Joh-10,01-Good_shepherd_Bon_Berger

dal sito:
http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010504_gregorio-papa_it.html
Dalle « Omelie sui Vangeli » di san Gregorio il Grande, Papa (Hom. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130.
Cristo, il buon pastore
« Io sono il buon pastore. E conosco le mie pecore, cioè le amo, e le mie pecore conoscono me. Come se dicesse chiaramente: Coloro che amano, seguono. Infatti colui che non ama la verità, non ha conosciuto ancora nulla.
Poiché, fratelli carissimi, siete a conoscenza del pericolo che noi corriamo, ponderate bene, nelle parole del Signore, anche il vostro pericolo. Vedete se siete sue pecorelle, vedete se lo conoscete, vedete se conoscete la luce della verità. Inoltre conoscete, io affermo, non per mezzo della fede, bensì per mezzo dell’amore. Conoscete, dico, non con il credere, ma con l’agire. Infatti quegli stesso che afferma questo, l’evangelista Giovanni, attesta dicendo: Chi dice di conoscere Dio, ma non osserva i suoi comandamenti, e bugiardo.
Perciò anche in questo medesimo passo il Signore subito aggiunge: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le mie pecore. Come se dicesse in modo esplicito: Da questo risulta che io conosco il Padre, e sono conosciuto dal Padre, risulta che do la mia vita per le mie pecore; cioè, io dimostro in che misura amo il Padre con quell’amore con il quale muoio per le pecore. E senza dubbio di queste pecore dice nuovamente: Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco, e mi seguono, e io do loro la vita eterna. Di esse poco più sopra dice: Chi entrerà per me sarà salvo, ed entrerà e uscirà e troverà pascolo. Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall’azione del credere alla contemplazione e troverà pascolo nel ristoro eterno.
Le sue pecore perciò troveranno pascolo, perché chiunque lo segue con cuore semplice, viene nutrito per mezzo di pascoli che sono verdeggianti in eterno. Qual è poi il pascolo di queste pecore se non le intime gioie dei paradiso verdeggiante? Infatti il pascolo di coloro che sono eletti è la presenza del volto di Dio, e guardandolo, senza che esso venga mai meno, la mente si sazia in eterno del cibo della vita. Cerchiamo quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, in cui possiamo gioire nella solenne festosità di cittadini tanto grandi. Facciamo in modo di essere attirati dalla stessa festosità di coloro che sono felici. Accendiamo dunque il nostro animo, fratelli, la fede venga riscaldata da ciò in cui ha creduto, i nostri desideri si accendano per i beni celesti, e in questo modo amare significa già incamminarsi.
Nessuna contrarietà ci ritragga dalla gioia dell’intima festosità, perché, se qualcuno desidera andare in un luogo stabilito, il desiderio di arrivarvi non venga affievolito da alcuna asperità del cammino. Nessuno stato di prosperità ci alletti con le sue lusinghe, perché è certo un viaggiatore sciocco colui che si dimentica di andare nel luogo in cui aveva intenzione di arrivare, perché, durante il viaggio, si ferma a guardare i bei prati. »
Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso delle gioie eterne: perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto Cristo, suo pastore glorioso, che vive e regna nei secoli dei secoli.Amen.
« a cura del Dipartimento di Teologia Spirituale
della Pontificia Università della Santa Croce »
dal sito:
http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1968/documents/hf_p-vi_hom_19680428_it.html
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DEL «BUON PASTORE»
OMELIA DI PAOLO VI
28 aprile 1968
RIPENSARE LA PERSONA LA FIGURA DI CRISTO
Sua Santità, dopo aver annunciato che, al termine del Divin Sacrificio, Egli saluterà i vari pellegrinaggi, intende adesso proporre una speciale riflessione.
Lasciamo – Egli dice – che la nostra anima si raccolga sulle parole del Vangelo ora ascoltate, e che tutto il nostro spirito si apra per coglierne un aspetto, che possa essere per noi di spirituale nutrimento durante la celebrazione dei santi Misteri.
Il Vangelo della seconda domenica dopo la Pasqua ci ripropone il celebre brano del Buon Pastore. Esso sembra quasi rispondere, nella scelta fattane per l’odierna liturgia, a una necessità psicologica, come quella – per usare un paragone ovvio – di chi ha perduto la presenza fisica di persona cara.
Quando uno dei nostri con la morte ci lascia, che cosa si fa? Lo si rievoca intensamente. Il Vangelo odierno induce a un ripensamento della Persona, della figura, della missione di Cristo. Guardiamo quanto è avvenuto. Gesù ha concluso la sua vita temporale con la Croce e ne ha inaugurata un’altra con la Risurrezione; e noi, che siamo rimasti estasiati da questo avvenimento, che tanto ci consola eppur tanto ci supera, della vittoria sulla morte, e ci ritroviamo, però, quasi abbandonati e nella solitudine, torniamo col pensiero a Chi ci è presentato dal Vangelo nelle sue forme umane e sensibili; e ci chiediamo: com’era? quale il suo volto? e il suo aspetto?
E qui è necessario subito evitare uno scoglio assai in voga ai giorni nostri: quello definito «mitizzazione»: un rifacimento, cioè, artificioso e fantastico della figura di Cristo.
«MITE ED UMILE DI CUORE»
Noi abbiamo ottime ragioni per non commettere questo errore. Anzitutto perché il ricordo di Lui nell’odierno tratto evangelico è realistico, umile, spoglio di qualsiasi amplificazione, ed ha, intero, il sigillo della fedele realtà. Inoltre, perché rimaniamo coerenti e fedeli alla parola stessa di Gesù. È Lui a indicare e definire la sua missione: il Buon Pastore. Due volte si è chiamato così; e noi ci atteniamo esattamente a questa definizione che Egli si compiacque dare di Sé e ci consegnò, quasi dichiarando: pensatemi così: Io sono il Buon Pastore. Ha voluto perciò consegnare alla nostra anima, alla nostra memoria, al nostro raziocinio, questa sua definizione. E con tale evidenza che la prima e più antica iconografia cristiana, come si sa, ci presenta proprio l’immagine agreste, semplice, paesana del pastore che porta sulle spalle una delle sue pecorelle.
Il Buon Pastore è Gesù. Adesso si tratta di capire, giacché non basta guardare l’immagine della persona scomparsa, non è sufficiente una rievocazione sensibile, ma occorre comprendere, penetrare quel ch’è rivelato da tali sembianze. Era così Gesù? È proprio Lui che ha voluto essere in tal modo, da Buon Pastore, ricordato e celebrato? Di ciò, infatti, si tratta, e dei caratteri salienti che così delineano Gesù. Ebbene, il Vangelo ce ne informa con parole assolutamente semplici; e, come sempre, con insegnamenti profondi, abissali, che quasi danno le vertigini e fiaccano il nostro potere di comprensione. Nondimeno, siamo invitati dallo ste.sso Signore – e la liturgia della Chiesa ripete il richiamo – a pensarlo così: una figura estremamente amabile, dolce, vicina; e noi possiamo attribuire soltanto al Signore l’esprimersi con bontà infinita.
Ecco, poi, riaffiorare nella nostra memoria altre parole che Gesù ha detto di Sé: Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore. La sua bontà, anche qui, si definisce con eloquio, con virtù che prodigiosamente fanno discendere sino a ognuno di noi il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio fatto Uomo, Gesù, centro dell’umanità.
Presentandosi in tale aspetto, Egli ripete l’invito del Pastore; disegna, cioè, un rapporto che sa di tenerezza e di prodigio. Conosce le sue pecorelle, e le chiama per nome. Poiché noi siamo del gregge suo, è agevole la possibilità di corrispondenza, che antecede il nostro stesso ricorso a Lui. Siamo chiamati uno ad uno. Egli ci conosce e ci nomina, si avvicina a ciascuno di noi e desidera farci pervenire ad una relazione affettuosa, filiale con Lui. La bontà del Signore si palesa qui in maniera sublime, ineffabile. La devozione che la fede, la pietà cristiana tributerà al Salvatore, arriverà con slancio – non solo momentaneo, ma capace di sondare le meraviglie di tanta dilézione – a penetrare nel cuore: e la Chiesa ci presenterà il Cuore di Cristo perché abbiamo a conoscerlo, adorarlo, invocarlo. La devozione al Sacro Cuore di Gesù ben può attribuirsi alla sorgente evangelica oggi rievocata: «Io sono il Buon Pastore».
IL BUON PASTORE DÀ LA VITA PER IL SUO GREGGE
V’è, poi, un tratto che corregge una delle più comuni ed inesatte interpretazioni della bontà. Noi siamo abituati ad associare il concetto di bontà a quello di debolezza, di non resistenza; a ritenerla incapace di atti forti ed eroici, di manifestazioni in cui trionfino la maestà e la fortezza.
Nella figura di Gesù, semplice e complessa insieme, le qualità, le doti che si direbbero opposte, trovano, invece, una sintesi meravigliosa. Gesù è dolce e forte; semplice e grandioso; umile e a tutti accessibile; una sommità inattingibile di fortezza d’animo, che nessuno potrà giammai eguagliare. Nondimeno, Egli stesso ci introduce in questa sua psicologia, nella penetrazione, diremmo, del suo temperamento, della sua mirabile realtà.
Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle, per il suo gregge. È come dire: l’immagine della bontà si congiunge a quella d’un eroismo che si dona, si sacrifica, s’immola, per cui tale bontà si congiunge ad altezze e visioni dell’atto redentore, talmente elevate da lasciarci sorpresi e attoniti.
Dobbiamo avvicinarci a Gesù, così presentato dal Vangelo, e dobbiamo chiederci se davvero noi cristiani portiamo bene questo nome, se cioè abbiamo un esatto concetto del nostro Divin Salvatore. Certo: molte Vite sono state scritte di Lui; un diffuso catechismo lo concerne e lo presenta; e tante pagine del Vangelo ci sono familiari. Ma una sintesi, come dire?, fotografica, completa, di Lui, la possediamo? Abbiamo un giusto concetto di quel che Egli è stato? Orbene, la cara immagine evangelica e quasi arcadica, offertaci dallo stesso Divino Maestro, lascia riposare, in un incanto di amore, il nostro spirito, e lo dirige e l’aiuta nella ricerca di Dio.
TUTTI EGLI CI CONOSCE E CI CHIAMA
Che fa Gesù per attirarci e conquiderci in modo tanto sicuro? Egli ci conosce. Si pensi, quindi, quale prodigio ciò rappresenti. Siamo noti, chiamati uno ad uno, per nome, da Cristo: e in una forma completa, totale, cioè nel nostro essere, nella nostra persona, nei doni da Lui prodigatici, nei nostri desideri, nei nostri destini. Sono inseriti in questo Libro, che contiene le pagine della infinita bontà. Tutti siamo iscritti nell’elenco dei suoi: ciascuno può trovare se stesso nel Cuore di Cristo. Quale stupenda bellezza quella di rispecchiarsi in Gesù e di indovinare come Egli ci conosce! San Paolo lascia vedere tale stupenda realtà come una delle cose future: «Nunc cognosco ex parte; tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum» (1 Cor. 13, 12). Ora conosco in parte; allora poi conoscerò in quel modo stesso ond’io pure sono stato conosciuto. Ma già fin d’ora qualche cosa possiamo percepire, e così diventiamo un po’ diversi dalla ordinaria statura di uomini orgogliosi, o indifferenti o anche talvolta cattivi. Davanti a Gesù, che si denomina Buon Pastore, ci conosce e ci chiama per nome, vuole avvicinarci e ci guida assicurando di condurci ai pascoli della vera vita e agli alimenti necessari, oh come diventiamo un po’ migliori anche noi e come sentiamo, per via di amore e di elezione, l’energia nuova, divina, sostituire la nostra umana e tanto ribelle psicologia! In una parola, il divenire perfetti cristiani.
E ancora un’ulteriore nota che concerne e definisce il Buon Pastore. Gesù ha sofferto, è morto per noi. Il Buon Pastore ha dato la sua vita per salvare la nostra. Se qualcuno di noi ha avuto la sorte d’essere stato, in qualche pericolosa circostanza, liberato da una malattia, o d’essere risparmiato da una disgrazia per intervento e merito di qualcuno, che ha agito con disinteresse, persino con sacrificio, certamente avverte insopprimibile, perenne, il vincolo della gratitudine verso il benefattore. Adunque, per il Signore Gesù dobbiamo avere, e a titoli superlativi, l’atteggiamento, l’obbligo di una riconoscenza senza fine. Questa attitudine di ringraziamento illimitato dobbiamo sentirla verso Gesù. Egli ci ha salvato offrendo la sua vita per noi, dandola coscientemente, con inenarrabili sofferenze, mentre – lo dicono i Padri – Egli poteva dare la sua vita in una maniera più semplice e meno tormentosa. Ha voluto, invece, conferire al suo Sacrificio una evidenza dolorosa fino allo spasimo; ha voluto imprimere nelle nostre anime l’immagine sanguinante delle sue membra straziate per noi!
HA DATO LA VITA PER NOI TRA INDICIBILI SOFFERENZE
Allora, la più bella definizione che troviamo nel Vangelo è quella che il Precursore Giovanni diede di Lui: Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Gesù è la vittima: Colui che paga per gli altri ed ha pagato per noi; si è sacrificato e immolato per noi. Ha stretto una reale parentela di obbligazione verso di noi appunto perché ha sostituito ai nostri debiti la sua ricchezza; ed ha soddisfatto per la nostra miseria; ha riparato la nostra rovina. Il mistero della salvezza, che è il mistero d’una donazione divina, al posto dei nostri moltissimi doveri e debiti, dovrebbe, nuovo motivo di fervore, sigillare la figura di Cristo nei nostri cuori; e suscitare in noi piena e sentita corrispondenza.
Nel Vangelo, quando si accenna ai rapporti tra il Figlio di Dio e i suoi discepoli, c’è sempre, da parte loro, qualche cosa di manchevole, dubbio, instabilità e insufficienza. Solo dopo la morte di Cristo e il suo Sacrificio, essi hanno a Lui ripensato come al Pastore che dà la vita per le sue pecorelle. Si è accesa, così, nel loro animo, la fiamma di adesione, entusiasmo, fedeltà; di quell’amore e dono di sé che il Signore domanda appunto a tutti i suoi seguaci.
PIENA GENEROSA E COSTANTE SIA LA NOSTRA RISPOSTA
Oggi è la «Giornata delle Vocazioni». Come è felicemente scelta in coincidenza con il tratto del Vangelo ora rimeditato!
Dovremmo sentirci un po’ tutti chiamati per nome; è necessario vedere in Gesù la guida dei nostri destini, dell’intera nostra vita; dobbiamo tutti rincorrerlo per dirgli: grazie: anch’io farò qualche cosa; la mia vita è tua, come la tua vita è stata ed è mia.
Il nuovo rapporto di amore, che unisce l’umanità a Cristo è stato definito come il connubio, lo sposalizio tra l’umanità e Cristo. Perciò la Chiesa, cioè l’umanità che segue Cristo, è chiamata la Sposa del Signore. Il che vuol dire una risposta: amore per amore; e quello che noi appartenenti alla Chiesa dobbiamo essere: i clienti della bontà di Dio, di Cristo. Indica, inoltre, la capacità nostra di superare e vincere timidezze, ignoranze, dubbi, per stabilire con Lui rapporti diretti d’interiore conversazione e di segreto, indissolubile amore.
Questa, o figliuoli – conclude il Santo Padre – la meditazione per oggi e per sempre. Non dovrà mai aver fine. Pensate alle parole del Signore, che dice di Sé: Io sono il Buon Pastore. Con quale infinita carità Egli le ripete a ciascuno di noi e le convalida con le altre: guarda che il Buon Pastore ha dato per te la sua vita! E tu? E tu? Figliuoli a voi la risposta.
dal sito:
http://www.nostrasignoradelsacrocuore.it/public/omelie/290407.doc
(Oleggio 29/04/2007)
IV DOMENICA DI PASQUA
Letture: Atti 13, 14.43-52
Salmo 99
Apocalisse 7, 9.14-17
Vangelo: Giovanni 10, 27-30
Nel Vangelo di oggi, ascoltiamo una delle espressioni più alte della Spiritualità cristiana, cioè di Cristo: “Io e il Padre siamo una cosa sola.”
Questo fa riferimento a ciascuno di noi, quando Gesù ci inviterà ad essere uno con il Padre, che non vuol dire tanto andare d’accordo, essere unità, quanto essere manifestazione di Dio.
Come Gesù è manifestazione del Padre, ciascuno di noi, la Comunità deve diventare Dio visibile. Sappiamo che questo è un traguardo difficile da raggiungere, ma ci possiamo riuscire. Deponiamo, quindi, tutte le nostre tristezze, i nostri dolori, il nostro peccato e accogliamo la grazia di Dio, che ci fa Uno, che ci fa Dio.
OMELIA
1. LETTURA
Grazie al Signore.
Lode! Lode! Lode! Amen! Alleluia! Gloria al Signore, sempre! Benedetto il Signore!
Ringraziamo il Signore, per essere qui e perché questa Parola che la Chiesa ci consegna, oggi, ci apra il cuore alla gioia e alla benedizione. Primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba. Nella prima lettura troviamo il primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba, che cominciano ad insegnare nelle sinagoghe. La gente va e sente questo annuncio: il Gesù, che è stato crocifisso, è il Signore, il Messia tanto atteso nei secoli. La gente non ci crede, ma la settimana successiva si raduna ancora più numerosa. Paolo si faceva ascoltare volentieri, perché parlava bene, ma contrastava con la tradizione millenaria, che riteneva che il Messia dovesse essere vincente, un Messia glorioso, mentre il Messia, presentato da Paolo e Barnaba, era stato arrestato, condannato, maledetto da Dio, maledetto dalla Chiesa. Gelosia e invidia provocano la morte. Qui c’è la chiave di lettura di tante situazioni: “Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo.” Quando siamo animati dall’Amore di Dio, ringraziamo il Signore per le meraviglie, che compie. Quando siamo animati da qualche cosa che è “nostro”, cominciano a nascere invidia e gelosia, che provocano sempre la morte. Questo avviene non solo a livello ecclesiale, ma anche in quello familiare, lavorativo. Nei discepoli le stesse modalità di Gesù. Paolo e Barnaba, dopo aver annunciato la Parola di Dio, la Vita Eterna, visto che i Giudei la respingono, si rivolgono altrove. Scuotono la polvere dai sandali e “pieni di gioia” si rivolgono ai pagani. Anche questa è una modalità da tener presente. Gesù ha fatto la stessa cosa. Nella vita dei discepoli si ripetono le stesse dinamiche presenti nella vita di Gesù. Anche Gesù, quando ha tenuto la prima predica a Nazaret, non è stato accolto, anzi lo volevano ammazzare. Gesù, però, non è rimasto lì a convertire, ma è andato in altri villaggi. Può capitare anche a noi di non essere accolti: in questo caso ci si deve rivolgere da un’altra parte, perché non siamo chiamati in quell’ambiente. Molte volte, facciamo, come i mosconi, senza accorgerci che, in certi posti, per noi la porta è chiusa e rimaniamo lì, fino a quando moriamo. Scuotere la polvere.
“Scuotere la polvere dai calzari” non è tanto togliere la polvere dalle scarpe, quanto togliere quella ruggine che può rimanere nel cuore. Bisogna togliere questa ruggine, che ci avvelena e ci rende rancorosi. Il segreto è questo: riuscire a buttarsi alle spalle la non-accoglienza che abbiamo avuto, che non è un male, anche se fa soffrire, ma fa parte di quelle dinamiche, che ci permettono di andare oltre.
Se guardiamo nella nostra vita, possiamo vedere che quando non siamo stati accolti e abbiamo avuto il coraggio di andare da un’altra parte, ci siamo accorti che lì era diverso. Tutte le volte che ci siamo intestarditi a rimanere, dove non ci hanno accolto, non siamo andati avanti interiormente: siamo morti.
Che cosa è la Vita Eterna?
Nella prima lettura si parla di Vita Eterna: Non vi giudicate degni della vita eterna” “Abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna” e l’Evangelista riprende: “Io do loro la vita eterna.”
La vita eterna non è il Paradiso. La vita eterna significa la pienezza della vita, la vita piena, che è già da adesso.
Il Paradiso ultraterreno sta sfumando nello studio della Teologia.
Paradiso- Pardes è un termine persiano, non ebraico, ed indica il “giardino delle delizie”; è più che altro un termine che si riferisce alle altre religioni, che promettono un luogo di beatitudini, di felicità, ricalcando le situazioni terrene, come le divinità dell’Antica Grecia.
Interpretazioni del termine “Paradiso”.
Gesù usa soltanto una volta il termine “Paradiso”, quando sta per morire insieme al ladrone, che gli dice: “Gesù ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno” “Gli rispose: In verità ti dico, oggi, sarai con me nel Paradiso.” (Luca 23, 42-43)
Ci sono due interpretazioni: la prima dice che, poiché Gesù stava morendo, ha dovuto usare i termini che il ladrone conosceva; l’altra è che il Paradiso, la vita piena, la Vita Eterna è Gesù.
La vita è oggi.
Soffrire sulla terra, per poi essere ricompensati in Paradiso fa parte della religione. Il messaggio di Gesù è questo: “Oggi, sarai con me in Paradiso.” La vita è oggi. Oggi è la pienezza della vita. Molte volte, siamo come il giovane ricco, che chiede a Gesù che cosa deve fare per star bene con se stesso. Facciamo tante cose, ma sentiamo il vuoto interiore. La pienezza della vita è vivere con Gesù, oggi. Se riusciamo a fare la scelta di Gesù, momento per momento, noi viviamo già il Paradiso.
Cristo, primo ballerino.
C’è una bellissima espressione di Ippolito, vescovo di Roma nel III secolo, che nella sua sesta Omelia sulla Pasqua parla della Vita Eterna: “Cristo è il primo ballerino della danza, che ci aspetta, della danza mistica, e la Chiesa è la sua Sposa e Compagna di danza.”
Questo ci dicono i Padri della Chiesa e questo è quello che sentiva la Prima Chiesa; poi noi abbiamo un po’ adulterato questo messaggio della Vita Eterna.
La gioia: banco di prova.
Malgrado il rifiuto, Paolo e Barnaba “andarono a Iconio, pieni di gioia.” La gioia è l’indicatore, un banco di prova, per capire se veramente stiamo camminando nel Signore oppure stiamo camminando nelle angosce della religione.
Ogni religione procura angoscia, fa sorgere il senso di colpa e domina. Il messaggio di Gesù, invece, libera e dà questa gioia interiore, pur nel fallimento.
Paolo e Barnaba vengono mandati via dalla città, dalla Chiesa eppure se ne vanno “pieni di gioia”, perché lo Spirito Santo è con loro.
2 LETTURA
L’Agnello spezza i sigilli.
Nella seconda lettura si parla dei sigilli che vengono spezzati, uno per uno, dall’Agnello, che è Gesù.
Nel libro dell’Apocalisse, sono scritte tutte le azioni della nostra vita.
Vediamo questi santi, che piangono, perché non c’è nessuno che riesce ad aprire questo libro, per leggerlo. Arriva l’Agnello, che apre i sigilli, apre il libro e svela il mistero della Storia, della nostra Vita.Niente succede a caso; c’è una concatenazione logica tra gli eventi, che noi non riusciamo a cogliere. Possiamo vedere la nostra vita, quando con Gesù, ne apriamo i sigilli.
Silenzio per mezz’ora.Nel versetto successivo a quelli letti, oggi, c’è lo svelamento del settimo sigillo, quello che completa la Storia e che noi possiamo aprire con Gesù. “Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per mezz’ora.” (Apocalisse 8, 1)
Dovremmo essere capaci di far silenzio per mezz’ora. Gesù, nel Vangelo, dice: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” (Matteo 26, 40)
Questo tempo di silenzio deve calmare tutte le nostre voci interiori, le voci della mente, che ci inganna e ci domina. Dobbiamo far tacere tutto, per ascoltare, spezzare i sigilli e capire che molti episodi della nostra vita non sono capitati a caso e che tante situazioni, che crediamo brutte, invece sono belle, perché inserite in un Progetto più grande. Oso dire che alcune azioni, che noi consideriamo peccato, non sono altro che vie, nelle quali dobbiamo passare, per raggiungere questa pienezza di vita. Nascono, quindi gratitudine e canto.
Il Sangue dell’Agnello.
“Hanno lavato le loro vesti, rendendole candide, con il Sangue dell’Agnello.”
Il Sangue è la Vita dell’Agnello, che poi diventa Pastore. Cerchiamo di riuscire in questa Eucaristia a lavarci nel Sangue dell’Agnello e a immergerci in questa Vita divina di Dio.
3. VANGELO
Le pecore di Gesù e le pecore che non sono di Gesù.
L’ultimo passaggio riguarda questi pochi versetti del Vangelo, dove Gesù si riconosce Pastore e riconosce le pecore come “sue”. Ho ripreso il versetto, che precede il Vangelo di oggi, perché Gesù dice: Ma voi non credete, perché non siete mie pecore.”
Ci sono, quindi, pecore di Gesù e pecore, che non sono di Gesù.
Come mai?
Sembra che tutti siamo cristiani, perché siamo battezzati, perché crediamo in Dio. Noi dobbiamo essere atei, nel senso che dobbiamo credere in Gesù Cristo e nel Padre. Noi non abbiamo un Dio, ma un Padre.
Coloro, che hanno ammazzato Gesù, credevano in Dio, anzi hanno ammazzato Gesù, perché credevano di fare un’opera buona. Quando Saulo ha approvato l’uccisione di Stefano, lo ha fatto, perché credeva di fare un’azione buona in Nome di Dio.
Dio è un grande generatore di violenza; ecco perché Gesù ci toglie Dio e ci dà un Padre. Nel Nome di Dio, infatti, si può togliere la vita, ma nel nome del Padre si può solo dare la vita.
Noi diventiamo pecore di Gesù, quando crediamo in Gesù. Tutti crediamo in Dio, ma noi, che stiamo facendo un cammino, dobbiamo credere in Gesù e credere in Gesù significa che questo suo messaggio è un messaggio nel quale possiamo giocarci la vita.
Per riconoscere Gesù, dobbiamo ascoltare la sua voce.
Se crediamo in Gesù, diventiamo “sue” pecore e ascoltiamo la sua voce.
Se ascoltiamo la voce del Signore solo tre volte, durante l’anno: a Natale, a Pasqua e nel giorno dell’Assunta, come facciamo a riconoscerla? Ecco l’importanza della frequenza abituale alla Messa, che ci educa all’ascolto del Signore, che parla al nostro cuore. L’ascolto della Parola genera la Chiesa e attira le persone a Gesù.
Parola di Dio:tema del Sinodo della Chiesa nell’ottobre del 2008.
Ringraziamo il Signore, perché dal 5 al 26 ottobre 2008, ci sarà nella Chiesa un Sinodo, nel quale viene trattata questa tematica: “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.” Questo è un grande dono, perché metterà in moto, come per il Concilio, tanti approfondimenti sulla Parola, la quale ritornerà a circolare nella Chiesa, al di là di quella paccottiglia religiosa di immagini, apparizioni e rivelazioni private…
E la Parola di Dio, che ci ha riunito, oggi, qui. Ringraziamo il Signore e pronunciamo questa Parola di Dio, per abituarci a sentire il Signore, che parla.
Uno: attributo di Dio.
Tutti noi possiamo diventare uno. Gesù dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola.”; questo non significa che diventiamo una cosa sola, come marito e moglie. Uno è l’attributo di Dio. Se noi vogliamo conoscere Dio, dobbiamo guardare a Gesù. Non c’è Dio fuori dal messaggio e dalla vita di Gesù. Gesù è l’immagine visibile del Dio invisibile. Quando Gesù dirà: “Padre, custodisci nel tuo Nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola con noi.”(Giovanni 17, 11), non significa che la Comunità deve essere perfetta. Gesù ha fatto, infatti, esperienza dei suoi Discepoli, i quali, appena ricevuta la Comunione, discutono su chi fosse il più importante. Significa, invece, che il Padre aiuti questa Chiesa, questa comunità ad essere espressione visibile del Dio invisibile. La gente, che viene qui, deve vedere nella Comunità un’espressione di quel Dio, che non si può vedere: a questo dobbiamo arrivare. Amen!
Riflessioni – preghiera
Ti ringraziamo, Signore, per questo giorno. Ti ringraziamo per tutta la nostra vita. Ti ringraziamo, Signore, fonte della Vita, Pastore, che ci conduce a questa fonte.
Vogliamo, questa mattina, immergere le nostre vesti nel tuo Sangue, il Sangue dell’Agnello. Vogliamo immergere le nostre vesti: questo significa immergere tutti i nostri comportamenti, a volte, non buoni, che ci portano malattia, che ci portano in vicoli ciechi. Vogliamo immergere le nostre vesti nel tuo Sangue, che è la tua Vita. Signore, anche noi vogliamo la Vita Eterna, anche noi vogliamo questa pienezza di vita. Signore, immergici in questo Sangue, nella tua Vita, perché ciascuno di noi possa far parte di quella Chiesa, che danza insieme a te, primo ballerino, in questa danza mistica. Portaci fuori, Signore, dalle varie pratiche inutili della religione e portaci in quella pienezza di vita, in quella vita mistica, che è oltre il visibile, per vedere, Signore, cose visibili, per vivere questo invisibile.
Ti ringraziamo, Signore, e immergiamo in questo tuo Sangue, in questa tua Vita, anche tutte le persone, che, dopo di noi, entreranno in questa Chiesa, perché, al di là delle motivazioni, che le hanno spinte a venire, possano sentire la tua Presenza e possano sentire che tu sei il Dio, che ama sempre e comunque e che, una volta che facciamo la tua scelta, nessuno può rapirci dalla tua mano, nessuno può rapirci da te.
Sangue di Gesù, proteggici!
Siracide 51, 29-30: “Dio vi ama e il suo Amore vi riempie di gioia. Non vergognatevi di lodarlo. Cominciate a lodarlo di buon mattino e, quando verrà il momento, vi darà la ricompensa.”
Ti ringraziamo, Signore, perché il tuo Amore ci riempie di gioia. Ti ringraziamo, perché la via di accesso alla tua gioia è la lode. E quello che abbiamo fatto questa mattina: siamo venuti per cantare le tue lodi. Grazie, Signore, perché questa lode, al momento opportuno, porterà i suoi frutti. Grazie, Signore Gesù!
P. Giuseppe Galliano m.s.c.
DOMENICA 25 APRILE 2010 – IV DI PASQUA – ANNO C
MESSA DEL GIORNO LINK
http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqC/PasqC4Page.htm
MESSA
Prima Lettura At 13, 14. 43-52
Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
UFFICIO DELLE LETTURE
Seconda Lettura
Dalle «Omelie sui Vangeli» di san Gregorio Magno, papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)
Cristo, buon pastore
«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all’amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l’amore della verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell’amore; non del solo credere, ma anche dell’operare. L’evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).
Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore«(Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall’amore con cui muoio per le pecore.
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall’atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch’è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l’anima si sazia senza fine del cibo della vita.
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S’infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s’infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.
Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18364.html
Omelia (24-04-2010)
Eremo San Biagio
Dalla Parola del giorno
La Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
Come vivere questa Parola?
Abbiamo visto, nei giorni precedenti, la Chiesa fatta oggetto di persecuzioni e costretta a rifugiarsi in altri paesi. Ora si parla di un periodo di pace. Sappiamo dalla storia che questo non durerà a lungo. Sarà così anche in seguito, fino ai nostri giorni: un alternarsi di periodi di relativa tranquillità e di altri in cui la fede è presa di mira.
Alla prova dei fatti, entrambi risultano necessari per il consolidamento e la crescita della Chiesa fino al raggiungimento della piena statura di Cristo, come ci dice S.Paolo.
Infatti, nei momenti di quiete essa ha modo di approfondire e rassodare la propria fede, ma rischia anche di scadere in forme di accomodamento e di assuefazione alla mentalità corrente. Una pericolosa stasi il cui prolungarsi porta a cedere alla tentazione del potere e a un’adesione passiva al dato rivelato. La fede allora cede il passo a forme di religiosità adottate più per tradizione che per convinzione, ed è così aperta la via al compromesso: una verniciatura di ritualismo su una vita tutto sommato paganeggiante.
Nei momenti di prova, la fede si rassoda e purifica. Magari si entra in crisi, ma questo spinge a interrogarsi e a fare una scelta più seria e convinta. Si assume un atteggiamento maggiormente critico che spinge a verificare l’autenticità della propria adesione di fede e a rimuovere quanto offusca il volto di Cristo impresso nella sua Chiesa e in ciascun cristiano. In ultima analisi, la Chiesa acquista maggiore credibilità.
Sia nei periodi di pace che in quelli di persecuzione, la Chiesa è confortata dalla certezza che lo Spirito Santo non la abbandona: è lui al timone di essa e nulla potrà farla vacillare.
Oggi, nel mio rientro al cuore, volgerò lo sguardo alla situazione attuale lasciando che lo Spirito mi indichi la via da seguire perché il volto della Chiesa risplenda sempre del fulgore di Cristo.
Concedimi, Signore, di vivere fino in fondo il mio essere cristiano, anche quando l’orizzonte sembra farsi fosco. È allora che tu mi chiami con più forza a dare testimonianza con coraggio e limpidezza.
La voce di un vescovo martire
Vorrei chiarire un punto è stata data una discreta eco a una notizia di minacce di morte alla mia persona… Voglio assicurarvi, e vi chiedo preghiere per essere fedele a questa promessa, che non abbandonerò il mio popolo, ma correrò con lui tutti i rischi che il mio ministero esige da me »..
Oscar Romero
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17938.html
Omelia (24-04-2010)
padre Lino Pedron
In questo brano viene descritta la reazione negativa dei discepoli alla rivelazione di Gesù sul pane della vita. I giudei e i discepoli manifestano la loro incredulità. Queste persone non sono rinate dallo Spirito Santo, perciò non possono credere alla rivelazione di Gesù. Per questo il discorso di Cristo appare loro duro, ossia assurdo e inaccettabile.
Di fronte allo scandalo dei discepoli che non credono, Gesù parla subito dell’evento conclusivo della sua esistenza terrena, che potrebbe essere motivo di uno scandalo maggiore: è Gesù con la sua natura umana che sale al cielo. Lo scandalo dell’ascensione sta nel fatto che un « uomo » sia salito presso Dio, dove svolge la sua funzione di avvocato in nostro favore (1Gv 2,1).
La ragione per cui i discepoli rimangono increduli è che non si lasciano vivificare dallo Spirito Santo e perciò sono dominati dalla carne, cioè sono schiavi della natura umana e dell’istinto, che non può accettare il sublime mistero della rivelazione del Figlio di Dio.
Per quanto riguarda la rivelazione del Figlio di Dio, la carne (= tutte le capacità dell’uomo) non giova a nulla perché solo lo Spirito dà la vita di Dio. La natura umana infatti è incapace di trascendere i suoi limiti per accogliere le parole di Gesù che sono Spirito e Vita.
Di qui la necessità della fede per ricevere la rivelazione di Cristo e il suo corpo e il suo sangue nell’Eucaristia. Solo lo Spirito Santo può far salire l’uomo al livello divino delle parole del Cristo. Proprio per questo, negli scritti di Giovanni, lo Spirito Santo è presentato come lo Spirito della verità (Gv 14,17; 15,26; ecc.), ossia come la persona divina in funzione della rivelazione di Gesù, in quanto deve far penetrare nel cuore degli uomini la rivelazione del Verbo incarnato.
Gesù termina il suo soliloquio constatando con tristezza che alcuni dei suoi discepoli non credono. Egli dà la spiegazione ultima dell’incredulità dei discepoli, come aveva fatto a proposito dei giudei (v. 44). L’adesione alla persona di Gesù è un dono di Dio, che l’uomo può accogliere o rifiutare.
Nel v. 66 si descrive la conclusione della crisi spirituale dei discepoli increduli: abbandonano Gesù e non lo seguono più. Dinanzi alla defezione massiccia di tanti discepoli, Gesù mette alla prova anche i Dodici, chiedendo loro: « Volete andarvene anche voi? »(v. 67). Gesù invita gli apostoli a rinnovare la loro scelta: o accettare la sua rivelazione, anche sconcertante, o abbandonarlo e andarsene.
La risposta all’interrogativo provocatorio del Cristo viene da Simone Pietro, il quale, a nome dei Dodici, professa la sua fede nella messianicità divina di Gesù. Egli riconosce in Gesù il Signore che ha parole di vita eterna. Quello che per gli altri è un discorso duro, assurdo e inaccettabile (v. 60), per Pietro sono parole di vita eterna (v. 68). La medesima cosa è scandalosa per l’uomo carnale e fonte di vita eterna per il credente.