, Romani, Ebrei, gli « indigeni » Licaoni e Galati. Paolo adottò lo stesso criterio che inizialmente aveva seguito Gesù: prima predicava agli ebrei, ottenendo la conversione di alcuni e il rifiuto di altri; poi si rivolgeva ai pagani».

In che modo affrontava il dialogo con quanti ancora non conoscevano il Vangelo?

«Sceglieva l’impostazione più adatta al suo uditorio. Quando predicava agli Ebrei, nelle sinagoghe, partiva dalla storia d’Israele, poi richiamava i profeti e infine giungeva a « Cristo-Messia », compimento delle profezie attraverso la resurrezione. Con i pagani, sia quelli un po’ rozzi dell’Asia interna sia quelli colti e raffinati di Atene, Corinto ed Efeso, adottava invece un’altra tecnica. L’impostazione rimaneva uguale, cambiavano i riferimenti: qui muoveva dal Dio creatore del mondo, comprensibile anche dai pagani « politeisti », dall’ordine naturale delle stagioni e degli spazi, e quindi approdava al Dio benefattore dell’umanità, che si è rivelato in Cristo. Anche qui, con sfumature: mentre nel « discorso dell’Areopago » ateniese citava i filosofi stoici, in Licaonia puntava su una più diretta osservazione della verità naturale».

Un’altra lezione di dialogo, di capacità di confrontarsi con interlocutori differenti?

«Certamente. E infatti anche a Roma fu in stretti rapporti con gli ambienti stoici, che nell’ »Urbe » erano attenti soprattutto al versante morale dello « stoicismo »: la « gravitas », l’ »auto-controllo », la virtù erano tutti valori compatibili con l’antica tradizione romana. Anche per questo ritengo probabile che l’epistolario tra Seneca e Paolo sia autentico».

Sul quale, tuttavia, permangono molti dubbi…

«In effetti, anch’io inizialmente ero scettica. Poi però mi sono resa conto che sarebbe del tutto verosimile. Scartate due lettere, sicuramente « apocrife », le dodici rimanenti coincidono come datazione – dal 58 al 62 – e come contenuti. Seneca restò un pagano, ma tra lui e Paolo emerge una grande stima reciproca; il filosofo romano mostra di conoscere e apprezzare gli scritti paolini, e in effetti durante la prima prigionia romana, quando Seneca governava l’impero insieme ad Afranio Burro, l’Apostolo godette di grande libertà, ricevendo e predicando nonostante avesse sempre un pretoriano accanto a sé. Ci sono altri dettagli, nell’epistolario, che fanno propendere per l’autenticità – certe differenze stilistiche, certe « reticenze » spiegabili soltanto se si considerano le lettere composte proprio in quegli anni – , ma ciò che interessa sottolineare è come in effetti Paolo avesse saputo suscitare la simpatia di un autore pagano, che i cristiani sentivano vicino dal punto di vista della moralità».

Qual era quindi l’aspetto più «moderno» dell’approccio paolino?

«Era un grande comunicatore, una persona di estrema « duttilità » e capace di accostarsi a tutti i ceti sociali. Sapeva parlare ai semplici, e sapeva parlare ai potenti. E non solo: sapeva stringere amicizie, anche con le persone a prima vista più distanti: i magistrati greci di Efeso, il pro-console romano di Cipro, ma anche l’umile centurione che lo scortava a Roma, o il suo carceriere a Filippi».

Allora perché la sua predicazione era spesso accompagnata da « conflitti »?

«È vero: quando arriva Paolo, scoppia il contrasto. Qui c’è tutta la differenza del suo stile rispetto a Pietro, molto più cauto e prudente.
Tra Pietro e Paolo non c’erano differenze teologiche; in questo andavano perfettamente d’accordo, tant’è vero che Pietro, nella sua « seconda lettera », ricorda « il nostro carissimo fratello Paolo ». Certo, poi mette in guardia i suoi interlocutori sulla sua « finezza », sul suo essere così… complicato. Non c’è stato mai stato scontro teologico tra i due, ma solo una diversa tecnica pastorale».

Che cosa insegna a noi, oggi?

«A non fuggire lo scontro, a non temerlo. Ai nostri giorni sarebbe certamente tra quelli che, nel mezzo del confronto più « ecumenico », decidono di affrontare i problemi, anche i più « controversi ». Con i pagani Paolo attacca, e converte; predicava perfino ai pretoriani che lo « piantonavano »: soldati scelti, coloro che accompagnavano l’imperatore in prima linea in battaglia! Insomma, ci insegna come va affrontato il dialogo: senza aver paura di mettere in evidenza i punti di « divergenza », così da ottenere un’adesione convinta, o un rifiuto. È un dialogo in offensiva, insomma, non sulla difensiva. Oggi molti confondono il dialogo con un « calar le braghe » che deve arrivare a tutti i costi a un accordo, invece Paolo ci insegna una linea opposta: non nascondere niente, e affrontare apertamente la possibilità di un rifiuto».

Il « viaggiatore »: su tutte le strade del Mediterraneo

Anna Maria Brogi

È stato il primo grande « viaggiatore » del cristianesimo. E il bacino del Mediterraneo, dall’Italia alla Turchia, conserva le « vestigia » del suo passaggio: talvolta a parlare sono i siti archeologici, più spesso solo i nomi dei luoghi. Paolo di Tarso nacque nell’omonima località dell’Asia Minore (oggi nella Turchia centro-meridionale) forse nell’anno 8. Di famiglia ebrea e cittadino romano, da persecutore si convertì al cristianesimo « sulla via di Damasco ». A Gerusalemme si unì alla comunità degli Apostoli. In seguito alla « diaspora » degli ebrei convertiti, fu chiamato da Barnaba ad Antiochia di Siria (oggi in Turchia), dove incontrò Pietro. Proprio ad Antiochia, raccontano gli « Atti degli Apostoli », per la prima volta i discepoli furono chiamati « cristiani ». Probabilmente a partire dall’anno 46, Paolo compie tre lunghi « viaggi missionari » attraverso l’Anatolia e la Grecia. Passando per l’isola di Cipro, dove assiste alla conversione del governatore romano Sergio Paolo. Ad Antiochia di Pisidia parla nella sinagoga e fonda una Chiesa distinta dalla comunità ebraica. Per quasi tre anni vive ad Efeso ed è poi costretto a lasciare la città in seguito al « tumulto » degli orefici: i ricchi artigiani, che legavano le loro fortune al culto della Dea Artemide e al suo tempio, si sollevarono in massa contro l’Apostolo nel grande teatro. Secondo alcuni storici, a Efeso in un’altra occasione Paolo sarebbe stato incarcerato. Dal territorio turco a quello greco: ad Atene predica nell’area dello stesso « Aeropago »; a Corinto si ferma per un anno e mezzo. Viaggerà fino alla morte. Arrestato a Gerusalemme e condotto a Roma, dopo un naufragio a Malta, subirà il « martirio » per decapitazione forse nell’anno 67.

« Anno Paolino »: domani a Roma l’apertura,
alla presenza di numerosi delegati ecumenici

Matteo Liut

L’apertura dell’ »Anno Paolino », indetto da Benedetto XVI in onore del « bimillenario » dalla nascita dell’«Apostolo delle genti», avverrà ufficialmente con i « Primi Vespri » della « Solennità dei Santi Pietro e Paolo ». La celebrazione sarà presieduta dal Papa domani alle 18 presso la tomba dell’Apostolo Paolo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Alla liturgia prenderanno parte anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e alcuni delegati di altre Chiese e Comunità ecclesiali, con vincoli storici e geografici con San Paolo. Il Patriarca, che incontrerà il Papa durante un’udienza privata domani mattina, è accompagnato dal metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, esarca per l’Europa Meridionale, dal metropolita Ioannis di Pergamo (co-presidente della « Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme »); dall’arcivescovo Antonios di Hierapolis, della Chiesa ortodossa ucraina negli Stati Uniti. Al rito saranno presenti altri 70 « dignitari », molti provenienti dagli Stati Uniti.
Tra questi, poi, ci saranno anche l’arcivescovo Drexel Gomez, primate anglicano di West Indies, in rappresentanza dell’arcivescovo di Canterbury; Theophanis, arcivescovo di Gerasa ed esarca in Atene (Patriarcato di Gerusalemme); l’archimandrita Ignatios Sotiriadis, (Chiesa ortodossa di Grecia); il metropolita Georgios di Phapos (Chiesa ortodossa di Cipro); il metropolita Valentin di Orenburg e Buzuluk (Patriarcato di Mosca); l’arcivescovo Filipp di Poltava e Myrhorod (Ucraina e Patriarcato di Mosca); il metropolita Mor Philoxenus Mattias Nayis (Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia
). 

Newman ha parlato questa sera a Hyde Park

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1344796

Newman ha parlato questa sera a Hyde Park

L’insegnamento del grande convertito nella meditazione del papa alla vigilia della sua beatificazione. « La passione per la verità ha un grande prezzo: spesso implica essere esclusi, ridicolizzati o fatti segno di parodia »

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa nazione, il cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato beato. Quante persone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momento! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere questa esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole.

Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza. [...] Questa sera, nel contesto della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di credenti e per la vita della Chiesa oggi.

Permettetemi di cominciare ricordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza immediata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivelazione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza, al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica. Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale.

Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è lui stesso “la via, la verità e la vita” (Giovanni 14, 6).

L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.

Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti alla gloria di Dio e alla diffusione del suo regno. Newman comprese questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente mediante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, « veritatis splendor ».

La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san Paolo chiede che ci sia dato di conoscere “l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (cfr. Efesini 3, 14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr. Efesini 3, 17) e perché possiamo giungere a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di quell’amore. Mediante la fede giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri passi e luce del nostro cammino (cfr. Salmo 119, 105). Come innumerevoli santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, Newman insegnò che la “luce gentile” della fede ci conduce a renderci conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul sublime destino che ci attende in cielo.

Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo semplicemente un altro “cembalo squillante” (1 Corinzi 13, 1) in un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.

Una delle più amate meditazioni del cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti.

Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr. Matteo 5, 16).

Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari giovani amici: solo Gesù conosce quale “specifico servizio” ha in mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al perseguimento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedienza, e servendolo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha bisogno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua orazione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini disposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia necessaria per adempiere alla vostra vocazione. [...]

Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera preparandoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel santissimo sacramento dell’altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazione, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal cardinale John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.

Hyde Park, 18 settembre 2010

Omelia per il 22 settembre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13626.html

Omelia (24-09-2008) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
meritiamo di entrare nella vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 9,1-6
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. Quanto a coloro che non vi accolgono, nell’uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi”.
Allora essi partirono e passavano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.

3) Riflessione

• Il vangelo di oggi descrive la missione che i Dodici ricevettero da Gesù. Più avanti, Luca parla della missione dei settantadue discepoli (Lc 10,1-12). I due vangeli si completano e rivelano la missione della Chiesa.
• Luca 9,1-2: L’invio dei dodici in missione. “Gesù chiamò a sé i Dodici, e diede loro potere ed autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi”. Nel chiamare i Dodici, Gesù intensifica l’annuncio della Buona Notizia. L’obiettivo della missione è semplice e chiaro: ricevettero il potere e l’autorità di scacciare i demoni, di curare le malattie e di annunciare il Regno di Dio. Così come la gente rimaneva ammirata vedendo l’autorità di Gesù sugli spiriti impuri, e vedendo il suo modo di annunciare la Buona Notizia (Lc 4,32.36), così dovrà accadere con la predicazione dei dodici apostoli.
• Luca 9,3-5: Le istruzioni per la Missione. Gesù li manda con le seguenti raccomandazioni: non portare nulla “né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”. Non andare di casa in casa, ma “in qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino” In caso di non essere ricevuti, “scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi ». Come vedremo, queste raccomandazioni strane per noi, hanno un significato molto importante.
• Luca 9,6: L’esecuzione della missione. Essi partirono. E’ l’inizio di una nuova tappa. Ora non solo Gesù, ma tutto il gruppo va ad annunciare la Buona Notizia alla gente. Se la predicazione di Gesù causava conflitto, tanto più ora, con la predicazione di tutto il gruppo.
• I quattro punti fondamentali della missione. Al tempo di Gesù, c’erano diversi movimenti di rinnovamento: esseni, farisei, zeloti. Anche loro cercavano un nuovo modo di convivere in comunità ed avevano i loro missionari (cf. Mt 23,15). Ma costoro, quando andavano in missione, erano prevenuti. Portavano bastone e bisaccia per mettervi il proprio cibo. Non si fidavano del cibo che non sempre era “puro”. Al contrario degli altri missionari, i discepoli di Gesù riceveranno raccomandazioni diverse che ci aiutano a capire i punti fondamentali della missione di annunciare la Buona Notizia:
a) Devono andare senza niente (Lc 9,3; 10,4). Ciò significa che Gesù li obbliga a confidare nell’ospitalità. Perché chi va senza niente, va perché confida nella gente e pensa che sarà ricevuto. Con questo atteggiamento loro criticano le leggi di esclusione, insegnate dalla religione ufficiale e mostrano, mediante una nuova pratica, che avevano altri criteri di comunità.
b) Dovevano rimanere nella prima casa, fino a ritirarsi dal luogo (Lc 9,4; 10,7). Cioè, dovevano convivere in modo stabile e non andare di casa in casa. Dovevano lavorare con tutti e vivere di ciò che ricevevano a cambio “perché l’operaio ha diritto al suo salario” (Lc 10,7). Con altre parole, loro devono partecipare alla vita ed al lavoro della gente, e la gente li accoglierà nella sua comunità e condividerà con loro casa e cibo. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione. Ciò spiega anche la severità della critica contro coloro che rifiutano il messaggio: scuotere la polvere dei piedi, come protesta contro di loro (Lc 10,10-12), perché non rifiutano qualcosa di nuovo, bensì il loro passato.
c) Devono curare i malati e scacciare i demoni (Lc 9,1; 10,9; Mt 10,8). Cioè devono svolgere la funzione del “difensore” (goêl) ed accogliere nel clan, nella comunità, gli esclusi. Con questo atteggiamento criticano la situazione di disintegrazione della vita comunitaria del clan ed indicano sbocchi concreti. L’espulsione di demoni è segno della venuta del Regno di Dio (Lc 11,20).
d) Devono mangiare ciò che la gente da loro (Lc 10,8). Non potevano vivere separati con il loro cibo, ma dovevano accettare la comunione con gli altri, mangiare con gli altri. Ciò significa che nel contatto con la gente, non devono aver paura di perdere la purezza così come era stato loro insegnato. Con questo atteggiamento criticano le leggi di purezza in vigore ed indicano, per mezzo della nuova pratica, che possiedono un altro accesso alla purezza, cioè, l’intimità con Dio.
Questi erano i quattro punti fondamentali della vita comunitaria che dovevano marcare l’atteggiamento dei missionari e delle missionarie che annunciavano la Buona Notizia di Dio in nome di Gesù: ospitalità, condivisione, comunione ed accoglienza degli esclusi (difensore, goêl). Se si risponde a queste quattro esigenze, allora è possibile gridare ai quattro venti: “Il Regno è venuto!” (cf. Lc 10,1-12; 9,1-6; Mc 6,7-13; Mt 10,6-16). Ed il Regno di Dio che Gesù ci ha rivelato non è una dottrina, né un catechismo, né una legge. Il Regno di Dio avviene e si rende presente quando le persone, motivate dalla loro fede in Gesù, decidono di convivere in comunità per rendere testimonianza e rivelare, in questo modo, a tutti, che Dio è Padre e Madre e che noi gli esseri umani siamo fratelli e sorelle. Gesù voleva che la comunità locale fosse di nuovo un’espressione dell’Alleanza del Regno, dell’amore di Dio Padre, che ci rende tutti fratelli e sorelle.

4) Per un confronto personale

• La partecipazione nella comunità ti ha aiutato ad accogliere e ad aver fiducia nelle persone, soprattutto le più semplici e povere?
• Qual è il punto della missione degli apostoli che per noi oggi ha più importanza? Perché?

5) Preghiera finale

Signore, tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d’oro e d’argento. (Sal 118) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 21 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

San Matteo

San Matteo dans immagini sacre el-greco-san-matteo-evangelista-apostolo

El Greco (1541, Candia – 1614, Toledo), “San Matteo Evangelista Apostolo”, 1610-14, Olio su tela, 97 x 77 cm, Museo de El Greco, Toledo

http://gospelart.wordpress.com/2009/02/18/gesu-e-gli-apostoli-secondo-el-greco/

Publié dans:immagini sacre |on 21 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

SALMO 15 (Divo Barsotti)

dal sito:

http://www.figlididio.it/salmi/index.htm

DIVO BARSOTTI

Salmo 15

Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?
Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia e parla lealmente,
non dice calunnia con la lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno, non cambia;
5 presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.


Il Tempio di Salomone
Il salmo è ben modesto come componimento lirico: di un’estrema povertà letteraria, direi, ma di un grande insegnamento invece, per quello che riguarda Israele e noi.
È a forma di catechismo e ne ha la semplicità. L’orante domanda quali siano le condizioni per vivere nella casa di Dio, per dimorare nella tenda dell’Altissimo, per essere protetto dal Signore, perché abbia di lui misericordia e lo difenda. È una domanda cultuale e si aspetterebbero delle condizioni cultuali. Dimorare nella casa di Dio sotto l’ombra dell’Altissimo poteva essere soltanto, sembrerebbe, del sacerdote o comunque di colui che fedelmente adempie tutte le prescrizioni della legge e del culto: ma non vi è altro culto per Israele che la vita stessa nei suoi rapporti con gli altri: il vero culto è questo e a questo del resto ci richiama anche il Vangelo quando ci dice: « se tu vai a far la tua offerta e ti ricordi che un tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta e vai prima a riconciliarti con lui ». La liturgia cristiana, e prima ancora la liturgia ebraica, non è vissuta nel Tempio, in rapporto con un idolo vano e muto, è vissuta nel rapporto dell’uomo con l’uomo, perché l’uomo all’uomo è suo Dio. Le parole sono della letteratura romana, « homo, homini deus », ma più che appartenere a una letteratura romana e pagana, sono, si direbbe, la sintesi di quello che è l’insegnamento profetico e di quello poi che è l’insegnamento cristiano.
E noi stessi cristiani dobbiamo ricordarci perché è anche per noi sussiste il pericolo di credere di poter vivere un rapporto con Dio, prescindendo da un nostro rapporto con gli altri, anche per noi sussiste il pericolo di credere che siamo anime pie se facciamo l’ora di adorazione davanti al Santissimo Sacramento, e poi manchiamo di carità verso i nostri fratelli. Un certo pietismo contamina anche la nostra vita religiosa, non potrà mai la pietà nostra individuale, la nostra preghiera, sostituire la carità fraterna, perché la pietà verso Dio non solo si dimostra vera se si congiunge a questa carità, ha la sua prova, ha la sua misura nella carità con gli altri, ma perché la pietà verso Dio deve avere come suo frutto questo rapporto che è l’effetto principale, fondamentale dell’Eucarestia. Il culto cristiano trova nell’Eucarestia il suo centro, trova nell’Eucarestia l’attuo suo fondamentale. Il frutto fondamentale dell’Eucarestia e l’unità dei cristiani; anche in questo, vedete, il pietismo degli ultimi secoli ha, non contaminato, ma diminuito estremamente il contenuto del mistero cristiano. Nei manuali di teologia si vede che il frutto dell’Eucarestia è una suavitas, una dulcedo interna, o è l’alimento della nostra vita di pietà, o è il rimedio ai mali quotidiani della nostra esistenza; noi ci dimentichiamo di quello che è il frutto fondamentale che san Paolo già dichiara nella lettera ai Corinti, l’edificazione del Corpo di Cristo, l’unità del Corpo di Cristo: ogni qualvolta si compie l’Eucarestia si crea la Chiesa di Dio, l’assemblea cristiana, la convocatio, gli uomini chiamati dalla divina Parola. Anche per noi cristiani, dunque, il rapporto con gli altri è la vera liturgia, la pietà personale deve terminare e deve manifestare la sua forza, esprimere la sua grandezza proprio nel rapporto degli uomini fra loro. Voi vedete qui (e in questo già, la religione cristica si oppone a tutte le religioni pagane) le condizioni di un culto, sono soltanto una morale sociale, prescrizioni di morale sociale.
A quello che qui dice il salmista possono essere aggiunte chissà quatte altro prescrizioni di morale sociale, si potrebbe dire che sono state scelte anche male, ma l’insegnamento fondamentale è questo, che il culto divino, le condizioni per vivere accetti a Dio, sono il rapporto che l’uomo ha con l’altro uomo, rapporto di giustizia, di carità. Qui non si parla troppo di carità, ma indubbiamente la giustizia che qui è supposta, che qui è inculcata, importa anche un minimo di carità, perché importa un minimo di volontà interiore, di rispetto dell’altro. Non vi è mai una perfetta giustizia che non implichi la carità, non è vero chesumma iustitia, summa iniquitas, una giustizia quando si parte dall’intimo non è soltanto un voler adempiere delle prescrizioni positive della legge, quando si parla all’intimo, quando implica il rispetto della altrui persona, quando esige una volontà di non nuocere, già per sé implica una certa carità, è già l’inizio, in fondo, dell’amore. D’altra parte il salmo non ci parla soltanto di una morale sociale considerandola in prescrizioni precise, di questo rapporto con gli altri; parla precisamente fin dall’inizio di questa disposizione interiore di integrità e di giustizia nei confronti degli altri: « Colui che cammina senza colpa, agisce con giustizia e parla lealmente. Sono tre prescrizioni che in fondo si riducono a una sola: parlare in verità. Essere veri vuol dire manifestare nei rapporti con gli altri quei sentimenti che noi conserviamo nell’intimo. Siccome non possiamo avere verso gli altri che un atteggiamento di giustizia e di rispetto, questo sentimento dobbiamo possederlo nel cuore. Questa è l’integrità della vita, questa è la fedeltà alla legge, questo è operare giustizia, secondo il salmista. Poi viene una esemplificazione che di per sé non è esaustiva, sono degli esempi, quegli esempi che potevano maggiormente interessare forse il mondo nel quale viveva il salmista: la corruzione dei potenti, far dei doni ai potenti, « le bustarelle » perché i potenti non osservassero la legge in favore del povero, in difesa dell’orfano e della vedova, ma piuttosto favorissero chi portava la « bustarella »: è chiaro. È una esemplificazione che risponde dunque ad un dato stato sociale, a una condizione, che era propria nel regno di Giuda e del regno d’Israele quando sorsero i Profeti: effettivamente il salmo richiama in gran parte la morale giudaica: anche i profeti vedono che il culto di Dio implica necessariamente questi rapporti di umanità, di equanimità, equità e giustizia con gli altri. Che cosa vale il digiuno? Il tuo vero digiuno è sovvenire l’orfano e la vedova: « Se tu verrai incontro al povero, la tua giustizia brillerà come un sole », diranno il Profeta Isaia e il Profeta Michea, e a loro faranno eco gli altri Profeti, Osea e Geremia: « Che me ne faccio io dei vostri sacrifici, ho in uggia le vostre preghiere, il grasso degli animali mi è venuto a nausea, fate il bene, purificate il vostro cuore, non opprimete il vostro fratello, questo è il vero sacrificio gradito a Dio ». Con questo il Signore vuole forse negare l’efficacia di un culto che Egli stesso ha prescritto? Nell’economia cristiana ora vorrebbe voler dire forse che il cristianesimo tutto si esaurisce in un rapporto sociale? Ma se fosse soltanto un rapporto sociale non saremmo nemmeno cristiani! Il vostro rapporto con gli altri è già un rapporto mistico non più sociale, siamo una sola cosa fra noi, io devo amare il mio prossimo come me stesso, perché il mio prossimo sono io, tutti siamo uno solo in Cristo. Vivere il mio rapporto con gli altri vuol dire vivere il mistero stesso cristiano in questa unità che tutti ci riassume nella Persona di Nostro Signore, nel suo Mistico Corpo. Nella Persona, dico, di Nostro Signore, non dico soltanto nel suo Mistico Corpo, perché san Tommaso d’Aquino arriva a questa affermazione, che tutti siamo una sola persona mistica; che cosa voglia dire nemmeno i teologi lo sanno, comunque è san Tommaso che lo dice, cioè l’unità di tutti noi in Cristo, è una unità non soltanto morale, è una unità mistica, ma in certo modo anche fisica, e, più grande dell’unione stessa fisica, è una unità di cui non abbiamo paragone quaggiù. In tanto ognuno di noi e nemico a sé stesso, in tanto la società umana è nemica a se stessa in quanto tutto e tutti non realizzano la loro unità col Signore, non sono che un unico Cristo, quel Cristo in cui non vi è più né barbaro o greco, né maschio né femmina, né uomo libero o schiavo ». Uno solo, e san Paolo non dice ei come dice san Giovanni nel suo IV Vangelo, ma dice Eis; un solo uomo, non una sola cosa, un solo uomo noi siamo, questo è il mistero cristiano.
Nella misura che Egli ti sceglie, ti strappa dal mondo e ti mantiene nella tua solitudine, ti strappa dalla tua condizione umana, che ancora non ti introduce nel regno, rimani estraneo alla terra e Dio rimane egualmente estraneo a te, tutti i popoli ti opprimono e Dio rimane in silenzio, la vita umana per te rimane come legata e la vita divina non ti viene concessa. Senso di una solitudine e di un vuoto che diviene ogni giorno più grande nella misura che Dio ti porta nelle sue vie, nella misura che Egli ti strappa a te stesso sciogliendoti per iniziarti a una comunione con Lui che deve divenire sempre più intima. Ma la comunione con Lui ora la sperimenti come una morte, in una divisione da tutto, in un silenzio nel quale sembra affondare tutta la tua vita.
« Svegliati, perché dormi o Signore? » Quante volte l’anima sarebbe tentata di rivolgersi a Dio con le stesse parole, e noi dobbiamo sapere, questo almeno ci sia di conforto, che queste parole rimangono preghiera anche se sembrano bestemmia, che queste parole sono anzi la preghiera di un popolo scelto, eletto: Israele; sono l’espressione di un popolo che risponde con questo grido di angoscia alla propria elezione. Dobbiamo saperlo perché non ci inganni il nostro linguaggio. Molto spesso forse non è preghiera quella che noi crediamo preghiera, ed è preghiera proprio la nostra stanchezza, ed è preghiera proprio la nostra non rivolta, non ribellione, ma il nostro smarrimento, il nostro sgomento, la nostra paura, ed è preghiera la nostra sofferenza, onde l’anima non sa più capir nulla, e crede di essere abbandonata da Dio e dagli uomini e crede che per sé non esista più che la morte.

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