Archive pour juin, 2010

Omelia per il giorno 7 giugno 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15427.html

Omelia (08-06-2009) 
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 5,1-12

1) Preghiera

O Dio, sorgente di ogni bene,
ispiraci propositi giusti e santi
e donaci il tuo aiuto,
perché possiamo attuarli nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”.

3) Riflessione

• Da oggi, inizio della 10a Settimana del Tempo Ordinario, fino alla 21ª Settimana del Tempo Ordinario, i vangeli quotidiani sono tratti dal vangelo di Matteo. A partire dalla 22ª Settimana del Tempo Ordinario, fino al termine dell’anno liturgico, sono tratti dal vangelo di Luca.
• Nel vangelo di Matteo, scritto per le comunità di giudei convertiti della Galilea e Siria, Gesù è presentato come il nuovo Mosè, il nuovo legislatore. Nell’AT la Legge di Mosè venne codificata in cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Imitando l’antico modello, Matteo presenta la Nuova Legge in cinque grandi discorsi sparsi nel vangelo: a) Il Discorso della Montagna (Mt 5,1 a 7,29); b) Il Discorso della Missione (Mt 10,1-42); c) Il Discorso delle Parabole (Mt 13,1-52); d) Il Discorso della Comunità (Mt 18,1-35); e) il Discorso del Futuro del Regno (Mt 24,1 a 25,46). Le parti narrative, intercalate tra i cinque Discorsi, descrivono la pratica di Gesù e mostrano come osservava la nuova Legge e la incarnava nella sua vita.
• Matteo 5,1-2: Il solenne annuncio della Nuova Legge. D’accordo con il contesto del vangelo di Matteo, nel momento in cui Gesù pronuncia il Discorso della Montagna, c’erano appena quattro discepoli con lui (cf. Mt 4,18-22). Poca gente. Ma una moltitudine immensa stava dietro di lui (Mt 4,25). Nell’AT, Mosè salì sul monte Sinai per ricevere la Legge di Dio. Come avvenne con Mosè, Gesù sale sulla Montagna e, guardando la folla, proclama la Nuova Legge. E’ significativo il modo solenne con cui Matteo introduce la proclamazione della Nuova Legge: “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Le otto Beatitudini aprono in modo solenne il “Discorso della Montagna”. In esse Gesù definisce chi può essere considerato beato, chi può entrare nel Regno. Sono otto categorie di persone, otto porte di ingresso per il Regno, per la Comunità. Non ci sono altre entrate! Chi vuole entrare nel Regno dovrà identificarsi almeno con una di queste otto categorie.
• Matteo 5,3: Beati i poveri in spirito. Gesù riconosce la ricchezza e il valore dei poveri (Mt 11,25-26). Definisce la propria missione in questi termini: “annunciare la Buona Novella ai poveri” (Lc 4,18). Lui stesso vive da povero. Non possiede nulla per sé, nemmeno una pietra su cui reclinare il capo (Mt 8,20). E a chi vuole seguirlo, ordina di scegliere: o Dio, o il denaro! (Mt 6,24). Nel vangelo di Luca si dice: “Beati voi poveri!” (Lc 6,20). Ma chi è il “povero in spirito”? E’ il povero che ha lo stesso spirito che animò Gesù. Non è il ricco, nemmeno il povero con la mentalità di ricco. Bensì è il povero che, come fa Gesù, pensa ai poveri e ne riconosce il valore. E’ il povero che dice: “Penso che il mondo sarà migliore quando il minore che soffre pensa al minore”.
1. Beati i poveri in spirito => di essi è il Regno dei Cieli
2. Beati i miti => erediteranno la terra
3. Beati gli afflitti => saranno consolati
4. Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia => saranno saziati
5. Beati i misericordiosi => otterranno misericordia
6. Beati i puri di cuore => vedranno Dio
7. Beati i promotori di pace => saranno figli di Dio
8. Beati i perseguitati per causa della giustizia => di essi è il regno dei cieli
• Matteo 5,4-9: Il nuovo progetto di vita. Ogni volta che nella Bibbia si cerca di rinnovare l’Alleanza, si ricomincia ristabilendo il diritto dei poveri e degli esclusi. Senza di questo, l’Alleanza non si rifà! Così facevano i profeti, così fa Gesù. Nelle beatitudini, Gesù annuncia il nuovo Progetto di Dio che accoglie i poveri e gli esclusi. Denuncia il sistema che esclude i poveri e che perseguita coloro che lottano per la giustizia. La prima categoria dei “poveri in spirito” e l’ultima categoria dei “perseguitati per causa della giustizia” ricevono la stessa promessa del Regno dei Cieli. E la ricevono fin da ora, nel presente, poiché Gesù dice “di essi è il Regno!” Il Regno è già presente nella loro vita. Tra la prima e l’ultima categoria, ci sono sei altre categorie che ricevono la promessa del Regno. In esse appare il nuovo progetto di vita che vuole ricostruire la vita nella sua totalità mediante un nuovo tipo di rapporto: con i beni materiali (1a coppia); con le persone tra di loro (2a coppia); con Dio (3a coppia). La comunità cristiana deve essere un esempio di questo Regno, un luogo dove il Regno comincia a prendere forma fin da ora.
• Le tre coppie: Prima coppia: i miti e gli afflitti: I miti sono i poveri di cui parla il salmo 37. Loro sono stati privati delle loro terre e le erediteranno di nuovo (Sal 37,11; cf Sal 37.22.29.34). Gli afflitti sono coloro che piangono dinanzi all’ingiustizia nel mondo e nella gente (cf. Sal 119,136; Ez 9,4; Tb 13,16; 2Pd 2,7). Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto con i beni materiali: il possesso della terra ed il mondo riconciliato.
Seconda coppia: coloro che hanno fame e sete di giustizia ed i misericordiosi: Coloro che hanno fame e sete di giustizia sono coloro che desiderano rinnovare la convivenza umana, in modo che sia di nuovo d’accordo con le esigenze della giustizia. I misericordiosi sono coloro che hanno il cuore nella miseria degli altri perché vogliono eliminare le disuguaglianze tra fratelli e sorelle. Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto tra le persone mediante la pratica della giustizia e della solidarietà.
Terza coppia: i puri di cuore ed i pacifici: I puri di cuore sono coloro che hanno uno sguardo contemplativo che permette loro di percepire la presenza di Dio in tutto. Coloro che promuovono la pace saranno chiamati figli di Dio, perché si sforzano affinché una nuova esperienza di Dio possa penetrare il tutto e riesca ad integrare il tutto. Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto con Dio: vedere la presenza di Dio che agisce in tutto, ed essere chiamati figlio e figlia di Dio.
• Matteo 5,10-12: I perseguitati per causa della giustizia e del vangelo. Le beatitudini dicono esattamente il contrario di ciò che dice la società in cui viviamo. Infatti, nella società il perseguitato per la giustizia è considerato un infelice. Il povero è un infelice. Beato è colui che ha denaro e può andare al supermercato e spendere come vuole. Beato è colui che ha fama e potere. Gli infelici sono i poveri, coloro che piangono! In televisione, i teleromanzi divulgano questo mito della persona felice e realizzata. E senza che ce ne rendiamo conto, diventano il modello di vita per molti di noi. C’è ancora posto nella nostra società per queste parole di Gesù: “Beati i perseguitati per causa della giustizia e del vangelo! Beati i poveri! Beati coloro che piangono!”? E per me, che sono cristiano o cristiana, di fatto chi è beato?

4) Per un confronto personale

• Tutti vogliamo essere felici. Tutti e tutte! Ma siamo veramente felici? Perché sì? Perché no? Come capire che una persona possa essere povera e felice allo stesso tempo?
• Quali sono i momenti nella tua vita in cui ti sei sentito/a veramente felice? Era una felicità come quella che fu proclamata da Gesù nelle beatitudini, o era di un altro tipo?

5) Preghiera finale

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra. (Sal 120)

San Cromazio di Aquileia : « Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo » (Gv 1,17)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100607

Lunedì della X settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 5,1-12
Meditazione del giorno
San Cromazio di Aquileia ( ? – 407), vescovo
Discorsi, 39 ; CCL 9A, 169-170

« Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo » (Gv 1,17)

        Occorreva che la legge nuova fosse proclamata su un monte, dato che la legge di Mosè era stata data su un monte. Una consiste in dieci comandamenti destinati a formare gli uomini in vista della condotta della vita presente, l’altra consiste in otto beatitudini, perché conduce coloro che la seguono alla vita eterna e alla patria celeste.

        « Beati i miti, perché erediteranno la terra ». Occorre dunque essere miti, pacifici e sinceri di cuore ; il Signore mostra chiaramente che il merito di tali uomini non è di poco conto dicendo : « Erediteranno la terra ». Si tratta senza dubbio di quella terra di cui sta scritto : « Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi » (Sal 26,13). L’eredità di quella terra, è l’immortalità del corpo e la gloria della risurrezione eterna. Infatti la mitezza ignora la superbia, non conosce la vanteria, non conosce l’ambizione. Perciò, altrove, il Signore esorta non senza ragione i suoi discepoli dicendo : « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime » (Mt 11,29).

        « Beati gli afflitti, perché saranno consolati ». Non coloro che piangono perché hanno perso ciò che è loro caro, ma coloro che piangono i loro peccati, che si lavano dalle loro colpe con le lacrime, e senza dubbio coloro che piangono l’iniquità di questo mondo, o deplorano le colpe degli altri.

L’ultima intervista di mons. Padovese a SIR Europa (n. 39 del 26 maggio 2010)

dal sito:

http://www.agensir.it/pls/sir/V2_S2DOC_B.quotidiano?id_session=guest&password=guest&id_oggetto=195745&tema=Anticipazioni&argomento=dettaglio&sezione=&quantita=&data_ora=03/06/2010

Giovedi 03 Giugno 2010

TURCHIA – Lo sguardo a Oriente

L’ultima intervista di mons. Padovese a SIR Europa (n. 39 del 26 maggio 2010)
 
Mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, è stato ucciso oggi a Iskenderun, in Turchia. Lo ha confermato il vescovo di Smirne, mons. Ruggero Franceschini. « Un fatto orribile, siamo costernati »: queste le prime parole del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
Pubblichiamo di seguito l’ultima intervista di mons. Padovese a SIR Europa (n. 39 del 26 maggio 2010).

Eccellenza, con l’Anno Paolino, Tarso e Antiochia sono ormai entrate a pieno titolo tra le mete più amate dai pellegrini di tutto il mondo. Eppure non si riesce ancora ad avere la concessione della chiesa di san Paolo…
« Sulla concessione, finora, verbale della chiesa, siamo ancora a livello di trattativa; la situazione non è pienamente risolta. Ciò che di fatto ci interessa non è tanto la proprietà della chiesa o che questa venga data in gestione alla Chiesa cattolica o alla comunità ortodossa. Ci interessa soprattutto la possibilità di celebrare liberamente e cosicché tutti i pellegrini possano andare a Tarso sapendo che possono pregare senza essere disturbati e senza limitazione. Abbiamo gruppi che arrivano quasi quotidianamente e prevedo un sensibile aumento nei prossimi mesi. Tarso, con Antiochia e la Cappadocia, è nei grandi percorsi di pellegrinaggio e questo è un bene anche per la Chiesa turca ».

Anche alla luce dell’Anno Paolino, con che spirito la Chiesa di Turchia parteciperà al Sinodo per il Medio Oriente di ottobre?
« Ho collaborato alla stesura dei Lineamenta e dell’Instrumentum laboris che verrà consegnato ai vescovi d’Oriente da Benedetto XVI a Cipro il 6 giugno. Al Sinodo ci sarà una Chiesa turca rinvigorita e più consapevole della propria fede. Tra i frutti dell’Anno Paolino e dei tanti pellegrinaggi che qui continuano ad arrivare, c’è anche la maggiore consapevolezza dei cristiani locali della preziosità di questi luoghi per la tradizione cristiana. La presenza dei pellegrini ridesta la certezza di vivere in una Terra Santa. Altro effetto positivo riguarda i musulmani. Essi vedono che giungono cristiani che, lungi dal voler sfruttare turisticamente il posto, si mettono in atteggiamento di preghiera e ciò aiuta a superare diffidenze reciproche che si sono accumulate nel passato. Credo che la testimonianza più bella che si possa dare alla Turchia sia quella di vedere uomini e donne che pregano ».

In che modo il tema del Sinodo « La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza » interpella la Chiesa cattolica turca?
« Siamo interpellati sia dal punto di vista del dialogo ecumenico sia da quello con l’Islam. Vivendo in un Paese a maggioranza musulmana c’è la necessità da parte dei cristiani di non essere frammentati in tanti ruscelli ma di costituire un fiume, mettendo in evidenza le cose che ci uniscono e dando l’idea alla società islamica che i cristiani non sono divisi ma distinti. E questa è una ricchezza. Va sfatata poi l’impressione che la Chiesa, soprattutto quella latina, stia facendo proselitismo. Siamo una presenza rispettosa delle altre identità confessionali e religiose e vogliamo essere riconosciuti come tali con tutti i diritti. Noi siamo cittadini dei Paesi nei quali viviamo. La nostra forza si appoggia non tanto sulla nostra fede quanto piuttosto sul diritto che ogni Costituzione riconosce ai propri cittadini. Nei Paesi a maggioranza musulmana, dove le Chiese del Medio Oriente vivono, il Cristianesimo è visto come una religione lecita, è permesso essere cristiani però talvolta, in più aspetti, si vive in una situazione di inferiorità rispetto agli altri. Il diritto di rivendicare la piena cittadinanza, specie in Paesi musulmani diventa quanto mai importante ».

Tra meno di dieci giorni Benedetto XVI si recherà a Cipro, ponte tra l’Europa e la Terra Santa, dove consegnerà l’Instrumentum laboris del Sinodo. A suo parere, cosa potrà dare questo Sinodo alle Chiese europee?
« Avvicinarle alle sorelle orientali. Cipro come la Turchia è una realtà di ponte tra due mondi e due culture e anche tra due religioni. È significativo che la Chiesa cattolica cipriota sia stata da poco riconosciuta come membro effettivo del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali europee. La Chiesa turca e cipriota, presenti al Sinodo, essendo realtà di mediazione, potranno favorire uno sguardo più attento e approfondito rivolto alle Chiese d’Oriente ». 

Papa Bendetto: Il martirio e l’eredità di San Paolo (in ricordo di Padre Luigi Padovese)

in ricordo di Padre Luigi Padovese, dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20090204_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 4 febbraio 2009  

San Paolo (20)

Il martirio e l’eredità di San Paolo

Cari fratelli e sorelle,

la serie delle nostre catechesi sulla figura di san Paolo è arrivata alla sua conclusione: vogliamo parlare oggi del termine della sua vita terrena. L’antica tradizione cristiana testimonia unanimemente che la morte di Paolo avvenne in conseguenza del martirio subito qui a Roma. Gli scritti del Nuovo Testamento non ci riportano il fatto. Gli Atti degli Apostoli terminano il loro racconto accennando alla condizione di prigionia dell’Apostolo, che poteva tuttavia accogliere tutti quelli che andavano da lui (cfr At 28,30-31). Solo nella seconda Lettera a Timoteo troviamo queste sue parole premonitrici: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele” (2 Tm 4,6; cfr Fil 2,17). Si usano qui due immagini, quella cultuale del sacrificio, che Paolo aveva usato già nella Lettera ai Filippesi interpretando il martirio come parte del sacrificio di Cristo, e quella marinaresca del mollare gli ormeggi: due immagini che insieme alludono discretamente all’evento della morte e di una morte cruenta.

La prima testimonianza esplicita sulla fine di san Paolo ci viene dalla metà degli anni 90 del secolo I, quindi poco più di tre decenni dopo la sua morte effettiva. Si tratta precisamente della Lettera che la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo Clemente I, scrisse alla Chiesa di Corinto. In quel testo epistolare si invita a tenere davanti agli occhi l’esempio degli Apostoli, e, subito dopo aver menzionato il martirio di Pietro, si legge così: “Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l’araldo di Cristo nell’Oriente e nell’Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all’estremità dell’occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza” (1 Clem 5,2). La pazienza di cui il testo parla è espressione della comunione di Paolo alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal 6,17). Abbiamo sentito nel testo di san Clemente che Paolo sarebbe arrivato fino all’«estremità dell’occidente». Si discute se questo sia un accenno a un viaggio in Spagna che san Paolo avrebbe fatto. Non esiste certezza su questo, ma è vero che san Paolo nella sua Lettera ai Romani esprime la sua intenzione di andare in Spagna (cfr Rm 15,24).

Molto interessante invece è nella lettera di Clemente il succedersi dei due nomi di Pietro e di Paolo, anche se essi verranno invertiti nella testimonianza di Eusebio di Cesarea del secolo IV, che parlando dell’imperatore Nerone scriverà: “Durante il suo regno Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocifisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in quella città” (Hist. eccl. 2,25,5). Eusebio poi continua riportando l’antecedente dichiarazione di un presbitero romano di nome Gaio, risalente agli inizi del secolo II: “Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli: se andrai al Vaticano o sulla Via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa” (ibid. 2,25,6-7). I “trofei” sono i monumenti sepolcrali, e si tratta delle stesse sepolture di Pietro e di Paolo, che ancora oggi noi veneriamo dopo due millenni negli stessi luoghi: sia qui in Vaticano per quanto riguarda san Pietro, sia nella Basilica di San Paolo fuori le Mura sulla Via Ostiense per quanto riguarda l’Apostolo delle genti.

È interessante rilevare che i due grandi Apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica parla di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell’impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma. Così infatti si legge in Ireneo di Lione, verso la fine del II secolo, a proposito della successione apostolica nelle varie Chiese: “Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo” (Adv. haer. 3,3,2).

Lasciamo però da parte adesso la figura di Pietro e concentriamoci su quella di Paolo. Il suo martirio viene raccontato per la prima volta dagli Atti di Paolo, scritti verso la fine del II secolo. Essi riferiscono che Nerone lo condannò a morte per decapitazione, eseguita subito dopo (cfr 9,5). La data della morte varia già nelle fonti antiche, che la pongono tra la persecuzione scatenata da Nerone stesso dopo l’incendio di Roma nel luglio del 64 e l’ultimo anno del suo regno, cioè il 68 (cfr Gerolamo, De viris ill. 5,8). Il calcolo dipende molto dalla cronologia dell’arrivo di Paolo a Roma, una discussione nella quale non possiamo qui entrare. Tradizioni successive preciseranno due altri elementi. L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Aquae Salviae, sulla Via Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l’uscita di un fiotto d’acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi “Tre Fontane” (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello, del secolo V). L’altro, in consonanza con l’antica testimonianza, già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo “fuori della città… al secondo miglio sulla Via Ostiense”, ma più precisamente “nel podere di Lucina”, che era una matrona cristiana (Passione di Paolo dello Pseudo Abdia, del secolo VI). Qui, nel secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente ampliata tra il secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio. Dopo l’incendio del luglio 1823, fu qui eretta l’attuale basilica di San Paolo fuori le Mura.

In ogni caso, la figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. Mentre tra i cosiddetti “ebioniti” – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. Vorrei prescindere ora dalla letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa “presenza” nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.

E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si siano nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto di lui sette Panegirici memorabili. Sant’Agostino dovrà a lui il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia della grazia, che è rimasta fondamentale per la teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell’esegesi medioevale. Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. Il momento decisivo nella vita di Lutero, fu il cosiddetto «Turmerlebnis» (forse 1517), nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo-cristiano, condannato dall’Apostolo, con l’ordine di vita della Chiesa cattolica. E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. Il Concilio di Trento (1545 – 1563) interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la vera sintesi tra Legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità.

Il secolo XIX, raccogliendo l’eredità migliore dell’Illuminismo, conobbe una nuova reviviscenza del paolinismo soprattutto sul piano del lavoro scientifico sviluppato dall’interpretazione storico-critica della Sacra Scrittura. Prescindiamo qui dal fatto che anche in quel secolo, come poi nel secolo ventesimo, emerse una vera e propria denigrazione di san Paolo. Penso soprattutto a Nietzsche che derideva la teologia dell’umiltà di san Paolo, opponendo ad essa la sua filosofia dell’uomo forte e potente: il superuomo. Prescindiamo da questo e vediamo la corrente essenziale della nuova interpretazione scientifica della Sacra Scrittura e del nuovo paolinismo del secolo XX. Qui è stato sottolineato soprattutto come centrale nel pensiero paolino il concetto di libertà: in esso è stato visto il cuore del pensiero paolino, come del resto aveva già intuito Lutero. Ora però il concetto di libertà veniva reinterpretato nel contesto del liberalismo moderno. E poi è sottolineata fortemente la differenziazione tra l’annuncio di san Paolo e l’annuncio di Gesù. E san Paolo appare quasi come un nuovo fondatore del cristianesimo. Vero è che in san Paolo la centralità del Regno di Dio, determinante per l’annuncio di Gesù, viene trasformata nella centralità della cristologia, il cui punto determinante è il mistero pasquale. E dal mistero pasquale risultano i Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, come presenza permanente di questo mistero, dal quale cresce il Corpo di Cristo, si costruisce la Chiesa. Ma direi, senza entrare adesso in dettagli, che proprio nella nuova centralità della cristologia e del mistero pasquale si realizza il Regno di Dio, diventa concreto, presente, operante l’annuncio autentico di Gesù. Abbiamo visto nelle catechesi precedenti che proprio questa novità paolina è la fedeltà più profonda all’annuncio di Gesù. Nel progresso dell’esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono anche le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico: la giustificazione. Emerge così una grande speranza per la causa dell’ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II.

Brevemente vorrei alla fine ancora accennare ai vari movimenti religiosi, sorti in età moderna all’interno della Chiesa cattolica, che si rifanno al nome di san Paolo. Così è avvenuto nel secolo XVI con la “Congregazione di san Paolo” detta dei Barnabiti, nel secolo XIX con i “Missionari di san Paolo” o Paulisti, e nel secolo XX con la poliedrica “Famiglia Paolina” fondata dal Beato Giacomo Alberione, per non dire dell’Istituto Secolare della “Compagnia di san Paolo”. In buona sostanza, resta luminosa davanti a noi la figura di un apostolo e di un pensatore cristiano estremamente fecondo e profondo, dal cui accostamento ciascuno può trarre giovamento. In uno dei suoi panegirici, San Giovanni Crisostomo instaura un originale paragone tra Paolo e Noè, esprimendosi così: Paolo “non mise insieme delle assi per fabbricare un’arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l’intera ecumene che era sul punto di perire” (Paneg. 1,5). Proprio questo può ancora e sempre fare l’apostolo Paolo. Attingere a lui, tanto al suo esempio apostolico quanto alla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo, se non una garanzia, per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa.

San Tommaso d’Aquino: « Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli» (Sequenza della festa)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100606

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, solennità : Lc 9,11-17
Meditazione del giorno
San Tommaso d’Aquino (1225-1274), teologo domenicano, dottore della Chiesa
Preghiere

« Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli» (Sequenza della festa)

        Dio onnipotente ed eterno, ecco che mi avvicino al sacramento del tuo Figlio unigenito, il nostro Signore Gesù Cristo. Malato, vengo dal medico dal quale dipende la mia vita; macchiato, alla sorgente della misericordia; cieco, al focolare della luce eterna; povero e privo di tutto, dal maestro del cielo e della terra.

        Imploro dunque la tua immensa, la tua inesauribile generosità, affinché ti degni di guarire le mie infermità, di lavare le mie macchie, di illuminare la mia cecità, di colmare la mia indigenza, di coprire la mia nudità; e così, io possa ricevere il pane degli angeli (Sal 77,25), il Re dei re, il Signore dei signori (1 Tm 6,15), con tutta la riverenza e l’umiltà, tutta la contrizione e la devozione, tutta la purezza e la fede, tutta la fermezza del proposito e la rettitudine dell’intenzione che la salvezza della mia anima richiede.

        Dammi, ti prego, di non ricevere semplicemente il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma proprio tutta la fortezza e l’efficacia del sacramento. Dio pieno di mitezza, dammi di ricevere il Corpo del tuo Figlio unigenito, nostro Signore Gesù Cristo, questo corpo materiale che egli ha ricevuto dalla Vergine Maria, in modo tale da meritare di essere incorporato al suo corpo mistico e di figurare tra le sue membra.

        Padre pieno di amore, concedi a me che sto per ricevere ora il tuo Figlio amatissimo sotto il velo che si addice al mio stato di pellegrino, che io possa un giorno contemplarlo a viso scoperto e per l’eternità, lui che, essendo Dio, vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

Omelia per domenica 6 giugno, seconda lettura: 2Cor 11,23-26

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10070.html

Omelia (10-06-2007) 
padre Raniero Cantalamessa

Fate questo in memoria di me

(seconda lettura 2Cor 11,23-26)

Nella seconda lettura di questa festa, san Paolo ci presenta il più antico resoconto della istituzione dell’Eucaristia, scritto non più di una ventina d’anni dopo il fatto. Cerchiamo di scoprire qualcosa di nuovo del mistero eucaristico, servendoci del concetto di memoriale: « Fate questo in memoria di me ».

La memoria è una delle facoltà più misteriose e più grandiose dello spirito umano. Tutte le cose viste, udite, pensate e fatte fin dalla prima infanzia, sono conservate in questo seno immenso, pronte a ridestarsi e a balzare alla luce, a un richiamo esterno o della stessa nostra volontà. Senza memoria, cesseremmo di essere noi stessi, perderemmo la nostra identità. Chi è colpito da amnesia totale, vaga smarrito per le strade, senza sapere né come si chiama, né dove abita.

Il ricordo, al suo affacciarsi alla mente, ha il potere di catalizzare tutto il nostro mondo interiore e convogliarlo verso il suo oggetto, specie se questo non è una cosa o un fatto, ma una persona viva. Quando una mamma si ricorda del suo bambino che ha dato alla luce da pochi giorni e che ha lasciato a casa, tutto dentro di lei vola verso la sua creatura, un impeto di tenerezza sale dalle viscere materne e vela forse gli occhi di pianto.

Non solo l’individuo, ma anche il gruppo umano -famiglia, clan, tribù, nazione- ha la sua memoria. La ricchezza di un popolo non si misura tanto dalle riserve auree che conserva nelle sue casseforti, quanto dalle memorie che conserva nella sua coscienza collettiva. È proprio il condividere gli stessi ricordi che cementa l’unità del gruppo. Per conservare vivi tali ricordi, essi vengono legati a un luogo, a una festa. Gli americani hanno il Memorial Day, giorno in cui ricordano i caduti di tutte le guerre; gli indiani, il Gandhi memorial, un parco verde in New Delhi che deve ricordare alla nazione quello che egli è stato e ha fatto per essa. Anche noi italiani abbiamo i nostri memoriali: le feste civili ricordano gli eventi più importanti della nostra storia recente e ai nostri uomini più illustri sono dedicate vie, piazze, aeroporti…

Questo ricchissimo retroterra umano circa la memoria ci dovrebbe aiutare a capire meglio cos’è l’Eucaristia per il popolo cristiano. Essa è un memoriale perché ricorda l’evento a cui ormai tutta l’umanità deve la sua esistenza, come umanità redenta: la morte del Signore. Ma l’Eucaristia ha qualcosa che la distingue da ogni altro memoriale. Essa è memoria e presenza insieme, e presenza reale, non solo intenzionale; rende la persona realmente presente, anche se nascosta sotto i segni del pane e del vino. Il Memorial Day non può far sì che i caduti tornino in vita, il Gandhi memorial non può far sì che Gandhi sia vivo. Questo invece fa’, secondo la fede dei cristiani, il memoriale eucaristico nei riguardi di Cristo.

Ma insieme con tutte le cose belle che abbiamo detto della memoria, dobbiamo menzionare anche un pericolo insito in essa. La memoria si può trasformare facilmente in sterile e paralizzante nostalgia. Questo avviene quando la persona diviene prigioniera dei propri ricordi e finisce per vivere nel passato. Il memoriale eucaristico non appartiene davvero a questa specie di ricordi.

Al contrario essa ci proietta in avanti; dopo la consacrazione, il popolo acclama: « Annunciamo la tua morte, Signore. Proclamiamo la tua risurrezione. Nell’attesa della tua venuta ». Un’antifona attribuita a san Tommaso d’Aquino (O sacrum convivium) definisce l’Eucaristia il sacro convito in cui « si riceve Cristo, si celebra la memoria della sua passione, l’anima si riempie di grazia e a noi viene dato il pegno della gloria futura ». 

Omelia (06-06-2010) : L’incredibile Amore di Dio

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18651.html

Omelia (06-06-2010) 
mons. Antonio Riboldi

L’incredibile Amore di Dio

« Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici.
Impegna tutto il tuo fervore, Egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno.
Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode » (dalla sequenza della S. Messa).
Ci sono parole che fanno sobbalzare di stupore e di gioia insieme: uno stupore ed una gioia interiore profondi per noi poveri uomini, che ci permettono di entrare là dove è il centro dell’Amore, il Cuore del Padre. Già è difficile per noi entrare nel sacrario gelosamente custodito del cuore degli altri, ossia sapere come e quanto ci ami uno che si dichiara amico.
E tutti facciamo l’esperienza che l’amicizia, se è vera, profonda, è un bene che non conosce tramonto, è un prezioso, libero dono che aiuta a condividere gioie e sofferenze. Incredibile dono, ma è anche vero che troppe volte è ridotto ad un ‘effimerò, che si ferma alle parole, ma non varca la porta del cuore.
Ma le parole che Gesù oggi ci offre, solennità del Corpus Domini, ci rassicurano di come, in Dio, la natura dell’amore davvero non ha confini né di tempo né di spazio:
« Io sono il pane vivo disceso dal cielo dice Gesù chi mi mangia vivrà ».
Il Concilio Vaticano II così definisce l’Eucarestia:
« Il nostro Salvatore, nell’Ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della croce, e per affidare alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e resurrezione, sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima è ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura ». (S.C..n. 47)
Ed è lo stesso Gesù che si incarica di introdurci nella grandezza del dono, partendo da una realtà che è vita quotidiana, ossia la necessità del pane come nutrimento per questa vita terrena. Il Maestro come sempre era circondato da tanta gente che si lasciava affascinare -dalla Sua Parola ‘di vita, al punto da non preoccuparsi delle necessità immediate.
Era sempre l’attenzione di Gesù ad interpretare i bisogni, anche materiali, magari invitando gli apostoli a farsene carico e, davanti alla loro impotenza, era Lui a provvedere. Pensiamo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci…
Gesù sa molto bene che senza ‘pané l’uomo non può vivere. É sempre davanti al nostro cuore la dura realtà di milioni di uomini, donne e bambini, nei Paesi poveri – ma che ora con un eufemismo sono diventati Paesi in via di sviluppo – .
E sappiamo tutti che la giustizia, lo sviluppo non si fermassero alle sole nazioni ricche, ci sarebbe cibo per tutti. Lo dicono le statistiche. È davvero una grande responsabilità che grava sulle coscienze, se pensiamo che Gesù è arrivato ad affermare: ‘Avevo fame e non mi avete dato da mangiare…Andate, maledetti!’.
Ma Gesù sa che, anche quando vi è il pane terreno, occorre qualcosa di più per la vita dello spirito, che certamente è un valore superiore a quello del corpo.
C’è tanta gente povera di pane materiale, ma di una ricchezza spirituale incredibile. Per questo Gesù, dopo la moltiplicazione dei pani, continua, possiamo dire, a manifestarci tutta la verità, cioè qual è la vera forza dell’uomo: la salute e vita del cuore.
Ed è in questa dimensione che c’è bisogno del ‘pane, che Dio offre dal Cielo…ed annuncia il grande dono dell’Eucarestia, che allora come oggi, non tutti s’armo accogliere con fede.
Così racconta Giovanni:
« Io sono il pane quello vivo venuto dal cielo…Chi mangia la mia carne vivrà per sempre. Il pane che io darò è il mio corpo, dato perché il mondo abbia vita ».
Ma…
Gli avversari di Gesù si misero a discutere tra di loro e dicevano: ‘Come può darci il suo corpo da mangiare?’ Gesù replicò: ‘Io vi dichiaro una cosa: se non mangiate il corpo del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vità.
Ma…
« Molti discepoli, sentendo Gesù parlare così dissero: ‘Adesso esagera! Chi può ascoltare cose simili?’ … E da quel momento molti discepoli di Gesù si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Allora Gesù (certamente molto deluso e lo è ancora oggi nel vedere rifiutato un tale immenso dono) domandò agli Apostoli: ‘Forse volete andarvene anche voi?’.
Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E ora noi crediamo e sappiamo che Tu sei quello che Dio ha mandato » (Gv. 6, 51-70).
Si rimane davvero sconcertati nel leggere questo stupendo racconto del Vangelo.
il cuore del Vangelo e della nostra vita da cristiani, che dovrebbe suscitare gioia, meraviglia, sapendo che nella vita ora non dobbiamo solo più contare sulle nostre deboli forze, quando vogliamo essere buoni discepoli di Gesù, perché il Si…ore si fa una cosa sola con noi nell’Eucarestia. Confesso che ogni volta celebro la S. Messa, al momento della Consacrazione, quando si avverano le parole di Gesù: ‘Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo; prendete e bevetene tutti questo è il calice del mio sangue’ sento la forza di questo mistero della fede, consapevole che ci si dovrebbe sempre fermare in adorazione: Troppo grande per la nostra corta intelligenza e piccolo cuore. E si dovrebbe non riuscire a contenere la pienezza del cuore nel momento che il Suo Corpo lo riceviamo nella Comunione.
Senza il sostegno dello Spirito, impossibile ‘credere’ che Dio non solo, abita in noi, ma si fa ‘pane di vità con la nostra vita. Per questo tanti santi – e lo si racconta tra l’altro di S. Pio da Pietrelcina – si fermavano a lungo nella contemplazione di questo Mistero di Amore.
Sono tanti gli anni del mio sacerdozio e da vescovo, e posso confessarvi che mai e poi mai ho rinunciato alla Messa quotidiana.
Troppo necessaria l’Energia divina di Gesù per affrontare la vita con i suoi impegni. E davvero non riesco a capire come troppi, che si dicono cristiani, guardino alla S. Messa come un obbligo o, peggio ancora, una formalità che si può tralasciare con estrema facilità.
un comportamento simile a quello di coloro che sentendo Gesù, se ne andarono dicendo: ‘Adesso esagera: chi può ascoltare cose simili?:
E di fronte a coloro che ‘snobbano’ l’Eucarestia, pare di sentire la voce del Maestro: ‘Ve ne volete andare anche voi?’.
Come sarebbe bello se tutti sentissero l’urgenza di ripetere con Pietro: ‘ Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’.
Commentava il nostro Paolo VI:
« L’Eucarestia è anzitutto comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente. Agnello immolato per la nostra salvezza, amico, fratello, sposo, misteriosamente nascosto sotto la semplicità delle apparenze eppure glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica, comunicandoci i frutti del mistero pasquale. La mente si perde, perché ha difficoltà a capire, i sensi dubitano, perché si trovano dinnanzi a realtà note, il pane e il vino, i due elementi più semplici del nostro vivere quotidiano… Se l’Eucarestia è un grande mistero che la mente non comprende, possiamo almeno capire l’amore che vi risplende. Possiamo almeno riflettere sull’intimità che Gesù vuole avere con noi ».
Ho ancora vivo il ricordo di un casuale incontro con un donna anziana che faticava a camminare, ma era tanto assorta che non si accorse che mi ero fermato con la macchina per assicurarmi della sua salute. Accettò di salire in macchina, mi indicò dove abitava e per tutto il breve tempo che restò non proferì una parola, tutta assorta in se stessa. Quando scese mi chiese scusa: ‘Ero in dialogo con Gesù che ho ricevuto nella Comunione e non volevo perdere un briciolo della gioia della Sua Presenza’. Meravigliosa donna!
Pensando spesso a lei, durante la S. Messa festiva, mi chiedo il perché di tante assenze.
Che cosa è più importante di Gesù? Forse la gita, le cose da sbrigare, chissà… Di fatto per un nulla troppi sacrificano il tutto che dà la vita: il vero Pane della Vita.
Che Gesù ci faccia innamorare tutti fino a non lasciarLo mai fuori della porta della nostra vita. Con la Chiesa cantiamo:
« Ecco il pane degli Angeli, pane dei pellegrini,
vero pane dei figli, non deve essere mai gettato.
Buon Pastore, vero Pane, abbi pietà di noi:
nutrici, difendici, portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli alla gioia del cielo
nella gioia dei tuoi santi » (Sequenza del Corpus Domini). 

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