PORTRAITS OF PETER AND PAUL …PIERRE ET PAUL – LOCALISATION LIMOUSIN

dal sito:
http://www.zenit.org/article-22836?l=italian
Ai funerali di mons. Padovese, l’Arcivescovo che lo consacrò
Il Papa si informa continuamente e rispetta le competenze della magistratura turca
CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 13 giugno 2010 (ZENIT.org).- L’Arcivescovo Edmond Y. Farhat rappresenterà la Santa Sede al funerale di mons. Luigi Padovese, in programma per lunedì 14 giugno alle ore 10.30 nel Duomo di Milano.
Secondo quanto confermato a ZENIT da padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, al funerale “vi sarà un messaggio del Papa all’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Dionigi Tettamanzi”.
“Il Papa ha dimostrato la sua partecipazione e il suo dolore in occasione del viaggio a Cipro e continua a tenersi informato – ha aggiunto padre Lombardi –. Del resto la Segreteria di Stato rispetta le competenze della magistratura turca, che ha assunto le indagini sull’assassinio”.
Mons. Farhat è stato Nunzio in Turchia dal 2002 fino al 2005 – quando è stato nominato mons. Padovese – e il 7 novembre del 2004 ha consacrato il Vescovo barbaramente ucciso.
dal sito:
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/interviste/2007/289q08b1.html
DA L’OSSERVATORE ROMANO (2007)
A colloquio con Romano Penna
Alle origini della nostra contemporaneità
Nicola Gori
Non « un semplice anniversario » ma un’occasione per riscoprire « una straordinaria figura delle origini cristiane, che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della Chiesa e che ha sempre qualcosa di nuovo da dire agli uomini e alle donne di ogni tempo ». È questo il significato dell’anno paolino secondo Romano Penna, docente di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense e docente invitato alla Pontificia Università Gregoriana. Tra i massimi studiosi della figura dell’apostolo delle genti, Penna evidenzia in questa intervista a « L’Osservatore Romano » alcuni tra gli aspetti più attuali del messaggio paolino.
Che cosa può offrire il pensiero di san Paolo all’umanità e alla Chiesa del nostro tempo?
Attraverso Paolo il cristiano può ritrovare la dimensione della contemporaneità con le sue origini. Io vedo l’attualità dell’apostolo anzitutto nella sua adesione totale a Gesù Cristo. Che non è un fatto scontato, perché secondo Paolo aderire a Cristo significa rinunciare ad altre cose: nel caso specifico, rinunciare all’affermazione di sé di fronte a Dio. Questo è il dato fondamentale, che anche Lutero a suo tempo ha riscoperto e riaffermato in termini molto forti e polemici. Rinunciare all’affermazione di sé significa fare spazio alla grazia, significa rinunciare ad ogni presunzione, ad ogni pretesa, e affermare la propria umiltà di fronte a Dio.
Un secondo dato è quello della comunione ecclesiale. Il cristiano non vive da solo, ma in una comunione che è fatta di Gesù Cristo. La definizione paolina della Chiesa come Corpo di Cristo è sua ed è solo sua. All’inizio del cristianesimo nessuno ha definito così la Chiesa. Questo può avere un impatto oggi, nel senso che il cristiano è chiamato a vedersi assolutamente in relazione con Gesù Cristo – Colui che dà il senso dell’essere Chiesa – ma anche in relazione con tutti gli altri. Noi siamo membra di un corpo, come scrive l’apostolo nella prima lettera ai Corinzi, al capitolo 12. La nostra identità è costruita sulla base di Gesù Cristo, ma anche sulla base di una comunione vicendevole. Questo è anche uno degli aspetti che più ha contribuito all’originaria affermazione del cristianesimo in una società dove l’aspetto comunionale era carente.
Un terzo elemento è forse quello che comunemente è indicato come l’aspetto più tipico di Paolo: la sua dedizione ad extra, all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo, a rendere presente il messaggio cristiano nella società. Egli ha speso la vita per questo. Pensiamo ai suoi viaggi. C’è un celebre brano nella seconda lettera ai Corinzi che fa riferimento alle fatiche, alle incomprensioni, alle ostilità. Su tutto ciò c’è un impegno fondamentale, straordinario, ribadito nella prima lettera: « Guai a me se non predicassi il Vangelo! ». Questa è la sua vita, in una società in cui non risulta che da parte giudaica vi fosse una missione specifica. Paolo, pur essendo giudeo, si dedica totalmente ad annunciare il Vangelo.
In questo senso, l’insegnamento paolino è un ostacolo o un incoraggiamento al cammino ecumenico?
Nella storia della Chiesa l’apostolo è stato un motivo di discussione più con le comunità ecclesiali nate dalla Riforma che con le Chiese ortodosse. Nell’occidente Paolo è stato un fattore diacritico, cioè di contestazione. La sua figura è molto più presente nel dialogo ecumenico con le comunità riformate, perché Lutero ha condotto la sua battaglia in nome di Paolo. Sia pure alla lunga, ciò ha favorito la sua riscoperta all’interno della Chiesa cattolica. Ritengo che il Concilio Vaticano II in realtà sia stato ampiamente caratterizzato, se non proprio dominato, dalla riscoperta del paolinismo, vale a dire dalla riscoperta della fede pura, nuda di fronte a Dio, dell’impegno apostolico, della dimensione comunionale della Chiesa.
Il tema della risurrezione di Cristo è centrale nel pensiero paolino. Può spiegarcene il significato?
Per Paolo è fondamentale la risurrezione di Cristo, perché essa porta lui e i cristiani a riscoprire di più il valore della morte di Cristo. Se l’apostolo parla due volte della risurrezione di Cristo, parla tre volte della morte di Cristo. Questo è straordinario ed è importante, perché significa che la morte di Cristo non va intesa solo come un punto di passaggio. Essa è invece il tesaurus Ecclesiae. Il tesoro della Chiesa è nel sangue di Cristo, nella morte di Cristo, che la sua risurrezione ha portato a riscoprire nella sua fecondità, nella sua valenza straordinaria. Se Cristo non fosse risorto, la morte di Cristo sarebbe stato un episodio banale. Il paolinismo non vede nella sofferenza di Cristo un esempio per noi. Vede nella sofferenza e nella morte di Cristo una dimensione di fecondità intrinseca, di salvezza, per cui addirittura Paolo arriva a dire che noi siamo morti con Cristo: non che noi dobbiamo morire come Cristo, ma che noi già siamo morti con Cristo e questa morte è feconda di vita.
Che posto occupa la carità negli scritti paolini?
La carità vuol dire amore gratuito. Ci sono due testi fondamentali in Paolo: uno è forse quello meno noto, Romani 8, 31-39, che parla dell’amore di Dio, della carità e quindi dell’agape. L’amore gratuito di Dio che scende verso di noi è fondamentale. Ciò che fa l’essenza del Vangelo è che noi siamo destinatari di un amore gratuito: non perché siamo bravi, ma perché siamo peccatori. Dio ci ama per questo. E poi c’è l’altra pagina, che forse è la più celebre, quella della prima lettera ai Corinzi, al capitolo 13, il cosiddetto inno alla carità. Si dovrebbe considerare piuttosto un encomio: non è un inno propriamente detto, come forma letteraria, ma è un encomio, un elogio, una celebrazione dell’agape. Essa nel testo è in forma assoluta, non è neanche specificata. Qui non si dice se si tratti dell’amore di Dio per noi o del nostro amore per Dio o dell’amore tra di noi. È proprio l’agape, che è il valore assoluto del cristiano. Nel contesto epistolare, si deve intendere soprattutto come amore vicendevole, però qui è usato in forma assoluta. Se io non ho l’agape, non sono niente.
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100613
XI Domenica delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario – Anno : Lc 7,36-50#Lc 8,1-3
Meditazione del giorno
Sant’Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa
La Penitenza, II, 8 ; SC 179, 175
« La tua fede ti ha salvata; va in pace »
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,12). Fai vedere, dunque al medico la tua piaga, perché tu sia curato. Se non gliela mostrerai, egli la conosce, ma desidera ascoltare la tua voce. Netta le tue cicatrici con le lacrime. In questa maniera, appunto, la donna di cui è parola nel Vangelo, si è mondata dal peccato, dal fetore della sua iniquità. Si è resa libera dalla colpa, nel lavare i piedi di Gesù con le lacrime.
Volesse il cielo, o Gesù, che tu mi destinassi a lavare i piedi che hai imbrattati mentre incedevi entro di me!… Ma donde attingere l’acqua viva con cui lavarli? Non ho a disposizione l’acqua, bensì le lacrime. Oh, potessi con esse purificare me stesso, mentre lavo i tuoi piedi! Come fare, perché tu dica di me: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato»? Ben di più avrei dovuto amare, lo ammetto, e fin troppo mi è stato condonato. Sono stato, infatti, chiamato al sacerdozio dopo essere vissuto sino a quel momento tra il frastuono delle cause forensi e le beghe paurose della pubblica amministrazione. È mio timore, pertanto, apparire ingrato, se dimostrerò un amore minore, giacché molto di più mi è stato condonato.
Ma non posso stimare tutti all’altezza della donna la quale, meritatamente, è stata preferita anche a Simone che offriva il pranzo al Signore. Essa ha, infatti, dato lezione alle persone che intendono lucrarsi il perdono. Ha baciato i piedi di Cristo, li ha lavati con le lacrime, asciugati con i capelli e cosparsi di olio profumato… Tuttavia, se non siamo in grado di uguagliarla, Gesù sa venire in soccorso dei deboli. Se non c’è la donna che possa apprestare il banchetto, offrire l’unguento, portare con sé «la fonte dell’acqua viva» (Gv 4,10), Cristo in persona viene.
dal sito:
Dalla Turchia la verità: il papa è “mal consigliato” dai diplomatici vaticani
“Credo che anche in Vaticano abbiano capito che ho ragione io: l’omicidio di Luigi Padovese ha soltanto motivazioni religiose. L’assassinio mostra infatti elementi esplicitamente islamici. Non c’entra il governo turco. Non c’entra Ankara. Non c’entrano le motivazioni personali. C’entra soltanto l’islam. Lo so, il papa ha detto prima di atterrare a Cipro che ‘non si tratta di un assassinio politico o religioso ma di una cosa personale’. Credo sia stato mal consigliato. Il Vaticano certe cose non può insegnarle a noi”.
Questo è il folgorante avvio dell’intervista del vescovo di Smirne, Ruggero Franceschini, a Paolo Rodari, su “il Foglio” di sabato 12 giugno.
Intervista che è da leggere tutta. Molto dettagliata sull’assedio islamico ai cristiani di Turchia. Sulle scuole che incitano all’odio religioso e umiliano gli alunni battezzati. Sulla dinamica dell’uccisione di Padovese. Sul profilo dell’assassino e della sua famiglia: “È sempre un rischio assumere i musulmani del posto. Ormai l’abbiamo imparato a nostre spese”.
Il vescovo Franceschini è un veterano della Chiesa in Turchia. È il predecessore di Padovese a Iskenderun e lo stesso giorno in cui è uscita la sua intervista al “Foglio” è stato nominato dal papa vicario apostolico dell’Anatolia, al posto dell’ucciso. È lui che ha presieduto i suoi funerali e tenuto l’omelia. È lui che fin dall’inizio ha tenuto desta l’attenzione sulle ragioni reali dell’uccisione, che non poteva essere liquidata come opera isolata di un pazzo.
Ed è lui, ora, a denunciare pubblicamente l’errore compiuto dalle autorità vaticane prima con la voce di padre Federico Lombardi, ma poi, soprattutto, con le parole dette da Benedetto XVI in persona sull’aereo in volo per Cipro, il giorno dopo l’uccisione di Padovese.
Che in questo caso il papa sia stato “mal consigliato” dalla segreteria di Stato è ormai un dato assodato, grazie alla franchezza di un vescovo come Franceschini che ha tutte le ragioni per dire: “Il Vaticano certe cose non può insegnarle a noi”.
Per il sinodo dei vescovi del Medio Oriente in agenda il prossimo ottobre questo errore è stato un disastroso preliminare. Non c’è di peggio che eccitare i musulmani nemici del cristianesimo con dichiarazioni che per loro suonano come atti di pura sottomissione.
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http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18690.html
Omelia (13-06-2010)
padre Ermes Ronchi
Ogni gesto d’amore avvicina a Dio
Un momento esplosivo del Vangelo, che rovescia convenzioni e ruoli, che mette prepotentemente al centro l’amore: questa donna ha molto amato. Questo basta. Un Vangelo che ci provoca, ci contesta e ci incoraggia. La fede non è un intreccio complicato di dogmi e doveri. Gesù ne indica il cuore: ama, hai fatto tutto.
Ecco una donna venne… con un vasetto di profumo. Non con la cifra corrispondente (da dare ai poveri), non a mani vuote, non con un discorso di belle parole. Viene con quello che ha, con ciò che esprime amore, più che pentimento. Qualcosa per il corpo di Gesù, solo per il corpo, e che rivela amore.
Bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i capelli, li profuma, li bacia. Sono gesti imprevisti, nuovi, oltre la legge, oltre lecito e illecito, oltre doveri o obblighi, con una carica affettiva veemente. Ai quali Gesù non si sottrae, che apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono. Ma perché questi gesti eccessivi, il profumo e le carezze e i baci? Già nella legge antica Dio aveva chiesto per sé un altare per i profumi; nel Cantico dei Cantici il profumo prolunga la presenza dell’amato, quando ha lasciato la stanza; le carezze e i baci sono la lingua universale dove è detto il cuore. Ogni gesto d’amore è sempre decretato dal cielo.
Gesù gode il fiorire dell’amore, vede la donna uscire dalla contabilità del dare e dell’avere, come se avesse una specie di conto da regolare con il Signore, ed effondersi negli spazi della libertà e della creatività, fino a bruciare in un solo gesto un intero patrimonio di calcoli e di tristezze. Ogni gesto umano compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Gesù guarda al di là delle etichette: arriva una donna, gli altri vedono una peccatrice, lui vede un’amante: ha molto amato. L’amore vale più del peccato. È la nostra identità. L’errore che hai commesso non rèvoca il bene compiuto, non lo annulla. È il bene invece che revoca il male di ieri e lo cancella. Una spiga conta più di tutta la zizzania del campo. Questo Dio che ama il profumo e le carezze, mi commuove. Non è il grande contabile del cosmo, ma è offerta di solarità, possibilità di vita profonda, gioiosa, profumata, che sa le sorgenti della gioia, del canto, dell’amicizia. Un solo gesto d’amore, anche muto e senza eco, è più utile al mondo dell’azione più clamorosa, dell’opera più grandiosa. È la rivoluzione totale di Gesù, possibile a tutti, possibile ogni giorno.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18675.html
Omelia (13-06-2010)
Eremo San Biagio
Dalla Parola del giorno
Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. (Gal 2, 20b)
Come vivere questa Parola?
Paolo, convertito dalla sua accanita volontà di perseguitare i cristiani, disarcionato da cavallo dalla forza del Cristo crocifisso e risorto, è ormai afferrato da lui e solo dedito alla sua causa.
Da persecutore è diventato, con Cristo e per Cristo, un alter christus, collaboratore della gioia di molti fratelli. Ha potuto affermare: « Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo ma Cristo vive in me ». Qui Paolo spiega come questo sia potuto avvenire in lui ma di fatto insegna anche a noi il modo con cui possiamo effettivamente (e non solo di nome) essere cristiani, veri seguaci di Gesù.
Eccone dunque la modalità. Si tratta di « vivere nella carne », cioè secondo quello che comporta la nostra natura umana: con le sue opportunità, gli impegni del proprio stato e del proprio lavoro. Tutto questo dunque – ed è importante notarlo – non è né appiattito dalla fede né minimizzato. Però tutto acquista spessore, senso e trasfigurazione se è vissuto nella fede. È la fede in Gesù: in tutto il suo mistero rivelatore di un amore infinito che non è generico, ma personalizzato. Gesù ha dato se stesso per me – dice Paolo – ma lo dico anch’io riguardo alla mia persona! E lo puoi dire anche tu di te, del suo amore nei confronti del tuo essere persona unica e irrepetibile. Credere è la gioia di fare questa scoperta ogni giorno più a fondo.
Oggi, a questo penso nella mia pausa contemplativa. Penso e chiedo di ardere di amore. Perché, se davvero questa verità vertice della mia fede diventa fede vissuta nel mio quotidiano, tutto il mio pensare, sentire e operare sono vivificati, si accendono e trasfigurano.
Signore Gesù, tu mi hai amato e hai dato te stesso per me. Non permettere che la mia vita sia ‘cenere’ davanti a te. Prendimi così come sono. E nel tuo amore accendimi, rendimi in qualche modo prolungamento di te.
La voce di un pastore
Coloro che si accompagneranno al nostro cammino volgeranno lo sguardo a Cristo solo se il profumo del vangelo si sprigionerà dalla nostra vita.
Tonino Bello