Archive pour août, 2010

28 AGOSTO : SANT’AGOSTINO

28 AGOSTO : SANT'AGOSTINO dans immagini sacre

Publié dans:immagini sacre |on 27 août, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 27 agosto 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10395.html

Omelia (31-08-2007) 
mons. Vincenzo Paglia

Scrive il Vangelo che dieci donne aspettavano l’arrivo dello sposo. Cinque di loro sono stolte e le altre sagge. E la saggezza, secondo la narrazione, consiste nel prendere con sé non solo le lampada con la sua scorta ordinaria di olio ma anche dell’altro olio di riserva. Le cinque stolte, sicure di sé, pensano di aver previsto tutto. Ma lo sposo ritarda… sino a notte, anzi a notte fonda. Ovviamente nulla di più facile per quelle dieci ragazze che lasciarsi sorprendere dal sonno. Ed in effetti, è facile addormentarsi sulle proprie abitudini e sulle proprie sicurezze; è facile lasciarsi sopraffare dal torpore dell’amore per se stessi. Da notare che tutte si addormentano. Non è qui la distinzione; non ci sono eroi che vegliano, e vigliacchi che si addormentano. Tutte, tutti, anche i migliori si lasciano sorprendere dal sonno. Quelle dieci donne perciò siamo tutti noi, spesso rinchiusi in un modo di vivere avaro e sonnolento, senza grandi sogni e ideali. Del resto, l’importante è star tranquilli, non aver noie, problemi, scocciature. Oppure ci angustiamo soprattutto per le nostre cose; ci affanniamo e ci ostiniamo per difendere noi stessi. Questa è la notte di una vita grigia, sempre uguale, senza sprazzi di luci, senza stelle; è la notte di un egoismo diffuso che nasce dal profondo del cuore di ognuno, saggio o stolto non importa.
Ma in questa notte si alza improvviso un grido che annuncia l’arrivo dello sposo. Cos’è questo grido? E’ il grido che sale dalle terre lontane dei paesi poveri, è il grido che viene dai popoli in guerra, è il grido degli anziani soli che invocano compagnia, è il grido dei poveri sempre più numerosi e abbandonati, è il grido di chi sprofonda nell’angoscia; ed è anche il grido del Vangelo e della predicazione domenicale. Ebbene, di fronte a queste grida, ci si sveglia pure magari di soprassalto e ancora assonnati, ma se non si ha la riserva d’olio tutte le scuse sono buone per non rispondere. Non sapremo far brillare la piccola ma indispensabile fiammella della speranza per chi chiede conforto, compagnia, amore, sostegno. Se non si ha nel cuore quel supplemento d’olio, ossia un poco dell’energia evangelica, né risponderemo, né accompagneremo e neppure entreremo in una vita felice perché piena di senso. Né vale andare a comprare l’olio da altre botteghe; non servirebbe, perché arriveremmo in ritardo. Ci sono momenti in cui se manchiamo abbiamo perso, o meglio abbiamo mancato un fratello, una sorella, lasciandoli nella loro tristezza, nella loro disperazione. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 26 août, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino : « A mezzanotte »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100827

Venerdì della XXI settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 25,1-13
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 93

« A mezzanotte »

Le dieci vergini volevano andare incontro allo sposo. Che significa: « andare incontro allo sposo »? Andare col cuore, aspettare il suo arrivo. Ma quello tardava. Mentre egli tardava « si addormentarono tutte »… Che significa dunque: « Furono prese tutte dal sonno »? Si tratta d’un altro sonno che non può essere evitato da nessuno. Non vi ricordate di quanto dice l’Apostolo: « Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono » (1 Tes 4,12), cioè riguardo a coloro che sono morti?… Si addormentarono dunque tutte. Forse perché una è prudente non morrà? Che una vergine sia sciocca o saggia, tutte dovranno sottostare al sonno della morte…

Ecco che « a mezzanotte si udì un grido ». Che significa: a mezzanotte? Quando non si spera, quando non si crede affatto… Verrà quando non lo saprai. Perché verrà quando non lo saprai? Ascolta il Signore in persona: « Non spetta a voi sapere il tempo che il Padre si è riservato di fissare » (At 1,7). « Il giorno del Signore – dice l’Apostolo – verrà come un ladro di notte » (1 Tes 5,2). Veglia dunque di notte per non essere sorpreso dal ladro. Poiché, volere o no, il sonno della morte verrà.

Ma ciò avverrà solamente quando a metà della notte si farà udire un grido. Qual è questo grido, se non quello di cui parla l’Apostolo? « In un batter d’occhio, quando si sentirà l’ultimo suono di tromba. Poiché sonerà la tromba e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati » (1 Cor 15,52). Orbene, dopo che a mezzanotte si sarà fatto sentire il grido con cui si annuncerà: « Ecco, arriva lo sposo », che cosa seguirà? « Si alzarono tutte ».

Santa Monica

Santa Monica dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 26 août, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino aiuta a leggere la Bibbia

l’autore di questo studio è stato mio professore di studi agostiniani, un omaggio anche a lui, dal sito:

http://www.santagostinopavia.it/agostino/agobibbia.asp

Sant’Agostino aiuta a leggere la Bibbia

I. Leggere la Bibbia con S. Agostino

Nei suoi Sermones sul Nuovo Testamento l’insieme delle sue difficoltà, nell’affrontare il testo biblico, sono già superate, egli infatti ci offre ormai dei bellissimi saggi sulla Parola di Dio, fondamento della fede e della ricerca della verità. « Ogni uomo -egli scrive- desidera la verità e la vita » (ser. 141,1 e 150,10), e la soave verità (ser. 153,10) è godibile nella sua dolcezza già in questa vita, anche se nell’eternità sarà somma (ser. 179,6). Essa purifica l’animo e rende liberi (ser. 134,2,6) e, con la sua serenità (ser. 153), non permette che sia taciuta (ser. 125,8; 132,4). « Felice l’anima -egli sprona il lettore- che si purifica con la limpidezza della verità. Colui che, invece, si compiace della legge di Dio e ne riceve tanto diletto da trovarsi al di sopra di tutti i godimenti della dissolutezza, non attribuisca a sé tale ricreante esperienza: ‘Il Signore largirà il suo bene’. Quale, chiederò? Signore, dammi quel bene, oppure quell’altro? ‘Tu sei buono, o Signore, e nella tua bontà insegnami la giustizia’. Nella tua bontà insegnami e istruiscimi. Allora apprendo ad operare, quando nella tua bontà tu mi istruisci. Per altro, fin tanto che l’iniquità lusinga, fin tanto che l’iniquità risulta dolce, la verità è amara. ‘Nella tua bontà insegnami’: perché la verità abbia attrattiva, si deve alla tua dolcezza che si disprezzi l’iniquità. La verità è assai migliore ed ha maggiore attrattiva, ma è gradito ai sani il pane. Che c’è di meglio e di più efficace del pane celeste? Ma a condizione che l’iniquità non renda legati i denti. Che vale far le lodi del pane, se vivete male? Voi non mangiate quel che lodate. Allora quando ascolti una parola, quando ascolti la parola della giustizia e della verità, tu la lodi pure; sarebbe tanto più lodevole che tu la mettessi in pratica » (ser. 153,8,10). L’uomo rinnovato da Cristo appartiene alla verità: « Se abbandoni la menzogna, spogliati di Adamo; se la tua parola è secondo verità, rivesti Cristo; e non ti risulteranno in contrasto quelle espressioni che ora sono contenute nelle Scritture » (ser. 166,2).
Quando era più giovane l’impatto con la semplicità del racconto biblico era stato duro anche per lui. Solo qualche anno più tardi egli capì che le disposizioni per leggere la Bibbia non sono solo quelle linguistiche. « Mi proposi -egli scrive nelle Confessioni (3,5,9)- di rivolgere la mia attenzione alle sacre Scritture per vedere come fossero. Ed ecco cosa vedo: un oggetto oscuro ai superbi e non meno velato ai fanciulli, un ingresso basso, poi un andito sublime e avvolto di misteri. Io non ero capace di superare l’ingresso o piegare il collo ai suoi passi. Infatti i miei sentimenti, allorché le affrontai, non furono quali ora che parlo (tra i quarantatré/sei anni, quando cioè scrisse le Confessioni essendo già vescovo, tra il 397-400). Ebbi piuttosto l’impressione di un’opera indegna del paragone con la maestà ciceroniana. Il mio gonfio orgoglio aborriva la sua modestia, la mia vista non penetrava i suoi recessi. Quell’opera è invece fatta per crescere con i piccoli; ma io disdegnavo di farmi piccolo e per essere gonfio di boria mi credevo grande ».
Agostino, volendo aiutare il lettore della Bibbia a poterla rettamente capire e quindi utilizzarla per un vissuto cristiano in pacifica unità, articolò uno schema generale poggiandolo su due assi interdipendenti: primo, tenta di impostare e di enucleare il rapporto generale che intercorre tra un contenuto (nel caso la rivelazione contenuta nelle Scritture) e i mezzi che lo esprimono (nel nostro caso le Scritture in quanto scrittura cioè facenti parte della natura dei segni); secondo, tenta di individuare una chiave esterna di lettura, valida per determinare il rapporto tra contenuto e mezzo espressivo qualora quest’ultimo si rivelasse insufficiente. Ne risultò un’opera imponente, relativa ai problemi del linguaggio, al rapporto delle dottrine cristiane con le scienze umane, al principio unificatore di comprensione della Bibbia come del cristianesimo in generale.
Egli concludeva così il primo libro del De doctrina christiana: « Di tutto quello che abbiamo detto, riguardo alla nostra trattazione intorno alle cose, questo è l’essenziale: comprendere che compimento e fine della Legge e di tutte le divine Scritture è l’amore della realtà di cui si deve godere e della realtà che può goderne insieme con noi »(I, 35,39). L’aiuto delle scienze umane per la lettura del testo sacro conserva il suo valore, purché esse siano animate non « dalla scienza che gonfia, bensì dalla carità che edifica ». Tale principio di conoscenza metodologica impegnano l’interprete delle sacre Scritture, di ogni sua parte, a parlare sempre in un certo modo: egli cioè deve sapere che « la lettera uccide, mentre lo spirito vivifica »(III,5,9).

II. Nella cultura del postmoderno

Con « postmoderno » s’intende il periodo della storia umana succeduto alla dissoluzione del nostro mondo, tanto legato a quello biblico. Esso, iniziato dall’epoca illuminista, ha conosciuto esperienze traumatiche dalla fine del secolo scorso ai nostri giorni. Ne vediamo in breve i passaggi.
Dalla fine del secolo scorso alla prima guerra mondiale, la razionalizzazione della produzione, per migliorare il generale tenore di vita, fu una speranza/promessa dei nostri nonni. Essa promosse con l’industrializzazione la modernizzazione in ogni campo della vita. Politicamente parlando fu l’epoca dei totalitarismi e delle democrazie progressiste. In campo cristiano: in teologia fu l’epoca del semirazionalismo e del fideismo fronteggiati con le famose cento tesi teologiche del neotomismo; in sociologia si ebbe la Rerum novarum che riportò l’attenzione alla persona umana di fronte all’asservimento alla produzione, e sul campo della fattualità pratica nacque la cultura della carità assistenzialistica, che incrementò la benificenza privata su basi di forti motivazioni religiose, ma poggiata su di una scarsa cultura biblica e religiosa in genere.
Le sperequazioni di povertà, nate dall’incipiente industrializzazione, vennero quindi fronteggiate dalla Chiesa con la carità « supplenza » delle istituzioni pubbliche che, tra l’altro, diede nascita a note benemerite istituzioni, ad esempio quella del Cottolengo.
Dal dopo la seconda guerra mondiale agli anni ’70, sviluppo industriale e fallimento delle istituzioni politiche s’incontrarono. E, falliti i totalitarismi nazionali, nacque l’ansia della fraternità universale dell’umanità dando nascita alle istituzioni a tutte note (Onu, Unesco ecc.). Il progresso economico venne capito come possibilità di consumo, la Bibbia -e soprattutto- i Salmi costituirono il testo della speranza di molti popoli del terzo mondo. Nacquero così i canti spirituals e i Salmi reinterpretati in chiave di liberazione dai dittatori, in particolare del continente latino-americano. Nacquero i commenti sociologici del Vangelo. Nel mondo più avanzato tecnologicamente si fece strada il fenomeno della secolarizzazione con la progressiva emancipazione della società dal Vangelo e dai dettami della Chiesa.
Dagli Anni 70 agli anni 80 il processo d’industrializzazione portò il petrolio a sostituire definitivamente la macchina a vapore, nacquero le grandi aree industriali, sorsero le multinazionali quale fattore determinante di un mercato sempre più pilotato e fine a se stesso.
La Bibbia viene riscoperta come il libro che si situa oltre le ideologie. E’ l’entusiasmo degli anni del dopo-Concilio. Le idealità di giustizia sociale esplodono soprattutto nei giovani la cui ansia di un mondo più giusto giunge persino a lasciarsi armare. Furono in Italia gli anni del terrorismo, gli anni di piombo.
Grazie a molti sacerdoti che condivisero con loro, in possibili spazi delle carceri, molto del loro tempo libero, si fece strada una lettura della Bibbia a livello di incarnazione, un’umanità cioè che deve imparare a crescere, a diventare adulta nel cuore delle contraddizioni del vissuto quotidiano.
Nacque anche l’entusiamo di una nuova evangelizzazione realizzata con l’aiuto della Bibbia in ogni settore: dei sacramenti, della catechesi per i giovani, per i più lontani dalla fede, per il mondo operaio. S’imposero alcuni movimenti ecclesiali che, della Parola di Dio, facevano uso costante, quali i carismatici e i neocatecumeni.
Dagli anni ’80 ai nostri giorni è nata la nuova modernità: il tramonto/tracollo dell’era industriale, che sta passando le consegne all’èra dell’informatica e della telematica, la nostra epoca.
In campo sociologico due sono i fattori di sviluppo che incidono:
1) Ci si rende conto che non basta più solo produrre, perché realmente contano i dati che vengono messi a sistema.
2) Diventa, in questa nuova operazione, di capitale importanza la comunicazione dei dati immessi nel sistema operativo informatico. La produzione nasce infatti svincolata da ideologie e da qualsivoglia sistema preventivo, anche da quello religioso. Si prende tuttavia coscienza che tanta parte del mondo gravita al di fuori di tale sviluppo informatico, e all’interno stesso delle società occidentali, e ciò non per colpa dei computers ma di chi gestisce i loro cervelloni.
Di fronte a tali nuovi bisogni si sta sviluppando, come sensibilità umanitaria, il volontariato per il quale la carità si fa convivenza, prossimità, lasciandosi dietro ogni motivo ideologico.
Sotto l’aspetto della povertà, in Europa e particolarmente in Italia è il tempo dei barboni e delle grandi migrazioni dei popoli poveri, gli extra-comunitari. Si dà loro per lo più un pane per sopravvivere. Ciò emerge dalla domanda quando si presenta qualcuno di loro: si chiede « cosa vuole », non si chiede « chi è ».
S’impone a questo punto una nuova cultura del pane che viene dato, nel suo significato più ampio. Un pane cioè impregnato di amore di Dio e del prossimo, di cui ci viene parlato nelle pagine bibliche, ad ogni rigo, ad ogni parola, come intuì S.Agostino nel De doctrina christiana. Tutto il mondo extra-comunitario è un mondo che quasi non legge, per lo più beve. A questo punto s’impone la domanda circa la Bibbia nel mondo di oggi. A chi diamo la Bibbia, ad esempio quella ecumenica, stampata in tutte le lingue? è possibile darla a qualche barbone? E pure bisognerà in qualche modo trovare il modo di dargliela se crediamo che essa contiene la parola di Dio rivolta anche a lui.
Nella nostra epoca informatizzata la Bibbia stessa viene immessa in dati computerizzati. Ma a che può servire la Bibbia sia per un barbone sia per la produzione dei beni e una loro più equa distribuzione? La Bibbia/libro accusa forse il più grande momento di declino. A chi pulisce un vetro della macchina, cosa si può offrire, religiosamente parlando? La Bibbia e il suo messaggio cercano ormai canali diversi di comunicazione. E si misurerà su questo terreno la capacità di essere presenti come cristiani nel mondo di oggi.
Nella nuova modernità la macchina ha perso la sua centralità. Il perno del tutto è dato dal sistema ideato dall’uomo con l’informatica e la telematica. L’uomo, in tale contesto è ritornato ad essere centrale, ma la lotta tra i sistemi ideati dall’uomo si è già scatenata e sta provocando altre sperequazioni. La Bibbia, ci si domanda, può entrare con il suo messaggio in qualcuno di tali sistemi informatici? C’è proprio spazio per essa oppure no? E’ già fuori dal giro dei dati della comunicazione dell’uomo contemporaneo?
Tutte queste domande sono senza risposta, ci si chiede con un’angoscia che non possiamo più nascondere, finito il tempo delle risposte elusive.

III. La chiave di lettura

Il discorso interculturale fu un’identità base dei cristiani delle origini ovvero del tempo dei Padri della Chiesa.
Essi manifestarono ben presto un adattamento a tutte le culture dell’antichità, tanto che portarono il messaggio biblico ben oltre i popoli di cultura ellenistica (greci e romani), ad esempio presso gente di lingua sira, presso gli indigeni come i Copti in Egitto. La testimonianza della Lettera a Diogneto (sec.II-III) è emblatica a tale riguardo:
«S.Agostino, quando era vescovo della Chiesa d’Ippona, propose a chiave di lettura delle sacre Scritture (il principio ermeneutico), il comandamento lasciatoci dal Signore: l’amore di Dio e del prossimo. In quel tempo correva in Africa una forte polemica tra i gruppi cristiani cattolici e donatisti. Gli uni e gli altri utilizzavano le sacre Scritture per qualificarsi, ognuno per proprio conto, di essere la vera Chiesa cattolica. Il loro rapporto andava peggiorando sempre più, soprattutto ai tempi di Agostino.
Sulla spinta di tale difficoltà ecclesiale il vescovo d’Ippona maturò il principio chiave di lettura delle sacre Scritture. Queste -egli intuì- sono date da Dio agli uomini per rivelare loro il Suo amore e l’impegno cristiano di amarsi reciprocamente. Era un principio esterno alle sacre Scritture e alla potestà dei vescovi, che mirava a non utilizzare la rivelazione divina con il risultato di dividere sempre più la Chiesa.
Il principio in sé aveva tuttavia per Agostino un valore che superava la dimensione funzionale. Egli infatti lo vedeva strettamente connesso con la natura della rivelazione biblica: una parola rivolta all’uomo per la sua salvezza. Essa chiede perciò adeguate modalità in coloro che l’annunziano, sia con la predicazione che con la testimonianza: la prima chiede il rispetto della funzionalità del linguaggio per l’uditore; la seconda postula la comunicazione dell’amore di Dio alla sua creatura.
Riguardo alla prima modalità ha lasciato scritto Agostino: « Parlerò in tono più facile perché la mia parola giunga a tutti » (ser. 23,8); « Questo lo dico in maniera più facile, a motivo dei nostri fratelli più lenti nel comprendere. Coloro che hanno compreso, sopportino la lentezza degli altri e imitino lo stesso Signore il quale, essendo in forma di Dio, si è umiliato e si è fatto ubbidiente fino alla morte » (ser. 264,4).
Il vescovo d’Ippona, insistendo sul rispetto dell’uditore, al quale bisogna sempre rivolgersi in un linguaggio a lui comprensibile, rimaneva nell’ambito della collaudata tradizione della Chiesa circa l’impiego del sermo humilis o della lingua parlata dalla gente comune. Egli tuttavia, approfondendo la trasmissione della rivelazione cristiana dalla sua stessa natura, fece fare un passo avanti alla valutazione delle condizioni dell’interlocutore del Vangelo.
Egli infatti aveva colto l’idea che il libro « Bibbia » non si trasmette solo a livello di scrittura, possibile a chi ne conosce la lingua, bensì a livello di trasmissione del messaggio in quanto tale. Questo è all’interno di un quadro più ampio entro cui può essere veicolato che, per l’uomo rimane la mediazione dell’amore.
Le pagine bibliche d’altra parte nascondono l’amorosa storia di Dio con gli uomini, da Abele all’ultimo giusto della terra e ogni credente, con la sua fede, deposita nella Bibbia la sua parte di speranza e di amore.
Agostino approfondì teologicamente tale intuizione nel De doctrina christiana e nei Sermoni, in particolare nei tractatus del suo Commento al Vangelo e alla prima lettera di Giovanni, dando vita al vocabolario dell’evangelizzazione cristiana incentrato su quattro termini: misericordia, amore, soavità, adattarsi/cooptare (in latino, misericordia, amor, suavitas, adaptandus/coaptandus).
Agostino aggiunse così alla categoria del sermo humilis (l’adattamento della Bibbia alla lingua parlata) altre due categorie per la possibilità dell’evangelizzazione, derivandole da un approfondimento della stessa sacra Scrittura. La prima è data per lui dalla parola di Dio, in quanto di per sé amorosamente attrattiva; la seconda, in quanto rivolta all’uomo quale sua salvezza, è da porgere a lui in tale ottica e non genericamente.
Agostino sottolineò nelle Revisioni (I, 13,1) dell’anno 427 come la religione cristiana sia donata all’uomo dalla misericordia di Dio nel tempo della sua vita perché lui con una certa soavità sia conquistato al culto di Dio (ad eundem cultum Dei quemadmodum sit homo quadam suavitate coaptandus). La suavitas richiama Cristo che è verità soave, vale a dire la modalità dell’evangelizzazione ha il suo parametro nella soavità di Gesù Cristo; e l’homo coaptandus richiama un’evangelizzazione connotata di maternità, che educa plasmando continuativamente il figlio a diventare cultore di Dio.
Nel De praedestinatione sanctorum dell’anno 428-429 Agostino sintetizzò tale ministero utilizzando due termini, utilia et apta: « utilia », per indicare il rispetto della parola di Dio che è medicina di salvezza; « apta », per indicare il rispetto che si deve all’interlocutore perché lui possa ricevere ed accogliere il messaggio. « Noi -egli scrive- dobbiamo dedicare ad essi il nostro sentimento d’amore e il ministero della nostra predicazione, secondo quanto ci dona Colui che abbiamo pregato affinché esprimessimo in questa lettera le cose che possono essere adatte e utili per loro » (Praed.sanct. 1,2).
Nel De dono perseverantiae (428-429) nota infine che il non rispetto della congruente modalità dell’evangelizzazione, anche se non si dicono cose false, non apporterebbe salute all’uomo malato, ma potrebbe addirittura nuocergli (Dono persev. 22,61).
La rivelazione che il Padre fa del Figlio nel cuore dell’uomo è essa stessa la dolce attrazione per l’uomo. Il Cristo infatti possiede in sé quella forza amorosa che è propria della verità che si rivela. Se le parole di chi predica non oltrepassano il raggio di un suono percepibile dall’esterno, la Parola del Padre invece, perché pronunciata nel cuore, è un insegnamento che attrae (In Io.ev. 26, 5 e 7).
La rivelazione di Cristo non si pone tuttavia solo nella linea del godimento di un bene da parte dell’uomo, sia pure nella linea del godimento amoroso della verità, ma anzitutto in quello di salus a lui necessaria. Cristo infatti è la medicina per la sua infermità che è di natura letale (In Io.ev. 7,13). Tra i due poli, da una parte Dio che rivela con la sua forza di attrazione e il suo essere medicina di salute per l’uomo, e l’uditore infermo dall’altra, s’inserisce la comprensione della natura della modalità della trasmissione del messaggio evangelico.
Dio, per venire incontro all’uomo, si fa parola nel suo Verbo, che assume le dimensioni della debolezza umana (in Io.ev. 23,14). Dal binomio Cristo « rivelazione/attrazione » (revelatio/attractio) e « salvezza » (salus) nasce in Agostino la modalità di trasmissione del Vangelo o la sua comprensione dell’evangelizzazione, in particolare nel vescovo al quale allora incombeva l’ufficicio di predicare (munus praedicandi), accanto a quello di presiedere l’eucarestia e la riconciliazione.
Agostino in conlusione deduceva che il modo di porgere la verità debba adeguarsi alla natura della verità (Cristo è soave salvezza) e alle possibilità di recezione dell’uditore. Tali condizioni, essendo il canale della sua trasmissione, sono tanto importanti quanto la stessa verità. Il non rispetto di tale connessione (l’adattamento utile all’interlocutore perché la riceva salutariter) comprometterebbe infatti l’essenza della verità cristiana che è quella di essere salvezza per l’uomo (salus).

p. Vittorino Grossi OSA, 19/04/2007

27 AGOSTO: MONICA: MADRE DI TANTE LACRIME

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/07-Luglio/Santa_Monica.html

27 agosto: Santa Monica (331-387)

MONICA: MADRE DI TANTE LACRIME
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Molte mamme di oggi non vivono tempi facili.
Non è stato facile nemmeno per Monica, la santa che ricordiamo nel mese di agosto. Anche lei ha dovuto tribolare non poco per il figlio Agostino.

Con un figlio adolescente in casa è difficile dormire sempre sonni tranquilli. Questo perché alcuni comportamenti dei figli sono fonte di apprensione e di preoccupazioni, di angoscia e di lacrime.
Educare un figlio o una figlia adolescente nella civiltà contadina e pre-industriale riservava meno problemi di oggi. La nostra società post-moderna (e qualcuno aggiunge anche post-cristiana) si qualifica per la sua forte connotazione consumistica. E nel grande mare del consumismo i giovani nuotano molto bene, grazie al sostegno finanziario dei genitori, spesso acriticamente generosi. Con i soldi facili (talvolta troppo facili) a portata di mano e con una personalità ancora non strutturata in quanto a valori e forza di volontà, l’adolescente cade più facilmente vittima dell’uso e dell’abuso del fumo, dell’alcol e della droga, dei divertimenti aggressivi e pericolosi, dei comportamenti devianti sfocianti, talvolta, nella prostituzione e nell’Aids. E i primi a essere angosciati e distrutti da queste tragedie sono i genitori.
Alcune mamme versano lacrime per i figli persi perché vittime delle sette pseudo religiose, o schiavi dei giochi d’azzardo, o diventati succubi delle cattive compagnie che li porteranno alla devianza sociale e ai guai con la legge. Altre piangono per i figli in carcere per propria colpa o all’ospedale per malattie incurabili di cui non hanno colpa.
Aspettate il prossimo fine settimana con la cosiddetta “febbre del sabato sera”, e ci sarà qualche mamma che in ansia aspetterà il ritorno del figlio o della figlia dalla discoteca (lo “sballo” settimanale). Purtroppo qualcuna cambierà la propria ansia in lacrime e dolore: il figlio che aspetta non tornerà più perché è già entrato nelle statistiche delle “vittime del sabato sera”.
A tutte queste mamme in difficoltà Monica, madre anche lei, può essere di aiuto e di conforto, di speranza e di esempio. Il figlio Agostino riconobbe che grande merito della propria conversione era della madre, grazie alle sue continue preghiere e alle tante lacrime versate. Si riferiva a questo fatto quando, nelle famose Confessioni, scrisse: “Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca”. E le tante lacrime erano di Monica e quel figlio che non poteva perire era lui stesso, Agostino.

Monica vinse il vino e convertì il marito

Monica nacque a Tagaste nell’odierna Algeria del nord, nell’anno 331, da genitori cristiani, ma che non erano eccessivamente preoccupati di dare una seria educazione cristiana ai figli (come molti genitori oggi). Se nel caso di Agostino l’educatrice alla fede e alla vita cristiana di ogni giorno fu la madre Monica, per quest’ultima fu invece la nutrice di famiglia, che aveva già tenuto in braccio suo padre.
Questa donna era quindi parte della famiglia, ben voluta, di ottima condotta e saggezza. E possiamo immaginare anche un po’ anziana. Agostino fa un grande elogio di lei: “Era energica nel punire con santa severità quando era opportuno e ricca di saggezza nell’istruire”. La dottrina del permissivismo in educazione, seguita da non pochi genitori ed educatori di oggi, non faceva parte del bagaglio di questa nutrice: era severa ma con saggezza, correggeva ma con tatto, sapeva anche punire ma con giustizia. Nei migliori trattati di pedagogia non deve mancare un capitolo sui “castighi” e giustamente. Questo anche perché il peccato originale e le sue conseguenze sono una verità di fede, e non è stato ancora cancellato (o superato) dalla tecnologia moderna. Del resto di castighi ne parlava un super educatore come Don Bosco, che di ragazzi se ne intendeva. Dice Agostino che la nutrice di sua madre era saggia nell’istruire e coscienziosa quando doveva correggerla.
Monica non era nata santa, lo diventò con pazienza, con costanza ed umiltà. Nella sua vita non riscontriamo, come in altre sante, una partenza bruciante sulla strada della perfezione evangelica fin da fanciulla. Aveva i propri difetti e difficoltà che seppe superare. Un esempio: a Monica piaceva il vino. E non poco. L’aveva raccontato lei stessa, nella sua grande umiltà, al figlio Agostino. Questo è segno di santità: “Quando i genitori credendola sobria, le ordinavano secondo i costumi, di andare ad attingere vino, ella, prima di versare il vino nel fiasco… ne beveva un pochino”. Solo un po’, naturalmente. All’inizio. Ma bevi oggi, bevi domani, la debolezza era diventata un’abitudine negativa, una schiavitù (oggi si direbbe una dipendenza).
La nutrice, alla quale non sfuggiva nulla e che aveva intuito tutto, ebbe il coraggio di intervenire. Un giorno, bisticciando con la ragazza le rinfacciò quella debolezza chiamandola “ubriacona”. Qualche “padroncina” di oggi avrebbe minacciato rappresaglie feroci o addirittura il licenziamento per quella “vecchia domestica” che osava tanto e non si faceva gli affari suoi. Monica invece accettò la verità anche se le faceva male, riconobbe l’abitudine non lodevole, e se ne liberò. Anche questo è santità.

Tante preghiere e lacrime per il figlio Agostino

Nel 353 Monica andò sposa ad un certo Patrizio, romano, dal quale avrà tre figli. Questi non era cristiano, aveva un carattere un po’ violento e non era nemmeno un buon esempio di fedeltà. Una donna meno forte e convinta nella fede cristiana avrebbe invocato subito la separazione o il divorzio. Monica no, voleva rimanere fedele al proprio matrimonio (“nella buona e nella cattiva sorte”) ma senza chiudere gli occhi sulle “malefatte” del suo compagno di vita.
E così la seconda battaglia che lei vinse, dopo il vino, fu quella del marito. Battaglia paziente, dolorosa, lunga, ma vittoriosa: riuscì infatti a guadagnare al Signore anche lui. Questi morirà nel 371, dopo essere diventato buon cristiano grazie alla preghiera incessante, alle lacrime e alla pazienza della moglie Monica. Scrisse Agostino: “Così non ebbe più da piangere quelle sue infedeltà che aveva dovuto tollerare quando egli non era ancora credente”. Anche questo è santità.
Ma la più grande sofferenza e nello stesso tempo la più grande gioia a Monica arriveranno dal figlio Agostino. Lei stessa l’aveva educato cristianamente, con la parola e con l’esempio, gli aveva messo nel cuore e sulle labbra fin da bambino il nome di Gesù, che nonostante tutte le peripezie filosofiche ed esistenziali, non dimenticherà mai.
Già qualche anno prima della morte del marito, quel figlio tanto intelligente le dava molte preoccupazioni. Sarà lei stessa che nel 371 lo manderà a Cartagine a proseguire gli studi. E sarà nello stesso anno che Agostino incomincerà la convivenza (come si vede era molto “moderno”) con una donna, dalla quale, l’anno dopo, avrà anche un figlio, Adeodato. Questa scelta fuori dal matrimonio fu per Monica un duro colpo: vedeva infatti il figlio allontanarsi dagli insegnamenti che gli aveva dato e anche dalle regole della propria fede cristiana (era nel frattempo passato all’eresia manichea). Per questi motivi, tornato a Tagaste lei, pur tra le lacrime, in un primo tempo non volle riaverlo in casa, finché confortata da un sogno, lo riammise presso di sé.

Agostino convertito: missione compiuta

Nel 245 Agostino si trasferì a Cartagine per insegnarvi eloquenza, mentre dopo l’incontro col vescovo manicheo Fausto, cominciava la sua crisi filosofica. Monica continuò sempre a invitarlo al ritorno alla vera fede, e non cesserà mai di pregare, tra le lacrime, per la conversione del figlio.
Questi invece, con uno stratagemma, riuscì a sfuggirle, imbarcandosi nottetempo per Roma (383), dove, dopo aver superato una lunga malattia, cominciò ad insegnare eloquenza e retorica. Finché ottenne un posto, tramite il prefetto di Roma Simmaco, a Milano.
Forse Agostino credeva che più andava verso nord, più la madre rimaneva… lontana. E si sbagliava di grosso. Monica non aveva ormai nessun interesse, nessuna preoccupazione, nessun obiettivo terreno che la sua conversione. E questo amore, anche se tra le lacrime, non si lasciava spaventare dalle distanze e dai disagi che comportavano i viaggi di allora. E così Monica, per amore del figlio prodigo, fuggito lontano, dopo aver viaggiato con il mare in tempesta, arrivò nell’anno 385 a Milano, accompagnata da Navigio, fratello di Agostino.
Qui la Mano Provvidenziale di Dio li aspettava entrambi con l’incontro con il vescovo della città, Ambrogio “un uomo di Dio”, e un “vescovo noto in tutto il mondo”. Tutti e due seguirono le sue omelie, tutte e due rimasero molto bene impressionati (anche se Agostino all’inizio badava più alla forma retorica che alla sostanza). Ambrogio predicava, Monica pregava (e faceva opere di carità), Agostino pensava, e passava di crisi in crisi e di filosofia in filosofia, dal manicheismo allo scetticismo, dai neo accademici e ai neoplatonici. La grazia di Dio intanto, per vie misteriose come sempre, lavorava su tutti.
La tanto sospirata conversione di Agostino arrivò alla fine del 386, e con il battesimo suo (e del figlio Adeodato) per mano del vescovo Ambrogio nella Pasqua del 387. Questo era il sigillo sul grande travaglio di Agostino nella sua ricerca della verità, e la fine delle tante preghiere e lacrime di Monica per lui. Missione compiuta. Non aveva altri obiettivi terreni. Il Paradiso, questa volta, non poteva più attendere.
Alcuni mesi dopo il battesimo infatti progettarono di tornare in patria. Arrivati ad Ostia tutti e due, madre e figlio convertito, ebbero la famosa estasi di cui si parla nelle Confessioni. Era un piccolo saggio (di Dio) e assaggio per loro di vita eterna, che cambiò la prospettiva di vita per entrambi. Così Agostino riferisce le ultime parole della madre: “C’era una cosa sola per la quale desideravo rimanere un poco su questa terra: vederti cristiano cattolico prima di morire. Dio me lo ha concesso abbondantemente, perché ti vedo divenuto suo servo che addirittura disprezza la felicità terrena. Che cosa dunque sto a fare qui?”. Infatti moriva poco dopo, sempre a Ostia, all’età di 56 anni, mentre Agostino ne aveva 33, e stava per cominciare la sua prodigiosa opera. Grazie alla perseveranza, alla pazienza, al coraggio, alle preghiere e alle “tante lacrime” di una grande donna e di una grande madre, Monica.
 MARIO SCUDU

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Nulla è lontano da Dio

Pochi giorni dopo l’estasi di Ostia (piccolo assaggio della Patria definitiva o Paradiso) Monica colpita dalla febbre, si mise a letto, e si preparò all’incontro con Dio, che lei desiderava con tutte le forze. Non aveva nessuna preoccupazione né di morire né di essere lontano dalla sua terra, dove aveva preparato con cura la propria tomba accanto al marito. Fece solo una raccomandazione ai presenti: si ricordassero di lei nell’Eucarestia. Alla domanda se non aveva paura di lasciare il proprio corpo in terra straniera, così lontana dalla propria patria, lei rispose: “Nulla è lontano da Dio, e non c’è da temere che alla fine del mondo egli non ritrovi il luogo da cui risuscitarmi” (Dalle Confessioni 9).

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Monica e Agostino in estasi a Ostia

Pochi giorni prima che lei morisse… accadde, credo per misteriosa disposizione delle tue vie, che ci trovassimo lei ed io soli… C’era un grande silenzio… Parlavamo, fra noi, soavissimamente, dimentichi del passato e protesi verso l’avvenire. Ci domandavamo, davanti alla presenza della verità e cioè di te, o Signore, quale fosse mai quella vita eterna dei beati che “nessun occhio vide, nessun orecchio udì, che rimane inaccessibile alla mente umana”. Aprivamo avidamente il nostro cuore al fluire celeste della tua fonte, la fonte della vita, che è in te, per esserne un poco irrorati, per quanto era possibile alla nostra intelligenza, e poterci così formare un’idea di tanta sublimità.
Eravamo giunti alla conclusione che qualsiasi piacere dei sensi del corpo, anche nel maggior splendore fisico, non solo non deve essere paragonato alla felicità di quella vita, ma nemmeno nominato; ci rivolgemmo poi con maggior intensità d’affetto verso l’“Ente in sé”, ripercorrendo a poco a poco tutte le creature materiali fin su al cielo da cui il sole, la luna e le stelle mandano la loro luce sulla terra. E la nostra vista interiore si spinse più in alto, nella contemplazione, nell’esaltazione, nell’ammirazione delle tue opere; e arrivammo al pensiero umano, e passammo oltre, per raggiungere le regioni infinite della tua inesauribile fecondità, nelle quali nutri Israele con il cibo della verità, dove la vita è la sapienza che dà l’essere a tutte le cose presenti, passate e future: ed essa non ha successione, ma è come fu, come sarà, sempre. Anzi meglio, non esiste in lei un “fu”, un “sarà”, ma solo “è”, perché è eterna: il fu e il sarà non appartengono all’eternità. E mentre parlavamo e anelavamo ad essa la cogliemmo un poco con lo slancio del cuore e sospirando vi lasciammo unite le primizie dello spirito per ridiscendere al suono delle nostre labbra, dove la parola trova il suo inizio e la sua fine. Quale possibilità di confronto tra essa e il tuo Verbo, che permane in se stesso, e non invecchia e rinnova tutto? (Confessioni X).

Publié dans:SANTI, Santi - biografia |on 26 août, 2010 |Pas de commentaires »

SABATO 28 AGOSTO 2010 – XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO: S. AGOSTINO

SABATO 28 AGOSTO 2010 – XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

S. AGOSTINO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   1 Cor 1, 26-31
Dio ha scelto quello che è debole per il mondo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, “chi si vanta, si vanti nel Signore”.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Geremia 7, 1-20

Oracolo contro la vana fiducia nel tempio
Questa è la parola che fu rivolta dal Signore a Geremia: «Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore. Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo. Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo!
Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia altri dèi, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini. Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me? Anch’io, ecco, vedo tutto questo. Parola del Signore. Andate, dunque, nella mia dimora che era in Silo, dove avevo da principio posto il mio nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa della malvagità di Israele, mio popolo. Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni parola del Signore e, quando vi ho parlato con premura e sempre, non mi avete ascoltato e, quando vi ho chiamato, non mi avete risposto, io tratterò questo tempio che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo. Vi scaccerò davanti a me come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la discendenza di Èfraim.
Tu poi, non pregare per questo popolo, non innalzare per esso suppliche e preghiere né insistere presso di me, perché non ti ascolterò.
Non vedi che cosa fanno nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme? I figli raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco e le donne impastano la farina per preparare focacce alla Regina del cielo; poi si compiono libazioni ad altri dèi per offendermi. Ma forse costoro offendono me — oracolo del Signore — o non piuttosto se stessi a loro vergogna?». Pertanto, dice il Signore Dio: «Ecco il mio furore, la mia ira si riversa su questo luogo, sugli uomini e sul bestiame, sugli alberi dei campi e sui frutti della terra e brucerà senza estinguersi».

Responsorio   Ger 7, 11; Is 56, 7; Gv 2, 16
R. E’ forse una spelonca di ladri per voi questo tempio che prende il nome da me? * Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.
V. Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato.
R. Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.

Seconda Lettura
Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo
(Lib. 7, 10, 18; 10, 27; CSEL 33, 157-163. 255)

(CENNI A PAOLO : 1TM; RM)

Eterna verità e vera carità e cara eternità!
Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce.
O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi parve di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me».
Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli uomini, l’Uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14).
Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini.
Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

Responsorio   
R. O Verità, luce che splende al mio cuore, le mie tenebre più non mi parlano. Ero smarrito, e mi sono ricordato di te. * Ecco, ora ritorno, stanco e assetato, a te fonte viva.
V. Non sono io la mia vita: nel mio io, non potevo vivere, in te mi sento rinascere.
R. Ecco ora ritorno, stanco e assetato, a te fonte viva.

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