13ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO C -OMELIA
da: Unità pastorale « Alta Val Taro-Ceno » – Parma:
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13ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO C -OMELIA
Insieme al bisogno di senso, e al desiderio di amare e di essere amato, uno dei desideri più profondi del cuore dell’uomo è quello della libertà. Forse rispetto ai primi due, la libertà è ancora più fondamentale, perché non è un lusso di chi abbia già soddisfatto altri bisogni. È la condizione perché questo soddisfacimento possa avvenire. L’intera Bibbia è una storia di liberazione. Dalla Genesi all’Apocalisse la storia della salvezza è anche una storia di alienazione dell’uomo e di anelito alla libertà. Costantemente si innalza dalla terra l’invocazione per ottenerla, e continuamente a questa invocazione Dio risponde agendo per donarla all’umanità. Come la vicenda di Israele nel deserto insegna, la libertà è una condizione difficile da sopportare. Paolo, che è uno dei grandi cantori della libertà, insiste sulla liberazione che Cristo ha conquistato per gli uomini. «Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5,1).
I cristiani di Galazia, dopo aver ascoltato l’annuncio del vangelo e averlo accolto, erano tentati da due forme di ritorno alla schiavitù. La prima era la schiavitù della legge, secondo un’interpretazione giudaizzante del vangelo. Questa tentazione non è esclusiva dei Galati del primo secolo dopo Cristo. Ritorna anche oggi nelle concezioni moralistiche della vita cristiana: è la schiavitù del riporre esclusiva fiducia nelle opere, sempre destinata al fallimento e alla disperazione. Chi, con i suoi soli sforzi, può conquistarsi la benevolenza di Dio? Chi può accatastare meriti per acquistarsi la salvezza, che è dono? Chi, a meno che non sia cieco, può affermare che per quanto conosca il bene che deve compiere, indicatogli dalla legge, non ha la capacità di compierlo? Non si tratta di svalutare l’istanza di perfezionamento ascetico e morale del cristianesimo, ma di riconoscere come tale perfezionamento sia impossibile se non ha come sostegno la grazia che fa uscire dal rapporto ansiogeno con Dio basato sulle nostre “prestazioni” etico religiose. La seconda schiavitù da cui erano tentati i Galati era il ritorno alla vita secondo il peccato, ma giustificato dalla libertà in Cristo. «Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne» (Gal 5, 13), dice Paolo. È quando la libertà diventa giustificazione per la prevaricazione. Oppure la libertà che si trasforma in indifferenza, per cui l’essere liberi significa rimanere non toccati dalla vita e dalle sofferenze altrui. Ed infine quando la libertà diventa occasione di licenziosità, creando una dissociazione fra la dimensione esteriore e corporea dell’uomo e quella interiore, quasi che la prima non fosse in continuità con la seconda. Secondo l’apostolo la libertà cristiana è dono di Dio, è vocazione, si compie nell’amore reciproco, e consiste nella vita cristiana come cammino secondo lo Spirito. Il verbo camminare quale immagine della vita cristiana riporta al vangelo. Luca afferma che «mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9, 51). Anche qui si tratta di libertà.
Quella di Gesù è far proprio il disegno di salvezza del Padre per l’umanità, e di assumerlo fino alle estreme conseguenze. In questa libera adesione consiste la sua «ferma decisione». Prima di mettersi in viaggio per Gerusalemme Gesù manda avanti a sé alcuni discepoli. Essi hanno il compito di «preparargli l’ingresso» (Lc 9, 52) presso i samaritani. Ma questi ultimi respingono gli inviati e, in essi, Gesù stesso. Mistero della libertà che può anche rifiutare il dono del Signore. Il cammino ed rifiuto offrono l’occasione per l’insegnamento sulle condizioni della sequela. Innanzi tutto è significativo proprio il contesto, il viaggio di Gesù. La sequela è cammino dietro Gesù, con Gesù, secondo la medesima radicalità. È di nuovo una questione di libertà. Ci si mette alla sequela di Gesù perché si sceglie di farlo, tanto più oggi che essere cristiani non comporta particolari vantaggi, non è più di moda, e non è più un obbligo né culturale né sociale. Si segue Gesù perché si decide liberamente di farlo, per una scelta di predilezione. In quest’ottica di libertà vanno letti i tre insegnamenti successivi. Sono certamente ammonimenti sulle esigenze del discepolato. Ma soprattutto sono insegnamenti sulla libertà che richiede ed insieme dona la sequela. Nel primo «un tale» accosta Gesù (Lc 9, 57). Non ha nome né particolari identificativi. Nella sua universalità è l’icona di chiunque voglia mettersi alla sequela – «Ti seguirò dovunque tu vada» (Lc 9, 57) -. A lui Gesù risponde mettendolo sull’avviso riguardo la precarietà che comporta la sequela. Una condizione che bisogna ben considerare per le sue privazioni, i suoi rischi e le sue esigenze. Tuttavia è una precarietà secondo il mondo. Chi si mette alla sequela di Gesù sperimenta la sicurezza, nella logica della fede, che sa che in nulla il Padre abbandona i suoi Figli, e che rinunciare a ciò che schiavizza il mondo è ricambiato dalla più grande libertà interiore. «In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza», dice san Paolo, «gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6, 4; 10).
Il secondo è chiamato da Gesù stesso. «Seguimi» (Lc 9, 59). È l’iniziativa divina che chiama al discepolato. Ad essa il chiamato frappone l’obbedienza al quarto comandamento. La risposta di Gesù è sconcertante: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio» (Lc 9, 60). A prima vista sembra un’aporia: Dio contro Dio. Gesù afferma l’assolutezza del Regno di fronte al quale non valgono dilazioni. Il Regno comporta una novità radicale, che tutto rinnova. Non si tratta di venire meno ai doveri filiali. Significa ri-orientare il senso di tutto, anche degli obblighi parentali, alla luce dell’assoluto che è il Regno. Il Regno dona anche libertà nel vivere gli affetti umani. E la psicanalisi insegna come questi affetti fondamentali possano anche essere occasione di schiavitù radicale. Il terzo episodio pone al centro l’esigenza dell’unificazione interiore nella sequela. «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). La condizione della dedizione al Regno differisce molto da quella di chi va al supermercato per acquistare una scatoletta di fagioli ed esce con il carrello pronto per un cenone di capodanno. La sequela dona la libertà interiore di puntare dritto sull’obiettivo, senza lasciarsi rallentare da nostalgie e ripensamenti. La sequela insomma richiede libertà. Ma se assunta come stile di vita ne restituisce una ben maggiore. Il vangelo, se mantenuto in tutta la sua paradossalità, è veramente una proposta di vita adeguata alle istanze più profonde del cuore dell’uomo. Se invece è accomodato perde il suo fascino.
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