Archive pour septembre, 2010

LA LETTERA A FILEMONE (commento alla lettera)

dal sito:

http://proposta.dehoniani.it/txt/filemone.html

LA LETTERA A FILEMONE
(Pedron Lino)

Lettura e commento del testo 

INTRODUZIONE 

1) Il destinatario della lettera

Paolo ha indirizzato questa lettera a Filemone che egli chiama suo diletto e suo collaboratore. Gli altri destinatari della lettera sono la sorella Appia, il compagno di lotte Archippo e la comunità che si raduna nella casa di Filemone.

Poiché la lettera ai colossesi dice espressamente che Onesimo (Col 4,6) e Archippo (Col 4,17) appartengono alla comunità di Colossi, si deve dedurre che Filemone, dalla cui casa lo schiavo Onesimo era fuggito, vivesse a Colossi. Filemone era evidentemente un benestante divenuto cristiano dopo aver incontrato Paolo (v.19). Egli aveva messo la propria casa a disposizione della comunità perché potesse riunirsi (v.2), dando così prova di amore concreto per i santi (vv.5.7).

2) L’occasione della lettera

Paolo scrive a Filemone perché vuole intercedere a favore dello schiavo di lui, Onesimo. Non fa cenno dei motivi che hanno determinato la fuga di Onesimo. Uno schiavo che si fosse procurata la libertà di propria iniziativa, poteva trovare asilo in un santuario, oppure nascondersi in una grande città e vivere di espedienti, ma se veniva ripreso doveva essere riconsegnato al padrone. Lì lo riattendeva il suo stato di schiavitù, ma gli poteva capitare anche di peggio, perché al proprietario era concesso di punirlo a proprio arbitrio o, se voleva, anche ucciderlo. Onesimo cercò scampo presso Paolo prigioniero.

Paolo si era preso cura di lui, l’aveva convertito alla fede cristiana (v. 10), si era guadagnato le sue simpatie e aveva avuto consolazione dal suo fedele servizio (v. 13). Non gli era però né possibile né lecito tenerlo con sé, perciò lo rimanda da Filemone consegnandogli una lettera con la quale intercede per lui presso il padrone, affinché questo lo riceva come un fratello diletto (v. 16), anzi come se si trattasse di Paolo in persona (v. 17). Paolo non dà ordini a Filemone, ma lascia a lui la decisione; gli ricorda solo il comandamento dell’amore e secondo questo egli dovrà agire.

3) La redazione della lettera

Paolo è prigioniero. La lettera non contiene nessuna indicazione sul luogo in cui l’apostolo è tenuto prigioniero. I più ritengono che fosse ad Efeso. Qui avrebbe scritto la lettera a Filemone, verso la metà degli anni cinquanta!

Fin dall’antichità la lettera a Filemone è stata attribuita a Paolo. Si trova già nel canone di Marcione ed è contenuta anche nel canone muratoriano. Poiché la redazione paolina di questa lettera non fu mai contestata, essa ebbe il suo posto nella raccolta delle lettere di Paolo.

LETTURA E COMMENTO DEL TESTO

Saluto iniziale
(1-3)

1Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al nostro caro collaboratore Filèmone, 2alla sorella Appia, ad Archippo nostro compagno d’armi e alla comunità che si raduna nella tua casa: 3grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo.

All’inizio, conformemente al formulario delle lettere di Paolo, ai nomi dei due mittenti seguono quelli dei vari destinatari. A tutti è indirizzato il saluto e l’augurio di grazia.

v. 1. Paolo non appone al suo nome alcun titolo ufficiale (come apostolo, servo di Cristo o altro), ma si presenta come « prigioniero di Cristo Gesù ».

Così immediatamente, all’inizio della lettera, si accenna allo stato in cui l’apostolo si trova. Egli sta « nelle catene del Vangelo » (v.13) e considera la sua prigionia come la sorte riservata all’annunciatore del Vangelo, proprio in virtù della missione ricevuta.

L’apostolo di Cristo deve patire come il suo Signore. Ma è proprio il suo patire pazientemente per il suo Signore che dà così grande peso alla sua parola rivolta alla comunità. Il destinatario della lettera si chiama Filemone. Egli è agapetòs, amato, e quindi, in qualità di cristiano, che vive e dimostra l’agàpe, non dovrebbe rifiutare lo stesso amore neppure nei confronti di uno schiavo che Paolo chiama « fratello diletto » (v.16). Filemone è inoltre chiamato collaboratore dell’apostolo. Come le persone incluse nella lista dei saluti (v.24) lui pure è, come membro attivo della comunità, partecipe del comune impegno di testimoniare il Vangelo con la parola e l’amore operoso.

v. 2. Con Filemone sono nominati Appia, Archippo e tutta la chiesa domestica, quali destinatari della lettera. Si ricordano i loro nomi perché la faccenda di cui Paolo deve trattare non è solo una questione personale da sbrigare privatamente con Filemone. La decisione che deve essere presa riguarda l’intera comunità cristiana.

v. 3. Il saluto è formulato nei termini con cui Paolo, ogni volta che inizia le lettere, augura alla comunità grazia e pace.

Ringraziamento e preghiera di supplica
(4-7)

4Rendo sempre grazie a Dio ricordandomi di te nelle mie preghiere, 5perché sento parlare della tua carità per gli altri e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi. 6La tua partecipazione alla fede diventi efficace per la conoscenza di tutto il bene che si fa tra voi per Cristo. 7La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione, fratello, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua.

Paolo ringrazia Dio perché ha ricevuto buone notizie sull’amore e sulla fede del destinatario. La preghiera di intercessione è sempre strettamente congiunta al ringraziamento. Essa mira ad ottenere che la fede di Filemone si dimostri ulteriormente operosa.

v. 4. Come gli oranti nei salmi dell’AT, Paolo pregando dice: « il mio Dio ». A Dio, non a un uomo, è diretto il ringraziamento, perché Filemone si è comportato da vero cristiano. Infatti è Dio che ha prodotto l’amore e la fede, e quindi a lui solo si deve ogni ringraziamento. L’apostolo ringrazia Dio ogniqualvolta, nella preghiera, pensa a Filemone. Nella preghiera, però, ogni ricordo si trasforma in ringraziamento e in supplica.

v. 5. Sulla condotta dei destinatari Paolo ha ricevuto buone notizie che lo inducono a ringraziare Dio.

La sostanza di ciò che ha udito è brevemente indicata come l’amore e la fede che Filemone ha dimostrato verso tutti i cristiani.

v. 6. Il ringraziamento diventa immediatamente preghiera di supplica: la partecipazione alla fede comune possa manifestarsi anche per l’avvenire. E questa fede deve essere operosa nelle opere dell’amore. Perciò se riconosce il bene che Dio ci ha dato e che quindi è in noi, Filemone potrà anche comprendere la volontà di Dio e conformarsi all’ammonizione dell’apostolo: « perché il tuo beneficio non fosse forzato, ma spontaneo » (v.14).

Ogni agire operoso della fede, che si attua nella conoscenza del bene di cui Dio ci fa partecipi, deve avvenire per l’amore di Cristo.

v. 7. Fin qui Paolo ha parlato del comportamento di Filemone con parole che potrebbero essere adoperate per ogni vero cristiano. Ora invece fa intendere che è venuto a conoscenza di un fatto specifico, per cui la comunità ha avuto un aiuto da Filemone. Questa notizia gli ha procurato grande gioia e consolazione. Paolo non spiega come ciò sia avvenuto. Dice semplicemente che per mezzo di Filemone « hanno trovato ristoro i cuori dei santi ». Con l’impegno del suo amore, Filemone ha rafforzato la comunione fraterna; perciò ancora una volta è chiamato fratello. Poiché egli, con la sua disponibilità personale, ha riempito di gioia profonda i cuori degli altri cristiani, non potrà certo rifiutare la preghiera dell’apostolo in favore di Onesimo, che considera come il suo cuore.

Preghiera in favore di Onesimo
(8-20)

8Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare, 9preferisco pregarti in nome della carità, così qual io sono, Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero per Cristo Gesù; 10ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato in catene, 11Onesimo, quello che un giorno ti fu inutile, ma ora è utile a te e a me. 12Te l’ho rimandato, lui, il mio cuore. 13Avrei voluto trattenerlo presso di me perché mi servisse in vece tua nelle catene che porto per il vangelo. 14Ma non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo. 15Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; 16non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore. 17Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso. 18E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto. 19Lo scrivo di mio pugno, io, Paolo: pagherò io stesso. Per non dirti che anche tu mi sei debitore e proprio di te stesso! 20Sì, fratello! Che io possa ottenere da te questo favore nel Signore; da’ questo sollievo al mio cuore in Cristo!

Se uno schiavo fuggiva, poteva essere ricercato con mandato di cattura. Se veniva preso, doveva essere ricondotto dal padrone, che lo poteva punire a sua discrezione.

In tal caso, l’interporsi di un uomo che fosse conoscente o amico del padrone aveva un’importanza decisiva per lo schiavo.

Anche Paolo intercede per uno schiavo fuggitivo e dice al padrone di esercitare l’amore e la fede cristiana. Egli sceglie le parole con accuratezza e costruisce la parte centrale della lettera in modo tale che il destinatario venga condotto pian piano al nocciolo della richiesta. Solo dopo aver accuratamente preparato il terreno, Paolo formula la richiesta (vv.17-20).

v. 8. L’apostolo potrebbe far uso del suo diritto legittimo di esigere ciò che Filemone deve fare. Con il termine parresìa è intesa la franchezza con cui Paolo tratta gli uomini.

Questa franchezza si fonda su quella che egli ha di fronte a Dio (2 Col 3, 12; Fil 1,20). A che cosa miri concretamente Paolo, emerge da ciò che segue. Filemone deve agire, nei riguardi del suo schiavo Onesimo conformemente a ciò che è proprio di un cristiano.

v. 9. Ma Paolo non vuole costringere ad ubbidire alla sua parola, ma desidera che Filemone, con libera decisione, compia un atto d’amore. Con questa parola non si allude né all’amore di Paolo né a quello di Filemone, ma semplicemente all’amore nel quale i cristiani si incontrano e intrecciano relazioni.

Nel presentare la sua domanda Paolo accenna alla situazione in cui si trova. Egli scrive a Filemone come un uomo carico di anni e prigioniero per amore di Gesù Cristo.

v. 10. La richiesta riguarda il figlio suo, che egli ha generato in prigione. Paolo premette questo fatto della conversione al cristianesimo prima di menzionare quel nome, Onesimo, che sicuramente Filemone non ricordava volentieri. Ora però egli non gli può più portare astio, se Paolo considera Onesimo come suo figlio. L’immagine di padre e figlio è usata per significare il rapporto fra maestro e discepolo, tra l’apostolo e il fedele convertito a Cristo. Questo figlio di Paolo è perciò fratello di Filemone (v. 16) il quale precedentemente era stato generato da Paolo alla fede in Cristo (v.19).

v. 11. Ammesso pure che Onesimo sia stato in passato uno schiavo inutile per il suo padrone, ora è diverso: egli è sommamente utile sia a Paolo che a Filemone.

I vocaboli achreston/euchreston, inutile/molto utile, hanno un’assonanza con christòs, che veniva pronunciato spesso come chrestòs. Col darsi a Cristo Signore, Onesimo non è più lo schiavo inutile, ma il fratello molto utile, di grande valore.

v. 12. L’apostolo rimanda Onesimo dal suo padrone. Così si adegua alle prescrizioni della legge. Ma Paolo manda Onesimo da Filemone assicurando espressamente che questo schiavo gli è caro come il proprio cuore. Quando Onesimo arriverà dal suo padrone, è come se fosse lui, Paolo, ad arrivare. Come potrebbe Filemone rifiutarsi di accordare allo schiavo ciò che egli deve a Paolo, vecchio e sofferente?

v. 13. Paolo espone molto brevemente le circostanze che lo hanno determinato a scrivere la lettera e a rimandargli Onesimo. Egli vuole astenersi da qualsiasi decisione che contrasti con quella di Filemone, legittimo padrone dello schiavo.

v. 14. Senza il suo consenso l’apostolo non vuol fare nulla. Filemone infatti deve decidersi all’opera buona liberamente e non per costrizione. Egli viene sollecitato ad operare per quell’amore che sa trovare la giusta strada per compiere il bene. Ma questo non può avvenire costringendo Filemone ad agire contro la propria volontà: l’amore può operare solo nella libertà.

v. 15. Paolo insinua che forse lo schiavo è stato separato per breve tempo dal padrone proprio per essere ora riaccolto da lui definitivamente. Con la forma passiva del verbo echorìsthe (= fu separato) si vuole propriamente spiegare come in tutta questa vicenda incresciosa per Filemone, si possa nascondere un disegno di Dio. La separazione è stata di breve durata, il nuovo rapporto sarà eterno.

v. 16. Filemone e Onesimo stanno ora l’uno di fronte all’altro come fratelli in Cristo. Chiamando Onesimo « fratello diletto », Paolo fa sì che d’ora innanzi sia la fraternità a costituire il rapporto tra lo schiavo e il suo padrone cristiano. Se Onesimo come schiavo è proprietà del suo padrone, questo ordinamento terreno è ora superato dall’essere uniti nel Signore.

In tal modo il rapporto tra padrone e schiavo ha subìto una trasformazione radicale. Di conseguenza può anche darsi che Filemone conceda a Onesimo la libertà: Paolo lascia a lui la decisione. Ma Filemone è in ogni circostanza vincolato al comandamento dell’amore, la cui forza rinnovatrice diviene efficace nella comunione fraterna con lo schiavo che ritorna.

v. 17. Solo ora Paolo rivolge a Filemone la preghiera di accogliere Onesimo come accoglierebbe Paolo. Se dunque Filemone considera amico intimo Paolo, si comporti di conseguenza, accogliendo Onesimo. Dicendosi koinonòs Paolo non si presenta come partner che ha interessi comuni come socio in una impresa commerciale, né soltanto si riferisce a un rapporto di amicizia umana, ma riconduce la loro koinonìa all’appartenenza, profondamente vincolante, allo stesso Signore, la quale stringe in una comune attività fondata sulla fede e sull’amore. In forza di questo vincolo Paolo formula ora la sua supplica, nella quale non solo mette una buona parola per Onesimo, ma addirittura si identifica con lui. La dimostrazione d’amore che Filemone riserverà a Onesimo varrà come se fosse rivolta a Paolo.

v. 18. Certo, bisogna ricomporre l’ordine leso dalla fuga dello schiavo. Se Onesimo ha danneggiato il suo padrone in qualcosa, o gli è diventato debitore, sarà l’apostolo a pagare per lui. Filemone può registrare sul conto di Paolo il debito insoluto.

v. 19. Di proprio pugno Paolo rilascia la dichiarazione di rispondere del debito. Ma se proprio si vuole parlare di debito, anche Paolo potrebbe aprire una contropartita e ricordare a Filemone di essere lui in debito con Paolo. Egli infatti è stato guadagnato alla fede cristiana dall’apostolo. È evidente che qui non si tratta di opporre debito a debito.

La misericordia di Dio, che un tempo rese Filemone cristiano ora ha reso cristiano anche il suo schiavo Onesimo. Perciò il padrone deve accogliere lo schiavo come un fratello.

v. 20. Per dare vigore alla sua richiesta, Paolo aggiunge un’ultima frase con cui parla nuovamente a Filemone come a un fratello, esprimendo il desiderio di essere consolato da lui nel Signore. Paolo, alla fine delle due brevi frasi del v. 20 pone le espressioni « nel Signore » e « in Cristo ». In Cristo Signore i rapporti tra gli uomini sono radicalmente rinnovati, così che schiavo e padrone sono, in Cristo, identici (Gal 3,28; 1Cor 7,21-24; 12,13). Paolo fa intendere a Filemone di essere certo che egli soddisferà la sua richiesta e accoglierà Onesimo come accoglierebbe l’apostolo stesso.

Chiusura e saluti
(21-25)

21Ti scrivo fiducioso nella tua docilità, sapendo che farai anche più di quanto ti chiedo. 22Al tempo stesso preparami un alloggio, perché spero, grazie alle vostre preghiere, di esservi restituito. 23Ti saluta Èpafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, 24con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori.
25La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.

Con poche frasi Paolo conclude la lettera. Alla certezza che Filemone farà più di quanto Paolo gli ha chiesto, segue l’annuncio di una sua visita. Viene infine una breve lista di saluti e l’augurio di grazia.

v. 21. Paolo ha presentato a Filemone una richiesta e volutamente si astiene dall’impartire un ordine con l’autorità del suo ministero. Tuttavia le parole di Paolo hanno un carattere vincolante in quanto il destinatario è sottomesso al comando dell’amore. Perciò da parte di Paolo è lecito attendersi che la sua richiesta venga esaudita.

Paolo ribadisce questa fiducia assicurando di aver scritto facendo assegnamento sull’ubbidienza di Filemone. Poiché questa fiducia è fondata nella fede comune, l’obbedienza potrà essere la sola risposta adeguata del destinatario alla parola dell’apostolo.

Egli deve agire con amore cristiano e quindi obbedire alla parola di Paolo che gli rammenta il comandamento dell’agàpe. Paolo si dice convinto che Filemone farà ancor di più di ciò che l’apostolo gli ha detto.

Egli non indica in che cosa consista questo « di più ». Non fa alcuna allusione alla libertà che potrebbe essere concessa allo schiavo. È lasciato a Filemone di decidere in che modo rendere efficace l’agàpe nei confronti del fratello che ritorna.

v. 22. Paolo aggiunge che Filemone dovrebbe preparargli un alloggio perché fra breve spera di fermarsi da lui. Con l’annuncio della sua visita, l’apostolo conferisce particolare efficacia alla sua richiesta in favore di Onesimo.

Infatti lui stesso verrà e si renderà conto di ciò che sarà accaduto. La supplica che la comunità rivolge a Dio per l’apostolo prigioniero ha una grande efficacia perché il grido della comunità giunge a Dio. Paolo spera di essere liberato non tanto per se stesso, ma per la comunità presso la quale vorrebbe trovarsi.

v. 23. Con i saluti Paolo cerca di consolidare i legami con Filemone. Epafra, che Paolo chiama « mio compagno di prigionia in Cristo Gesù », nella lettera ai colossesi è indicato come fondatore della comunità di Colossi (Col 1,7-8; 4,12-13).

v. 24. Marco, Aristarco, Dema e Luca sono presentati come cooperatori di Paolo (Col 4,14). Contrariamente alla lista dei saluti espressi nella lettera ai colossesi con ricche puntualizzazioni, qui mancano dati aggiuntivi sulle persone nominate. È ricordato solo che sono al fianco di Paolo come cooperatori.

v. 25. L’augurio di grazia, con cui Paolo aveva salutato Filemone e la comunità della sua casa all’inizio della lettera, è espresso di nuovo alla fine. Anche qui l’augurio si estende a tutta la comunità che accoglie, con Filemone, la parola e la preghiera dell’apostolo. La comunità vive della grazia di Dio e continuerà a sussistere solo se con essa rimane la grazia del Signore Gesù Cristo.

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4) (San Proclo di Costantinopoli)

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/ 

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4)

San Proclo di Costantinopoli (circa 390-446), vescovo
Discorsi, 1 ; PG 65, 682

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4)  Che sussulti di gioia la natura e che esulti tutto il genere umano, anche le donne, infatti, sono elevate all’onore. Che l’umanità danzi in coro…: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Ci ha radunati qui la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, tesoro purissimo della verginità, paradiso spirituale del secondo Adamo, luogo dell’unione delle nature, luogo di scambio in cui si è compiuta la nostra salvezza, stanza nuziale nella quale Cristo ha sposato la nostra carne. Essa è il roveto spirituale che il fuoco del parto di un Dio non ha consumato, la nuvoleta (1 Re 19,44) che ha portato colui che ha il suo trono sui cherubini, il vello purissimo, che ha ricevuto la rugiada celeste (Gdc 6,38)… Maria, serva e madre, vergine, cielo, ponte unico fra Dio e gli uomini, telaio dell’incarnazione sul quale la tunica dell’unione delle nature è stata mirabilmente tessuta: lo Spirito Santo ne è stato il tessitore.

Nella sua bontà, Dio non si è sdegnato di nascere da donna, anche se colui che sarebbe stato formato in lei era la vita stessa. Se però la madre non fosse rimasta vergine, non ci sarebbe stato in questo parto nulla di strano; semplicemente sarebbe nato un uomo. Ma poiché lei è rimasta vergine anche dopo il parto, come non potrebbe trattarsi di Dio e di un mistero inesprimibile? È nato in un modo ineffabile, senza macchia, colui che, dopo, entrerà senza ostacoli, a porte chiuse, e davanti al quale Tommaso esclamerà, contemplando l’unione delle sue due nature: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28).

Per amore nostro, colui che per natura è incapace di soffrire, si è esposto a numerose sofferenze. Cristo non è affatto divenuto Dio a poco a poco; assolutamente! Invece essendo Dio, la sua misericordia l’ha spinto a diventare uomo, come impariamo dalla  fede. Non predichiamo un uomo divenuto Dio, bensì proclamiamo Dio fatto carne. Ha scelto come madre la sua serva, colui che per natura non conosce madre e che si è incarnato nel tempo senza padre.

MERCOLEDÌ 15 SETTEMBRE 2010 – XXIV SETTEMBRE 2010

MERCOLEDÌ 15 SETTEMBRE 2010 – XXIV SETTEMBRE 2010

BEATA MARIA VERGINE ADDOLORATA – (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura  Eb 5, 7-9
Imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza eterna.
 
Dalla lettera agli Ebrei
Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono..

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia 7, 10-14; 8, 10; 11, 1-9
 

L’Emmanuele, re di pace
In quei giorni il Signore parlò ad Acaz dicendo:
«Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.
Preparate un piano, sarà senza effetti;
fate un proclama, non si realizzerà,
perché Dio è con noi».
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i poveri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;
il bambino metterà la mano
nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore
riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.

Responsorio    Is 7, 14; 9, 6. 7
R. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio: * sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente.
V. Sul trono di Davide regnerà per sempre:
R. sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente.

Oppure:
Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 3,22-4,7
 
Per la fede siamo figli ed eredi di Dio
Fratelli, la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo.
Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.
Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
 
Responsorio    Cfr. Gal 4,4-5; Ef 2,4; Rm 8,3
R. Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò* il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge.
V. Nel suo grande amore per noi, Dio ha mandato il proprio Figlio fatto uomo, simile a noi peccatori,
R. per riscattare coloro che erano sotto la legge.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate  (Disc. nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione 14-15; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 273-274)

La Madre di Gesù stava presso la croce
Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2,34-35)
Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l’anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima. Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l’anima. L’anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell’intensità, le sofferenze fisiche del martirio.
Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l’anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l’ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?
Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d’aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei suoi umili devoti.
Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l’amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l’amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.

MARTEDÌ 14 SETTEMBRE – XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MARTEDÌ 14 SETTEMBRE – XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (f)

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  (o alternativa alla prima)  Fil 2, 6-11
Cristo umiliò se stesso; per questo Dio lo esaltò.
 
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Filippési
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 2, 19 – 3, 7. 13-14; 6, 14-16

La gloria della croce
Fratelli, mediante la legge io, Paolo, sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.
O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?
Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia (Gn 15,6). Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno (Dt 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.
Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.

Responsorio    Cfr. Gal 6, 14; Eb 2, 9
R. Nostro unico vanto è la croce del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza e risurrezione per noi: * egli ci ha salvato e liberato.
V. Lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto:
R. egli ci ha salvato e liberato.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull’Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023).

La croce è gloria ed esaltazione di Cristo
Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell’albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l’inferno non sarebbe stato spogliato.
È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell’inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l’universo.
La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà » (Gv 13,31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12,28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.

LUNEDÌ 13 SETTEMBRE 2010 – XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

LUNEDÌ 13 SETTEMBRE 2010 – XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   1 Cor 11, 17-26
Se vi sono divisioni tra voi il vostro non è più un mangiare la cena del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio.
Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova.
Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.  

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Prima dell’esilio, nn. 1-3; PG 52, 427*-430)

(CITAZIONI DA PAOLO : FIL; 1TIM)

Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno

Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S’innalzino pure le onde, non potranno affondare la navicella di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte? «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21).
Allora l’esilio? «Del Signore è la terra e quanto contiene» (Sal 23,1). La confisca de beni? «Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via» (1Tm 6,7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia.
Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18,20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «lo sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei principi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele. Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: «Signore, sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42). Farò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o il tal altro. Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene! Se vuole ch’io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie.
Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte ci può separare. Il corpo morrà, l’anima tuttavia vivrà e si ricorderà del popolo. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più giocondo della vostra carità? Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura.

Omelia per il 15 settembre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13573.html

Omelia (15-09-2008) 
a cura dei Carmelitani

Commento Giovanni 19,25-27

1) Preghiera

O Padre, che accanto al tuo Figlio,
innalzato sulla croce,
hai voluto presente la sua Madre Addolorata:
fa’ che la santa Chiesa,
associata con lei alla passione del Cristo,
partecipi alla gloria della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-27
In quell’ora, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala.
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Parola del Signore.

3) Riflessione

• Oggi, festa dell’Addolorata, il vangelo del giorno ci presenta il passaggio in cui Maria, madre di Gesù, ed il discepolo amato, si incontrano sul calvario dinanzi alla Croce. La Madre di Gesù appare due volte nel vangelo di Giovanni: all’inizio, alle nozze di Cana (Gv 2,1-5), ed alla fine, ai piedi della Croce (Gv 19,25-27). Questi due episodi, presenti solo nel vangelo di Giovanni, hanno un valore simbolico assai profondo. Il vangelo di Giovanni, paragonato agli altri tre vangeli, è come una radiografia degli altri tre, mentre che gli altri tre sono solo una fotografia dell’accaduto. Il raggio X della fede aiuta a scoprire negli eventi dimensioni che l’occhio umano non riesce a percepire. Il vangelo di Giovanni, oltre a descrivere i fatti, rivela la dimensione simbolica che esiste in essi. Così, nei due casi, a Cana ed ai piedi della Croce, la Madre di Gesù rappresenta simbolicamente l’Antico Testamento in attesa della venuta del Nuovo Testamento e, nei due casi, lei contribuisce all’avvento del Nuovo. Maria appare come l’anello tra ciò che c’era prima e ciò che verrà dopo. A Cana simbolizza l’AT, percepisce i limiti dell’ Antico e prende l’iniziativa affinché giunga il Nuovo. Dice a suo Figlio: “Non hanno vino!” (Gv 2,3). E sul Calvario? Vediamo:
• Giovanni 19, 25: Le donne ed il Discepolo Amato, insieme ai piedi della Croce. Così dice il Vangelo: “La madre di Gesù, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa’, e Maria Maddalena stavano presso la Croce di Gesù”. La “fotografia” mostra la madre insieme al figlio, in piedi. Donna forte, che non si lascia abbattere. “Stabat Mater Dolorosa!” E’ una presenza silenziosa che appoggia il figlio nel suo dono fino alla morte, ed alla morte di croce (Fil 2,8). Ma il “raggio-X” della fede mostra come avviene il passaggio dall’AT al NT. Come è avvenuto a Cana, la Madre di Gesù rappresenta l’AT, la nuova umanità che si forma a partire dal vissuto del Vangelo del Regno. Alla fine del primo secolo, alcuni cristiani pensavano che l’AT non era più necessario. Infatti, all’inizio del secondo secolo, Marcione rifiutò tutto l’AT e rimase solo con una parte del NT. Per questo, molti volevano sapere quale fosse la volontà di Gesù riguardo a questo.
• Giovanni 19,26-28: Il Testamento o la Volontà di Gesù. Le parole di Gesù sono significative. Vedendo sua madre, ed accanto a lei il discepolo amato, Gesù dice: « Donna, ecco tuo figlio. » Dopo dice al discepolo: « Ecco tua madre. » L’Antico ed il Nuovo Testamento devono camminare insieme. La richiesta di Gesù, il discepolo amato, il figlio, il NT, riceva la Madre, l’AT, a casa sua. Nella casa del Discepolo Amato, nella comunità cristiana, si scopre il senso pieno dell’AT. Il Nuovo non si capisce senza l’Antico, né l’Antico è completo senza il Nuovo. Sant’ Agostino diceva: “Novum in vetere latet, Vetus in Novo patet”. (Il Nuovo è nascosto nell’Antico. L’Antico sboccia nel Nuovo). Il Nuovo senza l’Antico sarebbe un edificio senza basi. E l’Antico senza il Nuovo sarebbe un albero fruttale che non arriva a dare frutti.
• Maria nel Nuovo Testamento. Di Maria parla poco il NT, e lei dice ancora meno. Maria è la Madre del silenzio. La Bibbia conserva appena sette parole di Maria. Ognuna di esse e come una finestra che permette uno sguardo dentro la casa di Maria e scoprire come era il suo rapporto con Dio. La chiave per capire tutto questo ci viene data da Luca: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica. » (Lc 11,27-28)
1ª Parola: « Como può avvenire ciò se non conosco uomo! » (Lc 1,34)
2ª Parola: « Ecco la serva del Signore, si faccia in me secondo la tua parola! » (Lc 1,38)
3ª Parola: « L’anima mia glorifica il Signore, esulta il mio spirito in Dio mio Salvatore! » (Lc 1,46-55)
4ª Parola: « Figlio mio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io angosciati ti cercavamo » (Lc 2,48).
5º Parola: « Non hanno vino! » (Gv 2,3)
6ª Parola: « Fate tutto ciò che vi dirà! » (Gv 2,5)
7ª Parola: Il silenzio ai piedi della Croce, più eloquente di mille parole! (Gv 19,25-27)

4) Per un confronto personale

• Maria ai piedi della Croce. Donna forte e silenziosa. Come è la mia devozione a Maria, madre di Gesù?
• Nella Pietà di Michelangelo, Maria sembra molto giovane, più giovane del figlio crocifisso, quando doveva avere per lo meno una cinquantina di anni. Chiestogli perché aveva scolpito il volto di Maria da giovane, Michelangelo rispose: “Le persone appassionate di Dio non invecchiano mai!” Appassionata di Dio! C’è in me questa passione per Dio?

5) Preghiera finale

Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
ne ricolmi chi in te si rifugia
davanti agli occhi di tutti. (Sal 30)

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 14 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

San Giovanni Crisostomo: « Stava presso la croce di Gesù sua madre »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=FR&module=commentary&localdate=20100915

Beata Marie Vergine Addolorata, Memoria : Jn 19,25-27
Meditazione del giorno
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia sulla croce per il Venerdì Santo, 2 ; PG 49, 396

« Stava presso la croce di Gesù sua madre »

        Vedi questa vittoria mirabile ? Vedi i successi della Croce ? Ti sto per dire ora una cosa più stupenda. Considera il modo con il quale questa vittoria si è realizzata, e sarai più stupito ancora. Cristo ha dominato il demonio proprio mediante ciò che gli aveva permesso di vincere. Ha combattuto il demonio con le sue stesse armi. Ascolta come. Una vergine, il legno e la morte, ecco i simboli della disfatta. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all’uomo ; il legno, era l’albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo.

        Vedi che il demonio è stato vinto mediante ciò che gli aveva dato la vittoria ? Mediante l’albero, aveva vinto Adamo ; mediante la croce, Cristo ha trionfato sul demonio. L’albero mandava negli inferi, la croce ne ha fatto tornare coloro che vi erano scesi. Inoltre, l’albero servì a nascondere l’uomo vergognoso della sua nudità, mentre la croce ha alzato agli occhi di tutti un uomo nudo, ma vincitore.

        Questo è il prodigio che la Croce ha realizzato in nostro favore ; la Croce, è il trofeo innalzato davanti ai demoni, la spada estratta contro il peccato, la spada con la quale Cristo ha trafitto il serpente. La Croce è la volontà del Padre, la gloria del Figlio unico, la gioia dello Spirito Santo, lo splendore degli angeli, l’orgoglio di San Paolo, il baluardo degli eletti, la luce del mondo intero.

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