Archive pour juin, 2010

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera ai Galati 1396911888

Una foto ingiallita dell’immediato primo dopoguerra descrive una salita a Gerusalemme

http://pierostefani.myblog.it/archive/2007/01/07/salire-a-gerusalemme-01-04-07.html

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C13page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  Gal 5, 1.13-18
Siete stati chiamati alla libertà

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

http://www.bible-service.net/site/377.html

 Galates 5,1..18
 
À une communauté perturbée et divisée au sujet du salut, Paul rappelle fermement que seule la croix du Christ est la source du salut. Ce ne sont pas les pratiques anciennes du judaïsme (notamment la circoncision) qui libèrent l’homme mais l’accueil gratuit du don de Dieu manifesté en Jésus et répandu en nos cœurs par l’Esprit Saint.
« En vous laissant conduire par l’Esprit, vous n’êtes plus sujets de la Loi. » Pour l’homme, la vraie liberté est de se laisser conduire par l’Esprit, ainsi il échappe au sectarisme d’une application littérale de la Loi, et au laxisme séduisant mais destructeur.

Lorsqu’on vit selon l’Esprit, on ne devient plus esclave de la Loi, de sa lettre, mais on vit la Loi autrement, selon ce qu’elle est réellement. Ce passage, Paul veut que les Galates le fassent pour vivre réellement en enfants de Dieu. Le but de Paul est de faire d’eux des hommes libres : ce n’est pas en se soumettant à la Loi qu’ils se libèrent de leur égoïsme, mais de ce qu’ils doivent se libérer en réalité.

Galati 5,1..18

Ad una comunità turbata e divisa a proposito della salvezza, Paolo ricorda fermamente che solo la croce del Cristo è la sorgente della salvezza. Non sono le pratiche antiche del giudaismo ( particolarmente la circoncisione) che liberano l’uomo ma l’accoglienza gratuita del dono di Dio manifestata in Gesù e diffuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo.

“… se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge «   Per l’uomo, la vera libertà è di lasciarsi condurre dallo Spirito, così sfugge al settarismo di un’applicazione letterale della Legge, ed al lassismo seducente ma distruttore.

Quando si vive secondo lo Spirito, non si diventa più schiavo della Legge, della sua lettera, ma si vive la Legge diversamente, (ossia) secondo ciò che è realmente. In questo passaggio Paolo vuole che i Galati lo facciano per vivere realmente come figli di Dio. Lo scopo di Paolo è di fare di essi degli uomini liberi:  non è nel sottomettersi alla Legge che essi si liberano dal loro egoismo, ma di questo si devono liberare in realtà (secondo lo Spirito, direi)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa    (Manila, 29 novembre 1970)

(citazioni di Paolo)

Noi predichiamo Cristo a tutta la terra
«Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Mt 16, 16). Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura (cfr. Col 1, 15). E’ il fondamento d’ogni cosa (cfr. Col 1, 12). Egli è il Maestro dell’umanità, e il Redentore. Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza. E’ colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, come noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è «la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore e paziente nella sofferenza. Per noi egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore e i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.
Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.
Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli.

Responsorio   2 Tm 1, 10; Gv 1, 16; Col 1, 16-17
R. Gesù Cristo nostro salvatore ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo. * Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.
V. Tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
R. Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.

Omelia (26-06-2010) – prima lettura: Lamentazioni

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18778.html

Omelia (26-06-2010)  – prima lettura: Lamentazioni

Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Alle loro madri dicevano: Dov’è il grano e il vino? Intanto venivano meno come feriti nelle piazze della città; esalavano il respiro in grembo alle loro madri.

Come vivere questa Parola?
Israele sta vivendo uno dei momenti più terribili della sua storia. Il re di Babilonia, Nabucodonosor, ha assediato Gerusalemme e, vittorioso, ha deportato gran parte dei suoi abitanti. Chi rimane vive allo sbando, miseramente. L’autore del libro delle Lamentazioni esprime tutto questo nella forma letteraria del lamento funebre. E la morte, infatti, domina per le strade: una morte che l’autore sacro legge come frutto dell’aver abbandonato Dio da parte del popolo, per l’ennesima volta infedele al Dio fedele.
Ciò che di attuale ritroviamo in queste parole sacre è proprio questo: anche oggi l’umanità, dimentica del Signore, è come attraversata dalla morte. Gran parte di essa vive il dramma della fame anche materiale a causa di una cattiva distribuzione dei beni. Ma un’altra parte vive la tragedia del non-senso. « Dov’è il grano e il vino »? La domanda ha valore esistenziale. È come se l’uomo d’oggi, il giovane soprattutto, gridasse a chi l’ha messo al mondo: chi sfamerà la mia fame di giustizia, di verità, di bontà, di amore, di quelle cose che, in concreto, sono le uniche a contare?
Chi risponderà a questo grido?

Oggi, nella mi pausa contemplativa, pur senza deprimermi, darò uno sguardo all’orizzonte storico in cui vivo. Ascolterò in cuore il grido soprattutto dei giovani che invocano il vero nutrimento spirituale anche dentro i loro sbandamenti e mi chiederò se il cibo e la bevanda di verità che io possiedo sono in grado di darla agli altri.

Signore Gesù, hai detto che chi mangia il tuo Pane ha fin d’ora la vita eterna. Dammi d‘interiorizzare il Pane della Parola e dell’Eucaristia, perché la tua vita sia rigogliosa in me e diventi testimonianza per gli altri.

La voce di una testimone dei nostri giorni
Se alcuni uomini dicono: «Dio è morto», nella mia città e in altre città, se dei cristiani ne sono stati responsabili, consapevolmente o no, poiché sono io che vivo oggi, sono io ad esserne responsabile: i cristiani di tutti i tempi sono una cosa sola e io non sono la sola cristiana a vivere. Gli altri e io che faremo?
Madeleine Delbrêl 

Omelia per il 26 giugno 2010: “Molti verranno e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe”

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15559.html

Omelia (27-06-2009) 
Monaci Benedettini Silvestrini

“Molti verranno e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe”

Se ieri Gesù ha guarito un ebreo affetto da lebbra, un impuro, oggi è un centurione, peggio ancora, un membro dell’esercito di occupazione, a trarre beneficio dalla vita che scaturisce da Cristo. “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre molto”. Gesù risponde: “Verrò a curarlo”. Il centurione replica: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. Crede Gesù capace di guarire anche senza la sua presenza fisica: basterà che dica una parola di comando, e la malattia se ne andrà… Egli, come soldato ha questa esperienza, e pensa che Gesù abbia questo potere. È sufficiente che comandi, e le potenze del male lasceranno il malato. Idea veramente grande, che quel centurione si è fatta di Gesù. La fede espressa dall’ufficiale non solo ottiene l’intervento prodigioso del Signore, ma ne suscita l’ammirazione, dato che fa risaltare come nel suo popolo, Israele, egli non “ha trovato nessuno con una fede così grande”. La fiducia nella Parola che opera, doveva essere prerogativa del popolo che si nutriva delle Scritture, invece Gesù proclama che vi sarà una processione di popoli che parteciperanno alla mensa del Regno di Dio con i Patriarchi. Non solo, “i figli del Regno”, predestinati a ricevere l’annuncio della salvezza, ne saranno esclusi. L’asprezza della critica qui rivolta a Israele ricorda l’insistente accusa degli antichi profeti. L’attività di Gesù come taumaturgo termina in questo passo nella casa di Pietro e sulla porta della sua casa. L’evangelista, vedendo questa innumerevole folla di bisognosi che accorrono a Gesù, riporta come conclusione il detto del profeta Isaia: “Ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie”. E’ un preannuncio del ministero della sua morte e della sua salvezza.

San Giovanni Crisostomo: « Guarì molti malati »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100626

Sabato della XII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 8,5-17
Meditazione del giorno
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul vangelo di Matteo, 27,1

« Guarì molti malati »

        « Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati ». Vedi come la fede della folla si accresce a poco a poco ? Nonostante l’ora avanzata, non hanno voluto lasciare il Signore, hanno pensato che la sera permetteva loro di portargli dei malati. Pensi a tutte le guarigioni che gli evangelisti tralasciano ; non le raccontano tutte una a una, ma in una sola frase, ci fanno vedere un oceano infinito di miracoli. E affinché la grandezza del prodigio non ci porti all’incredulità, affinché non siamo sconcertati al pensiero che tale folla colpita da mali così diversi sia guarita in un istante, il vangelo porta la testimonianza del profeta, tanto straordinaria e sorprendente quanto i fatti stessi : « Perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia : Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie » (Is 53,4). Non dice : « Egli ha distutto », ma : « Egli ha preso » e « si è addossato », dimostrando così, secondo me, che il profeta parla più del peccato che delle malattie del corpo, ciò che è conforme alla parola di Giovanni : « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo » (Gv 1,29).

SABATO 26 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 26 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 6, sulle beatitudini; PG 44, 1270-1271)

Dio può essere trovato nel cuore dell’uomo
Nella vita dell’uomo la salute del corpo rappresenta un bene, ma la felicità non consiste nel conoscere la ragione della salute, bensì nel vivere in salute. Se uno dopo aver celebrato le lodi della salute, prende cibi che gli causano malattie, che cosa gli possono giovare le lodi della salute ? Allo stesso modo dobbiamo intendere il presente discorso, quando il Signore dice che la felicità non consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell’avere Dio in se stessi: «Beati, infatti, i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt  5, 8). Mi pare proprio che Dio voglia mostrarsi a faccia a faccia a colui che ha l’occhio dell’anima ben purificato, ma però secondo quanto dice Cristo: «Il regno di Dio è dentro di voi» (Lc 17, 21). Chi ha purificato il suo cuore può contemplare l’immagine della divina natura nella bellezza della sua stessa anima.
Se dunque laverai le brutture che hanno coperto il tuo cuore, risplenderà in te la divina bellezza. Come il ferro, liberato dalla ruggine splende al sole, così anche l’uomo interiore, quando avrà rimosso da se la ruggine del male, ricupererà la somiglianza con la forma originale e primitiva e sarà buono.
Quindi chi vede se stesso, contempla ciò che desidera in se stesso. In tal modo diviene beato chi ha il cuore puro, perché mentre guarda la sua purità, scorge, attraverso questa immagine, la sua prima e principale forma. Coloro che vedono il sole in uno specchio, benché non fissino i loro occhi in cielo, vedono il sole non meno bene di quelli che guardano direttamente l’astro luminoso. Così anche voi benché le vostre forze non siano sufficienti per scorgere e contemplare la luce inaccessibile, se ritornerete alla grazia originaria troverete in voi ciò che cercate. La divinità infatti è purezza, è assenza di vizi e di passioni, è lontananza da ogni male. Se dunque queste realtà sono in te, Dio è senz’altro in te. Quando pertanto la tua anima sarà pura da ogni sorta di vizi, libera da passioni e difetti e lontana da ogni inquinamento, allora sei felice per l’acutezza e la limpidezza della vista, perché ciò che sfuggirà allo sguardo di coloro che non si sono purificati, tu invece, purificato, lo scorgerai. Tolta dagli occhi spirituali l’oscurità materiale, avrai la beata visione nella pura serenità del cuore. E questo sublime spettacolo in che cosa consiste?
Nella santità, nella purezza, nella semplicità, e in tutti i luminosi splendori della natura divina per mezzo dei quali si vede Dio.

VENERDÌ 25 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 25 GIUGNO 2010 – XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 6, sulle beatitudini; PG 44, 1266-1267)

(San Paolo citazioni)

La speranza di vedere Dio
La promessa di Dio è certamente tanto grande da superare l’estremo limite della felicità. Quale altro bene infatti si può desiderare, quando tutto si ha in colui che si vede? Infatti vedere, nell’uso della Scrittura, ha lo stesso significato che possedere, come quel detto: «Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme» (Sal 127,5), dove il verbo significa la stessa cosa, che «possa tu avere». E così pure: Sia tolto di mezzo l’empio perché non vedrà la gloria del Signore (cfr. Is 26,10), dove il Profeta per «non vedere» intende «non essere partecipe».
Quindi colui che vede Dio, per il fatto stesso che lo vede, ha ottenuto tutti i beni, una vita senza fine, l’incorruttibilità eterna, la beatitudine immortale, un regno senza fine, una gioia perenne, la vera luce, una voce spirituale e dolce, una gloria inaccessibile, una perpetua esultanza, insomma ogni bene.
In verità quello che vien proposto alla speranza nella promessa della felicità, ha queste immense proporzioni. Ma siccome è già stato prima dimostrato che il modo di vedere Dio si attua alla condizione di avere il cuore puro, in questo nuovamente la mia intelligenza è preda delle vertigini. La purità del cuore infatti non è forse fra quelle virtù che non si possono conseguire, perché superano e oltrepassano la nostra natura? Se Dio si può vedere solo attraverso questa lente di purità e se d’altro canto Mosè e Paolo non lo hanno veduto perché affermano che Dio non può essere visto né da loro né da alcun altro, ciò che il Verbo propone alla beatitudine sembra cosa né mai effettuata né effettuabile.
E quale vantaggio possiamo avere noi dal fatto di conoscere a quale condizione si possa vedere Dio, se poi mancano le forze per raggiungere quanto si è scoperto? Sarebbe infatti come se si dicesse che è cosa meravigliosa soggiornare in cielo perché là si vedono cose che qui sulla terra non si possono vedere. Se con le parole si potesse dimostrare un qualche modo di attuare un viaggio in cielo, allora sarebbe utile agli ascoltatori apprendere che è felicità grande abitare in cielo. Ma sino a quando non potrà essere attuata questa ascesa al cielo, quale vantaggio può dare la conoscenza della felicità celeste? Non costituisce piuttosto un tormento e una delusione, perché ci rende consapevoli di quali beni siamo stati privati, per il fatto che ci è impedito di salire al cielo? E perché allora il Signore ci esorta ad una cosa che supera la nostra natura e ci dà un precetto che va oltre le forze umane?
Ma le cose non stanno così, perché egli non comanda di diventare uccelli a coloro ai quali non ha fornito le ali, né di vivere sott’acqua a coloro per i quali ha stabilito una vita terrestre. Se dunque la legge in tutti gli altri esseri è adatta alle forze di coloro che la ricevono e non costringe a nessuna impresa che superi la natura, comprenderemo senz’altro anche questo dal fatto che è compatibile con le nostre risorse e che non si deve disperare di raggiungere la felicità promessa. Capiremo ancora che né Giovanni, né Paolo, né Mosè, né altri sono stati privati di questa sublime felicità, che proviene dalla visione di Dio. Non colui che disse: «Mi resta solo la corona di giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà» (2 Tm 4, 8). Neppure colui che posò il capo sul cuore di Gesù, o colui che udì dalla voce divina: «Ti ho conosciuto per nome» (Es 33, 17).
Se perciò coloro che hanno affermato che la visione di Dio è sopra le nostre forze, sono anch’essi beati, e se la beatitudine viene dalla visione di Dio, e se chi ha il cuore puro può vedere Dio, certo la purezza, per mezzo della quale si può raggiungere la beatitudine, non è una virtù impossibile.

GIOVEDÌ 24 GIUGNO 2010 – NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

GIOVEDÌ 24 GIUGNO 2010 – NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

MESSA VESPERITINA DELLA VIGILIA, MESSA DEL GIORNO, LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0624Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 293, 1-3; PL 38, 1327-1328)
 
Voce di chi grida nel deserto
La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede.
Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all’arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l’accaduto per spiegare l’immagine della realtà.
Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola. Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.

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