Archive pour septembre, 2010

Omelia (05-09-2010) : Sai, la tua Volontà costa…

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19280.html

Omelia (05-09-2010) 
don Alberto Brignoli

Sai, la tua Volontà costa…

Ogni tanto ci fermiamo a pensare.
A dire la verità, pensiamo sempre, in ogni istante della nostra esistenza. Grazie a Dio, sono praticamente nulli i momenti in cui non pensiamo a ciò che facciamo, o nei quali facciamo qualcosa senza pensare, in maniera istintiva. Anche i gesti più automatici, come premere i diversi pedali al momento giusto mentre guidiamo l’automobile, sono frutto di un pensiero che ci ha accompagnato da quando ne siamo capaci, e a cui diamo il nome di esperienza.
Tutta la vita, quindi, risulta essere un insieme di tante piccole e grandi esperienze, di emozioni a volte ricercate e a volte subite, che creano un bagaglio culturale nel quale confluiscono tutti i nostri pensieri e che alla fine diventano esse stesse pensiero, modo di essere, o – come spesso diciamo – filosofia di vita. E come accennavo, la maggior parte di questi pensieri accade nel corso della vita senza la necessità da parte nostra di fermarci a prenderne coscienza.
Ma ogni tanto, ci fermiamo a pensare. E quando per pensare ci fermiamo, i pensieri che ne scaturiscono sono di solito i più profondi e i più interessanti, quelli che poi emergono in diverse circostanze e danno il senso a quello che facciamo, ma a volte ci creano pure interrogativi e preoccupazioni perché spesso non riusciamo a scrutarli fino in fondo e ad esaurirne la comprensione.
Così, finiamo per dare loro il nome di « misteri »: Come ha avuto inizio la vita? Che cosa ci attende dopo la morte? Come mai, se tutto è stato creato bene e per il bene, nel mondo c’è tanto male? Quale sarà il nostro futuro? Che senso ha faticare tanto per raccogliere poco?
E pensare che questi interrogativi e questi pensieri riguardano « le cose della terra », « quelle a portata di mano », delle quali possiamo « a fatica scoprire » qualcosa, « a stento immaginare » il loro senso, come ci dice l’autore del libro della Sapienza nella Liturgia della Parola di oggi.
Ma come la mettiamo – prosegue il libro ispirato – quando cerchiamo di « conoscere il volere di Dio », o quando cerchiamo di « immaginare che cosa vuole il Signore »? Chi, tra gli uomini, rivestiti di un « corpo corruttibile che appesantisce l’anima » e riparati sotto una « tenda d’argilla che opprime una mente piena di preoccupazioni », è mai riuscito a « investigare le cose del cielo »?
Detta « in soldoni »: già comprendere cosa ci frulla in testa e cosa passa nella mente delle persone è un’impresa, figuriamoci a voler comprendere i pensieri e la volontà di Dio! Impossibile!
Eppure lo facciamo, eppure osiamo provarci: « Cosa vuole Dio da me? ». « Cosa pensa Dio della mia esistenza e del mio operare? ». Non ve lo siete mai chiesti? Non vi siete mai domandati se quello che state facendo corrisponde alla volontà di Dio? Non avete mai pensato se il cammino che avete intrapreso è quanto lui di meglio ha pensato per voi? Non vi siete mai interrogati su cosa significhi stare dietro a lui, seguirlo, cercare di compiere la sua volontà?
Del resto, se non ce le poniamo noi queste domande, arriva lui, un giorno o l’altro, a porci degli interrogativi: « Sei davvero disposto a seguirmi? Sai quanta fatica in tutto questo? Hai calcolato bene quanto sia impegnativo? Sai che per essere cristiano, cioè mio discepolo, devi caricarti una croce sulle spalle, perché la mia strada porta al Calvario? Sai che io sono da amare più di ogni altra cosa bella della vita, dalle persone a te care fino alla tua stessa vita? ».
Era numerosa la folla che gli andava dietro, sulle strade della Palestina di allora: forse proprio per questo, un giorno Gesù smise di guardare avanti, verso Gerusalemme, e voltandosi parlò chiaro, in questi termini, a una folla che non aveva calcolato bene quanto fosse impegnativo fare la volontà di Dio, ovvero ben più che andare in guerra senza soldati o costruire una casa senza avere i mezzi a sufficienza.
Seguire Gesù non è così facile come si pensi: fare la sua volontà in quanto volontà di Dio, men che meno. Anche perché resta ben difficile comprenderla, ancor prima che accettarla ed eseguirla.
Per questo, l’autore del libro della Sapienza (identificato dalla tradizione come il re saggio Salomone) a più riprese nel corso dell’opera chiede a Dio il dono della sapienza e di uno spirito che viene dall’alto, capace di conoscere il volere di Dio e per questo ritenuto più prezioso di qualsiasi altro bene materiale che l’uomo possa desiderare di possedere. Una sapienza che – come ci dice il salmo – ci insegni a « ritornare » in noi stessi e a « contare i nostri giorni », per comprendere che la nostra vita – che crediamo tanto potente – è « come un sogno al mattino » che svanisce al risveglio, è « come l’erba che germoglia al mattino e alla sera è falciata e si secca ».
Possiamo permetterci anche noi, Signore, di chiederti in dono quella sapienza che viene dall’alto e che ci aiuta a capire cosa vuoi, in fondo, da noi? Ti promettiamo che smetteremo di avanzare pretese assurde, come quelle di voler entrare nel tuo regno senza meritarcelo, o di voler passare dal portone spalancato invece che dalla porta stretta; come quella di intestardirci a costruire qualcosa più grande dei nostri mezzi o di avventurarci in un impresa senza averne le forze.
Ma tu donaci un cuore saggio.
Forse così riusciremo a comprendere e ad accettare la tua volontà, soprattutto quando ci fai « ritornare in polvere » e calcoli gli anni della nostra esistenza « come il giorno di ieri che è già passato ».
Perché per te può darsi sia facile « istruire gli uomini in ciò che ti è gradito »: ma i ragionamenti di noi mortali sono « timidi e incerti », e seguirti sulla via della croce amandoti più di quelle belle cose che tu stesso ci hai donato e di quelle meravigliose persone che tu stesso ci hai messo accanto, credici, a noi costa ancora parecchio

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 4 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010 – XXIII DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010 - XXIII DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera a Filemone imagen-di-spagna-2-1581

seguire Gesù

http://www.alcantarine.org/public/istituto/carisma/

DOMENICA 5 SETTEMBRE 2010 – XXIII DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C23page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Fm 9b-10. 12-17
Accoglilo non più come schiavo, ma come un fratello carissimo.

Dalla lettera a Filèmone.
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

UFFICIO DELLE LETTURE

(CITAZIONI A PAOLO: 1Cor)

Seconda Lettura
Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, papa
(Disc. 95, 6-8; PL 54, 464-465)

La sapienza cristiana
Il Signore dice: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Questa fame non ha nulla a che vedere con la fama corporale e questa sete non chiede una bevanda terrena, ma desidera di avere la sua soddisfazione nel bene della giustizia. Vuole essere introdotta nel segreto di tutti i beni occulti e brama di riempirsi dello stesso Signore.
Beata l’anima che aspira a questo cibo e arde di desiderio per questa bevanda. Non lo ambirebbe certo se non ne avesse già per nulla assaporato la dolcezza. Ha udito il Signore che diceva: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 33, 9). Ha ricevuto una parcella della dolcezza celeste. Si è sentita bruciata dell’amore della castissima voluttà, tanto che, disprezzando tutte le cose temporali, si è accesa interamente del desiderio di mangiare e bere la giustizia. Ha imparato la verità di quel primo comandamento che dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5; cfr. Mt 22, 37; Mc 12, 30; Lc 10, 27). Infatti amare Dio non è altro che amare la giustizia. Ma come all’amore di Dio si associa la sollecitudine per il prossimo, così al desiderio della giustizia si unisce la virtù della misericordia. Perciò il Signore dice: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7).
Riconosci, o cristiano, la sublimità della tua sapienza e comprendi con quali dottrine e metodi vi arrivi e a quali ricompense sei chiamato! Colui che è misericordia vuole che tu sia misericordioso, e colui che è giustizia vuole che tu sia giusto, perché il Creatore brilli nella sua creatura e l’immagine di Dio risplenda, come riflessa nello specchio del cuore umano, modellato secondo la forma del modello. La fede di chi veramente la pratica non teme pericoli. Se così farai, i tuoi desideri si adempiranno e possiederai per sempre quei beni che ami.
E poiché tutto diverrà per te puro, grazie all’elemosina, giungerai anche a quella beatitudine che viene promessa subito dopo dal Signore con queste parole: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).
Grande, fratelli, è la felicità di colui per il quale è preparato un premio così straordinario. Che significa dunque avere il cuore puro, se non attendere al conseguimento di quelle virtù sopra accennate? Quale mente potrebbe afferrare, quale lingua potrebbe esprimere l’immensa felicità di vedere Dio?
E tuttavia a questa meta giungerà la nostra natura umana, quando sarà trasformata: vedrà, cioè, la divinità in se stessa, non più «come in uno specchio, né in maniera confusa, ma a faccia a faccia» (1 Cor 13, 12), così come nessun uomo ha mai potuto vedere. Conseguirà nella gioia ineffabile dell’eterna contemplazione «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo» (1 Cor 2, 9).

ho influenza e febbre, non ce la faccio a lavorare, a domani o dopodomani, ciao

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Annunciation of the Lord

http://echoesfromrome.blogspot.com/2010/03/annunciation-of-lord-awe-and-gratitude.html

Publié dans:immagini...buona notte...e |on 2 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

COME PAOLO : PRONTO PER L’OLOCAUSTO; UN OLOCAUSTO A FAVORE DEGLI ALTRI

dal sito:

http://euntes.net/

COME PAOLO

di Mons. Juan Esquerda Bifet

PRONTO PER L’OLOCAUSTO

« Perché continuate a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto ad essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù » (Atti 20, 23).
   
 Carità pastorale significa correre tutti i rischi come il Buon Pastore. Paolo non è insensibile. Una squisita sensibilità non è ostacolo per la carità pastorale, purché la vita dell’apostolo sia vita di amore sponsale con Cristo. La disposizione di carità pastorale non esiste quando non si dà il proprio denaro, il proprio tempo, le proprie esigenze, i propri meriti. La figura del missionario, in ogni tempo, si costruisce su questa linea apostolica di Buon Pastore. L’apostolo non si muove per fanatismo o per esaltazione, ma per far conoscere Cristo. Il sacrificio gli costa come costa agli altri. Questo amore pastorale non s’improvvisa, non sorge dal nulla. Il Buon Pastore si offre ogni giorno in olocausto; l’olocausto più difficile, il più apostolico è quello che prepara gli olocausti eroici, eccezionali …    
Il premio dell’apostolo è il poter annunziare Cristo e farlo amare. Morire è sempre un guadagno. L’amore non è una pazzia, ma non ha niente a che vedere neppure con la grettezza. La vita dell’apostolo è continuamente ipotecata. Morire senza vedere il risultato, senza essersi sistemato, senza avere un luogo sicuro dove posare il capo, fallito agli occhi degli altri e senza il complesso di vittima o mania di persecuzione … è la morte dell’apostolo. Non è merito suo, ma dono di Dio al quale ha cercato di corrispondere tutta la vita. L’apostolo non pensa mai di essere superiore agli altri o più forte. Se persevera nella donazione, considera questa perseveranza il premio più grande che gli può concedere il Buon Pastore. Così è la maturità adulta della carità pastorale che umilmente si desidera conseguire ogni giorno un po’ di più …

UN OLOCAUSTO A FAVORE DEGLI ALTRI

« Vorrei essere anatema io stesso, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne … e possiedono l’adozione a figli » (Rom. 9, 3-4).
    
Non si può mai spiegare la carità pastorale; non si adatta alle categorie o ad una terminologia umana. È sconcertante per chi non comprende l’ansia del donare. L’apostolo si sente responsabile degli uomini, suoi fratelli; vive insieme con essi e sintonizza con i loro problemi. Stima pero ogni cosa nella sua dimensione di storia salvifica. Vede l’uomo e lo ama in tutta la sua profondità; così come Dio lo ha creato e redento. Questo non vuol dire amare l’uomo per qualche cosa a lui estranea, ma amarlo così com’è, sebbene ciò non piaccia all’uomo stesso. L’uomo di oggi, a volte, vuole essere amato così come lui pensa di essere; non gli garba, quindi, essere amato alla luce di Cristo, perché dice che in questo modo non lo si ama così com’è. Il vero amore, invece, prescinde dall’essere o no gradito; alla luce di Cristo e di Dio Amore, si ama l’uomo in tutta la sua profondità: è figlio di Dio …    
Vivere al servizio degli altri è tutta un’ascetica pastorale che suppone molta rinunzia di se stessi. La spontaneità della contemplazione è tanto difficile quanto lo è la spontaneità della carità pastorale; questa è sulla linea della contemplazione ed è un modo di praticarla. La spontaneità, però, è unità interna ed esterna che si conquista se non ci si concede nulla di quanto ci impedisce di renderci disponibili all’amore. L’iperbole di Paolo è anche una realtà: da tutto perché conoscano e amino Cristo. I fratelli che non amano Cristo sono una spina, una continua preoccupazione, sono sua carne … Li ama e si offre per essi in olocausto, senza risentirsi se non gli sono grati e lo ricompensano con l’oblio, la persecuzione e l’indifferenza. È l’immolazione e l’olocausto dell’apostolo. Il motivo è davvero profondo: sono figli di Dio, debbono avere la voce e il volto di Cristo; in casa, senza di loro, il Padre non è contento. Proprio per questa dimensione verso il Padre, la carità pastorale non è orizzontalismo, né semplice filantropia. La carità pastorale è la partecipazione dell’amore di Cristo e della sua immolazione …

Publié dans:1.3. COME PAOLO...CI PROVIAMO |on 1 septembre, 2010 |Pas de commentaires »
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