Archive pour juin, 2010

29 giugno 2010, la festa nella tradizione bizantina: …essi sono le ali della conoscenza di Dio… le braccia della croce…

dal sito:

http://collegiogreco.blogspot.com/2010/06/la-festa-dei-santi-pietro-e-paolo-nella.html

martedì 29 giugno 2010

La festa dei santi Pietro e Paolo nella tradizione bizantina

…essi sono le ali della conoscenza di Dio… le braccia della croce…

La festa degli apostoli Pietro e Paolo il giorno 29 giugno è celebrata in tutte le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente, e in alcune delle tradizioni orientali come quella bizantina è preceduta da un periodo di digiuno (quaresima) con una durata variabile in quanto essa inizia il lunedì dopo la domenica di Tutti i Santi, che è quella successiva alla domenica di Pentecoste. Collegata ancora alla presente festa dei due apostoli troviamo nella tradizione bizantina il giorno seguente la celebrazione (sinassi) dei Dodici Apostoli, discepoli del Signore, testimoni della sua Risurrezione, predicatori del suo Vangelo nel mondo intero. L’iconografia di Pietro e Paolo ci tramanda l’abbraccio fraterno tra i due apostoli; oppure l’icona di Pietro e Paolo che sorreggono l’edificio della Chiesa. Inoltre i tratti iconografici dell’uno e dell’altro sono quelli che troviamo già nella tradizione iconografica e musiva più antica di Oriente e di Occidente, tramandata fino a noi: Pietro con cappelli ricci, fronte bassa e barba corta arrotondata; Paolo invece, fronte alta, calvo e barba lunga e liscia. Questa fedeltà iconografica nei tratti del volto di ambedue ci permette di riconoscere la presenza di Pietro e di Paolo nell’icona della Pentecoste, nell’icona della Dormizione della Madre di Dio ed anche nell’icona della comunione degli Apostoli dove Cristo da una parte dell’icona dà il suo Corpo a Pietro e ad altri cinque apostoli, e dall’altra parte dell’icona Cristo che porge il calice con il suo Sangue a Paolo e ad altri cinque apostoli. Queste icone hanno una chiara simbologia ecclesiologica e sacramentaria e, quindi, vogliono sottolineare il ruolo centrale dei due apostoli nella vita della Chiesa. L’ufficiatura vespertina del 29 giugno nei tropari celebra e loda ambedue gli apostoli insieme. Essi vengono inneggiati come “primi tra i divini araldi”, “bocche della spada dello Spirito”. I testi liturgici sottolineano chiaramente che Pietro e Paolo sono gli strumenti dell’opera di salvezza che Cristo stesso porta a termine: “Essi sono le ali della conoscenza di Dio che hanno percorso a volo i confini della terra e si sono innal­za­te sino al cielo; sono le mani del vangelo della gra­zia, i piedi della verità dell’annuncio, i fiumi della sapien­za, le braccia della croce…”. Per tutti e due gli apostoli, il martirio è la meta per raggiungere Cristo stesso: “L’uno, inchiodato sulla croce, ha fatto il suo viaggio verso il cielo, dove gli sono state affidate da Cristo le chiavi del regno; l’altro, decapitato dalla spada, se ne è andato al Salvatore”. Pietro viene invocato anche come “sincero amico di Cristo Dio nostro”, e Paolo come “araldo della fede e maestro della terra”. L’innografia bizantina, come d’altronde anche quella di tradizione latina per la festa dei due santi apostoli, collega Pietro e Paolo alla città di Roma dove cui resero la testimonianza fino al martirio: “stupendi ornamenti di Roma…”, “per loro anche Roma si rallegra in coro…”; “o Pietro, pietra della fede, Paolo, vanto di tutta la terra, venite insie­me da Roma per confermarci”. I tropari del cànone del mattutino invece, attribuito a Giovanni monaco, alternano lungo le nove odi dei testi e dell’uno e dell’altro dei due apostoli inneggiati separatamente. Pietro viene celebrato come “protos” il primo nel suo ruolo nella Chiesa: “primo chiamato da Cristo”, “capo della Chiesa e grande vescovo”. Pietro è anche teologo in quanto ha confessato Gesù come Cristo: “Sulla pietra della tua teologia, il Sovrano Gesù ha fissato salda la Chiesa”. Pietro, pescatore, viene paragonato al mercante in ricerca di perle preziose: “Lasciato, o Pietro, ciò che non è, hai raggiunto ciò che è, come il mercante: e hai realmente pescato la perla preziosissima, il Cristo”. La Pasqua di Cristo diventa per Pietro da una parte la manifestazione del Risorto e dall’altra il risanamento dalla sua triplice negazione: “A te che eri stato chiamato per primo e che inten­samente lo amavi, a te come insigne capo degli apostoli, Cristo si manifesta per primo, dopo la risurrezione dal sepol­cro… Per cancellare il triplice rinnegamento il Sovrano rinsalda l’amore con la triplice domanda dalla sua voce divina”. Paolo invece, sempre nel cànone dell’ufficiatura mattutina, viene presentato nel suo ruolo di predicatore e maestro, chiamato a portare davanti alle genti il nome di Cristo: “tu hai posto come fondamento per le anime dei fedeli una pietra preziosa, angolare, il Salvatore e Signore”. Per Paolo, il suo essere portato fino al terzo cielo significa il dono della professione di fede trinitaria: “Levato in alto nell’estasi, hai raggiunto il terzo cielo, o felicissimo, e, udite ineffabili parole, acclami: Gloria al Padre altissimo e al Figlio sua irradia­zio­ne, con lui assiso in trono, e allo Spirito che scruta le profondità di Dio”. Paolo ancora svolge verso la Chiesa il ruolo del paraninfo che la presenta come sposa allo sposo che è Cristo: “Tu hai fidanzato la Chiesa per presentarla come sposa al Cristo sposo: sei stato infatti il suo paraninfo, o Paolo teòforo; per questo, com’è suo dove­re, essa onora la tua memoria”. Il vespro prevede tre letture prese dalla prima lettera cattolica di Pietro (1Pt 1,3-9; 1,13-19; 2,11-24). Per quanto riguarda le altre letture bibliche, l’ufficiatura del mattutino riporta la pericope evangelica di Gv 21,14-25, mentre nella Divina Liturgia si leggono 2Cor 11,21-12,9, e Mt 16,13-19. La tradizione bizantina chiama Pietro e Paolo “i primi corifei” (coloro che occupano il primo posto, la dignità più alta) e anche “i primi nella dignità” (protòthroni). Questo loro primo posto e dignità continua nella Chiesa nel loro “intercedere presso il Sovrano dell’universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la grande misericordia”.

P. Manuel Nin rettore Pontificio Collegio Greco

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Aelredo di Rievaulx : « Su questa pietra, edificherò la mia Chiesa »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100629

Santi Pietro e Paolo, apostoli, solennità : Mt 16,13-19
Meditazione del giorno
Aelredo di Rievaulx ( 1110-1167), monaco cistercense inglese
Per la festa dei Santi Pietro e Paolo. Omelia XVI, PL 195, 298-302

« Su questa pietra, edificherò la mia Chiesa »

        Tutti gli Apostoli sono colonne della terra (Sal 75, 4), però in primo luogo, coloro di cui celebriamo la solennità. Sono le due colonne che sostengono la Chiesa con il loro insegnamento, la loro preghiera e l’esempio della loro costanza. Il Signore stesso ha fondato queste colonne. Prima, erano deboli e non potevano portare né loro, né gli altri. E a questo punto, appare il grande disegno del Signore : Se fossero stati sempre forti, si sarebbe potuto pensare che la loro forza veniva da loro stessi. Perciò il Signore, prima di affermare loro, ha voluto mostrare quanto erano capaci, affinché tutti sappiano che la loro forza veniva da Dio.

        Il Signore stesso ha fondato queste colonne, cioè la Santa Chiesa. Ecco perché dobbiamo lodare con tutto il cuore questi nostri santi padri che hanno sopportato tanta fatica per il Signore e hanno perseverato con tanta forza. È niente perseverare nella gioia, nella prosperità e la pazienza. È grande invece essere lapidato, flagellato, schiaffeggiato per il Cristo, e in tutto ciò, perseverare col Cristo (2 Cor 11, 25). È grande, con Paolo, essere maledetto e benedire…essere la feccia del mondo e tirarne gloria (1 Cor 4, 12-13). E cosa dire di Pietro ? Anche se non avesse sopportato nulla per il Cristo, basterebbe per festeggiarlo il fatto che oggi sia stato crocifisso per lui. La croce fu la sua strada.

SS Pietro e Paolo

SS Pietro e Paolo dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 28 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per la solennità dei SS Pietro e Paolo

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13372.html

Omelia (29-06-2008) 
don Roberto Seregni

Una gran bella coppia…

Questa settimana la madre Chiesa ci invita a celebrare la festa di San Pietro e San Paolo. Una bella coppia, non c’è che dire! Ma se provate a prendere tra mano il Nuovo Testamento e cercate i passi più importanti che riguardano la vita dei nostri due amici, vi renderete conto che solo un pazzo come Gesù avrebbe potuto metterli insieme! A volte quando si parla di loro – ma anche di altri grandi santi… – sembra di descrivere storie mitologiche e lontane, irraggiungibili e ammuffite. Penso invece che la bellezza di questi santi sia proprio la loro « santa normalità », la loro umanità vigorosa messa a disposizione a piene mani delle trame stupende e imprevedibili dello Spirito Santo.
Iniziamo da Pietro. Ex-pescatore, allenato al lavoro duro, è tra i primi ad essere chiamato dal Rabbì di Nazareth. E proprio lui, Cefa – la pietra – è scelto per essere il capo dei primi compagni di Gesù. Proprio lui che ha picchiato il naso contro il proprio limite. Proprio lui che deve fare i conti con la propria irruenza e fragilità. Proprio lui che piange le lacrime amare del rinnegamento. Proprio lui che sente bruciare forte la ferita del tradimento. Proprio lui con le mani callose delle pesca e la mente a digiuno delle profezie, delle discussione dotte degli scribi, è scelto per essere il primo tra gli apostoli. Perché proprio lui? Di certo non perché era il più bravo o il più coerente, il migliore o il più equilibrato. Mi piace pensare che Gesù abbia scelto Pietro, perché tritato nel cuore dal suo fallimento non si sarebbe mai permesso di giudicare nessuno, ma solo di indicare la via per incontrare, o meglio, per lasciarsi incontrare dal Signore. Anche a Gesù i capi che giudicano pensando di essere esenti da qualsiasi errore o fallibilità, non stanno per niente simpatici. Meglio Pietro, meglio il discepolo ferito che sa buttarsi in mare per abbracciare il Signore Risorto.
Accanto a Pietro, troviamo Paolo. Sappiamo tutti che non fu discepolo di Gesù, ma che il via alla sua azione instancabile e vulcanica fu il famoso incontro con il risorto sulla via di Damasco, più che una conversione direi una vocazione! Da quel primo incontro, da quella caduta di tutte le sue rigidezze, da quella bellezza inattesa, inizia una vita nuova, una passione indomabile per il Vangelo.
Mi piace leggere le sue lettere e gustare il fascino, la bellezza di una vita completamente posseduta da Cristo, di un annuncio potente della salvezza universale offerta per grazia a chi accetta di lasciarsi amare. Mi dà coraggio la sua vulnerabilità e debolezza messa senza timore a servizio del Vangelo, mi insegna che per accogliere le debolezza dell’altro devo prima di tutto aver accolto le mie. Mi fa respirare aria buona la sua passione per le comunità, la sua attenzione per le singole situazione, l’equilibrata follia con cui annuncia una novità che ha ribaltato la sua vita! Grande Paolo e grande Benedetto XVI che a partire da oggi ci regala un anno intero dedicato proprio a lui, al primo missionario della Chiesa.
Togliamo i nostri santi dalle nicchie ammuffite e dai piedistalli dorati, facciamoci guidare dalla loro passione, dalla loro « santa normalità » consegnata alla follia imprevedibile dello Spirito!

Buona settimana
Don Roberto 

VESPRI SOLENNI PER LA COMMEMORAZIONE DI SAN PAOLO – PAPA GIOVANNI XXIII (1961)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/homilies/1961/documents/hf_j-xxiii_hom_19610630_san-paolo_it.html

VESPRI SOLENNI PER LA COMMEMORAZIONE DI SAN PAOLO

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI XXIII

Patriarcale Basilica Ostiense

Venerdì, 30 giugno 1961

Venerabili Fratelli, diletti figli!

Ci sentiamo debitori a Sant’Agostino dell’invito a seguire con occhio attento quelle circostanze anche lievi della vita ordinaria, che egli chiama le misteriose coincidenze dei numeri (1).
Pensando stamane di buon’ora al colloquio che avremmo dovuto preparare per questo vespero a San Paolo, abbiamo scorto subito in capo pagina la data odierna, 30 giugno; ma preposta ad una Nostra pubblicazione dello scorso anno. Ricordiamo infatti, alla data del 30 giugno 1960, la nostra Lettera Apostolica «Inde a primis » (2) sulla devozione al Preziosissimo Sangue, associata a quella del Nome e del Cuore di Gesù. Nello stesso anno — 28 giugno 196o — primi vesperi di San Pietro, avevamo consegnato Noi stessi, nella Basilica Vaticana, ai figli Nostri di Roma, quale loro Vescovo, il volume del Sinodo diocesano, contenente tra l’altro in articoli distinti, ad edificazione ed a spirituale direzione dei fedeli, clero e popolo, la dottrina e la pratica di queste tre devozioni : del Nome, del Cuore e del Sangue di Gesù, convergenti, separate o congiunte, verso la stessa adorazione e lo stesso amore dolcissimo del Verbo di Dio fatto uomo a salute del mondo (3).
Al centro di questo anno, il terzo del Nostro, umilissimo da parte Nostra, ma alto servizio apostolico, sublime e formidabile, eccoci riuniti ancora in data 3o giugno.
Ma qui sono ricordi di San Paolo, il grande Dottore delle genti, che ci adunano e ci invitano a festeggiarlo e a rinnovargli il primo saluto, come se fosse al suo arrivo a questa Roma di venti secoli di storia e di gloria, intrecciante il suo nome con quello di Pietro : lui mundi magister, e Pietro coeli ianitor, l’uno e l’altro Romae parentes, arbitrique gentium.
In realtà tutto torna bene, e al posto suo : Pietro ha il governo universale della Chiesa; e Paolo l’altissima missione di Dottore delle genti, in subordinazione però perfetta dello stesso magistero confidato da Cristo al Principe degli Apostoli.
Ebbene, che cosa vogliamo ancora dire a San Paolo nella celebrazione centenaria del suo arrivo a Roma, dove ha già avuto una manifestazione degna, molteplice e solenne di ammirazione e di culto? È con lieto compiacimento che abbiamo seguito in spirito le varie segnalazioni promosse e organizzate dal fervore del Comitato esecutivo e degli incliti Monaci di questa gloriosa Abbazia Ostiense. Per la dignità del compito di custodire la tomba di San Paolo attraverso i secoli, questa Abbazia può appropriarsi alcune parole dell’inno di Elpide : Roma felix… tu purpurata ceteras excellis orbis una pulchritudines.
Pensavamo che la Nostra personale presenza a questa solenne cerimonia vespertina, che veramente fa onore a tutti per la dignità e lo splendore dei personaggi componenti il Sacro Collegio dei Cardinali, della Prelatura e dei nobili rappresentanti dell’Ordine Civico, avrebbe potuto avere un più appropriato suggello da una Nostra parola ampia e festosa.
Le circostanze di queste ultime settimane, l’angustia temporale, non Ci hanno concesso di poterla preparare. Le coincidenze per altro del 3o giugno non stanno esse innanzi a Noi, come ad indicarCi che niente di meglio e di più convenevole dovrebbe essere pronunziato in onore di San Paolo, apostolo delle genti, quanto un richiamo alla sua persona e alla sua dottrina, come ad illustrazione e a splendore fiammeggiante del Nome, del Cuore e del Sangue di Cristo?
Questa sera si conclude l’esercizio di pietà popolare del mese dedicato al Sacro Cuore; e domani si inizia il luglio che a Pio XI di venerata e gloriosa memoria piacque di consacrare con culto solenne al mistero del Sangue di Gesù.
Ah! certo, diletti figli, è a questa sorgente dì celeste dottrina e di pietà distintissima che bisogna ricondurre i nostri contemporanei, sottraendoli al gusto di troppe cisterne dissipate, in cui certa letteratura corre pericolo d’inaridirsi. Tornare ai Libri Sacri adunque, ad alcuni specialmente : i Salmi i ricchissimi Sapienziali dell’Antico Testamento; i Vangeli le Lettere Apostoliche del Nuovo.
Quanta semplicità ed immediatezza di insegnamento e di buon indirizzo per la vita pratica.
San Pietro, Princeps Apostolorum, ha scritto due Lettere sole ai cristiani che si trovavano a più diretto contatto con lui, ne abbiamo scelto ieri qualche tratto per i fedeli, che assistevano devotissimamente alla Messa che abbiamo celebrato nella sua festività sull’altare della Confessione.
San Paolo scrisse invece quattordici Lettere, alcune di assai profonda e di vasta importanza : tutte attraenti e preziose.
L’elogio che San Giovanni Crisostomo pronunciò e scrisse dell’epistolario paolino basta a sollevare godimento ed esaltazione. Sì : studi già compiuti e pubblicati nel riferimento e nel richiamo al Nome di Gesù, al suo Cuore ed al suo Sangue riempiono lo spirito di tale luce, il cuore di tale dolcezza, da porre in disgusto ogni altra lettura, e da ricreare anche nei figli della presente generazione quel desiderio, che è stato alla base della formazione felice di giovinezze messe in condizione di disporsi a portare con onore le responsabilità per l’avvenire.
In ogni composizione musicale che eccelle e solleva entusiasmi, si esprimono presto alcune note fondamentali che costituiscono tutto il fascino dell’opera d’arte.
Ebbene, uno studio attento, una illustrazione dottrinale circa il Nome, il Cuore e il Sangue di Gesù fatti sulle lettere di San Paolo, oh! quale incanto di carità divina; quale suadente richiamo al sacrificio di espiazione e di salute; quale esaltazione per lo spirito; quanta dolcezza di abbandono alla santa volontà del Signore, che ci vuole salvi tutti, e tutti santi e santificatori!
È a questo studio profondo e delicato delle basi teologiche delle principali devozioni del popolo cristiano che è. buona cosa incoraggiare sacerdoti e fedeli, avviare specialmente i futuri maestri della generazione a noi contemporanea e di quella che ci seguirà dappresso, a dignità e ad elevazione di alta e più penetrante catechesi di cui si scorgono qua e là indicazioni interessanti e fervorose.
Questo significa onorare i Santi più insigni nelle ricorrenze storiche che ne celebrano la vita e il culto. Far servire la dottrina di cui furono e restano maestri a progresso di profonda pietà, ad efficacia di santa edificazione.
Per dare ancora un tocco all’invito di Sant’Agostino a non trascurare nella vita cristiana le coincidenze dei numeri, sia concesso a quante anime ardenti seguono il vasto movimento di preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano II di ricordare che la prima scintilla — veramente parva, ma decisa scintilla — è di qua, dappresso la tomba di San Paolo Apostolo che è brillata d’improvviso, ed ha determinato l’incendio di fraternità fervorosa, che è divenuta la grande gioia degli occhi e dei cuori di quanti credono in Cristo Gesù, nel suo Nome, nel suo sacrificio e nelle sue pacifiche conquiste.
O santa Chiesa Cattolica madre nostra, continua a cantare le glorie dei tuoi Apostoli più insigni, Pietro e Paolo. Ecco, noi intendiamo proseguire il tuo cantico così bello : le cui voci dal cielo s’intrecciano con le voci nostre. Tutto si risolve a vittoria finale della verità, della giustizia, della pace.

Te gloriosus apostolorum chorus! Te per orbem terrarum sancta con fitetur Ecclesia.

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(1) Cfr. S. AUG., Quaest. in Heptat. 1. I, qu. 152; P. L. 34, 589; de Doctr. Cler. 1. II, C. 38, n. 56; P. L. 34, 61; De Ordine, 1. II, c. S9, n. 50; P. L. 32, 1018; In Ioann. Evang., tr. 49, n. 7; P. L. 35, 1749.

(2) A.A.S. LII [1960], pp. 545-550.

(3) I Syn. Rom. art. 354-355-356.

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – Omelia di Paolo VI (1976)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1976/documents/hf_p-vi_hom_19760629_it.html

XIII ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DI PAOLO VI

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo

Martedì, 29 giugno 1976

Noi celebriamo oggi la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Quale immenso tema di meditazione! quale giocondo motivo di spirituale celebrazione! quale classica ragione di ecclesiale fiducia! Per noi Romani la festa si arricchisce di altri due titoli: che essi furono nostri concittadini, Romani anch’essi di adozione e di ministero; e che a Roma coronarono la loro vita col martirio nel nome di Gesù Cristo. Ed ecco, a questo supremo ricordo, scaturisce una polla di annose e grandi questioni: quando fu consumato tale martirio? dove? e come? e quale la vicenda e la sorte delle loro tombe e delle loro reliquie? Questioni storiche, archeologiche, letterarie, religiose di grande interesse, assai documentate, assai discusse, i cui vari e a volte contestati aspetti non infirmano il culto tributato in Roma e nella Chiesa intera a questi sommi eroi della fede, ma lo confermano e lo ravvivano.

A questo nostro tempo inoltre è stata data la fortuna di raggiungere, per ciò che riguarda San Pietro, la certezza, di cui si è fatto araldo il nostro venerato predecessore, Papa Fio XII di venerata memoria (Cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XII, 380), circa la collocazione della tomba dell’Apostolo Pietro in questo venerabile luogo, dove sorge questa solenne basilica a lui dedicata, e dove noi ora ci troviamo in preghiera; prova questa incontestabile della permanenza dell’Apostolo nell’Urbe, oggetto da parte di alcuni studiosi di critica negativa, che sembra farsi sempre più silenziosa. Inoltre a noi è toccata un’altra fortuna, quella di essere rassicurati dei risultati che sembrano positivi delle assidue ed erudite ricerche circa l’identificazione e l’autenticità delle veneratissime residue reliquie del beato Pietro, Simone figlio di Giovanni, l’umile pescatore di Galilea, il discepolo e quindi l’apostolo, eletto da Gesù Cristo stesso per essere capo del gruppo dei suoi primi qualificati seguaci, e posto a fondamento dell’edificio, chiamato Chiesa, che Cristo si è proposto di costruire e da lui garantito indenne nel misterioso conflitto con le potestà delle tenebre.

Riconoscenti a quanti hanno merito in questa ardua esplorazione, noi accogliamo con riverenza e con gioia l’esito di così significativo avvenimento archeologico, che conforta con nuovi argomenti storici e scientifici la secolare convinzione del culto qui professato al Principe degli Apostoli, e vi ravvisa una conferma e un presagio della sua drammatica, ma vittoriosa missione di propagare il nome di Cristo nella storia e nel mondo.

Ed è proprio su questa missione, che oggi vogliamo fermare, anche per un solo istante, la vostra attenzione, venerati Fratelli e Figli carissimi, la vostra devozione. Noi possiamo collegare tale missione ad una parola istituzionale e profetica di Cristo, che principalmente, ma non esclusivamente, a Pietro si riferisce. E la parola è quella di Gesù Cristo prima del suo congedo dalla umana conversazione; è registrata da San Luca nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli, il primo libro della storia della Chiesa, là dove il Signore risorto dice ai suoi: «voi sarete miei testimoni» (Act. 1, 8). Questa è una parola che ritorna frequente nell’economia della nostra religione, per quanto si riferisce ai suoi titoli originari e trascendenti, quelli della rivelazione, e alla sua fedele e perenne trasmissione. La tradizione cristiana, la diffusione e l’insegnamento della fede, la sua interiore e umana certezza, suffragata dal carisma dello Spirito Santo e dall’autorità divinamente stabilita del magistero della Chiesa cattolica, si riferiscono essenzialmente all’istituzione d’una testimonianza qualificata, che serve da tramite, da veicolo, da garanzia alla Verità, di cui solo alcuni, gli Apostoli, e i fedeli contemporanei «preordinati da Dio» (Act. 10, 41) ebbero diretta e sensibile esperienza. Da questa sperimentale realtà di fatto nasce il messaggio, nasce il «Kerigma», cioè una predicazione, una parola da trasmettere; la potestà ed insieme il dovere di comunicare ad altri la parola di verità conosciuta; nasce l’apostolato, quale sorgente genetica della fede.

Gesù darà a Pietro la celebre consegna, successiva alla pavida negazione di lui: «Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Luc. 22, 32); e poi, dopo la risurrezione e la triplice riparatrice professione d’amore, la triplice investitura pastorale: «pasci il mio gregge» (Cfr. Io. 21, 17). Pietro si sentirà ormai dominato da questa interiore imperiosa coscienza; il timido discepolo sarà ormai l’inflessibile testimonio, l’impavido apostolo: «noi non possiamo tacere – egli affermerà – quello che abbiamo visto e ascoltato» (Act. 4, 20); «noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui, Gesù Cristo, compiute . . .» (Ibid. 10. 39).

La documentazione potrebbe ancora essere assai ricca e potrebbe confortarci con l’esortazione alla fermezza nelle tribolazioni stesse, che possono provenire dalla professione della fede trasmessa dall’Apostolo alla Chiesa nascente: «Chi potrà farvi del male – egli scrive – se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi . ..! Beati voi, se siete insultati per il nome di Cristo . . . Se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (1 Petr. 3, 13; 4, 14-16). Il discepolo è diventato maestro e apostolo; e da apostolo animatore, e poi martire. E martire significa appunto testimonio, ma, nel linguaggio cristiano, da Stefano in poi s’intende testimonio nel sangue, come lo fu Pietro stesso, conforme alla profezia a lui fatta da Gesù medesimo (Io. 21, 18-19). «Cum autem senueris . . . alius cinget te . . .».

Due conclusioni ci sia concesso trarre da questo fugace accenno alla qualifica di testimonio attribuita da Cristo ai suoi Apostoli, ed in primo luogo a Pietro ed a Paolo, dei quali celebriamo la sempre gloriosa festività. La prima conclusione riguarda l’equazione che possiamo, in certa misura, stabilire fra l’apostolato e l’evangelizzazione, per riscontrare la potestà di magistero nella Chiesa apostolica e in quella che ne è legittimamente derivata, con le facoltà d’insegnamento, di interpretazione e di intrinseco sviluppo circa la rivelazione cristiana, nelle sue parole e nei suoi fatti, e sempre nella sua suprema esigenza di autenticità. Questo, lo sappiamo, è uno dei punti forti della cultura contemporanea e della discussione ecumenica del nostro tempo; forte per la controversia che vorrebbe ammorbidire la saldezza del magistero ecclesiastico, che si rifà a quello apostolico; lo si vorrebbe più flessibile, più docile alla storia, più relativo alla moda del pensiero, più pluralistico, più libero; cioè guidato da criteri soggettivi e storicisti, e punto vincolato a formulazioni d’un magistero tradizionale che si appella ad una dottrina rivelata e divina; e forte per l’atteggiamento storicamente e logicamente coerente, con cui la Chiesa di Pietro tutela il «deposito» dottrinale che le è affidato (Cfr. 1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14): non è ostinazione la sua, non arretratezza, non incomprensione delle evoluzioni del pensiero umano; è fermezza al Pensiero divino, è fedeltà, e perciò verità e vita, anche per il tempo nostro.

L’altra conclusione riguarda l’ampiezza che il termine «apostolato» deve assumere, inteso non nel senso di potestà d’insegnamento, affidata a coloro che «lo Spirito Santo ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio» (Act. 20, 28); ma nel senso di dovere di diffondere l’annuncio evangelico; esaltante dovere che nasce in ogni cristiano, battezzato e cresimato, chiamato come membro vivo della Chiesa a contribuire, come insegna il Concilio, alla edificazione della Chiesa stessa (Cfr. Lumen Gentium, 3 3 ; Apostolicam Actuositatem, 1, 9, 10, etc.; Ad Gentes, 21; etc. Cfr. etiam Eph. 4, 7; 1 Cor. 9, 16; etc.). Ogni cristiano, secondo le sue personali e sociali condizioni, dev’essere testimonio di Cristo; dovere questo che l’essere fanciullo, giovane, uomo, donna, impegnato in uffici secolari, o impedito da particolari doveri, o infermità, non dispensa dal suo compimento. Non indolenza, non timidezza, non scetticismo, non animosità critica e contestatrice, o altro sentimento negativo deve paralizzare, oggi specialmente, l’esercizio dell’apostolato, cioè la testimonianza personale, familiare, collettiva del buon esempio, dell’osservanza dei doveri religiosi, della professione, tacita almeno ma trasparente, della propria fede cristiana, dallo stile di vita, retto, buono, cortese, premuroso della carità (Cfr. J. ESQUERDA BIFFET, Noi siamo testimoni, Marietti, 1976). Cosciente di questa comune vocazione, nessuno si esima da questo fondamentale dovere della testimonianza personale e cattolica al nome di Cristo nella semplice, ferma, solidale comunione con gli Apostoli, di cui noi celebriamo, con la memoria liturgica, la successione storica ed ecclesiale; e nessuno di voi, venerati Fratelli e Figli carissimi, tralasci di offrire a Cristo, mediante l’invocata intercessione degli Apostoli Pietro e Paolo, per questo umile loro successore, che vi parla, una preghiera, affinché egli sia fedele nell’ufficio gravissimo che gli è stato affidato, per il bene della Chiesa e del mondo. Egli oggi ricambia la vostra carità, sempre nel nome degli Apostoli, con la sua speciale, specialissima Benedizione (Cfr. 1 Cor. 4, 2; 9, 27; Eph. 4, 3).

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO – OMELIA DI PAOLO VI (1977)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1977/documents/hf_p-vi_hom_19770629_it.html

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 29 giugno 1977

Sospendiamo un momento il rito, com’è saggiamente prescritto, per meditarne, per penetrarne, con qualche pensiero, con una vigilante preghiera, il senso.

Il rito che cosa ci presenta? Ci presenta due personaggi, i due apostoli Pietro e Paolo, ai quali Roma fa risalire le proprie origini cristiane, la propria fede religiosa. Essi sono testimoni; possiamo ad entrambi riferire, sebbene a titolo personale differente, le parole del Signore al gruppo degli apostoli, prima della sua ascensione: «voi mi sarete testimoni …» (Act. 1, 8). A loro è conferita una missione specifica, quella di diffondere un messaggio, quello evangelico, una Parola; una dottrina, una Verità, che «lo Spirito di Verità» direttamente loro insegnerà (Io. 16, 13), con il potere simultaneo di promulgare certi riti, i sacramenti, comunicativi di effetti soprannaturali.

Noi, oggi, solennemente li ricordiamo; e tutto quanto qui è offerto alla nostra immediata sensibilità ci stimola a celebrarne con carattere festivo la memoria storica, veneranda, gloriosa; è la loro festa che noi vogliamo esaltare; e tutto ce ne offre motivo: il ritmo annuale del tempo, che ci ricorda essere questo giorno benedetto legato alla ricorrenza della memoria apostolica, e la nostra presenza nelle basiliche monumentali erette sulle tombe degli Apostoli stessi ravviva così il nostro pensiero sulle loro sante figure che ci è spontaneo ripensare quasi vive fra noi; e poi la storia plurisecolare che fa capo a questi due annunziatori del Vangelo nell’Urbe ci sembra assumere quasi una reale attualità davanti ai nostri occhi lieti e stupiti di contemplarne il panorama; e la pietà infine, donde scaturisce sulle labbra di tutti una qualche orazione per ottenere l’intercessione dei Santi Apostoli, accresce, fino a riempirne i nostri animi, la fiducia della nostra conversazione con loro, S. Pietro e S. Paolo.

Tutto questo è vero, e sta bene. È festa la nostra, e il gaudio festivo non solo ne caratterizza la liturgia, ma lo spirito di chi la vive e la esprime. Lasciamo perciò che questo nostro sforzo di attenzione si risolva innanzi tutto in un sentimento di interiore sicurezza. O, per meglio dire, di fede. Siamo circondati da segni, da stimoli, che valgono a svegliarla, a confortarla. La religione qui assume un accento di gioiosa certezza, che viene a noi propizia nella solitudine spirituale, propria del nostro secolo, nell’assuefazione alla mentalità vacillante e desolante del malinteso soggettivismo, pluralismo lo chiamano, in fatto di religione, il quale concede a ciascuno di pensare alla fede come meglio piace al proprio arbitrio critico, o meglio alla propria fantasia affrancata dall’inequivocabile precisione del dogma cattolico. Qui la fede, riportata alle sue sorgenti apostoliche e all’autorità magistrale che la professa, la difende e la insegna, riacquista la sua obiettiva consistenza, garantita dalla parola originaria di Cristo: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luc. 10, 16). La personalità del fedele, che accetta, che crede e che cerca di conformare la vita alla propria fede, attinta alla sorgente della Verità trascendente (Gal. 2, 16; 3, 11) si ricompone e diventa forte; forte per asserire, per diffondere questo stupendo complesso di verità, che appunto è la chiave d’interpretazione, di spiegazione superiore del mondo e del destino umano; è l’irradiazione missionaria della fede, è la ragione del programma apostolico della Chiesa. Noi conosciamo il carattere specialissimo dei poteri di evangelizzazione conferiti da Cristo ai suoi discepoli, tra i quali dodici, ch’Egli insignì del titolo di apostoli (Luc. 6, 13), con particolare riguardo a Pietro, pastore dei pastori (Io. 21, 17; Luc. 22, 32; Act. 1, 15; etc.), e con singolare autorità anche a Paolo, come egli scrive di sé: «positus sum ego praedicator et apostolus . . . doctor gentium in fide et veritate» (1 Tim. 2, 7; Rom. 15, 16; cfr. JOURNET, L’Eglise du Verbe Incarné, I, 180 ss.).

Noi conosciamo come non solo il nome, ma il ministero altresì dei due massimi Apostoli sia legato a Roma (confronta la lettera di S. Paolo ai Romani e la sua prigionia a Roma – Act. 28), e come la controversia circa la tomba di S. Pietro sia felicemente conclusa per rivendicarne la sede e la storia precisamente nelle fondamenta della basilica, che appunto ci accoglie dove il Principe degli Apostoli ebbe la sua sepoltura e il suo michelangiolesco mausoleo.

E certamente è a tutti noto come la storia della religione cattolica cioè della Chiesa abbia in questa Basilica il suo centro locale e spirituale. Noi possiamo qui ripetere con sempre commovente convinzione e quasi con sensibile conferma la parola di S. Ambrogio: «ubi Petrus, ibi Ecclesia». La ripeteremo questa riassuntiva parola per ritrovare nella memoria apostolica la virtù di cui oggi ha bisogno la Chiesa che vive e che soffre. La promessa che Gesù Cristo stesso ebbe per i suoi due Apostoli di predilezione: «Io ho pregato per Te», Pietro (Luc. 22, 32); e a riguardo di Paolo: «costui è per me uno strumento eletto per portare davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele il mio nome . . .» (Act. 9, 15), ancora fa garanzia anche per noi, bisognosi come siamo di fortezza, nella fede, nell’unità, nella carità. È promessa, è conforto per noi che dagli Apostoli deriviamo la natura e l’urgenza del nostro mandato apostolico; è invito, è messaggio che non dobbiamo portare al nostro tempo, ai nostri fratelli, predisposti forse dallo stesso spirito di vertigine che li travolge ad arrendersi alla nostra fortuna apostolica.

Così sia, così sia, con la nostra Benedizione!

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