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MARTEDÌ 29 GIUGNO 2010 – SS. PIETRO E PAOLO APOSTOLI (s)

MARTEDÌ 29 GIUGNO 2010 – SS. PIETRO E PAOLO APOSTOLI (s)

MESSA VESPERTINA NELLA VIGILIA
LETTURE: At 3,1-10; Sal 18; Gal 1,11-20; Gv 21,15-19
MESSA DEL GIORNO
LETTURE: At 12,1-11; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19

LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA DELLA VIGILIA:

Seconda Lettura   Gal 1,11-20
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre.

Dalla lettera di san Paolo ai Gàlati
Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mentisco.

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10
 
Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare. 

Responsorio   Cfr. Mt 16, 18-19
R. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non la vinceranno. * A te darò le chiavi del regno dei cieli.
V. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
R. A te darò le chiavi del regno dei cieli.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
 
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Responsorio
R. Paolo, apostolo del vangelo e maestro dei popoli, * sei degno di tutta la nostra lode.
V. Tu hai fatto conoscere ai popoli il mistero di Dio:
R. sei degno di tutta la nostra lode.

LUNEDÌ 28 GIUGNO 2010 – XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

LUNEDÌ 28 GIUGNO 2010 – XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SANT’IRENEO (m)

UFFICIO DELLE LETTURE

PRIMA LETTURA         

Dalla seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, apostolo 4,7-5,8

Nei martiri si manifesta la potenza di Dio

    Fratelli, noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita.
    Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.
    Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito.
    Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.

SECONDA LETTURA         

Dal «Trattato contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo

(Lib. 4,20,5-7; SC 100,640-642.644-648)
L’uomo vivente è gloria di Dio; vita dell’uomo è la visione di Dio

    La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile ed invisibile, si rende visibile, comprensibile ed intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e lo vedono. È impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all’essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà.
    Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioè Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta. Così Mosè afferma nel Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l’uomo e l’uomo aver la vita (cfr. Dt 5,24).
    Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, è invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre è unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l’esistenza, come sta scritto nel vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).
    Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché fin dal principio è con il Padre, e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c’è ordine c’è anche armonia, e dove c’è armonia c’è anche tempo giusto, e dove c’è tempo giusto c’è anche beneficio.
    Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l’utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l’«economia» della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l’uomo a Dio. Ha salvaguardato però l’invisibilità del Padre, perché l’uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l’uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio.

Omelia per il 28 giugno 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13083.html

Omelia (30-06-2008) 
a cura dei Carmelitani

Commento Matteo 8,18-22

1) Preghiera

O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 8,18-22
In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: « Maestro, io ti seguirò dovunque andrai ». Gli rispose Gesù: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ».
E un altro dei discepoli gli disse: « Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre ». Ma Gesù gli rispose: « Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti ».

3) Riflessione

• Dalla 10a Settimana del Tempo Ordinario fino alla 12a Settimana, per tre settimane, abbiamo meditato i capitoli da 5 a 8 del vangelo di Matteo. Seguendo la meditazione del capitolo 8, il vangelo di oggi presenta le condizioni per seguire Gesù. Gesù decise di andare all’altro lato del lago, e una persona chiese di poterlo seguire (Mt 8,18-22).
• Matteo 8,18: Gesù ordina di passare all’altra riva del lago. Aveva accolto e sanato tutti i malati che la gente gli aveva portato (Mt 8,16). Molta gente si unì attorno a lui. Vedendo questa folla, Gesù decise di passare all’altra riva del lago. Nel vangelo di Marco, da cui Matteo trasse gran parte delle sue informazioni, il contesto è diverso. Gesù aveva appena terminato il discorso delle parabole (Mc 4,3-34) e diceva: « Andiamo all’altro lato! » (Mc 4,35), e, una volta sulla barca da dove aveva fatto il discorso (cf. Mc 4,1-2), i discepoli lo portarono all’altro lato. Gesù era talmente stanco che si mise a dormire su un cuscino (Mc 4,38).
• Matteo 8,19: Un dottore della Legge vuole seguire Gesù. Nel momento in cui Gesù decide di attraversare il lago, un dottore della legge si avvicina e dice: « Maestro, ti seguirò dovunque andrai ». Un testo parallelo di Luca (Lc 9,57-62) tratta lo stesso tema, però in modo leggermente diverso. Secondo Luca, Gesù aveva deciso di andare a Gerusalemme dove sarebbe stato condannato e messo a morte. Nell’andare verso Gerusalemme, entrò nel territorio di Samaria (Lc 9,51-52), dove tre persone chiedono di seguirlo (Lc 9,57.59.61). Nel vangelo di Matteo, che scrive per i giudei convertiti, la persona che vuole seguire Gesù è un dottore della legge. Matteo insiste sul fatto che un’autorità dei giudei riconosce il valore di Gesù e chiede di seguirlo, di essere suo discepolo. In Luca, che scrive per i pagani convertiti, le persone che vogliono seguire Gesù sono samaritani. Luca mette l’accento sull’apertura ecumenica di Gesù che accetta anche i non giudei per essere i discepoli.
• Matteo 8,20: La risposta di Gesù al dottore della Legge. La risposta di Gesù è identica sia in Matteo che in Luca, ed è una risposta molto esigente che non lascia dubbi: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ».
Chi vuole essere discepolo di Gesù deve sapere ciò che fa. Deve esaminare le esigenze e calcolare bene, prima di prendere una decisione (cf. Lc 14,28-32). « Nello stesso modo, pertanto, se chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi avere, non può essere mio discepolo (Lc 14,33).
• Matteo 8,21: Un discepolo chiede di poter seppellire suo padre. Subito, qualcuno che era già discepolo, gli chiede il permesso di poter seppellire suo padre deceduto: « Signore, permettimi prima di andare a seppellire mio padre ». Con altre parole, chiede che Gesù ritardasse la traversata del lago a dopo la sepoltura del padre. Seppellire i genitori era un dovere sacro dei figli (cf Tb 4,3-4).
• Matteo 8,22: La risposta di Gesù. Di nuovo, la risposta di Gesù è molto esigente. Gesù non ritarda il suo viaggio verso l’altro lato del lago e dice al discepolo: « Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti ». Quando Elia chiamò Eliseo gli permise di salutare i suoi parenti (1Re 19,20). Gesù è molto più esigente. Per capire tutta la portata della risposta di Gesù è bene ricordare che l’espressione Lascia i morti seppellire i loro morti era un proverbio popolare usato dalla gente per indicare che non bisogna sprecare energie in cose che non hanno futuro e che non hanno nulla a che fare con la vita. Un proverbio così non deve essere preso letteralmente. Bisogna prendere in considerazione l’obiettivo per cui è stato usato. Così, nel nostro caso, per mezzo del proverbio Gesù mette l’accento sull’esigenza radicale della vita nuova a cui chiama e che esige di abbandonare tutto per seguire Lui.
Seguire Gesù. Come anche i rabbini dell’epoca Gesù riunisce i discepoli e le discepole. Tutti loro « seguono Gesù ». Seguire era il termine che si usava per indicare il rapporto tra il discepolo ed il maestro. Per i primi cristiani, Seguire Gesù, significava tre cose molto importanti, legate tra di loro:
a) Imitare l’esempio del Maestro: Gesù era il modello da imitare e da ricreare nella vita del discepolo e della discepola (Gv 13,13-15). La convivenza quotidiana permetteva un confronto costante. Nella « scuola di Gesù » si insegnava solo una materia: il Regno, e questo Regno si riconosceva nella vita e nella pratica di Gesù.
b) Partecipare al destino del Maestro: Chi seguiva Gesù doveva impegnarsi come lui a stare con lui nelle sue privazioni (Lc 22,28), comprese le persecuzioni (Mt 10,24-25) e la croce (Lc 14,27). Doveva essere disposto a morire con lui (Gv 11,16).
c) Portare in noi la vita di Gesù: Dopo Pasqua, la luce della risurrezione, il discepolato assume una terza dimensione: « Vivo, ma non sono io, è Cristo che vive in me » (Gal 2,20). Si tratta della dimensione mistica del discepolato, frutto dell’azione dello Spirito. I cristiani cercavano di rifare nelle loro vite il cammino di Gesù che era morto in difesa della vita e risuscitò grazie al potere di Dio (Fil 3,10-11).

4) Per un confronto personale

• Essere discepolo, discepola, di Gesù. Seguire Gesù. Come sto vivendo il discepolato di Gesù?
• Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo hanno il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Come vivere oggi questa esigenza di Gesù?

5) Preghiera finale

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. (Sal 33) 

Santa Chiara: « Maestro, ti seguirò dovunque andrai »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100628

Lunedì della XIII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 8,18-22
Meditazione del giorno
Santa Chiara (1193-1252), monaca francescana
1a Lettera a sant’Agnese di Boemia, §15-23 (Fonti Francescani)

« Maestro, ti seguirò dovunque andrai »

        O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’abbraccia ! O santa povertà : a chi la possiede e la desidera è promesso da Dio il regno dei cieli ed è senza dubbio concessa gloria eterna e vita beata ! O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, nel cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale « disse e tutto fu creato » (Sal 32, 9), si degnò più di ogni altro di abbracciare. Disse egli infatti : « Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, mentre il Figlio dell’uomo – cioè Cristo – non ha dove posare il capo », ma « chinato il capo [sulla croce] rese lo spirito » (Gc 19, 30).

        Se dunque tanto grande e tale Signore quando venne nel grembo verginale volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero, perché gli uomini, che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva mancanza di nutrimento celeste, fossero resi in lui ricchi col possesso del regno celeste, esultate grandemente e gioite ricolma di immenso gaudio e letizia spirituale ; poiché avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, la « dove né la ruggine consuma, né il tarlo distrugge, né i ladri rovistano e rubano » (Mt 6, 20), « abbondantissima è la vostra ricompensa nei cieli » (Mt 5, 12).

Santa Teresa Benedetta della Croce: « Seguimi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100627

XIII Domenica delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario – Anno C : Lc 9,51-62
Meditazione del giorno
Santa Teresa Benedetta della Croce [Edith Stein] (1891-1942), carmelitana, martire, compatrona d’Europa
Meditazione per la festa dell’Esaltazione della croce

« Seguimi »

        Il Salvatore ci ha preceduti sul cammino della povertà. Tutti i beni del cielo e della terra gli appartenevano. Non rappresentavano per lui alcun pericolo; poteva farne uso pur tenendo il suo cuore perfettamente libero. Sapeva però che per un essere umano è quasi impossibile possedere dei beni senza subordinarvi se stesso e diventarne schiavo. Per questo ha lasciato tutto e ci ha mostrato, con il suo esempio più ancora che con le sue parole, che solo chi non possiede nulla possiede tutto. La sua nascita in una stalla e la sua fuga in Egitto mostravano già che occorreva che il Figlio dell’uomo non avesse dove posare il capo. Chi vuole seguirlo deve sapere che non abbiamo quaggiù dimora permanente. Quanto più vivamente ce ne accorgeremo, tanto più ardentemente tenderemo verso la nostra dimora futura ed esulteremo al pensiero di avere libero accesso al cielo.

Omelia (27-06-2010) : Con decisione rocciosa

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18756.html

Omelia (27-06-2010) 
Il pane della domenica

Con decisione rocciosa

Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme

È l’esperienza quotidiana di ognuno di noi per sottrarsi in qualche modo alla vertigine del tempo, vuoi nel suo riuscire ad incapsularci in un’attualità insopportabile, vuoi nel suo risucchiarci fascinatorio in un futuro che inevitabilmente si rivelerà poi di formato ridotto nel suo realizzarsi ed in ogni caso deludente, o magari, vuoi ancora, di un tempo lungo un istante che come Faust di Goethe si vorrebbe inchiodare per l’eternità, ma che sguscia tanto più velocemente dalle mani con quanta più forza lo si stringe. Ecco spiegate allora le frenetiche accelerazioni e di converso rimandi e lentezze, ed ancor più le angoscianti panne in attesa di un filo di vento…

1. Per il Signore Gesù invece, il tempo non scorre, ma si compie, come ama dire Luca, raggiungendo la sua pienezza nella volontà eterna del Padre che vuole l’offerta della sua vita nella città dei sacrifici: Gerusalemme. È questo il cibo che lo nutre e senza il quale non può vivere ed è questo il motivo per cui allora sale decisamente a Gerusalemme contro tutto e contro tutti (è il senso della faccia indurita, come letteralmente bisognerebbe tradurre). Ovvero: « con decisione rocciosa » (C. Marucci).
Tutto: è il peso delle circostanze avverse nel loro complesso, che ne allontanerebbero chiunque, e di cui il Signore è profondamente compreso. Molteplici volte infatti, profeticamente, per preparare i suoi, ne ha parlato descrivendo la somma di obbrobri e sofferenze che vi avrebbe trovato. Tutti: sono i discepoli che, secondo Marco (10,32) lo seguono, ma riluttanti, ad essi infatti stava diventando sempre più palese l’eventualità di un esito tragico della vicenda del Maestro, dopo l’inizio trionfale della predicazione galilaica; i giudei poi nel complesso delle loro fazioni che, nonostante le opposizioni reciproche, in questo troveranno accordo, nel volere la sua morte; i romani per i quali i giudei in generale e Gesù era uno di essi, risultavano nella loro religiosità causa di problemi di ogni sorta, e qui addirittura i samaritani che lo accoglierebbero anche volentieri, se però non fosse diretto verso la capitale degli odiati giudei.
Insomma nessuno vuole quello che il Maestro vuole, ma lo vuole il Padre celeste e questo fa la differenza.
Perciò Gesù, « decisamente », con la faccia indurita, rivolta verso Gerusalemme, sotto lo sguardo compiaciuto del Padre al cui cospetto vive nell’eternità, muove verso di essa e, particolare significativo, ci va attraverso una strada inusitata per un giudeo, ma notevolmente più corta, quella che passa per la Samaria.

2. Nel cammino l’evangelista Luca pone tre incontri con tre personaggi che nel loro anonimato definiscono universalmente le condizioni della sequela. La rinuncia ad ogni tipo di sicurezza e la vita randagia il primo, che nel suo entusiasmo rivela forse una scarsa consapevolezza di quello che comporta seguire il Maestro; il secondo invece, l’esigenza di una volontà più radicale nel distacco da quelli che hanno scelto come destino di rimanere nella morte, fossero anche i propri parenti, perché l’annuncio dell’unica speranza immortale non ammette ritardi; una volontà più decisa e risoluta il terzo, che vorrebbe sì seguirlo con un’elegante dichiarazione d’intenti, ma deviando o ritardando, sia pure per motivi plausibili, come il commiato da quelli di casa.
Quanta difficoltà dunque c’è ad essere discepoli!
Prima di tutto è necessario accogliere il Signore, rinunciando a tutto quello che pregiudizialmente ce lo impedisce. È il problema dei samaritani, i quali sono anche curiosi di conoscere Gesù, la fama dei prodigi del quale era certamente arrivata fino a loro, ed anche le sue difficoltà nei rapporti con le autorità giudaiche, punto questo a favore, dato l’odio primordiale che nutrivano per i giudei, ma quando poi vengono a sapere della direzione verso Gerusalemme, allora tutto cambia. Questo particolare è rivelatore della superficialità del loro interesse nei suoi confronti; c’è un bene, per loro più grande, che gli preferiscono, l’orgoglio nazionale, e questa la conosciamo, è la storia di sempre: l’altro ha valore, ma solo nella misura e nella finalità che io decido di riconoscergli.
C’è poi l’esigenza della docilità, che è l’attitudine non solo a imparare, ma nel caso del discepolato cristiano, di imparare a fare, ed a fare tutto ciò di cui c’è bisogno per raggiungere il fine percorrendo tutta intera la via che si apre davanti a noi, appunto senza ripensamenti, con decisione rocciosa. Si tratta insomma di accogliere non una verità semplicemente, ma colui che, definendosi la Verità e l’unica Verità, quella che dà consistenza a tutte le altre, entrando nel tempo della storia e desiderando incrociare tutte le storie si è fatto anche Via.
Cristo è il Profeta escatologico che non solo apre ai nostri passi una via nel mare della vita, ma che si pone davanti a noi per attirarci, trascinarci se ce ne fosse bisogno, ed accanto a noi per sostenerci, dal momento che siamo fragili, deboli, e per lo più irresoluti nel nostro volere. La difficoltà del discepolato cristiano, dunque, è la sequela. Sequela significa concretamente lasciare tutto per seguire Lui la Verità non fatta libro, teoria, scuola, anche se ci saranno libri, teorie e scuole, ma fatta Carne, che una volta accolta ha come scopo di fare la verità in noi, la verità dei motivi che, più o meno consci, di fatto vanno a sovrapporsi a quelli autentici del Regno, nel cammino di un nuovo esodo il cui obiettivo è la purificazione dell’amore prima di e per entrare nella terra promessa.

3. « Signore, dove abiti? », avevano chiesto all’Agnello che passava, poco convinti, Giovanni ed Andrea, tanto forte era il legame col loro maestro Giovanni Battista. Ma tant’è, incuriositi dal personaggio che riscuoteva tanta venerazione presso il loro maestro, avevano accolto l’invito e l’avevano seguito per la via concreta che s’era aperta davanti ai loro passi. Quel giorno, all’ora decima, fecero esperienza della Vita diventando suoi ospiti; La Vita diventò la loro vita nel tempo. Ora il cammino continua verso Gerusalemme, motivato da una logica incomprensibile e da uno spirito di pace che non ha riscontri nella storia d’Israele, ora debbono continuare a seguire il Maestro, fidandosi di Lui e affidandosi a lui.
Seguiamo anche noi il Signore; noi che ne abbiamo conosciuto il mistero di gloria, noi che lo abbiamo accolto, dal momento che siamo qui attorno a questo altare nella sosta che ci rinfranca nel cammino verso la patria. È questo il senso dell’incontro nella liturgia eucaristica, cui partecipiamo nel giorno ottavo, il primo dopo il settimo, giorno eterno su cui non tramonterà mai il sole, perché è Lui il Sole di giustizia. Qui lo incontriamo il Signore, e dopo aver accolto nella sua parola l’invito, godiamo della sua amicizia! Tra poco per « fare la Comunione » con Lui, ci incammineremo simbolicamente, con un gesto che ci verrà chiesto di confermare di certo nei giorni che verranno, nel passo segreto dell’anima verso il venerdì santo delle prove che ci aspettano. Da Lui ristorati e rifocillati, riprenderemo il cammino, lo sguardo più profondo ed il passo più spedito. 

13ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO C -OMELIA

da: Unità pastorale « Alta Val Taro-Ceno » – Parma:

http://www.unitapastoralealtavaltaro-ceno.it/index.htm

13ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO C -OMELIA

Insieme al bisogno di senso, e al desiderio di amare e di essere amato, uno dei desideri più profondi del cuore dell’uomo è quello della libertà. Forse rispetto ai primi due, la libertà è ancora più fondamentale, perché non è un lusso di chi abbia già soddisfatto altri bisogni. È la condizione perché questo soddisfacimento possa avvenire. L’intera Bibbia è una storia di liberazione. Dalla Genesi all’Apocalisse la storia della salvezza è anche una storia di alienazione dell’uomo e di anelito alla libertà. Costantemente si innalza dalla terra l’invocazione per ottenerla, e continuamente a questa invocazione Dio risponde agendo per donarla all’umanità. Come la vicenda di Israele nel deserto insegna, la libertà è una condizione difficile da sopportare. Paolo, che è uno dei grandi cantori della libertà, insiste sulla liberazione che Cristo ha conquistato per gli uomini. «Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5,1).

I cristiani di Galazia, dopo aver ascoltato l’annuncio del vangelo e averlo accolto, erano tentati da due forme di ritorno alla schiavitù. La prima era la schiavitù della legge, secondo un’interpretazione giudaizzante del vangelo. Questa tentazione non è esclusiva dei Galati del primo secolo dopo Cristo. Ritorna anche oggi nelle concezioni moralistiche della vita cristiana: è la schiavitù del riporre esclusiva fiducia nelle opere, sempre destinata al fallimento e alla disperazione. Chi, con i suoi soli sforzi, può conquistarsi la benevolenza di Dio? Chi può accatastare meriti per acquistarsi la salvezza, che è dono? Chi, a meno che non sia cieco, può affermare che per quanto conosca il bene che deve compiere, indicatogli dalla legge, non ha la capacità di compierlo? Non si tratta di svalutare l’istanza di perfezionamento ascetico e morale del cristianesimo, ma di riconoscere come tale perfezionamento sia impossibile se non ha come sostegno la grazia che fa uscire dal rapporto ansiogeno con Dio basato sulle nostre “prestazioni” etico religiose. La seconda schiavitù da cui erano tentati i Galati era il ritorno alla vita secondo il peccato, ma giustificato dalla libertà in Cristo. «Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne» (Gal 5, 13), dice Paolo. È quando la libertà diventa giustificazione per la prevaricazione. Oppure la libertà che si trasforma in indifferenza, per cui l’essere liberi significa rimanere non toccati dalla vita e dalle sofferenze altrui. Ed infine quando la libertà diventa occasione di licenziosità, creando una dissociazione fra la dimensione esteriore e corporea dell’uomo e quella interiore, quasi che la prima non fosse in continuità con la seconda. Secondo l’apostolo la libertà cristiana è dono di Dio, è vocazione, si compie nell’amore reciproco, e consiste nella vita cristiana come cammino secondo lo Spirito. Il verbo camminare quale immagine della vita cristiana riporta al vangelo. Luca afferma che «mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9, 51). Anche qui si tratta di libertà.

Quella di Gesù è far proprio il disegno di salvezza del Padre per l’umanità, e di assumerlo fino alle estreme conseguenze. In questa libera adesione consiste la sua «ferma decisione». Prima di mettersi in viaggio per Gerusalemme Gesù manda avanti a sé alcuni discepoli. Essi hanno il compito di «preparargli l’ingresso» (Lc 9, 52) presso i samaritani. Ma questi ultimi respingono gli inviati e, in essi, Gesù stesso. Mistero della libertà che può anche rifiutare il dono del Signore. Il cammino ed rifiuto offrono l’occasione per l’insegnamento sulle condizioni della sequela. Innanzi tutto è significativo proprio il contesto, il viaggio di Gesù. La sequela è cammino dietro Gesù, con Gesù, secondo la medesima radicalità. È di nuovo una questione di libertà. Ci si mette alla sequela di Gesù perché si sceglie di farlo, tanto più oggi che essere cristiani non comporta particolari vantaggi, non è più di moda, e non è più un obbligo né culturale né sociale. Si segue Gesù perché si decide liberamente di farlo, per una scelta di predilezione. In quest’ottica di libertà vanno letti i tre insegnamenti successivi. Sono certamente ammonimenti sulle esigenze del discepolato. Ma soprattutto sono insegnamenti sulla libertà che richiede ed insieme dona la sequela. Nel primo «un tale» accosta Gesù (Lc 9, 57). Non ha nome né particolari identificativi. Nella sua universalità è l’icona di chiunque voglia mettersi alla sequela – «Ti seguirò dovunque tu vada» (Lc 9, 57) -. A lui Gesù risponde mettendolo sull’avviso riguardo la precarietà che comporta la sequela. Una condizione che bisogna ben considerare per le sue privazioni, i suoi rischi e le sue esigenze. Tuttavia è una precarietà secondo il mondo. Chi si mette alla sequela di Gesù sperimenta la sicurezza, nella logica della fede, che sa che in nulla il Padre abbandona i suoi Figli, e che rinunciare a ciò che schiavizza il mondo è ricambiato dalla più grande libertà interiore. «In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza», dice san Paolo, «gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6, 4; 10).

Il secondo è chiamato da Gesù stesso. «Seguimi» (Lc 9, 59). È l’iniziativa divina che chiama al discepolato. Ad essa il chiamato frappone l’obbedienza al quarto comandamento. La risposta di Gesù è sconcertante: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio» (Lc 9, 60). A prima vista sembra un’aporia: Dio contro Dio. Gesù afferma l’assolutezza del Regno di fronte al quale non valgono dilazioni. Il Regno comporta una novità radicale, che tutto rinnova. Non si tratta di venire meno ai doveri filiali. Significa ri-orientare il senso di tutto, anche degli obblighi parentali, alla luce dell’assoluto che è il Regno. Il Regno dona anche libertà nel vivere gli affetti umani. E la psicanalisi insegna come questi affetti fondamentali possano anche essere occasione di schiavitù radicale. Il terzo episodio pone al centro l’esigenza dell’unificazione interiore nella sequela. «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). La condizione della dedizione al Regno differisce molto da quella di chi va al supermercato per acquistare una scatoletta di fagioli ed esce con il carrello pronto per un cenone di capodanno. La sequela dona la libertà interiore di puntare dritto sull’obiettivo, senza lasciarsi rallentare da nostalgie e ripensamenti. La sequela insomma richiede libertà. Ma se assunta come stile di vita ne restituisce una ben maggiore. Il vangelo, se mantenuto in tutta la sua paradossalità, è veramente una proposta di vita adeguata alle istanze più profonde del cuore dell’uomo. Se invece è accomodato perde il suo fascino.

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