Archive pour juin, 2010

di Sandro Magister: “Corpus Domini” in Turchia. Il sacrificio eucaristico del vescovo Luigi Padovese

dal sito:

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/06/03/corpus-domini-in-turchia-il-sacrificio-eucaristico-del-vescovo-luigi-padovese/

di Sandro Magister

“Corpus Domini” in Turchia. Il sacrificio eucaristico del vescovo Luigi Padovese

Era in procinto di partire per Cipro, incontro a Benedetto XVI. Ma è stato ucciso alla vigilia, giovedì 3 giugno, festa del Corpus Domini.

Luigi Padovese, 64 anni, milanese, francescano cappuccino, amò e percorse passo passo la Turchia dapprima come ricercatore e docente di patrologia, nonché preside della Pontificia Università Antonianum di Roma. In tale veste promosse più di venti simposi di studio su san Paolo, a Tarso, e su san Giovanni, a Efeso. Dal novembre 2004 era vescovo, vicario apostolico per l’Anatolia, con sede a Iskenderun. Era presidente della conferenza episcopale.

La sua lettura della situazione politica, culturale e religiosa della Turchia era molto realistica, lontana dalla cartolina da sogno dipinta dal ministro degli esteri di Ankara nell’intervento citato due giorni fa in questo blog, due post più sotto.

L’agenzia MissiOnLine del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano ha rimesso in rete dopo la sua uccisione una conferenza da lui tenuta nel 2007, che illumina sul dramma che vivono i cristiani in quel paese.

Nella parte finale, monsignor Padovese sintetizzava così – “per evitare facili irenismi” – l’abisso che separa la visione cristiana di Dio da quella musulmana:

“Grande è la distanza che separa le due religioni. Occorre anzitutto sapere che l’islam si considera la rivelazione ultima, più completa e più razionale. Ne consegue che quanti non la seguono sono su un piano di netta inferiorità; diventare cristiano, per un musulmano, significa regredire a uno stato inferiore. Stando così le cose, richiedere la reciprocità in rapporto alla libertà religiosa è un’utopia. La potrà richiedere un islamico in un paese cristiano, ma non l’inverso. Concretamente la libertà di coscienza non esiste nell’islam e l’esercizio delle altre religioni non è libero, bensì tollerato.

“Per ebrei e cristiani Dio ha creato l’uomo ‘a sua immagine e somiglianza’. Per l’islam ciò appare un’assurdità, perché contrasta con la trascendenza assoluta di Dio. In effetti, questo versetto della Genesi non compare nel Corano, che pure riporta l’episodio biblico della creazione. La ragione è che Dio non può uscire dal suo isolamento. Il confine tra Dio e l’uomo rimane invalicabile con la conseguenza che il primo è troppo trascendente per poter amare ed essere amato. Soltanto i mistici sufi – presumibilmente per influenze cristiane – hanno messo l’accento sull’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per Dio.

“Un’altra conseguenza riguarda il concetto di dignità dell’uomo, che per cristiani ed ebrei si fonda a partire da questa stessa dottrina biblica di essere a immagine e somiglianza di Dio. Tanto per esemplificare, osserviamo come la lotta per il riconoscimento della dignità e libertà umana abbia trovato in ambito cristiano motivazioni e impulsi profondi a partire dalla ‘parentela’ intrecciata da Dio con l’uomo (maschio e femmina!) e restaurata in Cristo. Le teologie che intendono liberare l’uomo dalle diverse schiavitù dei nostri giorni non trovano forse il loro fondamento ultimo nel testo della Genesi (1, 26): ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza’? Non così per l’islam, che trae tutta la sua normativa dal Corano. Proprio considerando questa vicinanza tra Dio e l’uomo, mediata poi da Cristo, si capisce come l’etica cristiana primitiva si configura più come risposta nella fede a questo Dio inteso come partner che non come adeguamento a una norma. La cosa risulta tanto più chiara se si osserva che tra i 99 titoli riservati a Dio nell’islam manca quello di Padre e, dunque, manca un principio ispiratore della morale personalista cristiana”.

Sicuramente, il vescovo Padovese non ebbe difficoltà a capire e a condividere in pieno la lezione di Ratisbona di papa Joseph Ratzinger.

Il 5 febbraio scorso, quarto anniversario dell’uccisione a Trebisonda di don Andrea Santoro, aveva detto alla Radio Vaticana:

“Don Andrea fu ucciso come simbolo, in quanto sacerdote cattolico. Non è stata uccisa soltanto la persona, ma si è voluto colpire il simbolo che la persona rappresentava: ricordarlo in questo momento, all’interno dell’anno dedicato ai sacerdoti, è ricordare a tutti noi che la sequela di Cristo può arrivare anche all’offerta del proprio sangue”.

E in un intervento a Venezia nell’ottobre del 2009:

“Le tragiche morti di don Andrea, del giornalista armeno Hrant Kink, dei tre missionari protestanti di Malatia hanno portato alla ribalta la realtà di un cristianesimo che in Turchia esiste ancora e reclama pieno diritto di cittadinanza.

“Se accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che questa è una strada senza ritorno, che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito; è una strada che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue”.

DOMENICA 6 GIUGNO 2010 – SACRATISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (s)

DOMENICA 6 GIUGNO 2010 - SACRATISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (s) dans Lettera ai Corinti - prima

 http://www.santiebeati.it/ 

DOMENICA 6 GIUGNO 2010 – SACRATISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (s)

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/CorpusCpage.htm

SEQUENZA SUL SITO;

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Cor 11, 23-26
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».

Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro dell’Esodo – 24, 1-11
 
Videro Dio, e mangiarono e bevvero
Un giorno il Signore disse a Mosè: «Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lontano, poi Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il popolo non salirà con lui».
Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!».
Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.
Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!».
Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele.
Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero.

Responsorio   Cfr. Gv 6, 48. 49. 50. 51. 52
R. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti. * Questo è il pane disceso dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
V. Io sono il pane vivo: se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
R. Questo è il pane disceso dal cielo; perché chi ne mangia, non muoia.

Seconda Lettura
Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)
 

O prezioso e meraviglioso convito!
L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?
Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.
Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.

SABATO 5 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 5 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN BONIFACIO, VESCOVO E MARTIRE (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 4, 1-8
Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo. Io sto già per essere versato in offerta e il Signore mi consegnerà la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero.
Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di san Bonifacio, vescovo e martire
(Lett. 78; MGH, Epistole, 3, 352, 354)

Pastore sollecito che vigila sul gregge di Cristo
La Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com’è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare.
Grandi nocchieri furono i primi padri, quali Clemente e Cornelio e moltissimi altri a Roma, Cipriano a Cartagine e Atanasio ad Alessandria. Essi al tempo degli imperatori pagani, governavano la nave di Cristo, anzi la sua carissima Sposa. Insegnarono, combatterono, faticarono e soffrirono fino a dare il loro sangue.
Al pensiero di queste cose e di altre simili, timore e spavento mi hanno invaso e quasi mi hanno sopraffatto (cfr. Sal 54, 6) le tenebre dei miei peccati. Perciò avrei voluto abbandonare del tutto il timone della Chiesa, se avessi trovato precedenti simili nei Padri o nelle Sacre Scritture. Ma non potendolo fare, l’anima mia stanca ricorre a colui che per mezzo di Salomone dice: «Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri» (Pro 3, 5-6). Ed altrove: «Il nome del Signore è una torre fortissima. Il giusto vi si rifugia ed è al sicuro» (Pro 18, 10).
Stiamo saldi nella giustizia e prepariamo le nostre anime alla tentazione per ottenere l’appoggio di Dio e diciamogli: «O Signore, tu sei stato per noi rifugio di generazione in generazione» (Sal 89, 1).
Confidiamo in lui che ha messo sulle nostre spalle questo peso. Ciò che noi da soli non siamo capaci di portare, portiamolo con il suo aiuto. Egli è onnipotente e dice: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).
Stiamo saldi nella battaglia fino al giorno del Signore, perché ci sono venuti addosso giorni di angustia e di tribolazione. Moriamo, se Dio vorrà, per le sante leggi dei nostri padri, per poter conseguire con essi l’eredità eterna.
Non siamo dei cani muti, non siamo spettatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono il lupo, ma pastori solleciti e vigilanti sul gregge di Cristo. Predichiamo i disegni di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri. Annunziamoli a tutti i ceti e a tutte le età finché il Signore ci darà forza, a tempo opportuno e importuno, a quel modo che san Gregorio scrisse nella sua «Regola Pastorale».

Responsorio   1 Ts 2, 8; Gal 4, 19
R. Per il grande affetto che vi porto, vi avrei dato non solo il vangelo di Dio, ma la mia stessa vita: * siete diventati per me figli carissimi, alleluia.
V. Per voi soffro le doglie del parto, finché non sia formato Cristo in voi:
R. siete diventati per me figli carissimi, alleluia.

VENERDÌ 4 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 4 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 3, 10-16
Tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze. Quali cose mi accaddero ad Antiòchia, a Icònio e a Listra! Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore! E tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannando gli altri e ingannati essi stessi.
Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Trattati» di Baldovino di Canterbury, vescovo
(Tratt. 6; PL 204, 466-467)

Il Signore discerne i pensieri e le intenzioni del cuore
Il Signore conosce i pensieri e le intenzioni del nostro cuore. Senza dubbio egli li conosce tutti, mentre noi solo quelli che ci è concesso di percepire per il dono del discernimento.
Il nostro spirito infatti non conosce tutto ciò che si trova nell’uomo, e riguardo ai suoi pensieri che, consapevole o meno, percepisce, non sempre intende come le cose stiano in realtà.
Anche quelle cose che scopre con gli occhi della mente, non le distingue nitidamente a causa di una certa caligine che ha sempre davanti agli occhi.
Spesso, infatti, o il nostro stesso giudizio o quello di altri o anche il tentatore ci presentano come buono e santo ciò che all’occhio di Dio non è per nulla degno di premio.
Vi sono contraffazioni di vere virtù, come anche di vizi, che ingannano e abbagliano gli occhi della mente con immagini ingannevoli, talmente che spesso appare bene il male e il male bene.
Questo fa parte della nostra miseria e della nostra ignoranza, che dobbiamo molto deplorare e molto temere.
Sta scritto infatti: Vi sono strade che sembrano buone all’uomo, ma che invece conducono all’abisso (cfr. Pro 16, 25).
Per farci evitare questo pericolo, l’apostolo Giovanni ammonisce dicendo: «Mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1 Gv 4, 1).
Chi mai può esaminare le ispirazioni, se vengono da Dio, se non gli è stato dato da Dio il loro discernimento, così da poter esaminare esattamente e con retto giudizio i pensieri, le disposizioni, le intenzioni dello spirito? Il discernimento infatti è come la madre di tutte le virtù ed è necessario a tutti nel guidare la vita, sia propria che altrui.
E’ giusto il proposito di fare le cose secondo la volontà di Dio. E’ virtuosa l’intenzione che si dirige semplicemente verso il Signore. La nostra vita e ogni nostra azione saranno luminose solo se l’occhio sarà semplice. Ora l’occhio semplice è occhio, ed è semplice. E’ occhio perché vede per mezzo di un retto sentire cosa si deve fare, ed è semplice perché agisce con pia intenzione escludendo la doppiezza.
Il retto sentire non cede all’errore. La pia intenzione esclude la finzione. Questo è dunque il discernimento, l’unione del retto pensiero e della virtuosa intenzione.
Tutto quindi si deve fare nella luce del discernimento, come sta in Dio e sotto lo sguardo di Dio.

GIOVEDÌ 3 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

GIOVEDÌ 3 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Ss. CARLO LWANGA E COMPAGNI MARTIRI (m) Beato Papa Giovanni XXIII

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 2, 8-15
Ma la parola di Dio non è incatenata. Se moriamo con lui, con lui anche vivremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sfòrzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura   2 Tm 2, 8-15
Ma la parola di Dio non è incatenata. Se moriamo con lui, con lui anche vivremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sfòrzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità.

MERCOLEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 1, 1-3. 6-12
Ravviva il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.
Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno.
Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro.
È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 23, 23-24; PL 76, 265-266)

La vera scienza rifugge dalla superbia
«Ascolta, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l’orecchio» (Gb 33, 1). L’insegnamento delle persone arroganti ha questo di proprio, che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono, non riescono a comunicarle rettamente. Quando insegnano danno l’impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembra vogliano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi.
Ben a ragione, dunque, il Signore dice a costoro per bocca del profeta: «Li avete guidati con crudeltà e violenza» (Ez 34, 4). Comandano con durezza e violenza coloro che si danno premura non di correggere i loro sudditi, ragionando serenamente, ma di piegarli con imposizioni e ordini perentori.
Invece la vera scienza fugge di proposito con tanta più sollecitudine il vizio dell’orgoglio, quanto più energicamente perseguita con le frecciate delle sue parole lo stesso maestro della superbia. La vera scienza si guarda dal rendere omaggio con l’alterigia della vita a colui che vuole scacciare con i sacri discorsi dal cuore degli ascoltatori. Al contrario, con le parole e con la vita si sforza d’inculcare l’umiltà, che è la maestra e la madre di tutte le virtù, e la predica ai discepoli della verità più con l’esempio che con le parole.
Perciò Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, quasi dimenticando la grandezza della sua dignità di apostolo, dice: «Ci siamo fatti bambini in mezzo a voi» (1 Ts 2, 7 volgata). Così l’apostolo Pietro raccomanda: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» e ammonisce che nell’insegnare vanno osservate certe regole, e soggiunge: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza» (1 Pt 3, 15-16).
Quando poi Paolo dice al suo discepolo: «Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità» (Tt 2, 15), non chiede un atteggiamento autoritario, ma piuttosto l’autorità della vita vissuta. Si insegna infatti con autorità, quando prima si fa e poi si dice. Si sottrae credibilità all’insegnamento, quando la coscienza impaccia la lingua. Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita veramente chi parla molto più dell’elevatezza del discorso. Anche del Signore è scritto: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7, 29). Egli solo parlò con vera autorità in modo tanto singolare ed eminente, perché non commise mai, per debolezza, nessuna azione malvagia. Ebbe dalla potenza della divinità ciò che diede a noi attraverso l’innocenza della sua umanità.

MARTEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MARTEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dagli «Atti del martirio» dei santi Giustino e Compagni
(Cap. 1-5; cfr. PG 6, 1366-1371)

Ho aderito alla vera dottrina
Dopo il loro arresto, i santi furono condotti dal prefetto di Roma di nome Rustico. Comparsi davanti al tribunale, il prefetto Rustico disse a Giustino: «Anzitutto credi agli dèi e presta ossequio agli imperatori».
Giustino disse: «Di nulla si può biasimare o incolpare chi obbedisce ai comandamenti del Salvatore nostro Gesù Cristo».
Il prefetto Rustico disse: «Quale dottrina professi?». Giustino rispose: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani, sebbene questa non trovi simpatia presso coloro che sono irretiti dall’errore».
Il prefetto Rustico disse: «E tu, miserabile, trovi gusto in quella dottrina?». Giustino rispose: «Sì, perché io la seguo con retta fede».
Il prefetto Rustico disse: «E qual è questa dottrina?». Giustino rispose: «Quella di adorare il Dio dei cristiani, che riteniamo unico creatore e artefice, fin da principio, di tutto l’universo, delle cose visibili e invisibili; e inoltre il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, che fu preannunziato dai profeti come colui che doveva venire tra gli uomini araldo di salvezza e maestro di buone dottrine. E io, da semplice uomo, riconosco di dire ben poco di fronte alla sua infinita Deità. Riconosco che questa capacità è propria dei profeti che preannunziano costui che poco fa ho detto essere Figlio di Dio. So bene infatti che i profeti per divina ispirazione predissero la sua venuta tra gli uomini».
Rustico disse: «Sei dunque cristiano?». Giustino rispose: «Sì, sono cristiano».
Il prefetto disse a Giustino: «Ascolta, tu che sei ritenuto sapiente e credi di conoscere la vera dottrina; se dopo di essere stato flagellato sarai decapitato, ritieni di salire al cielo?». Giustino rispose: «Spero di entrare in quella dimora se soffrirò questo. Io so infatti che per tutti coloro che avranno vissuto santamente, è riservato il favore divino sino alla fine del mondo intero».
Il prefetto Rustico disse: «Tu dunque ti immagini di salire al cielo, per ricevere una degna ricompensa?». Rispose Giustino: «Non me l’immagino, ma lo so esattamente e ne sono sicurissimo».
Il prefetto Rustico disse: «Orsù torniamo al discorso che ci siamo proposti e che urge di più. Riunitevi insieme e sacrificate concordemente agli dèi». Giustino rispose: «Nessuno che sia sano di mente passerà dalla pietà all’empietà».
Il prefetto Rustico disse: «Se non ubbidirete ai miei ordini, sarete torturati senza misericordia». Giustino rispose: «Abbiamo fiducia di salvarci per nostro Signore Gesù Cristo se saremo sottoposti alla pena, perché questo ci darà salvezza e fiducia davanti al tribunale più temibile e universale del nostro Signore e Salvatore».
Altrettanto dissero anche tutti gli altri martiri: «Fa’ quello che vuoi; noi siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli».
Il prefetto Rustico pronunziò la sentenza dicendo: «Coloro che non hanno voluto sacrificare agli dei e ubbidire all’ordine dell’imperatore, dopo essere stati flagellati siano condotti via per essere decapitati a norma di legge».
I santi martiri glorificando Dio, giunti al luogo solito, furono decapitati e portarono a termine la testimonianza della loro professione di fede nel Salvatore.

Responsorio   At 20, 21. 24; Rm 1, 16
R. Non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare il Signore nostro Gesù Cristo. * Questo è il servizio che mi fu affidato: rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.
V. Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco.
R. Questo è il servizio che mi fu affidato: rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.

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