Archive pour juin, 2010

MERCOLEDÌ 23 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 23 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «L’amicizia spirituale» del beato Aelredo, abate (Lib. III; PL 195, 692-693)
 
La vera, perfetta ed eterna amicizia
Quel nobilissimo fra i giovani, Giònata, non badando al blasone regale, né alla successione del regno, strinse amicizia con Davide e, mettendo sullo stesso piano dell’amore il servo al suo sovrano, preferì a se stesso lui, scacciato dal padre, latitante nel deserto, condannato a morte, destinato ad essere trucidato, a tal punto che, umiliando se stesso ed esaltando l’altro, gli disse: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te» (1Sam 23,17).
O specchio grande e sublime di vera amicizia! Mirabile cosa! Il re era furibondo contro il servo e gli eccitava contro, come ad un emulo del regno, tutta la nazione. Accusando i sacerdoti di tradimento, li fa ammazzare per un solo sospetto. S’aggira per boschi, si inoltra in vallate, attraversa montagne e dirupi con bande armate. Tutti promettono di farsi vendicatori dell’indignazione del re. Solo Giònata, che unico avrebbe potuto, a maggior diritto, portargli invidia, ritenne di doversi opporre al re, di favorire l’amico, di dargli consiglio tra tante avversità e, preferendo l’amicizia al regno, dice: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te».
Ed osserva come il padre del giovanetto ne eccitasse la gelosia contro l’amico, insistendo con invettive, spaventandolo con le minacce di spogliarlo del regno, ricordandogli che sarebbe stato privato dell’onore.
Avendo infatti quegli pronunziato la sentenza di morte contro Davide, Giònata non abbandonò l’amico. «Perché dovrà morire Davide? Cos’ha commesso, cos’ha fatto? Egli mise a repentaglio la sua vita ed abbatté il Filisteo e tu ne fosti felice. Perché dunque dovrebbe morire?» (1Sam 20,32; 19,3). A queste parole il re, montato in furia, cercò di trafiggere Giònata alla parete con la lancia e, aggiungendo invettive e minacce, gli fece questo oltraggio: Figlio di una donna di malaffare. Io so che tu lo ami per disonore tuo e vergogna della tua madre svergognata (cfr. 1Sam 20,30). Poi vomitò tutto il suo veleno sul volto del giovane, ma non trascurò le parole d’incitamento alla sua ambizione, per fomentarne l’invidia e per suscitarne la gelosia e l’amarezza. Fino a quando vivrà il figlio di Iesse, disse, il tuo regno non avrà sicurezza (cfr. 1Sam 20,31). Chi non sarebbe rimasto scosso a queste parole, chi non si sarebbe acceso di odio? Non avrebbe forse ciò corroso, sminuito e cancellato qualsiasi amore, qualsiasi stima e amicizia? Invece quel giovane affezionatissimo, mantenendo i patti dell’amicizia, forte davanti alle minacce, paziente di fronte alle invettive, spregiando il regno per la fedeltà all’amico, dimentico della gloria, ma memore della stima, disse: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te».
Questa è la vera, perfetta, salda ed eterna amicizia, che l’invidia non intacca, il sospetto non sminuisce, l’ambizione non riesce a rompere. Messa alla prova non vacillò, bersagliata non cadde, battuta in breccia da tanti insulti rimase inflessibile, provocata da tante ingiurie restò incrollabile. «Va’, dunque, e fa’ anche tu lo stesso» (Lc 10,37).

22 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

22 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «L’ideale perfetto del cristiano» di san Gregorio di Nissa, vescovo  (PG 46, 283-286)

Manifestiamo Cristo in tutta la nostra vita
Tre sono gli elementi che manifestano e distinguono la vita del cristiano: l’azione, la parola e il pensiero. Primo fra questi è il pensiero, al secondo posto viene la parola che dischiude e manifesta con vocaboli ciò che è stato concepito col pensiero. Dopo, in terzo luogo, si colloca l’azione, che traduce nei fatti quello che è stato pensato.
Se perciò una qualunque delle molte cose possibili ci porta naturalmente o a pensare o a parlare o ad agire, è necessario che ogni nostro detto o fatto o pensiero sia indirizzato e regolato da quelle norme con le quali Cristo si è manifestato, in modo che non pensiamo, né diciamo, né facciamo nulla che possa allontanarci da quanto ci indica quella norma sublime.
E che altro, dunque, dovrebbe fare colui che è stato reso degno del grande nome di Cristo, se non esplorare diligentemente ogni suo pensiero, parola e azione, e vedere se ognuno di essi tenda a Cristo oppure se ne allontani?
In molti modi si può fare questo importante esame. Infatti tutto ciò che si fa o si pensa o si dice, sotto la spinta di qualche mala passione, questo non si accorda affatto con Cristo, ma porta piuttosto il marchio e l’impronta del nemico, il quale mescola alla perla preziosa del cuore, il fango di vili cupidigie per appannare e deformare il limpido splendore della perla.
Ciò che invece è libero e puro da ogni sordida voglia, questo è certamente indirizzato all’autore e principe della pace, Cristo. Chi attinge e deriva da lui, come da una sorgente pura e incorrotta, i sentimenti e gli affetti del suo cuore, presenterà, con il suo principio e la sua origine, tale somiglianza quale può aver con la sua sorgente l’acqua, che scorre nel ruscello o brilla nell’anfora.
Infatti la purezza che è in Cristo e quella che è nei nostri cuori è la stessa. Ma quella di Cristo si identifica con la sorgente, la nostra invece promana da lui e scorre in noi, trascinando con sé per la via la bellezza ed onestà dei pensieri, in modo che appaia una certa coerenza ed armonia fra l’uomo interiore e quello esteriore, dal momento che i pensieri e i sentimenti che provengono da Cristo, regolano la vita e la guidano nell’ordine e nella santità.
In questo dunque, a mio giudizio, sta la perfezione della vita cristiana, nella piena assimilazione e nella concreta realizzazione di tutti i titoli espressi dal nome di Cristo, sia nell’ambito interiore del cuore, come in quello esterno della parola e dell’azione.

Responsorio    Col 3, 17; Rm 14, 7
R. Tutto quello che fate in parole ed opere, * tutto si compia nel nome del Signore Gesù.
V. Nessuno di noi vive per se stesso, nessuno muore per se stesso:
R. tutto si compia nel nome del Signore Gesù.

21 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

21 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

San Luigi Gonzaga (m)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla «Lettera alla madre» di san Luigi Gonzaga
(Acta SS., giugno, 5, 878)

(San Paolo citazione)

Canterò senza fine le grazie del Signore
Io invoco su di te, mia signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi. Per parte mia avrei desiderato di trovarmici da tempo e, sinceramente, speravo di partire per esso già prima d’ora.
La carità consiste, come dice san Paolo, nel «rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto». Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché, per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo. Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro e inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremmo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora, e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.

Omelia per il 25 giugno 2010: Salmo 136, 5

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18766.html

Omelia (25-06-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno:
Se ti dimentico, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo. (Sal 136,5)

Come vivere questa Parola?
La liturgia odierna si muove tra un evento di distruzione (saccheggio di Gerusalemme: 2Re 25,1-12) e uno di salvezza (guarigione del lebbroso: Mt 8,1-4).
Al centro, il bellissimo salmo 136, il canto dell’esilio. I primi tre versetti sono costruiti su due opposizioni fondamentali: allo scorrere dei fiumi si oppone il sedere degli israeliti, al loro pianto la richiesta di canzoni di gioia da parte degli oppressori. Nel versetto secondo, il contrasto è sintetizzato nell’immagine delle cetre appese ai salici: le cetre, da strumenti di canto, diventano fronde degli alberi per antonomasia ‘piangenti’.
L’opposizione rivela quindi il suo significato nel versetto quarto: gli israeliti sono stranieri in quella terra, per questo i loro sentimenti e le loro azioni sono diverse, inconciliabili con quelle degli altri.
E questo sentimento di estraneità è benedetto nei versetti quinto e sesto: qualora il salmista si dimentichi di essere straniero su questa terra, lo abbandoni la sua destra e gli si incolli la lingua al palato, ossia gli sia comunque impossibile cantare e suonare. Il salmo è un invito appassionato a ricordarsi di Gerusalemme, a conservarla nel cuore quale centro della propria vita: per noi cristiani, diventa un invito appassionato a fare memoria costante della Croce di nostro Signore, centro della storia individuale e universale. Ed è bello che nella guarigione del lebbroso si dica che « Gesù stese la mano » (v 3): come sulla croce ha steso la mano per guarirci da ogni male definitivamente.

Chiederò al Signore che le parole del memoriale, ripetute ogni giorno nella liturgia eucaristica, diventino sempre più la mia memoria profonda: il baricentro esistenziale della mia vita.

Grazie, Signore Gesù, perché ancora oggi ripeti per me la tua offerta-dono: « questo è il mio Corpo… questo è il mio Sangue ». Grazie!

La voce del parroco di Gaza City
Ogni pietra aggiunta al muro dell’Apartheid, ogni colpo di ascia dato sotto la moschea di Al-Aqsa e ogni casa distrutta da Israele aumenterà l’intensità della resistenza e del rancore. Invece ogni cooperazione con i palestinesi darà ad Israele la speranza di un futuro, dominato dalla serenità e dalla pace.
Father Manuel Musallam 

Omelia per il 25 giugno 2010 : Commento su 2 Re 25,12 (prima lettura)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13076.html

Omelia (27-06-2008) 
Eremo San Biagio

Commento su 2 Re 25,12

Dalla Parola del giorno
« Il capo delle guardie lasciò alcuni fra i più poveri del paese come vignaioli e come campagnoli. »

Come vivere questa Parola?
Nella sua tormentata storia, il popolo eletto rasenta più volte il baratro del totale annientamento. Nonostante i richiami dei profeti e la documentata assistenza di Dio, si cede ripetutamente alla tentazione di cercare alleanze umane che risultano praticamente un tradimento dell’Alleanza sinaitica. Ci si fida più degli uomini che di Dio. Ed ecco la via dell’esilio aprirsi dinanzi ai suoi passi. Un tragico evento che, lungo i secoli, è andato via via cancellando intere popolazioni.
Ma qui siamo dinanzi a qualcosa che sa di prodigioso.
Dalla deportazione vengono risparmiati quelli che la società definirebbe ‘scarti umani’. Persone imbelli, impotenti, poveri tra i più poveri. Una presenza insignificante agli occhi umani. Un germoglio carico di promesse agli occhi di Dio.
Sarà questo piccolo, insignificante resto a garantire la sopravvivenza di un popolo a cui Dio si è legato sul monte Sinai. E questo non per merito di quei vignaioli e contadini, ma unicamente perché Dio è fedele.
Noi possiamo venir meno alla parola data, ma Dio, ci ricorda San Paolo, non può rinnegare se stesso con un gesto di infedeltà.
Anche la nostra vita di cristiani si gioca su questa certezza, che non autorizza a lasciarsi andare nello sconforto, nei ‘piagnistei’ su una realtà in decomposizione, nelle previsioni più catastrofiche. Il male esiste e tutti, chi più chi meno, ne siamo responsabili, ma Dio non verrà meno al suo progetto di amore. A noi scegliere se ‘sposare’ una mentalità che annulla la fede o almeno la ignora, o se riconfermare la nostra piena fiducia nel Dio fedele.

Oggi, nel mio rientro al cuore, riconfermerò la mia adesione totale al Dio fedele.

Credo, Signore, che il tuo amore è più forte del mio peccato. Credo nella tua fedeltà che si afferma anche sulla mia infedeltà. Credo che la potenza della tua resurrezione continua a fermentare la storia. Per questo metto a tua disposizione la mia povertà, pienamente convinto che così posso collaborare all’avvento del tuo Regno che è venuto, che viene e che verrà.

La voce di un vescovo
Che incanto, Signore! Che le tue creature che hai creato con le tue mani, gli uccelli e il vento, trasportino da pianta in pianta da albero ad albero i semi di amore e pace.
Hèlder Camara 

Omelia (25-06-2010) : Lo toccò dicendo…

 dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18759.html

Omelia (25-06-2010) 
Monaci Benedettini Silvestrini

Lo toccò dicendo…

Tutte le malattie, sia fisiche che spirituali, umiliano l’uomo, ne limitano le potenzialità e lo pongono in una situazione di bisogno urgente di un adeguato ed efficace soccorso. Alcune di esse creano ulteriore imbarazzo perché deturpano evidentemente l’immagine dell’uomo, ne sfigurano le sembianze, rendendolo sgradevole alla vista degli altri. Diventa più drammatica la situazione quando alla malattia viene annessa una idea di impurità e vi scorge il pericolo del contagio. Per questo i lebbrosi venivano emarginati dal società e rilegati in luoghi solitari ed inospitali, spesso in caverne. Oggi vediamo uno di loro uscire audacemente allo scoperto perché egli vuole incontrare Gesù. Ha una fervente preghiera da rivolgergli: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Se vuoi, tu puoi: ecco come egli fa emergere la sua splendida fede adorna di grande umiltà. Si affida a Cristo e si rimette alla sua volontà. Lo steso Gesù nella sua agonia dirà: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». Anche Gesù stava dicendo a Dio «se vuoi!». Anche quando egli è diventato maestro di preghiera ci ha insegnato a dire: «Sia fatta la tua volontà». Sappiamo però, forse anche per personale esperienza, che fede e umiltà smuovono sempre il cuore di Cristo verso chi così impetra il suo intervento. Egli infatti «Lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato. E subito la lebbra scomparve». È bello e consolante per noi vedere Gesù che tocca, senza schifarsi, le nostre più umilianti miserie: egli vuole stabilire una comunione piena con la nostra umanità, sembra voglia prendere contatto diretto con le nostre piaghe nella consapevolezza che dovrà poi assumerle tutte su di se per sanarci definitivamente. Prima di dirci «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue» vuole scrutare e stabilire già una comunione con il nostro corpo, malato e sofferente, come sarà il suo nella crudelissima passione. Il toccare e il parlare formeranno i tratti essenziali delle nostre eucaristie; siamo chiamati a ripetere i suoi gesti e le sue parole con lo stesso intendo di guarire e di salvare. Il Signore ribadisce che non ci è lecito escludere la mediazione umana e sacerdotale per conseguire le nostre interiori purificazioni: il lebbroso è già guarito, ma Gesù gli ordina: «Và a mostrarti al sacerdote». Un monito preciso ed inequivocabile per tutti coloro che pretendono e scelgono di andare direttamente a Dio scavalcando i suoi ministri. 

Simeone il Nuovo Teologo: « Gesù lo toccò dicendo : ‘ Lo voglio, sii sanato ’ »

du site:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100625

Venerdì della XII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 8,1-4
Meditazione del giorno
Simeone il Nuovo Teologo (circa 949-1022), monaco ortodosso
Inno 30 ; SC 174, 357

« Gesù lo toccò dicendo : ‘ Lo voglio, sii sanato ’ »

Prima che brillasse la luce divina,
io non conescevo me stesso.
Allora, al vedere me nelle tenebre e in carcere,
rinchiuso in un pantano,
coperto di imondizie, ferito, la carne gonfia…,
sono caduto ai piedi di colui che mi aveva illuminato.

E colui che mi aveva illuminato tocca con le sue mani
i miei legami e le mie ferite;
là dove la sua mano tocca e il suo dito si avvicina,
subito cadono i miei legami,
scompaiono le ferite, e ogni sporcizia.
L’impurità della mia carne scompaia…
sicché egli la rende simile alla sua mano divina.
Strana meraviglia: la mia carne, la mia anima e il mio corpo
partecipano della gloria divina.

Appena sono stato purificato e liberato dai miei legami,
ecco che stende verso di me la sua mano divina,
mi tira fuori del pantano interamente,
mi abbraccia, mi si getta al collo,
mi bacia (Lc 15,20).
Mi prende sulle spalle
io che ero completamente esausto,
e avevo perso le mie forze,
e mi porta fuori dall’inferno…
La luce stessa mi porta e mi sostiene;
mi trascina verso una grande luce…
Egli mi dona di contemplare con quale strano rimodellare
lui stesso mi ha plasmato nuovamente (Gen 2,7)
e mi ha strappato dalla corruzione.
Mi ha fatto il dono di una vita immortale
e mi ha rivestito di una tunica immateriale e luminosa
e mi ha dato dei sandali, un anello e una corona
incorruttibili e eterni (Lc 15,22).

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