Archive pour juin, 2010

Grande commozione ai funerali di monsignor Padovese: « Non abbiate paura! », dice l’Arcivescovo celebrante ai cattolici della Turchia

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22775?l=italian

Grande commozione ai funerali di monsignor Padovese

« Non abbiate paura! », dice l’Arcivescovo celebrante ai cattolici della Turchia

ISKENDERUN, martedì, 8 giugno 2010 (ZENIT.org).- I funerali di monsignor Luigi Padovese, presidente della Conferenza Episcopale della Turchia, assassinato dal suo autista giovedì scorso, sono stati celebrati questo lunedì nella Cattedrale di Iskenderun con un’affluenza di fedeli che ha battuto ogni record.

Il rito è stato presieduto da monsignor Ruggero Franceschini, Arcivescovo di Smirne, che nella sua omelia ha rivolto parole di incoraggiamento alla comunità cattolica locale sprofondata nella tristezza.

« Non abbiate paura! Non perdetevi di coraggio, siate lieti, come gli Apostoli, di vivere nella sofferenza e nella prova, senza venir meno alla vostra fede, che è il motivo della nostra speranza », ha affermato il presule.

« Nessuno riuscirà a spegnere questa fiamma – ha aggiunto -, perché è sostenuta non solo da tanti martiri e santi di questi luoghi e dalla Vergine santissima, patrona di questa comunità, ma da oggi anche da un altro angelo sul trono di Dio: il vostro, il nostro Vescovo Luigi ».

Il vicario apostolico dell’Anatolia è stato assassinato il 3 giugno dal suo autista, Murat Altun, che ha confessato il crimine.

Una morte violenta che, come ha detto monsignor Franceschini, « ci ha lasciati commossi, senza capire come sia potuta accadere una cosa così terribile, soprattutto a un uomo di Chiesa, un Vescovo molto amico dei turchi e della Turchia ».

« A noi cristiani questa sua morte ricorda come la fedeltà al Vangelo, in certe situazioni, possa essere pagata con il sangue ».

Al funerale hanno partecipato le autorità locali e il capo della Polizia.

Tra le opere realizzate da monsignor Padovese da quando era stato nominato Vescovo nel 2004, monsignor Franceschini ha menzionato lo straordinario dialogo di vita con i musulmani, la creazione di un servizio di distribuzione di cibo a domicilio per 70 famiglie in difficoltà, una sola delle quali cristiana, e le buone relazioni con le autorità civili.

Speranza per il futuro

Parlando all’agenzia Fides, padre Roberto Ferrari, OFM Cap, Superiore della fraternità francescana di Mersin, ha affermato che « in questo momento di lutto e di dolore siamo convinti, parlando con gli occhi della fede, che dal sacrificio di mons. Padovese scaturirà un bene più grande per la comunità cattolica in Turchia ».

Padre Ferrari risiede in Turchia da più di 60 anni. « Mons. Luigi era per me un fratello e un amico », ha confessato. « Abbiamo condiviso lunghi anni di missione, nel servizio amorevole alla comunità, nella testimonianza di vita francescana ».

« La celebrazione delle esequie è stata davvero sentita e commovente. Si è registrata una straordinaria partecipazione di fedeli cattolici, di cristiani di tutte le confessioni, di fedeli musulmani venuti a rendere omaggio alla figura di Mons. Luigi ».

« Tutti hanno espresso solidarietà, vicinanza e partecipazione al nostro lutto. Non possiamo che dire grazie a tutti coloro che ci sono vicini in questo momento di dolore. Questa testimonianza ci ha toccato profondamente: siamo certi sia un seme che porterà frutti in futuro ».

« E’ il Signore che guida la storia, fatta di gioie e di prove, della comunità cattolica in Turchia », ha concluso padre Ferrari. « La nostra speranza certa è che da questo evento tragico nascerà un bene più grande. Il sangue dei nostri martiri sarà seme dei cristiani, farà fecondare il Regno di Dio ».

Benevolenza e bontà: Lettera agli Efesini 4,20-32; 5,1.8-10

dal sito:

http://www.sanbiagio.org/lectio/libri_storici/tobia_1_lectio.htm

BENEVOLENZA E BONTÀ

Lettera agli Efesini 4,20-32; 5,1.8-10

Quando il giovane ricco si rivolge a Gesù, gli dice: Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? Egli risponde: « Perché mi dici buono. Nessuno è buono, se non uno solo: Dio » (Lc 18,18-19). Veramente il « buono » per antonomasia è il nostro Creatore e Padre. La nostra bene-volenza e bontà non sono che una partecipazione alla bontà di Dio, se però siamo docili allo Spirito, cercando in tutto di comportarci come Gesù « il quale – dicono gli Atti degli Apostoli – passò beneficando e risanando tutti » (10,37-38). In questa pericope, tratta dalla lettera agli Efesini, Paolo ci dà indicazioni preziose circa il « fruttificare » benevolenza e bontà nella nostra vita.
Paolo ha scongiurato i suoi destinatari di non vivere alla maniera dei pagani. E va subito sottolineato che il loro modo d’essere: « accecati nella mente, estranei alla vita di Dio sia ‘per l’ignoranza’ (delle cose di Dio) che ‘per la durezza del cuore’ non riguarda solo i pagani contemporanei dei cristiani d’un tempo, ma forse è ancora più tipico dei pagani di oggi. Quello che Paolo dice del comportamento dei pagani d’ogni tempo fa come da sfondo: uno sfondo tenebroso che dà però risalto al comportamento dei cristiani pure d’ogni tempo. Chiamati a « comprendere la volontà di Dio » « ricolmi dello Spirito », Paolo li esorta dicendo: « Intrattenetevi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio, Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo (5,18-20). Subito dopo (5,21-33 e 6,1-8), Paolo viene precisando quelle che devono essere le nuove relazioni dei cristiani all’insegna di quell’amore reciproco che soprattutto si esprime in benevolenza e bontà.
4,20-21 Non così voi avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù
Ecco: Paolo, dopo aver denunciato la tenebra del comportamento dei pagani, esprime con forza la bellezza luminosa del vivere da cristiani. L’espressione originale è più forte: « voi non così avete imparato Cristo ». « Imparare Cristo » non significa quindi solo imitare la condotta di Gesù, il suo modo di pensare e di agire, ma – a monte! – significa conoscere, penetrare il suo mistero d’un amore che è infinito dono di sé nella morte e risurrezione: la vera salvezza per ciascuno di noi. « Imparare Cristo » è avere gli occhi del cuore illuminati dalla sua presenza-amante, dal suo fascino che immette di continuo nella storia energie salvifiche, colmando il suo corpo mistico (=la Chiesa) della pienezza della vita divina che è grazia e bontà. Si tratta dunque di « dare ascolto » a Lui (a tutto il suo messaggio) e lasciarsi ammaestrare da tutta la verità della sua persona divina che però si è fatta « carne »: in una vita pienamente umana, come la nostra.
v. 22 Per questa verità che è in Gesù dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dentro le passioni ingannatrici
Paolo allude all’antico rito del Battesimo, dove chi stava per diventare cristiano « deponeva » la sua veste simbolo di una vita all’insegna di passioni devastanti e menzognere. Subito veniva immerso nell’acqua e poi si rivestiva, ma di una veste candida.
vv. 23-24 Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.
Perché dice « spirito della vostra mente »? Secondo la migliore esegesi si tratta della nostra facoltà intellettiva chiamata qui « spirito » in quanto aperta all’influsso dello Spirito Santo. Si tratta dunque del pensare con criteri di fede, pensare da cristiani opposto alla « vanità del pensare ». Interessante! Il rinnovamento, il diventare « uomo nuovo » investe anzitutto l’ambito del pensare: la mente. È di lì infatti che procede il vivere in quella giustizia-progetto di Dio per l’uomo appunto nuovo. Tale progetto non è illusione ma « santità vera ». Da notare: la TOB traduce: « santità che viene dalla Verità ». C’è dunque una grande pregnanza di significato in questo termine « verità » collegato alla persona di Gesù.
v. 25 Perciò bando alla menzogna: dite la verità al vostro prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri.
Paolo aveva parlato della « verità che è in Cristo Gesù », e di « santità vera », ora, dando indicazioni concrete di vita e di relazioni, mette al primo posto sincerità e lealtà: quell’essere « veri » nel proprio modo di pensare e d’agire, che è la premessa in dispensabile a un agire retto che « fruttifichi » amore e bontà all’interno non solo di una qualsiasi società ma di quella che è il Corpo Mistico di Gesù: la Chiesa, di cui ogni cristiano è membro.
vv. 26-27 Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sulla vostra ira e non date occasione al diavolo
C’è un adirarsi che non è peccato: quello scattare improvviso e momentaneo nel contrasto di opinioni e di sentimenti. L’importante è che l’ira non perduri. Perché se non è prontamente superata (prima che « tramonti il sole ») dà adito al diavolo (il « divisore » per eccellenza) che si vale di questa passione per incrinare e rompere il rapporto coniugale, filiale, fraterno ecc.
v. 28 Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani per farne parte a chi si trova in necessità
Può stupire che anche tra i primi cristiani ci fossero ladri. È però opportuno riflettere come ci siano molti modi di rubare. Anche la trascuratezza, la pigrizia nel proprio lavoro come nel gestire le realtà pubbliche è furto. L’apostolo poi ci spinge ben più in alto. Non solo invita a rendersi responsabili nella diligenza e nell’onestà del proprio lavoro ma chiede che si faccia parte del proprio guadagno a chi si trova in necessità. E non è questo uno stile di vita impregnato di benevolenza e bontà?
v. 29 Dalla vostra bocca non esca nessuna parola cattiva, ma piuttosto quelle buone che servono alla necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano
Abbiamo visto com’è importante e prioritario l’ambito di un pensare totalmente aperto alla verità. Qui ci è indicato l’ambito che subito ad esso si collega: quello del parlare. Si tratta di capire che il nostro parlare non solo non deve essere infestato da parole cattive, ma neppure può essere un parlare « neutro ». Dal nostro parlare deve fluire bontà: qualcosa che edifica, che fa del bene, che guarisce il cuore di chi ascolta.
vv.29-31 Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio col quale foste segnati per il gran giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni amarezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza insieme a ogni forma di malignità
Da un punto di vista strettamente teologico come si può parlare di « rattristare » lo Spirito Santo di Dio? Egli è l’AMORE e dunque la GIOIA sostanziale all’interno della Trinità. Ma qui Paolo parla col suo cuore di uomo al nostro cuore. Dare gioia e non dispiacere a una Persona che ci ama e a cui dobbiamo moltissimo qualifica il nostro essere uomini. Del resto quel che Paolo qui ci chiede di far scomparire è ciò che distrugge la pace e la gioia del nostro vivere: quella pace e gioia che (l’abbiamo visto) sono in noi il frutto dello Spirito.
v. 32 Siate anzi benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi perdonandovi a vicenda come Cristo ha perdonato a voi in Cristo.
Denunciata e messa al bando ogni cattiveria come non compatibile col modo di vivere del cristiano, ecco l’esaltazione luminosa di quella benevolenza-bontà che anzitutto esplode dall’atteggiamento tipico del cristiano: l’essere misericordiosi. È Gesù stesso che lo ha chiesto con un imperativo che ci spalanca agli orizzonti di Dio. « Siate misericordiosi com’è misericordioso il vostro Padre » (Lc 6,36). « Amate i vostri nemici, se davvero volete essere figli del Padre vostro che è nei cieli » (Mt 5,44 ss)
5,1 Fatevi dunque imitatori di Dio quali figli carissimi e camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
La meta è molto alta: imitare Dio! Però la posta in gioco è la carità vista attraverso quell’evidenziatore che ci aiuta ad essere concreti nel nostro modo di essere benevoli e buoni. Ciò significa: non riesco ad amare se non imparo a sacrificarmi, a mettere K.O. il mio ego. Imitare Dio vuol dire dunque passare come Gesù dalla porta stretta della croce, ma sprigionando un « soave odore » di bontà, che allieta e cielo e terra.
v. 8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce
Il passaggio dall’essere stati tenebra ad essere « luce nel Signore » dice che è avvenuta una « nuova creazione »; è nato l’uomo nuovo in Cristo che è la luce del mondo (cf Gv 1,5; 8,12). Ecco perché anche dei cristiani è detto: « Voi siete la luce del mondo » (Mt 5,14). Quanto all’espressione « figli della luce » è importante ricordare che è una tipica espressione semitica per esprimere un’intima appartenenza. Già nella sua prima lettera, Paolo aveva scritto ai Tessalonicesi: « Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno » (1 Tess 5,5). Certo, provenire dalla luce, essere noi stessi luce scandisce una grande dignità; però quanto c’impegna!
v. 9 Poiché il frutto della luce consiste in ogni sorta di bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore.
Eccoci, come in Gal 5,22, al termine tanto significativo: « frutto ». La tenebra ha opere (cf Gal 5,21) non frutti. E le sue sono opere infruttuose, anzi devastanti. Un esegeta dice: « Quelle opere che vivono di tenebra generano e diffondono solo tenebra e quindi il nulla nullificante » (H. Slhier). Il « frutto » della luce è un fruttificare che viene dallo Spirito Santo su quell’albero vivo che è Cristo e il suo Vangelo. È un fruttificare ogni sorta di verità: ciò che risponde alla realtà del progetto di Dio, e proprio per questo diventa ogni sorta di giustizia (=santità), la quale si manifesta in bontà e benevolenza. Norma e misura di questo fruttificare che cos’è in concreto da parte nostra? L’esaminare, scegliere e decidersi per quello che è gradito a Dio, indipendentemente da quello che può piacere a noi stessi o agli altri.

La nostra lectio ci ha portato a cogliere il processo di questo fruttificare bontà: un processo estremamente vitale. Anzitutto perché viene dalla vita dello Spirito in noi a cui ci affidiamo, lasciandoci guidare da Lui. Per questa bontà e benignità nel cristiano autentico si manifesta come una sorgiva di tutto ciò che procura e sostiene il bene dell’altro e nostro. Proprio perché è luminosità di bene noi lo vogliamo con spontaneità, volentieri, senza bisogno di essere precettati. La persona buona è l’opposto di quella che pecca di « buonismo », paurosa di scomodarsi e di scomodare, più passiva e negligente che attiva e creativa. La persona buona non si lascia prendere nell’onda del permissivismo. È forte nel volere il bene, che non è mai equivoco, compromesso, un patteggiare con le tenebre. La persona buona vuole il bene, in quella gioia che nasce dal non cedere agli ostacoli che si oppongono al suo attuare bontà e benignità. La persona buona, infatti, davvero è « figlia della luce », perché se « il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità » (Ef 5,9), lei sperimenta che la luce della gioia interiore è interamente frutto del suo essere unita al Signore e del suo donarsi per lui e con lui. Come riportano gli Atti degli Apostoli, Gesù ha detto: « C’è più gioia nel dare che nel ricevere » (Atti 28,35). Risulta così ben chiaro il salto di qualità tra altruismo e bontà. La bontà « frutto dello Spirito » edifica, viene costruendo anzitutto la mia persona. È la forza dell’amore con cui Dio mi ama. Perché mi percepisco avvolto e penetrato dalla bontà di Dio, m’impegno a essere buono con gli altri.

- Ho ben capito (cioè ho capito esistenzialmente) che la bontà è anzitutto fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi? (cf Mt 7,12). O sono di quelli che hanno bei pensieri sulla bontà, ma all’atto pratico vanno dietro ai propri comodi, esigendo che gli altri siano buoni?

- Sono uno/a che esce dalla confusione dilagante e non si lascia intrappolare nel buonismo, nel permissivismo ma persegue una bontà generosa, invocata dallo Spirito?

- Mi lascio affascinare da questo ideale: voglio vincere il male col bene, con la bontà? Non mi limito dunque a essere buono con quelli che mi dimostrano affetto e stima, ma anche con chi mi è avverso?

Nel silenzio rileggo lentamente questo ricco brano della Sacra Scrittura. Invoco lo Spirito Santo. È a Lui che chiedo di aprirmi a quelle parole che sento più decisive perché il cuore si converta e, da egoista e indurito, diventi veramente un cuore buono, che accoglie quella parola di Gesù: « Così come io vi ho amato, anche voi amatevi » (Gv 13,34).

Omelia per il giorno 8 giugno 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15430.html

Omelia (09-06-2009) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

O Dio, sorgente di ogni bene,
ispiraci propositi giusti e santi
e donaci il tuo aiuto,
perché possiamo attuarli nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 5,13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”.

3) Riflessione

• Ieri, nel meditare le beatitudini, siamo passati per la porta d’entrata del Discorso della Montagna (Mt 5,1-12). Nel vangelo oggi riceviamo un’importante istruzione sulla missione della Comunità. Deve essere il sale della terra e la luce del mondo (Mt 5,13-16). Il sale non esiste per sé, ma per dare sapore al cibo. La luce non esiste per sé, ma per illuminare il cammino. La comunità non esiste per sé, ma per servire la gente. All’epoca in cui Matteo scriveva il suo vangelo, questa missione stava diventando difficile per le comunità convertite dei giudei. Malgrado vivessero nell’osservanza fedele della legge di Mosè, le stavano espellendo dalle sinagoghe, tagliate dal loro passato giudeo. In quanto a questo, tra i pagani convertiti, alcuni dicevano: “Dopo la venuta di Gesù, la Legge di Mosè era superata”. Tutto questo causava tensioni ed incertezze. L’apertura di alcuni sembrava criticare l’osservanza di altri, e viceversa. Questo conflitto generò una crisi che portò a rinchiudersi nella propria posizione. Alcuni volevano andare avanti, altri volevano mettere la luce sotto il tavolo. Molti si chiedevano: “In definitiva, qual è la nostra missione? » Ricordando ed attualizzando le parole di Gesù, il vangelo di Matteo cerca di aiutarli.
• Matteo 5,13-16: Sale della terra. Usando immagini della vita di ogni giorno, con parole semplici e dirette, Gesù fa sapere qual è la missione e la ragion d’essere di una comunità cristiana: essere sale. In quel tempo, con il caldo che faceva, la gente e gli animali avevano bisogno di consumare molto sale. Il sale, consegnato dal fornitore in grandi blocchi nella piazza pubblica, era consumato dalla gente. Ciò che rimaneva, cadeva in terra e perdeva il suo sapore. “Non serve più a nulla, salvo essere gettato via e calpestato dagli uomini”. Gesù evoca questa usanza per chiarire ai discepoli e alle discepole la missione che devono svolgere.
• Matteo 5,14-16: Luce del mondo. Il paragone è ovvio. Nessuno accende una candela per metterla sotto un moggio. Una città posta in cima ad una collina, non riesce a rimanere nascosta. La comunità deve essere luce, deve illuminare. Non deve aver paura di far vedere il bene che fa. Non lo fa per farsi vedere, ma ciò che fa può farsi vedere. Il sale non esiste per se stesso. La luce non esiste per sé! Così deve essere la comunità. Non può rimanere rinchiusa in se stessa. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. »
• Matteo 5,17-19: Non passerà neppure un iota della legge. Tra i giudei convertiti c’erano due tendenze. Alcuni pensavano che non era necessario osservare le leggi dell’AT, perché siamo salvati per la fede in Gesù e non per l’osservanza della Legge (Rom 3,21-26). Altri pensavano che loro dovevano continuare ad osservare le leggi dell’AT (At 15,1-2). In ciascuna delle due tendenze c’erano gruppi più radicali. Dinanzi a questo conflitto, Matteo cerca un equilibrio, al di là dei due estremi. La comunità deve essere lo spazio, dove questo equilibrio possa essere raggiunto e vissuto. La risposta data da Gesù continuava ad essere molto attuale: “Non sono venuto ad abolire la legge, ma a darle pieno compimento!” Le comunità non possono essere contro la Legge, né possono rinchiudersi nell’osservanza delle legge. Come ha fatto Gesù, devono dare un passo, e mostrare in modo pratico che l’obiettivo che la legge vuole raggiungere nella vita è la pratica perfetta dell’amore.
• Le diverse tendenze nelle prime comunità cristiane. Il piano di salvezza ha tre tappe unite tra di esse dalla vita: a) l’Antico Testamento: il cammino del popolo ebreo, orientato dalla Legge di Dio; b) La vita di Gesù di Nazaret: rinnova la Legge di Mosè partendo dalla sua esperienza di Dio, Padre e Madre; c) La vita delle Comunità: attraverso lo Spirito di Gesù, cercavano di vivere la vita come la visse Gesù. L’unità di queste tre tappe genera la certezza della fede che Dio sta in mezzo a noi. Gli intenti di rompere o indebolire l’unità di questo piano di salvezza generavano vari gruppi e tendenze nelle comunità:
i) I farisei non riconoscevano Gesù Messia ed accettavano solo l’AT. Nelle comunità c‘era gente che simpatizzava con la linea dei farisei (At 15,5).
ii) Alcuni giudei convertiti accettavano Gesù, Messia, ma non accettavano la libertà di Spirito con cui le comunità vivevano la presenza di Gesù risorto (At 15,1).
iii) Altri, sia giudei che pagani convertiti, pensavano che con Gesù era giunta la fine dell’AT. D’ora in poi, solo Gesù e la vita nello Spirito.
iv) C’erano anche cristiani che vivevano così pienamente la vita nella libertà dello Spirito, che non seguivano più la vita di Gesù di Nazaret, né l’Antico Testamento (1Cor 12,3).
v) Ora, la grande preoccupazione del vangelo di Matteo è quella di mostrare che l’AT, Gesù di Nazaret e la vita nello Spirito non possono essere separati. I tre fanno parte dello stesso ed unico progetto di Dio e ci comunicano la certezza centrale della fede: il Dio di Abramo e di Sara è presente in mezzo alle comunità per la fede in Gesù di Nazaret.

4) Per un confronto personale

• Per te, nella tua esperienza di vita, a cosa serve il sale? La tua comunità è sale? Per te, cosa significa la luce nella tua vita? Come è luce la tua comunità?
• Le persone del quartiere, come vedono la tua comunità? La tua comunità svolge una certa attrazione? E’ un segno? Di cosa? Per chi?

5) Preghiera finale

Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
Il Signore si rivela a chi lo teme,
gli fa conoscere la sua alleanza. (Sal 24)

Sant’Agostino: La luce di Cristo sopra il lucerniere

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100608

Martedì della X settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 5,13-16
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorsi,  289, 6 ; PL 38, 1311-1312

La luce di Cristo sopra il lucerniere

        Fratelli, gli apostoli sono le lucerne che ci permettono di aspettare il giorno di Cristo. Il Signore dichiara loro : « Voi siete la luce del mondo ». E perché non possano credere che sono una luce simile a quella di cui è detto : « Egli è la luce vera, quella che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9), insegna loro subito quale è la vera luce. Dopo aver annunciato loro : « Voi siete la luce del mondo », continua : « Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ». Io vi ho chiamato luce, dice, ma preciso : siete solo una lucerna. Non lasciatevi prendere dai sussulti dell’orgoglio, se non volete che si spenga questa scintilla. Non vi metto sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché illuminiate tutto con i vostri raggi.

        Quale è questo lucerniere che porta questa luce ? Sto per insegnarvelo. Siate, voi stessi, delle lucerne, e avrete un posto sopra questo lucerniere. La croce di Cristo è un immenso lucerniere. Chi vuole essere raggiante non deve vergognarsi di questo lucerniere di legno. Ascolta e capirai : il lucerniere è la croce di Cristo.

        « Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria ». Rendano gloria a chi ? Non a te, perché cercare la tua gloria è volere spegnerti ! « Rendano gloria a vostro Padre che è nei cieli ». Sì, glorifichino lui, il Padre dei cieli, vedendo le vostre opere buone… Ascolta l’apostolo Paolo : « Quanto a me non sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo » (Gal 6, 14).

Maronite Icon of the Pentecost with Mary and the Apostles

Maronite Icon of the Pentecost with Mary and the Apostles dans immagini sacre Maronite-Pentecost

http://thesplendorofthechurch.blogspot.com/2009/05/my-third-response-to-castroj1-on.html

Publié dans:immagini sacre |on 7 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Je Te cherche avec les larmes (Chiesa maronita del Libano)

questa preghiera è tratta dal sito della Chiesa Maronita del libano, il Santo Marc Charbel, molto seguito in Francia, poco in Italia direi, spero che la possiate leggere, è molto bella:

http://www.ayletmarcharbel.org/priere19.htm

Je Te cherche avec les larmes

Où es-Tu, ma Lumière et ma Joie ?
Le parfum de Ton passage est resté dans mon âme,
Et j’ai soif de Toi !
Mon cœur est sans courage et rien ne me donne de joie.
Je T’ai attristé, et Toi,
Tu T’es caché de moi.

Enfant, j’aimais le monde et sa beauté,
Les bois et les prés verdoyants ;
J’aimais les jardins et les forêts,
Les clairs nuages qui passent au-dessus de nos têtes.
J’aimais toute cette belle création de Dieu.
Mais depuis que j’ai connu le Seigneur,
Tout est changé dans mon âme devenue sa prisonnière.
Je ne désire plus ce monde.
Mon âme cherche inlassablement le monde
Où habite mon Seigneur.

Comme un oiseau prisonnier désire s’enfuir
De la cage, ainsi mon âme désire-t-elle Dieu.
Où es-Tu, Ô ma lumière ?
Je Te cherche avec des larmes.
Si Tu ne T’étais pas révélé à mon âme,
Je ne pourrais Te chercher ainsi.
Aujourd’hui Tu m’as visité,
Moi pécheur, et Tu m’as fait connaître Ton amour.

Tu m’as révélé que, par amour pour nous,
Tu T’es laissé attacher à la croix et que, pour nous,
Tu as souffert et Tu es mort.
Tu m’as fait voir que Ton amour T’a mené du Ciel
Sur la terre et jusqu’au fond des enfers pour que nous
Puissions voir Ta Gloire.
Tu as eu pitié de moi et Tu m’as montré Ton visage,
Et maintenant mon âme a soif de Toi,
Mon Dieu !

Comme un enfant qui a perdu sa maman,
Elle pleure vers Toi jour et nuit et ne trouve pas de paix.

Staretz Silouane.

Chiesa Cattolica Maronita di Antiochia

la chiesa di Cipro è maronita, per la maggioranza credo, dal sito:

http://www.catcc.net/italian/maronita/chiesa-cattolica-maronita-di-antiochia.html

Chiesa Cattolica Maronita di Antiochia       

Monday 10 March 2008 
Chiesa Cattolica Maronita di Antiochia

I maroniti traggono il loro nome da S. Marone, figura carismatica del monachesimo siriaco, che nel IV secolo attirò attorno a sé numerosi discepoli. Questi fondarono un monastero presso la sua tomba, nei dintorni di Apamea, non lontano da Aleppo. Nell’VIII secolo i monaci, seguiti da una consistente comunità di fedeli, si trasferirono nelle montagne del Libano, per una maggior protezione e sicurezza, fuggendo da persecuzioni o discriminazioni politiche e religiose. Col trascorrere dei secoli svilupparono una Chiesa con identità propria, autonomia ecclesiastica, autorità sociale e politica, eleggendo come loro capo un vescovo. Questi assunse il titolo di patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente.

Nonostante le varie dominazioni e governi che si sono susseguiti nel Libano, la comunità maronita ha conservato per secoli una semi-indipendenza. I contatti con la Chiesa latina e con l’Occidente si svilupparono nel XII secolo con l’arrivo dei crociati. La Chiesa maronita confermò formalmente la sua unione con la Chiesa di Roma nel 1182, ritenendo che non si era mai separata da quella, come centro della fede cattolica, né per eresia né per scisma. La Chiesa maronita rappresenta l’unico caso di Chiesa orientale che non ha un suo corrispondente «ortodosso». La professione di fede è pienamente cattolica. Essa è tuttora presente in Libano e costituisce la maggiore fra le Chiese, per numero (circa 850.000), per influenza politica, sociale, culturale e per tradizione religiosa. Conta una vasta diaspora, tanto che i cristiani maroniti sono più numerosi all’estero (circa 3.000.000) che nella patria d’origine, coltivando d’altronde un fortissimo senso d’appartenenza alle loro origini.

Il patriarca risiede a Bkerke, a una quindicina di km a nord di Beirut e assume come primo nome quello di Pietro, per indicare il suo legame con Antiochia, per primo retta dall’apostolo Pietro. La Chiesa ha un numero considerevole di clero e di congregazioni religiose, di origine locale e di provenienza esterna. Le vocazioni religiose e sacerdotali sono numerose. Il monachesimo, da sempre centro vitale e propulsivo della Chiesa maronita, è fiorente. La liturgia maronita è di tradizione siro-occidentale, ma ha assunto elementi anche dalla tradizione siro-orientale e in seguito da quella latina. La riforma liturgica in corso cerca di recuperare la purezza della tradizione antiochena, eliminando influssi esterni penetrati lungo i secoli. Fra le 62 antiche anafore, il messale odierno ne conserva sei, legate ai nomi di san Pietro, Giacomo, Giovanni, Marco, Giusto e dei Dodici Apostoli. La lingua liturgica è stata per secoli il siriaco, ma ora è l’arabo (in Medio Oriente), pur conservando qualche brano in siriaco. L’attività pastorale, la formazione del clero, gli studi religiosi, il dialogo ecumenico e interreligioso sono quadri ben seguiti e curati, mostrando una forte vitalità.

In Terra Santa i maroniti sono organizzati in due giurisdizioni: l’arcieparchia di Haifa e della Terra Santa (costituita nel 1996), e l’esarcato patriarcale di Gerusalemme e di Giordania (fondato nel 1895). La prima comprende circa 7.000 fedeli, e la seconda 500. Nella città santa la presenza dei maroniti è attestata già dal XVI secolo. Attualmente quattro istituti religiosi femminili di origine libanese maronita sono presenti in Terra Santa.
 
 

Publié dans:Chiesa Cattolica Maronita |on 7 juin, 2010 |Pas de commentaires »
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