Archive pour avril, 2010

Beata Teresa di Calcutta: « Le mie pecore ascoltano la mia voce »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100427

Martedì della IV settimana di Pasqua : Jn 10,22-30
Meditazione del giorno
Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No Greater Love

« Le mie pecore ascoltano la mia voce »

        Riterrai difficile pregare, se non sai come fare. Ognuno di noi deve aiutare se stesso a pregare: in primo luogo, ricorrendo al silenzio; non possiamo infatti metterci in presenza di Dio se non pratichiamo il silenzio, sia interiore che esteriore. Fare silenzio dentro di sè non è facile, eppure è uno sforzo indispensabile; solo nel silenzio troveremo una nuova potenza e una vera unità. La potenza di Dio diverrà nostra per compiere ogni cosa come conviene; lo stesso sarà riguardo all’unità dei nostri pensieri con i suoi pensieri, all’unità delle nostre preghiere con le sue preghiere, all’unità delle nostre azioni con le sue azioni, della nostra vita con la sua vita. L’unità è il frutto della preghiera, dell’umiltà, dell’amore.

        Nel silenzio del cuore, Dio parla; se starai davanti a Dio nel silenzio e nella preghiera, Dio ti parlerà. E saprai allora che non sei nulla. Soltanto quando riconoscerai il tuo non essere, la tua vacuità, Dio potrà riempirti con se stesso. Le anime dei grandi oranti sono delle anime di grande silenzio.

        Il silenzio ci fa vedere ogni cosa diversamente. Abbiamo bisogno del silenzio per toccare le anime degli altri. L’essenziale non è quello che diciamo, bensì quello che Dio dice – quello che dice a noi, quello che dice attraverso di noi. In un tale silenzio, egli ci ascolterà; in un tale silenzio, parlerà alla nostra anima, e udremo la sua voce.

Omelia 26 aprile 2010 – sulla prima lettura

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7081.html

Omelia (08-05-2006) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
. Quello che Dio ha purificato, tu non considerarlo profano.

Come vivere questa Parola?
La tentazioni di farci paladini di una integrità morale che finiamo col rivendicare solo per noi stessi e per una determinata categoria di persone, non è sconosciuta neppure ai nostri giorni. È facile e comodo demonizzare l’operato altrui catalogando gli uomini in buoni e cattivi, dimenticando che Dio ha mandato suo Figlio mentre eravamo peccatori e non per condannare ma perché tutti gli uomini siano salvi. È quel fariseismo latente che, dietro l’affermazione più o meno convinta di « essere peccatori », nasconde l’inconfessata certezza di essere a posto e quindi di poter giudicare impunemente gli altri. Anzi, siamo capaci anche di « scandalizzarci » se Dio si mostra buono e misericordioso con chi destineremmo tranquillamente all’inferno. Pasqua ci ricorda che il mondo, tutto il mondo, è stato irrorato dal sangue di Cristo e quindi non c’è più nulla di « profano », non c’è più nessuno a cui sia preclusa la via della salvezza. « I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti » ha detto Gesù. E non era certo un modo di dire. Non chi si sente « a posto » con la legge di Dio, ma chi umilmente riconosce di non esserlo e si dispone ad accogliere con gratitudine il dono, comunque immeritato, della sua grazia è accetto a Dio. La via della santità non conosce la seria ostentazione di azioni « meritorie » che rende in qualche modo « creditori » nei riguardi di Dio, ma il gioioso stupore di chi, mentre scopre Dio chino a lavare i suoi piedi, non se ne ritrae sdegnoso. La polvere che scopro sui piedi del fratello viene rimossa con lo stesso amore da quel Dio che tenta di cancellare le incrostazioni di fango che appesantiscono i miei.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, cercherò di rintracciare eventuali venature di fariseismo che possono annidarsi negli angoli più nascosti del mio cuore. È di questo, prima che di ogni altro peccato, che chiederò perdono e aiuto per esserne liberato.

Quante volte mi rivolgo a te, Signore, chiamandoti « Padre », anzi « Padre nostro ». E poi mi trovo ad escludere qualcuno da questa figliolanza, quasi che per te ci fossero « figli » e « figliastri ». Perdona questa mia durezza di cuore e aprimi a quella fratellanza universale che Gesù è venuto a instaurare con la sua morte-resurrezione.

La voce di un Padre della Chiesa
Ogni essere spirituale è, per natura, un tempio di Dio, creato per accogliere in sé la gloria di Dio.
Origene 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 25 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia (26-04-2010)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17940.html

Omelia (26-04-2010) 
padre Lino Pedron

Questo brano è la continuazione del capitolo precedente. Il discorso sulla porta e il buon Pastore spiega e interpreta il significato dell’epilogo drammatico della professione di fede del cieco guarito.
Chi è espulso dalla sua comunità politica o religiosa, a motivo della sua testimonianza nel Signore Gesù, entra a far parte del gregge di Cristo e in esso trova vita abbondante e salvezza perfetta.
I capi del popolo giudaico con il loro comportamento si sono manifestati ladri e briganti (v. 8), non pastori d’Israele. Il cieco guarito, scomunicato dai giudei, non vivrà come pecora senza gregge e senza pastore; egli ha già incontrato il buon Pastore e con la sua professione di fede è già entrato nell’ovile del Signore attraverso la porta che è Gesù.
L’espressione « In verità, in verità vi dico » (v. 1) preannuncia rivelazioni molto importanti e profonde. L’immagine della porta (v. 1) significa che per essere veri pastori del gregge di Dio bisogna passare per la porta che è Cristo. Egli infatti è il luogo della presenza di Dio, è la via d’accesso al Padre ed è il nuovo tempio definitivo.
Chi ignora Cristo e rifiuta la sua persona è un ladro e un brigante, cioè non può guidare le pecore ai pascoli della vita eterna, ma causa rovina e morte. In concreto, i giudei e i farisei, che non vogliono accettare la mediazione salvifica di Gesù, sono ladri e briganti. Così pure i ribelli, gli zeloti e i guerriglieri come Barabba, che hanno provocato sommosse popolari, non essendo entrati nella comunità d’Israele attraverso la porta stabilita da Dio, sono causa solo di rovina e di morte. Il vero pastore del gregge di Dio entra per la porta che è Gesù e si mette in rapporto con le pecore attraverso Gesù.
Con la frase « chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori » (v. 3), Gesù fa capire la sua azione di condurre le sue pecore fuori dal recinto della sinagoga. Il cieco guarito, che è stato espulso dalla comunità giudaica, in realtà è stato condotto fuori dalla sinagoga dal buon Pastore ed è stato introdotto nell’ovile di Cristo che è la Chiesa.
Come Dio ha condotto Israele fuori dall’Egitto, così Gesù si mette alla testa del suo gregge per farlo uscire dal giudaismo. Con questa azione la Chiesa è separata radicalmente dalla sinagoga.
Data l’incomprensione delle sue parole enigmatiche, Gesù riprende le immagini precedenti e le chiarisce: la porta delle pecore è lui, i ladri e i briganti sono i falsi pastori d’Israele. Gesù è il mediatore per avere accesso al gregge di Dio, è la via per giungere al Padre (Gv 14,6), è la strada obbligata per mettersi in comunione con le sue pecore.
La porta, nel linguaggio biblico, significa anche la città o il tempio (cfr Sal 87,1-2; 112,2; ecc.). Gesù quindi proclama di essere il luogo dove si trova la salvezza. Egli è stato mandato dal Padre nel mondo affinché l’umanità peccatrice fosse salvata per mezzo di lui (Gv 3,17). Perciò le pecore che vogliono avere la vita eterna in pienezza non possono fare a meno della sua azione mediatrice: devono entrare nella vita eterna per la porta che è Cristo.
Questa mediazione salvifica non è qualcosa di oppressivo, ma il mezzo per godere perfetta libertà e per sperimentare la pienezza della vita.
Il Figlio di Dio non è venuto nel mondo per uccidere e per portare alla rovina l’umanità, come fanno i falsi pastori, ma per salvare tutti.
 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 25 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Teodoro di Mopsuestia: « Chi entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100426

Lunedì della IV settimana di Pasqua : Jn 10,1-10
Meditazione del giorno

Teodoro di Mopsuestia ( ?-428), vescovo di Mopsuestia in Cilicia e teologo  /  Commento su Giovanni ; CSCO 115-116

« Chi entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce »

        Il guardiano di questo ovile, è il beato Mosè, che lo stabilì sui precetti della Legge per permettere a coloro che conducono la loro esistenza secondo queste norme di vivervi al sicuro. Il pastore… conduce gli uomini come delle pecore ai pascoli della retta dottrina, mostrando loro il cibo delle parole, quelle di cui devono nutrirsi prima, quelle di cui devono nutrirsi dopo. Mostra loro quale è il senso profondo di queste parole, come occorre capire le Scritture, e anche da quali dottrine ci si deve allontanare, dottrine che altri forse insegneranno per ingannarli, per la dispersione delle pecore…

        «Ricerchiamo dunque, dice il Signore ai farisei, chi, di voi o di me, entra per la porta prescritta dalla Legge, chi compie con zelo i precetti della Legge, a chi Mosè, guardiano dell’ovile, apre veramente la porta, a chi concede lode e onore a motivo delle sue opere, chi viene dichiarato vero pastore. Se nel suo libro Mosè fa l’elogio di chi compie le precetti della Legge, certamente il compimento di questi precetti non si trova in voi bensì in me…

        «Senza fare nulla di ciò che è utile alle pecore, ricercate solo il vostro vantaggio. Per questo motivo, non avete nessuna autorità per cacciare qualcuno… Io, a buon diritto e a giusto titolo, sono chiamato pastore, poiché prima ho osservato la Legge con cura; poi sono entrato per la porta prescritta dalla Legge, che mi è stata mostrata dal guardiano in persona; in fine ho compiuto con zelo quanto occorre fare per il bene delle pecore.»

25 aprile : San Marco Evangelista

25 aprile : San Marco Evangelista dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 25 avril, 2010 |Pas de commentaires »

oggi 25 aprile: San Marco evengelista (metto la liturgia del giorno ed un commento, per quando non cade di domenica)

dal sito:

http://www.zammerumaskil.com/liturgia/feste-e-solennita/san-marco-evangelista.html

25 aprile – San Marco Evangelista

Scritto da Salvatore    
lunedì 20 aprile 2009 

MESSA DEL GIORNO  E COMMENTO (QUANDO NON CADE DI DOMENICA)

 O Dio, che hai glorificato il tuo evangelista Marco con il dono della predicazione apostolica, fa’ che alla scuola del Vangelo, impariamo anche noi a seguire fedelmente il Cristo Signore.

Prima Lettura  1 Pt 5, 5-14

Vi saluta Marco, figlio mio.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma da’  grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare.
Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen!
Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Salutatevi l’un l’altro con bacio di carità. Pace a voi tutti che siete in Cristo!  

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 88
Annunzierò ai fratelli la salvezza del Signore.
   

Canterò senza fine le grazie del Signore,
con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli,
perché hai detto:
«La mia grazia rimane per sempre» ;
la tua fedeltà è fondata nei cieli.

I cieli cantano le tue meraviglie, Signore,
la tua fedeltà nell’assemblea dei santi.
Chi sulle nubi è uguale al Signore,
chi è simile al Signore
tra gli angeli di Dio?

Beato il popolo che ti sa acclamare
e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto:
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
nella tua giustizia trova la sua gloria.   

Canto al Vangelo   Cf 1 Cor 1,23-24

Alleluia, alleluia.

Noi predichiamo Cristo crocifisso,
potenza e sapienza di Dio.

Alleluia.   

+ Vangelo Mc 16, 15-20
Predicate il vangelo ad ogni creatura.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano. 

Commento

« … nel mio nome… « 

Il nome di Dio non è un diritto.
Non è nemmeno un blasone di cui farsi provincialmente merito.
Non è una cosa che si acquista con tante opere buone o con molte preghiere.
Piuttosto vuol dire essere Sua proprietà. Completamente. Appartenergli. Essere suoi, al di la dei nostri meriti, limiti e difetti.
Questo appartenere radicalmente a Dio nasce con il battesimo. Lì tutti siamo nati e li nasciamo e li diventiamo realmente suoi.
La santità non è altro che vivere questa coscienza come un dono continuo e a questo dargli risposta nell’innocenza dei bimbi.
Come mai, ci si chiede, non avviene un certo miracolo, una certa grazia, una certa conversione, un reale cambiamento?
Forse perché in noi prevale la mentalità magica e non la mentalità del fedele, del credente in ascolto.
Forse perché spesso viviamo i nostri passi su questa terra portando il « nostro nome » con la scusa di portare il « Suo nome ».
Non viviamo con la consapevolezza di essere Suoi. Di essere dunque per Lui carissimi, preziosi; oggetto del Suo Amore.
La concezione della laicità svincolata da questa appartenenza è una presa in giro. Si è laici se si è nel Suo nome. Non a volte, non talvolta, non secondo opportunità; ma sempre. Nel giorno e nella veglia.
Se il marito lavora fuori casa non è svincolato dalla moglie che accudisce la casa e ai figli; entrambi vivono come un « noi ».
Qualunque cosa faccia la moglie la fa nel nome anche del marito; qualunque cosa faccia il marito lo fa anche nel nome della moglie.
Perché ciò che li unisce è l’amore che si fa storia e carne.
Per tal motivo è inconcepibile l’adulterio.
Questo rapporto è la misura della fedeltà e dell’appartenenza al Suo nome.
Vivere nel Suo nome significa essere conquistati e vivere in questa consapevolezza. Senza essere adulteri.
Da questa coscienza e da questa realtà nasce l’annuncio. Essendo Suoi non si può non condividere ciò che Egli ti ha dato; questo è il Kerygma:
Egli è morto e risorto per me e lo è anche per te, perché tutta la tua vita sia nella luce e nell’amore del Padre.
« Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. »
Stare con Lui per essere mandati, dunque.

Non solo.
Ma annunciare il Kerygma significa anche essere « uno » con tutti coloro che ci hanno preceduto nell’annuncio, con i fatti e la Parola.
Con gli apostoli, gli evangelisti, i profeti, i pastori, i santi, gli uomini e le donne.
Anche con tutti loro si è nel « Suo nome ».
Questa consapevolezza è l’ardore, il fuoco sempre acceso dello Spirito, che abita chi vive nel Suo nome.

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Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l’apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l’ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L’evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un’altra come martire, ad Alessandria d’Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell’828 nella città della Venezia. (Avvenire)
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Sant’Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie, III, 1

« Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura »

Il Signore di tutte le cose ha dato ai suoi apostoli il potere di proclamare il Vangelo. E per mezzo di loro abbiamo conosciuto la verità, cioè l’insegnamento del Figlio di Dio. A loro il Signore ha detto: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,16). Noi infatti non abbiamo conosciuto il disegno della nostra salvezza se non per mezzo di coloro che ci hanno trasmesso il Vangelo.
Questo Vangelo, l’hanno prima predicato. Poi, per la volontà di Dio, ce l’hanno trasmesso nelle Scritture, perché diventasse «colonna e sostegno» della nostra fede (1 Tm 3,15). Non è lecito dire che abbiano predicato prima di essere giunti alla conoscenza perfetta. Questo lo  pretendono alcuni, che osano correggere gli apostoli e se ne vantano. Infatti, dopo che il nostro Signore é risuscitato dai morti e che gli apostoli sono stati «rivestiti di potenza dall’alto» per la discesa dello Spirito Santo, sono stati ricolmi di certezza su ogni argomento e hanno posseduto la conoscenza perfetta. Allora andarono «fino ai confini del mondo» (Sal 18,5 ; Rm 10,18) proclamando la Buona Novella dei beni che ci vengono da Dio e annunciando agli uomini la pace del Cielo. Possedevano, tutti ugualmente e ognuno in modo particolare, il Vangelo di Dio. 

Basilio di Seleucia: « Io sono il buon pastore » (Gv 10,11)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100425

IV Domenica di Pasqua – Anno C : Jn 10,27-30
Meditazione del giorno
Basilio di Seleucia ( ?-circa 468), vescovo
Discorsi, 26, 2 ; PG 85, 299-308

« Io sono il buon pastore » (Gv 10,11)

        Abele, il primo pastore provocò l’ammirazione del Signore che accolse volentieri il suo sacrificio e gradì il donatore più ancora del dono che egli gli stava facendo (Gen 4, 4). La Scrittura approva anche Giacobbe, pastore dei greggi di Laban, notando quanto egli si era preso cura di essi : « Di giorno mi divorava il caldo e di notte il gelo » (Gen 31, 40). E Dio ricompensò quell’uomo del suo lavoro. Anche Mosè fu pastore, sui monti di Madian, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, piuttosto che conoscere i piaceri [nel palazzo di Faraone]. Dio, ammirando questa sua scelta, si lasciò vedere da lui, in compenso (Es 3, 2). E dopo la visione, Mosè non abbandona la sua responsabilità di pastore, ma con il suo bastone, comanda agli elementi (Es 14, 16) e pasce il popolo d’Israele. Anche Davide fu pastore, ma il suo bastone diventò scettro regale ed egli ricevette la corona. Non stupirti che tutti questi buoni pastori siano così vicini a Dio. Il Signore stesso non si vergogna di essere chiamato « pastore » (Sal 22 ; 79). Dio non si vergogna di pascere gli uomini, e nemmeno di averli creati.

        Ma guardiamo ora il nostro pastore, Cristo ; guardiamo il suo amore per gli uomini e la sua mansuetudine nel condurli ai pascoli. Gioisce delle pecore che lo circondano e cerca quelle che si smarriscono. Né monti, né foreste gli sono di ostacolo ; corre nella valle dell’ombra per giungere al luogo dove si trova la pecora smarrita… Fu visto negli inferi per dare il segnale del ritorno ; per questa via si prepara a stringere amicizia con le pecore. Ora, ama Cristo chi accoglie con attenzione le sue parole.

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