Come riconoscere i santi
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Come riconoscere i santi
Oct 16, 2004
Un’intervista concessa a Palermo da S. Em.za il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi (29-6-04)
Eminenza, ma i santi non sono tutti uguali quando sono in paradiso?
Sì, in paradiso sono tutti felici e beati nel godere e contemplare Dio. la santità comune dalla santità canonica — riconosciuta ufficialmente — o canonizzata. Alla santità comune — o universale — sono chiamati tutti i cristiani in forza del battesimo ricevuto, che li inserisce vitalmente e irrevocabilmente in «Colui che è il Santo di Dio»; l’invito di Gesù ad essere «perfetti come è perfetto il Padre vostro» (Mt 5, 48) è rivolto indistintamente a tutti i discepoli di Cristo: lo ricorda anche il concilio ecumenico Vaticano II, quando sottolinea che tutti i fedeli sono chiamati alla santità.
E i santi con l’aureola?
Come ho già detto, oltre alla santità comune esiste la santità canonica, che consiste nel vivere eroicamente le virtù cristiane: questa pratica virtuosa viene riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa e da essa proposta come modello all’intero popolo di Dio, proprio perché, come scriveva Pio XI, a tutti sia più facile raggiungere la vera santità.
Perché la Chiesa propone al culto dei fedeli alcuni santi sì ed altri no?
Innanzitutto, il santo canonizzato, benché si sia santificato come ogni altro nell’adempimento del proprio dovere, nel proprio stato e nella propria condizione, è stato scelto e portato da Dio ad una perfezione singolare, diversa dalla vita comune.
In secondo luogo, un santo, per essere canonizzabile, deve essere portatore di un carisma di santità: deve cioè recare un “messaggio” da parte di Dio all’umanità, deve essere maestro e collaudatore di una «via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno».
Come ha scritto Giovanni Paolo il nella bolla di indizione del giubileo del 2000, la santità «si manifesta nelle vicende di tanti santi e beati, riconosciuti dalla Chiesa, come anche in quelle di un’immensa moltitudine di uomini e donne sconosciuti, il cui numero è impossibile calcolare (cf. Ap 7, 9)».
E la Congregazione delle cause dei santi, di cui lei è prefetto, di che cosa si occupa?
Scopo della Congregazione che presiedo è quello di studiare, in particolare, la santità canonizzabile, quella cioè di coloro che sono presentati dalle Chiese e dalle famiglie religiose come candidati agli onori degli altari.
Che differenza esiste tra beati e santi?
La beatificazione è stata introdotta in forma definitiva da Alessandro VII (1599-1667): è l’atto pontificio con cui il papa riconosce il culto nell’ambito di una Chiesa locale. La canonizzazione, invece, ha un carattere dogmatico e definitivo, con cui il successore di Pietro prescrive il culto alla Chiesa universale.
E come si arriva alla proclamazione di un beato o di un santo?
Il cammino di una causa di beatificazione e canonizzazione prevede due fasi successive:quella diocesana e quella romana.
La fase diocesana si svolge come un’inchiesta; semplificando — e restando al caso del nostro cardinale Pietro Marcellino Corradini — lo scopo è quello di riunire tutte le prove riguardanti una vita cristiana eroicamente vissuta, l’esistenza e la consistenza di una vera fama di santità. Terminata l’istruttoria, viene elaborata la copia autentica – in termini procedurali si chiama Transunto – che contiene tutto il materiale raccolto nel corso delle interrogazioni dei vari testimoni. Questa copia autentica – o Transunto – viene inviata alla Congregazione delle cause dei santi la quale, una volta accertata la validità giuridica del processo diocesano, dà avvio alla fase romana del processo di beatificazione e canonizzazione.
Solo per restare al nostro caso, ricordo che il cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo, iniziò il processo di canonizzazione del servo di Dio cardinale Corradini il 19 maggio 1993; il suo successore, il cardinale Salvatore De Giorgi, lo ha chiuso il 17 ottobre del 1999; giunti a Roma, nella sede della Congregazione delle cause dei santi, gli atti sono stati convalidati con decreto che porta la mia firma, emesso il 16 marzo 2001.
Si tratta dunque di un processo lungo e meticoloso; una volta giunta la causa a Roma, cosa succede?
La fase romana comprende tutto un insieme di studi approfonditi, coordinati dal relatore della causa, che porteranno alla redazione della Positio sulla santità della vita del candidato alla beatificazione.
In particolare, un gruppo di esperti facenti parte della Consulta storica sarà chiamato a pronunciarsi sul valore scientifico dei documenti pubblicati nella Positio e dei loro specifici contenuti.
La causa passa, in seguito, al Congresso peculiare dei consultori teologi, che devono rispondere ai seguenti quesiti fondamentali: se è provata l’esistenza di una vera fama di santità (senza la quale sarebbe assurdo parlare di beatificazione e canonizzazione); se alla base della suddetta fama di santità vi sia, in effetti, una autentica santità di vita che ha raggiunto il grado eroico. Ma non è finita qui; il tutto passa poi all’esame del Congresso ordinario dei cardinali e vescovi. Se quest’altro organismo si esprime positivamente, approvando così il lungo e meticoloso lavoro dei consultori storici e teologi, il prefetto della Congregazione porta tale risultato alla considerazione del papa, che pronuncia l’ultimo e definitivo giudizio in merito e decide dunque se procedere o meno alla beatificazione o canonizzazione del servo di Dio.
Come mai dopo un esame così lungo e meticoloso, si richiede ancora un miracolo?
Secondo l’attuale normativa giuridica, per procedere alla beatificazione di un servo di Dio non martire si richiede un miracolo operato dal Signore per sua intercessione.
Eminenza, potrebbe darci una definizione del miracolo?
Il miracolo è un evento straordinario che supera le leggi della natura, che suppone un intervento speciale di Dio e che è, allo stesso tempo, un segno ed una manifestazione di un messaggio di Dio all’uomo. I miracoli possono essere fisici o morali, ma per le nostre cause e necessario un miracolo fisico; e, se consiste in una guarigione, questa deve essere istantanea, completa e duratura, oltre che inspiegabile secondo le leggi della natura, alla luce delle attuali conoscenze mediche. La Chiesa esige dei miracoli per la beatificazione e canonizzazione perché sono una sorta di “timbro” che Dio appone sul suo servo, con cui garantisce la sua santità. L’esame delle presunte guarigioni miracolose è compiuto prima sotto il profilo scientifico, cioè è studiato dai medici; poi si pronunciano i Consultori teologi, ai quali spetta dire se la guarigione, naturalmente inspiegabile secondo i medici, è o no un vero miracolo, avvenuto per l’intervento del Signore invocato per intercessione del servo di Dio o del beato. Anche nell’esame del miracolo l’ultima parola spetta al Congresso ordinario dei cardinali e vescovi e, infine, al sommo pontefice.
Ma vale la pena mettere in moto tutto questo enorme lavoro e tutte queste persone per proclamare beati e santi alcuni fedeli?
La Chiesa ritiene di si. I beati e i santi manifestano la vivacità delle Chiese locali, sono «il più grande omaggio, che tutte le Chiese» rendono a Cristo Signore, «la dimostrazione dell’onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità [ossia di santità] in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme di vocazione cristiana».
E poi le canonizzazioni e beatificazioni hanno una grande importanza pastorale, particolarmente sottolineata da Giovanni Paolo Il: non va infatti dimenticato che una delle linee portanti del suo ministero è stata, sin dall’inizio, la valorizzazione della santità, convinto come è che la «storia della Chiesa è una storia di santità».
Eminenza, un’ultima domanda: quale ruolo ha la santità nella pastorale della Chiesa?
La santità ha un ruolo centrale nella pastorale della comunità cristiana: posto che, come scrive ancora una volta Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, «fare programmazione pastorale è una scelta gravida di conseguenze», lo stesso pontefice scrive che «la prospettiva in cui deve farsi tutto il cammino pastorale è quella della santità».
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