Padre Luigi Padovese, un mio ricordo ed un mio pensiero per lui

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Mons. Luigi Padovese al funerale di Don Santoro

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rileggo ancora con sgomento la notizia dell’assassinio di Padre Luigi Padovese, nunzio apostolico in Anatolia, qui sulla mia scrivania ho l’unico libro che ho ancora dei miei studi con lui, non ricordo, forse le altre erano dispense, si intitola « Lo scandalo della croce, la polemica anticristiana nei primi secoli », lo stavo rileggendo per poter proporre ancora qualcosa dei suoi studi;
certo ce ne sono molti altri, ma io ho qui i miei ricordi;
sono passati diversi anni dai corsi che feci con lui di Patrologia e spiritualità, non ricordo molto anche se i suoi insegnamenti si sono saldati dentro di me; tuttavia un giorno, forse c’era stato un Convegno e, forse, eravamo usciti, professori e studenti …magari per andare in Chiesa, ritornavamo e io ero davanti a lui, scherzava e sorrideva, ricordo così il suo viso e il suo sorriso;
poi ho seguito, ma solo in parte, il suo lavoro in Anatolia, e, certo, ho perduto qualcosa dei suoi insegnamenti e del suo ministero come nunzio apostolico;
riguardando, tuttavia, la storia di questi ultimi anni il mio pensiero va alla Chiesa:
la chiesa di oggi mi appare sempre di più come quella dei martiri, chiesa degli umili, di chi è capace di fare in silenzio il proprio dovere, e, quasi in silenzio, morire;
mi sembra cambiata la storia, lo vedo per le strade di Roma, nelle Chiese, non sempre piene, ma dove i fedeli partecipano attivamente soprattutto ascoltando, cercando di comprendere e di vivere qualcosa che sembra antico ed oggi stranamente nuovo; dove i confessionali sembrano di nuovo riempirsi, di persone che desiderano che la vita propria e dei propri cari prenda una nuova forma e senso;
sta cambiando il modello che abbiamo spesso conosciuto, di fedele, di sacerdote e di Papa;
io che mi sento « afferrata » da Paolo ed in lui da Cristo – ma tanto lontana dalla sua fede – vedo che il modello è sempre di più Colui che è morto fuori delle mura di Gerusalemme, sulla Croce; che il modello è colui che « afferrato » da Cristo lo ha seguito nelle malattie, nelle persecuzioni, nei tradimenti, nella morte, viaggiando per ogni terra, e, naufagando, fino a Roma;
il modello di un annuncio del Vangelo di chi ha combattuto la buona battaglia: « …ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede, ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice mi consegnerà in quel giorno, e non soltanto a me, ma a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione » (2Tm 4,7-8);
di essere, appunto, « testimoni », di quell’essere cristiani dove l’eccezionale, lo straordinario, l’assurdo modo di vivere dei cristiani non fa notizia, non crea scandali, non provoca lotte né guerre: « I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti…Vivono nella carne, ma non secondo la carne…Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati.. » (Dall’Epistola a Diogneto)
dove il senso ultimo di ogni insegnamento, di ogni catechesi, di ogni studio, di ogni scienza teologica, è quello ultimo dell’amore, non perché la legge è stata abolita, ma perché è stata compiuta in Cristo; allora tutto convoglia e si raccoglie nell’atto dell’amore, quello supremo di Cristo, di Paolo e dei tanti martiri anche in questo « secolo », oggi di Padovese: morire perhé ha amato;

ARRIVEDERCI IN PARADISO PADOVESE, QUANDO, E SE, DIO VORRÀ ANCHE ME;

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