commento a Qoelet (stralcio)

dal sito:

http://www.aclimilano.com/vitacristiana/documenti/liturgia/1_agosto_10_rm.pdf

1 agosto 2010 – XVIII Domenica tempo ordinario anno C
a cura di Marco Bonarini – gruppo “Vita cristiana” delle ACLI di Roma

Qoelet 1,2; 2,21-23

1,2 Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
2,21 Chi ha lavorato con sapienza, con
scienza e con successo dovrà poi lasciare
la sua parte a un altro che non vi ha per
nulla faticato. Anche questo è vanità e un
grande male.
22 Infatti, quale profitto viene all’uomo da
tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni
del suo cuore, con cui si affanna sotto il
sole? 23 Tutti i suoi giorni non sono che
dolori e fastidi penosi; neppure di notte il
suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

Qoelet 1,2; 2,21-23

Il libro del Qoelet è una riflessione sapienziale sul senso della vita che, confrontata con la sua fine, la morte, sembra non fare distinzione tra i buoni e i malvagi. E’ un libro che vuole pprofondire il principio della sapienza tradizionale sulla retribuzione dell’agire degli uomini: il giusto viene premiato e il malvagio viene punito. Infatti la storia sembra smentire in modo piuttosto clamoroso questa affermazione, in quanto si vedono dei giusti soffrire e dei

malvagi prosperare. Il tema centrale del libro è che, davanti alla morte, tutto è come un soffio di vapore che si dissolve con l’alzarsi del sole (traduzione più letterale del vocabolo ebraico iniziale): esso non ha consistenza propria e si disperde nell’aria. Tuttavia occorre leggere bene il finale del libro che sottolinea come, anche di fronte alle ingiustizie che vediamo nella storia, l’importante è temere il Signore e osservare i comandamenti, perché Dio ne terrà conto al momento opportuno.

I tre versetti del cap. 2 sono armonizzati con l’evangelo. Vogliono sottolineare come di fronte alla morte, qualunque successo dell’intelligenza umana e il conseguente patrimonio accumulato, per buono che sia, andrà in eredità a uno che non vi ha faticato per niente. L’autore riconosce che la fatica dell’uomo, i suoi affanni quotidiani, che non lo fanno neanche dormire, non portano granché all’uomo, perché l’affaticarsi per il proprio lavoro è vanità, perché alla fine moriamo. Qoelet estremizza le situazioni fino al limite per mostrare gli aspetti problematici della vita e trarre da questi un insegnamento. Non lascia spazio a

scorciatoie o a negazioni della realtà, perché gli sta a cuore una capacità sapienziale di far fronte alla complessità e alle contraddizioni della vita, senza tuttavia farsi intrappolare nei ragionamenti che egli stesso sviluppa. Egli è ben consapevole dove vuole arrivare: moltiplicare le domande per aiutarci ad entrare nel mistero di Dio con più umiltà, così da poter accogliere la sapienza di vita che viene dal Signore.

 

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