tag: Sal 137; violenza; visioni dualistiche e gerarchiche; Dio violento?

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http://www.sufueddu.org/fueddus/biblioteca/pinna/Art_Varia/Fr_101-992.pdf

tag: Sal 137; violenza; visioni dualistiche e gerarchiche; Dio violento?

Imparare dalla pioggia: la scuola biblica della non violenza

Bibbia e violenza. Tema vasto. Troppo, per due pagine. In più, chi leggerà quest’articolo? Cento per cento, nessuno  dei  giovani  di  cui  si  è  detto  che  usano  pistole  reali  come  fossero  giocattoli  virtuali.  I  “violenti” hanno altro da fare che leggere articoli sulla violenza. Al massimo, qualche “violento” ne scrive qualcuno, magari su Internet. E allora si parla di “cattivi maestri”. E siamo già al cuore del problema: in un modo di pensare che divide il mondo in due, i “pacifisti” da una parte, i “violenti” dall’altra. La complicazione viene dal fatto che talvolta non c’è niente di più violento dei discorsi dei pacifisti, come talvolta non c’è niente di più impuro dei discorsi dei puri. E allora?

Una visione dualistica e gerarchica

E allora bisogna chiedersi da che cosa viene e a che cosa porta ogni visione dualistica e gerarchica della realtà. Di sicuro, non dalla Bibbia. Che però ne propone diversi esempi. Dualistica e gerarchica è la visione del fariseo il quale, vedendo come Gesù si lasciava baciare i piedi e profumare da una prostituta, non osa nemmeno dire ciò che pensa tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice” (Lc 7,39). Dualistica e gerarchica è la visione del fariseo che, stando in piedi, prega dicendo: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo” (Lc 18,11-12).  Dualistica  e  gerarchica  è  la  visione  del  figlio  maggiore  che,  rifiutando  di  entrare  in  casa  del  padre,  oppone il suo comportamento a quello del fratello minore: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che  questo  tuo  figlio  che  ha  divorato  i  tuoi  averi  con  le  prostitute  è  tornato,  per  lui  hai  ammazzato  il vitello grasso” (Lc 15,29-30). Ma dualistica e gerarchica è anche la stessa visione del fratello minore, che pensando di rientrare in casa del padre, prepara il suo discorso: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami  come  uno  dei  tuoi  garzoni”  (Lc  15,18-19).  Se  anche  il  padre  ragionasse  in  modo  dualistico, antitetico e gerarchico come i suoi due figli, nessuna festa sarebbe possibile. Invece la festa si fa.

Far festa con chi e per chi non se la “merita”

Perché il padre della parabola, come Gesù, non vede le cose e le persone per come devono essere, ma le comprende e le accetta per quello che sono. È vero che nel discorso della montagna il vangelo di Matteo dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48), ma questa frase è detta alla fine di alcune altre che hanno già chiarito in che cosa consiste la perfezione del Padre: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,43-48). Tuttavia, il vangelo di Luca sembra voler prevenire le tendenze perfezioniste dei suoi lettori di ieri e di oggi,  ancora  influenzati,  oggi  come  ieri, più  dal  giuridismo  romano  e  dall’estetica  greca  che  dalla misericordia  evangelica,  e  traduce  la  stessa  idea  di  Matteo  con  un  diverso  vocabolario,  dicendo:  “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36).

Interrompere la catena della violenza

Ciò che Gesù dice e fa è di smettere di dividere il mondo in due, come deve essere e come non è, illudendoci magari, come i “puri-farisei”, di essere noi dalla parte giusta. Smettere di vedere il mondo con gli occhi della perfezione, e cominciare a guardarlo con quelli della misericordia sta alla radice del comportamento che Gesù propone di fronte alla violenza, quello di interromperne la catena: “Ma a voi che ascoltate, io dico:  Amate  i  vostri  nemici,  fate  del  bene  a  coloro  che  vi  odiano,  benedite  coloro  che  vi  maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete  gli  uomini  facciano  a  voi,  anche  voi  fatelo  a  loro.  Se  amate  quelli  che  vi  amano,  che  merito  ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici,  fate  del  bene  e  prestate  senza  sperarne  nulla,  e  il  vostro  premio  sarà  grande  e  sarete  figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi” (Lc 6,27-35) .
Il perdono di cui Gesù parla non è dimenticanza né indifferenza, ma un atto di lucida e compassionevole coscienza,  che  proprio  perché  non  dimentica  il  male  e  non  è  indifferente  di  fronte  al  male,  vede  la situazione dolorosa non solo di chi subisce violenza, ma anche di chi la compie. L’atto di perdono è un atto di amore perché interrompe la riproduzione del male, è un atto di fede perché crede in una logica divina diversa da quella umana,  è un atto di speranza perché ha fiducia in una salvezza uguale per lui e per il suo avversario. In questo senso, perdonare è un’operazione “genetica”: si interrompe una generazione per farne nascere un’altra.

Un Antico Testamento “violento”?

Se appunto leggessimo la Bibbia per quello che è, una parola di “genesi”, di “creazione”, di “poetica” nel senso etimologico del termine, saremmo in grado di capirne meglio qualche pagina difficile, come l’ultima strofa del Salmo 137. Di fronte agli “oppressori” che in esilio chiedono di ascoltare i canti degli “oppressi” , questi alla fine intonano sì un canto, ma non è il “canto di Sion”, la madre violentata, “denudata fin dalle sue  fondamenta”,  è   il  “canto  di  Babilonia”,  la  “donna  della  violenza”:  “Ricordati,  Signore,  dei  figli  di Edom, che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Denudate, denudate anche le sue fondamenta». Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra” (vv. 7-9). Chi ha censurato questi versi dalla proclamazione liturgica del salmo, ha ritenuto i cristiani incapaci di capire la poesia e in fondo incapaci di capire Dio stesso. La poesia: che non usa il linguaggio della dichiarazione dei redditi, ma quello delle immagini, per dire in questo caso che anche per la generazione dei violenti c’è una fine. Dio stesso: che ha scelto di camminare con l’uomo non quando era già arrivato alle soglie delle beatitudini evangeliche, ma fin dagli inizi dei suoi desideri, ancora impastati di violenza. “Dio camminando con un popolo guerriero lo conduceva verso la propria mitezza” (Beauchamp, Leggere la Sacra Scrittura oggi [Milano: Massimo], p. 99).

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