Archive pour avril, 2010

Gesù va all’orto degli ulivi

dal sito:

http://passiochristi.altervista.org/pass_3_orto_ulivi.htm

Gesù va all’orto degli ulivi 

•  Il fatto storico
•  Spiegazioni
•  Insegnamenti
•  Conclusione 

Introduzione

Gian Giacomo Rousseau ( † 1778), parlando del Vangelo e del suo autore Gesù Cristo, scrive : « Vi confesso che la maestà della Bibbia mi sorprende, la santità del Vangelo parla al mio cuore. Vedete i libri dei filosofi quanto sono piccoli in confronto del Vangelo! Ora, e possibile che un libro sì sublime, e nello stesso tempo, sì semplice, sia scritto dagli uomini? È possibile che Colui, di cui questo libro fa la storia, sia egli stesso un semplice uomo? Ci vedete forse il tono di un settario ambizioso o di un entusiasta? Quale purezza nei suoi costumi! quale grazia nelle sue istruzioni! quale elevazione nelle sue massime! quale sapienza nei suoi discorsi! quale giustezza nelle sue risposte! quale impero nelle sue passioni!
Dov’è l’uomo, il saggio che sa operare, patire, morire senza debolezza e senza ostentazione? Quando Piatone dipinge il giusto immaginario,… dipinge, tratto per tratto, Gesù. Cristo. Quali pregiudizi e quale acciecamento non bisogna avere per osare di paragonare il figlio di Sofronisca (Platone) con il figlio di Maria! Quale distanza dall’uno all’altro!… La morte di Socrate, che filosofava tranquillamente coi suoi amici, è la più bella che si possa desiderare; quella di Gesù, che spira tra tormenti, ingiuriato, deriso, maledetto da tutto il popolo, è la più terribile che si possa immaginare. Socrate, prendendo in mano la tazza avvelenata, benedice colui che gliela presenta e che piange ; Gesù, in mezzo ad un orribile supplizio, prega per i suoi accaniti carnefici. Sì, se la vita e la morte di Socrate sono di un saggio, la vita e la morte di Gesù Cristo sono di un Dio ».
Come per Rousseau, così per ogni altro spirito imparziale che legge il Vangelo, una cosa è certa, manifesta, evidente: il Vangelo è la dimostrazione rigorosa, esatta, magnifica, indistruttibile della umanità e della divinità di Gesù Cristo. La passione di Cristo ci dimostra chiaramente la potenza di Dio, che, con un mezzo sì nuovo e spregevole, tutto cambia, di tutto trionfa.

* * *

Dedico questa lettura al tema : « Gesù va all’orto degli olivi ».

I. Il fatto storico

L’ultima coppa di vino era stata bevuta e la cena finita. Gesù si levò dal letticciolo e con lui gli apostoli. Intonò l’inno del ringraziamento, col quale iniziò l’èra del « Nuovo Testamento ».
Gesù uscì coi suoi discepoli per andare al monte degli olivi, in un podere chiamato « Getsemani » ( I ).
C’erano tutti, tranne il traditore.
Gesù prese la strada solitària che conduceva alla fontana di Siloe; uscì dalla porta della fonte ; s’inoltrò nella stretta valle del Cedron ; attraversò il torrente ; rimontò il corso delle acque; raggiunse il Getsemani.
Il cammino dal cenacolo al Getsemani fu una comoda passeggiata: si trattava di fare 1200 metri in linea d’aria, che vuoi dire, a piedi, circa 1500 metri.
Erano le ore 23.30 circa; la notte, chiara; l’aria, primaverile; la zona, deserta: tutti erano nelle proprie case.
(1) Mt., XXVI, 30; Le, XXII, 39; Me, XIV, 32.

Spiegazioni

Spieghiamo brevemente questo tratto del Vangelo.

1. E detto l’inno
Qual era questo inno?
Era un cantico di ringraziamento a Dio, composto dai seguenti sette salmi :
a)  salmo 112: «.Lodate, o servì, il Signore»;
b)  salmo 113: «Quando Israele uscì dall’Egitto»;
c) salmo 114: « Amo il Signore, per eh’egli ascolta la voce della supplica »;
d) salmo 115: « Io ebbi fede e perciò parlai a
Dio » ;
e)  salmo 116: «Lodate il Signore voi tutte o genti » ;
f) salmo 117: «Celebrate il Signore, perch’egli è buono »;
g) salmo 118: «Beati quelli che sono senza macchia nella loro vita ».

Le iniziali di questi sette salmi formano — in lingua ebraica — la parola « alleluia », che gli ebrei solevano cantare alla fine di ogni cena, soprattutto alla fine della cena dell’agnello pasquale.
Da ciò l’uso, in quasi tutte le comunità religiose, di ringraziare in comune Dio dopo pranzo e dopo cena ; l’uso, nella liturgia della chiesa, di terminare la santa messa con la colletta, chiamata « post communio ».
Queste preghiere corrispondono all’inno cantato dagli apostoli, in compagnia di Gesù, dopo di aver assistito alla prima messa, celebrata nel cenacolo, e dopo di aver fatto la santa comunione eucaristica.

2. Uscito Gesù

Gesù, coi suoi discepoli, era la vera chiesa. Questa uscita di Gesù e dei suoi apostoli dalla città di Gerusalemme, per andare a cominciare la passione e morte, rappresenta, in un modo sensibile, la vera chiesa di Dio, la quale, da quel momento, lasciava i giudei nella loro volontaria cecità, e andava ad illuminare i gentili, i pagani. Abbandonava Gerusalemme per trasferirsi a Roma. Non più a Gerusalemme, ma a Roma sarà la sede della vera chiesa di Dio, il centro del nuovo popolo eletto.

3. Valicò il torrente Cedron

II profeta Davide chiama questo torrente : « il torrente dei dolori e delle ignominie della passione del Messia » ; afferma che « il Salva­ tore si sazierà delle sue acque amare durante il cammino di sua vita » ; dichiara però che un giorno « queste acque amare si cambieranno per il Messia in acque di delizia, di esaltazione, di gloria » ( 2 ).
Questo torrente è chiamato « Cedron », parola ebraica che significa « fosco, oscuro » ; forse perché, nella valle bagnata da questo torrente, era il cimitero pubblico e comune dei giudei ; di qui il nome di « fosco, oscuro ».
La valle del Cedron era chiamata « gehenna », che vuoi dire « valle dei figli di Ennon, valle della giustizia e del pianto ».
Perché era chiamata « gehenna », parola spesso adoperata nel Vangelo a significare l’inferno; valle oscurissima, profondo abisso di fuoco, in cui i corpi e le anime bruceranno alla giustizia eterna?
Perché un’antica leggenda affermava che gli antichi giudei venivano in gran numero in questa valle ad immolare, all’idolo « Moloch », i loro pargoletti, facendoli bruciare vivi in suo onore. E per non essere funestati dalle grida di queste vittime innocenti, si suonavano strumenti clamorosi che ne coprivano la voce durante l’immolazione. Infine le ceneri delle vittime si gettavano nel vicino torrente Cedron.
(2) Salmo, CIX. 

Di qui il nome : « Cedron, niger, obscurus, a cadaverum combustorum fuligine » ( 3 ).

Gesù volle passare questo torrente Cedron, il torrente dell’iniquità, dell’orrore; volle passare per questa valle, che era il luogo più sacrilego e più impuro dell’universo; che era la reggia di satana sopra la terra, per iniziare la sua passione ; per attaccare direttamente satana nella sede del suo impero; per umiliarlo, confonderlo, vincerlo con le sue pene. 

4. Sul monte degli olivi

Era una zona di olivi, era un vero oliveto, munito del suo pressoio e protetto da un recinto. Ancora oggi ci sono superstiti olivi di straordinaria grandezza e di età millenaria ( 4 ).
Il luogo non fu scelto a caso da Gesù.
a)  L’olivo è segno di pace, e Gesù, con la sua passione, andava a terminare l’antica guerra e a stipulare il trattato di pace tra il cielo e la terra, tra l’uomo e Dio.
b)  L’olivo è simbolo di misericordia, e Gesù Cristo che va al monte degli olivi è Gesù che va al monte della misericordia per offrirsi alla morte per noi; è

(3) Cornelio A Lapide, In Mi., XXVI.

(4)  Ricciotti, o.c, p. 679.
 

Gesù Cristo che va al monte degli olivi per rendere bella la sua chiesa;, è Gesù Cristo — l’olivo domestico, fruttuoso, fecondo — che va ad innestare in sé gli olivi selvatici, aridi — che siamo noi — per farli fruttificare delle sue stesse virtù col succo celeste della sua grazia e del suo amore. Gesù che va al monte degli olivi, è il Salvatore che si reca a quel monte per iniziare i suoi dolori, le prime agonie, la morte interiore dell’anima sua; morte che presto diverrà morte fisica su d’un altro monte, il monte del Calvario.
 

5. In un luogo chiamato Getsemani

Era il luogo ove la sera, dopo cena, il Signore usava ritirarsi per pregare « secundum consuetudinem » ; era luogo ben noto a Giuda, il traditore.
Andando in quel luogo, Gesù volle risparmiare al discepolo traditore la fatica di andarlo a cercare; volle insegnarci che egli, di sua spontanea volontà, andava alla morte.
Gesù Cristo disse tante volte : « Nessuno po­ trà togliermi la vita, se io non lo acconsentirò. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla » ( 5 ).
Ora che l’ora della sua morte è giunta, e che liberamente la vuole, la desidera, la brama, previene egli stesso la violenza che gli si vuoi fare; si reca nel Getsemani, perché è il luogo che Giuda Iscariota troppo bene conosce, dove può essere più facilmente ritrovato.
(5) Gv., X, 18.
I farisei avevano deciso di prendere Gesù e di metterlo alla morte « non in giorno di festa per evitare tumulto nel popolo », e il Signore sceglie il Getsemani, luogo fuori Gerusalemme, appartato, solitario, tranquillo; previene egli stesso ogni moto popolare ; calma egli stesso i timori dei suoi nemici; toglie tutti gli ostacoli che potrebbero opporsi alla sua cattura ; va egli stesso incontro alle insidie che si tramano contro di lui ; va egli stesso al luogo in cui dev’essere preso ; si mette da solo sotto la mano omicida che deve immolarlo: « È il vero Abele che si reca da sé al campo dove il vero Caino può coglierlo per sacrificarlo al suo odio crudele ». 

6. Restaurare tutto in Cristo

La creazione dell’uomo e la sua prevarica­ zione sono state compiute in un giardino di delizie ; la restaurazione dell’uomo doveva compiersi in un altro giardino, in un giardino di dolori.
•  Nel paradiso terrestre Adamo gustò il riposo, il gaudio, le delizie, le dolcezze; nell’orto del Getsemani Gesù Cristo gusta le lotte, il tedio, lo spavento, le amarezze, l’agonia.
•  Nel paradiso terrestre un angelo prevaricatore persuase Adamo alla trasgressione e alla colpa; nell’orto del Getsemani un angelo fedele conforta all’obbedienza e al sacrificio Gesù Cristo.
•  Nel paradiso terrestre la maestà di Dio fu offesa; nell’orto del Getsemani la maestà di Dio è soddisfatta.
•  Nel paradiso terrestre fu commesso il peccato della ribellione; nell’orto del Getsemani è compiuta la riparazione.
•  Nel paradiso terrestre a causa del peccato di Adamo, nacquero le spine della maledizione della morte; nell’orto del Getsemani, per merito di Cristo, rinascono i fiori e i frutti della speranza, della risurrezione e della vita.
« Restaurare omnia in Christo » ( 6 ), grida san Paolo : tutto dev’essere restaurato in Cristo. Dunque anche la nuova creazione dovette esse­ re restaurata e perfezionata in Cristo Gesù. 

III. Insegnamenti

Vediamo quali insegnamenti Gesù ci da in questo breve tratto della sua passione.

1. Dobbiamo ringraziare Dio
Quando Gesù nacque in Betlemme, l’inno di ringraziamento a Dio fu cantato dagli angeli
(6) Efesini.

sopra la capanna. Ora che Gesù va alla morte, l’inno di ringraziamento a Dio lo canta egli stesso, volendo in tal modo — da vero sommo sacerdote — rendere a Dio Padre un culto perfetto, la somma gloria che gli è dovuta.
Ecco il primo insegnamento che ci da Gesù : « ringraziare Dio », dopo la refezione corporale e spirituale, per la sua bontà, che si degna di ristorare il nostro corpo con gli elementi della sua divina provvidenza, e l’anima nostra col corpo e col sangue del suo divin Figlio. 

2. Dobbiamo abbracciare con gioia i patimenti
Gesù andò ad iniziare la sua passione e morte cantando l’inno di ringraziamento, per dimostrarci con quale trasporto del suo cuore, con quale impazienza amorosa andò a patire e a morire per noi.
Ecco il secondo insegnamento che ci da: « abbracciare con animo ilare, con volontà pronta, con vera allegrezza, con gaudio del cuore », i patimenti, la mortificazione delle passioni, i sacrifici derivanti dall’adempimento del nostro dovere quotidiano. 

3. Dobbiamo fuggire il mondo
I prìncipi dei sacerdoti erano in consiglio per disporre la cattura di Gesù; Giuda raccoglieva sgherri e soldati per eseguirla ; tutte le passioni umane erano in moto per far condannare a morte il Signore.
Gerusalemme, da quel momento, era la vera figura del mondo, nel quale tutte le passioni malvage sono in continuo movimento, in agitazione febbrile ; ordiscono congiure contro Cristo, contro il suo culto, la sua dottrina, la sua chiesa, i suoi discepoli.
Gesù che, coi suoi discepoli, esce da Gerusalemme, è Dio che ripudia il mondo ; è Dio che predica l’uscita dal mondo e dal suo spirito; è Dio che comanda la rinuncia alla corruzione del mondo, alle sue massime, ai suoi usi, alle sue convenienze; è Dio che si oppone decisamente alle leggi del mondo che sono in opposizione col suo Vangelo.
Chi vive secondo lo spirito del mondo sarà condannato da Cristo, sarà escluso dalle sue preghiere e dal suo amore : perirà col mondo. 

4. Dobbiamo confessare la dottrina di Gesù Cristo
Non basta uscire dal mondo, rinnegare le massime del mondo; bisogna ricevere e confessare la dottrina di Cristo ; bisogna affrontare i sacrifici, le umiliazioni, le pene inseparabili da una vita veramente cristiana.
Gesù Cristo va a compiere la nostra redenzione spinto, trascinato, trasportato dall’amore; affronta, per amor nostro, la sua passione e morte con passo veloce, con fronte serena, con cuore lieto, con volto ilare.
Per ottenere ciò bisogna cibarsi delle sue carni eucaristiche, amare la solitudine, il raccoglimento e la preghiera; bisogna offrirsi a Dio in compagnia di Gesù, agonizzare con lui e per lui.
Ecco come noi dobbiamo confessare davanti al mondo Cristo e la sua dottrina:

a)  con passo veloce, senza titubanze, incertezze;
b)  con fronte serena, orgogliosi di appartenere a
Cristo e di professare la sua dottrina;
c) con cuore lieto, pieno di amore per lui, spinti, trascinati, trasportati dalla sua carità;
d) con volto ilare, stimandoci i più fortunati, i più felici della terra. 
5. Nel Getsemani insieme ai discepoli

Gesù entrò nell’orto del Getsemani insieme ai suoi discepoli per essere la guida dei loro passi; per istruirli con la sua voce; per edificarli coi suoi esempi ; per consolarli e confotarli con lo spettacolo delle sue pene ; per santificarli con la sua oblazione; ma soprattutto per farli spettatori delle sue pene e della sua fortezza, come presto — dopo la sua risurrezione — li farà spettatori della sua ascensione al cielo.
Gesù sapeva che anche per i suoi apostoli sarebbero venuti i giorni delle pene, delle amarezze, del martirio. Perciò fa vedere loro la sua gloria, quale premio del suo patire, affinchè anch’essi, nell’ora della prova, si ricordino che « non sarà coronato di gloria se non colui che avrà strenuamente combattuto ».
Questo è il quinto insegnamento che ci da il divin ‘Salvatore nell’orto del Getsemani : « nelle pene, nelle prove dure e lunghe, ricordarsi di lui appassionato ; ricordarsi che la ricompensa sarà proporzionata alla prova data, sostenuta, vinta ».

IV. Conclusione
Narra la Bibbia che un giorno una donna andò dal profeta Eliseo e gli disse :
« Mio marito è morto; ma ora un creditore è venuto a prendere i miei due figli per farli suoi schiavi ». «.Che vuoi che faccia io? », rispose il profeta. « Dimmi che hai in casa tua ».
« Io non ho in casa nient’altro fuorché un poco d’olio per ungermi ».
« Va’ a chiedere a prestito a tutti i vicini ì vasi vuoti; portali in casa tua; versa in essi l’olio e metti da parte quelli che avrai riempiti ». La donna fece quanto le aveva comandato il profeta. Assieme ai suoi figli, raccolse più vasi che potè; li riempì d’olio. Poi riferì tutto ad Eliseo. Questi le disse : « Va’, vendi l’olio e paga il tuo creditore; e tu e i tuoi figli vivrete di ciò che avanza » ( 7 ).
In quella vedova di Samaria è raffigurata l’umanità, la quale — col peccato originale commesso dal suo capo — si indebitò davanti a Dio, al punto da non poterne saldare il conto. Satana minacciava di fare schiavi tutti i suoi figli. Gesù Cristo però, il vero Eliseo, preso da compassione per la sventurata umanità, minacciata da eterna schiavitù, venne sulla terra; moltipllcò l’olio della sua misericordia e del suo sangue; pagò al suo divin Padre tutti i debiti dell’umanità, e noi fummo salvi. Ecco perché Gesù volle iniziare la sua passione e morte proprio nell’orto degli olivi. Però l’olio, moltiplicato da Eliseo, dovette essere raccolto in molti vasi per poi essere venduto e, col ricavato, pagare i debiti.
Così l’olio preziosissimo del sangue di Cristo dev’essere raccolto nei vasi dell’anima nostra per poi offrirlo a Dio, nostro creditore. (7) IV Re, IV, 1-6. 

Come raccoglierlo?
Pensando, leggendo e meditando la passione santissima di Gesù Cristo. Più pensiamo a Gesù crocifisso e alle sue pene, più egli versa in noi l’olio preziosissimo del suo sangue. Così da debitori diventiamo creditori, quindi meritevoli della vita e della gloria eterna. Preghiera – Gesù, quante volte, credendoci ricchi, ci siamo trovati poveri; credendoci forti, ci siamo trovati deboli!
Signore, ti supplichiamo di assisterci sempre con la tua grazia. Confessiamo la nostra debolezza e la nostra miseria; ti supplichiamo di assisterci con la tua grazia, af­ finchè non dimentichiamo il nostro nulla e ci ricordiamo sempre della tua infinita misericordia.  

Publié dans:MEDITAZIONI |on 27 avril, 2010 |Pas de commentaires »

di Gianfranco Ravasi: Come vite feconda (Salmo 128) (anche sull’ulivo)

dal sito:

http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo128.htm

I SALMI   CANTI SUI SENTIERI DI DIO

di  GIANFRANCO RAVASI

Come vite feconda (Salmo 128)

Mille e mille sono le vocazioni tante quante sono le persone, create da Dio in una gamma infinità di qualità, di tipi, di sentimenti, di fisionomie interiori ed esteriori. Esistono, però, alcune scelte fondamentali che ognuno vive poi con le sue caratteristiche personali. Una di queste strade della vita è quella del matrimonio e della famiglia. E i Salmi la cantano in una pagina deliziosa, divenuta il cantico nuziale per eccellenza. Si tratta del Salmo 128 che ora leggiamo. 

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie!

« Della fatica delle tue mani certamente mangerai;
beato te: avrai ogni bene!

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa,
i tuoi figli come virgulti d’olivo
intorno alla tua mensa ». 

Ecco come è benedetto l’uomo
che teme il Signore:

« Ti benedica il Signore da Sion!
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
per tutti i giorni della tua vita!

Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! »
Pace su Israele!

Due sono i quadretti che il salmo ci presenta. Essi affondano le loro radici nella realtà umana dell’amore, della vita e del lavoro, cercando di scoprire in essi i segni dell’amore divino e della benedizione. Il primo quadro contiene una « beatitudine » (vv. 1-3) ed è colmo di immagini vegetali classiche  (la vite e l’olivo); il secondo, invece, è una benedizione (vv. 4-6) ed apre la famiglia alla più ampia comunità familiare di ogni ebreo, quella di Gerusalemme e di Israele. 

Dopo una proclamazione iniziale di felicità del giusto (v.1) , si apre la porta di questa famiglia ideale. Appare subito il padre lavoratore, colmo di beni, che da Dio non riceve solo il pane quotidiano, ma anche una mensa sovrabbondante. Ecco poi avanzare la sposa e i figli che evocano simbolicamente i due alberi emblematici di Israele, la vite e l’olivo.

La vite, infatti, è lo stemma di Israele come comunità « piantata e coltivata » dal Signore e chiamata a produrre frutti nel dialogo dell’alleanza. Qui l’immagine è applicata alla donna in quanto generatrice. Come una vigna lussureggiante, appesantita da grossi grappoli e dall’abbondante fogliame, è indizio di prosperità e di vita, così la donna feconda circondata dai suoi figli numerosi è espressione di felicità e di benessere. Nel Cantico l’ebbrezza dell’amore è comparata a quella del vino. Anche l’olivo nella Bibbia è emblema di Israele, del Signore stesso, della prosperità e della gioia, della giustizia e dalla sapienza.  L’olivo sopravvive al diluvio (Genesi 8,11) e secondo la tradizione rabbinica non si concepisce un’epoca della storia del nostro pianeta in cui non sia coltivato l’olivo. Qui, invece, è applicato ai figli numerosi e densi di linfa come un albero maestoso di ulivo.  Già il poeta greco Euripide nella Medea (v.1908) affermava che « i figli sono nella casa come piccoli germogli ».

Questo ritratto idilliaco presenta, perciò, la sposa fresca, seducente, tenera e soprattutto feconda secondo la tipica visione orientale, in particolare ai fini di una continuazione « immortale » della famiglia e della memoria del patriarca. La sua funzione è squisitamente « materna », la sua attività è essenzialmente familiare, i figli e la casa sono lo sbocco naturale e la radice stessa del suo esistere. La vite ricca di grappoli ne è, quindi, la raffigurazione ideale, come i figli sani e vigorosi riuniti attorno alla mensa sono da pensare come un oliveto denso di virgulti che promettono ruscelli di olio per i futuri raccolti.

Alla scena « mediterranea » e naturale della vite e dell’olivo subentra nella seconda parte del salmo un’atmosfera più spirituale e religiosa con la benedizione dei vv. 4-6, formulata secondo i canoni del benessere visto come premio del giusto. Bene e male sono già giudicati qui sulla terra e la prosperità si effonde subito sul fedele come segno visibile della sua giustizia e della sua onestà. La benedizione viene da Sion, cioè dal tempio, e non scende solo sul singolo fedele ma sull’intera comunità incarnata da Gerusalemme. Il carme ci congeda col saluto ebraico di stampo messianico shalom, pace e gioia, allusivo nei confronti del nome della città santa, Gerusalemme, « città della pace », ma destinato soprattutto ad ogni famiglia.

C’è, quindi, una vocazione al matrimonio che Dio benedice e che diventa fonte di felicità. Anche se la più comune, essa non è per tutti e dev’essere vissuta con intensità e serietà, con amore e gioia.  Possiamo concludere con dei bei pensieri sul matrimonio, che il poeta libanese K. Gibran ha scritto nella sua opera Il profeta:

« Sarete insieme in eterno; sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni, sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio. Ma lasciate che vi sia spazio nel vostro essere insieme, lasciate che i venti del paradiso danzino tra voi.

Amatevi l’un l’altro ma non fate dell’amore una catena: lasciate invece che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime. Cantate, ballate insieme e siate gioiosi, ma lasciate che ognuno sia solo. Anche le corde di un liuto sono sole, eppure formano la stessa musica. Datevi i vostri cuori ma non per possederli, perché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori. State in piedi insieme, ma non troppo vicini, perché le colonne del tempio stanno separate e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro ».


(da SE VUOI)

IL GIARDINO DEGLI OLIVI (dovete andare al sito per vedere tutte le immagini)

dal sito:

http://198.62.75.1/www1/ofm/san/GET04gar_It.html

IL GIARDINO DEGLI OLIVI

Otto vecchi olivi, da dietro una bassa cancellata a motivi bizantini (eretta nel 1959), attirano l’attenzione dei pellegrini al loro ingresso nel giardino, e creano l’atmosfera spirituale per una visita al Getsemani. La loro età ha sollevato discussioni che vengono riecheggiate in tutte le guide. Questi alberi, la cui prima menzione risale al XV secolo, apparivano ai pellegrini dei secoli seguenti, molto vecchi e molto grandi, i più grandi di tutti gli alberi di Palestina. Nessuno mette in dubbio l’età veneranda di questi olivi dal tronco cavo e nodoso; ma né la storia né la botanica offrono argomenti decisivi circa la loro data di nascita. Tutte le deduzioni che alcuni hanno voluto trarre dalla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, sono vane e noi non sappiamo se gli olivi, che forse crescevano nel giardino all’epoca del Cristo, sono stati, o meno, abbattuti dai Romani nel 70, durante l’assedio di Gerusalemme. Altrettanto vana è la prova che alcuni pellegrini e alcuni scrittori (tra cui perfino Chateaubriand) hanno dedotto da una supposta esenzione fiscale – o riduzione, perché i testi sono contraddittori – di cui avrebbero goduto gli olivi del Getsemani per il fatto di essere anteriori all’invasione araba… o al dominio turco. Questa esenzione è spiegata semplicemente dalla natura religiosa dell’opera alla quale i musulmani avevano assegnato il giardino del Getsemani, dopo aver riconquistato Gerusalemme nel 1187. I botanici non hanno miglior fortuna degli storici. Se, da una parte, il tronco di un olivo, soprattutto di un vecchio olivo, non si presta allo studio dello sviluppo vegetale, d’altra parte nulla suffraga l’affermazione dei pellegrini che ritengono che gli olivi del Getsemani siano dei polloni delle piante dell’epoca del Cristo. Anche se spesso avviene, come già osservava Plinio il Vecchio, che l’olivo non muore, ma rinasce dal suo stesso ceppo, il fenomeno non è accaduto a quell’albero del Getsemani che i pellegrini del XVII secolo dicono esser stato bruciato, abbattuto, o esser morto di vecchiaia, e che non pare, checché se ne sia detto, aver generato dei polloni. Senza dubbio le anime sensibili possono provare una certa delusione. Ma, anche se non sono proprio le piante dell’epoca evangelica, e forse nemmeno i polloni, gli olivi del Getsemani meritano la venerazione di tutti i pellegrini grazie al ricordo dell’Agonia da loro suscitato in questo luogo che ne è stato il testimone. 
La storia del Giardino degli Olivi può essere riassunta in poche righe. Dopo aver fatto probabilmente parte del complesso ecclesiastico delle chiese costruite a partire dal IV secolo nel luogo dell’Agonia, il giardino subì, partiti i crociati, la sorte di tutte le antiche proprietà cristiane: fu assegnato come waqf (lascito pio) ad un’opera religiosa maomettana. Nel caso specifico, al collegio teologico che aveva sede nella chiesa di S. Anna.
Il terreno, chiamato dai pellegrini del XIII secolo e dei secoli seguenti, « campo fiorito », « giardino dei fiori », dopo il XIV secolo ci appare diviso, da sentieri e muriccioli, in diversi appezzamenti. Sembra in realtà che il waqf del Getsemani sia finito per diventare una proprietà privata che una serie di legati ereditari doveva spezzettare fra parecchi proprietari. Le testimonianze, che diventano con il tempo sempre più numerose seppure non sempre più esatte, dimostrano che i fedeli continuavano a venerare il Giardino degli Olivi. Tuttavia, mentre i cristiani orientali hanno conservato le tradizioni antiche, almeno per quanto concerne il luogo dell’Agonia, la maggioranza dei pellegrini occidentali ha invertito, a poco a poco, i posti, giungendo a localizzare il luogo dell’Agonia di Gesù nella grotta vicina (che venne così chiamata « Grotta dell’Agonia ») e il luogo dell’arresto, nel giardino. Nel XVII secolo, per interposta persona, i francescani entrarono in possesso del Giardino degli Olivi. Sebbene il contratto ufficiale d’acquisto sia stato redatto nel 1681, pare che il giardino appartenesse ai francescani già nel 1666, sempre che si possa prestar fede a quanto riferiscono diversi pellegrini. Gli archivi della Custodia di Terra Santa conservano numerosi documenti – contratti d’acquisto, composizioni di liti – relativi ai possedimenti del Getsemani, ma oggi è spesso difficile stabilire con precisione le località. Così, circa il contratto del 1681, noi possiamo rintracciare esattamente soltanto i confini est e ovest del terreno acquistato: il sentiero del Monte degli Olivi e la grande strada statale di Gerico. A nord, il terreno arrivava ad un oliveto dei francescani; a sud, al vigneto di due arabi. In quanto alla grotta compresa nel terreno acquistato, è impossibile appurare se era realmente l’attuale « Grotta del Getsemani ». Tuttavia, per quasi tutti i pellegrini il Giardino degli Olivi si restringeva in effetti al campo dove crescevano i vecchi olivi che l’ « opinione comune » e la « tradizione del paese » facevano risalire all’epoca del Cristo. L’area non era più coltivata; un muro a secco, alto circa 1 metro, la circondava. Il giardino fu lasciato in quelle condizioni fino al 1847. Per proteggere gli olivi, i francescani furono obbligati a costruire una recinzione più alta, che venne sostituita nel 1959 dal muro che oggi vediamo. Protetto in tal modo, il terreno fu coperto, malgrado i pareri contrari, da una serie di aiole, probabilmente a ricordo del « giardino dei fiori » dei secoli XIII e XIV. Ma, dalle relazioni pervenuteci, sembra che i pellegrini di allora sperassero di trovare in questo luogo un pó più di semplicità. Un bassorilievo di marmo, che un tempo era collocato nel giardino ed ora si trova a lato della porta della sacrestia, rappresenta l’agonia di Gesù. Questa scultura, opera del veneziano Torretti, maestro del Canova, è stata mutilata da ignoti vandali.

IL GIARDINO DEGLI OLIVI

Otto vecchi olivi, da dietro una bassa cancellata a motivi bizantini (eretta nel 1959), attirano l’attenzione dei pellegrini al loro ingresso nel giardino, e creano l’atmosfera spirituale per una visita al Getsemani. La loro età ha sollevato discussioni che vengono riecheggiate in tutte le guide. Questi alberi, la cui prima menzione risale al XV secolo, apparivano ai pellegrini dei secoli seguenti, molto vecchi e molto grandi, i più grandi di tutti gli alberi di Palestina. 

Un venerabile olivo nel Giardino del Getsemani 

Nessuno mette in dubbio l’età veneranda di questi olivi dal tronco cavo e nodoso; ma né la storia né la botanica offrono argomenti decisivi circa la loro data di nascita.

Tutte le deduzioni che alcuni hanno voluto trarre dalla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, sono vane e noi non sappiamo se gli olivi, che forse crescevano nel giardino all’epoca del Cristo, sono stati, o meno, abbattuti dai Romani nel 70, durante l’assedio di Gerusalemme. Altrettanto vana è la prova che alcuni pellegrini e alcuni scrittori (tra cui perfino Chateaubriand) hanno dedotto da una supposta esenzione fiscale – o riduzione, perché i testi sono contraddittori – di cui avrebbero goduto gli olivi del Getsemani per il fatto di essere anteriori all’invasione araba… o al dominio turco. Questa esenzione è spiegata semplicemente dalla natura religiosa dell’opera alla quale i musulmani avevano assegnato il giardino del Getsemani, dopo aver riconquistato Gerusalemme nel 1187. I botanici non hanno miglior fortuna degli storici. Se, da una parte, il tronco di un olivo, soprattutto di un vecchio olivo, non si presta allo studio dello sviluppo vegetale, d’altra parte nulla suffraga l’affermazione dei pellegrini che ritengono che gli olivi del Getsemani siano dei polloni delle piante dell’epoca del Cristo. Anche se spesso avviene, come già osservava Plinio il Vecchio, che l’olivo non muore, ma rinasce dal suo stesso ceppo, il fenomeno non è accaduto a quell’albero del Getsemani che i pellegrini del XVII secolo dicono esser stato bruciato, abbattuto, o esser morto di vecchiaia, e che non pare, checché se ne sia detto, aver generato dei polloni.

Senza dubbio le anime sensibili possono provare una certa delusione. Ma, anche se non sono proprio le piante dell’epoca evangelica, e forse nemmeno i polloni, gli olivi del Getsemani meritano la venerazione di tutti i pellegrini grazie al ricordo dell’Agonia da loro suscitato in questo luogo che ne è stato il testimone.
 
Un altro venerabile olivo del Getsemani
La storia del Giardino degli Olivi può essere riassunta in poche righe. Dopo aver fatto probabilmente parte del complesso ecclesiastico delle chiese costruite a partire dal IV secolo nel luogo dell’Agonia, il giardino subì, partiti i crociati, la sorte di tutte le antiche proprietà cristiane: fu assegnato come waqf (lascito pio) ad un’opera religiosa maomettana. Nel caso specifico, al collegio teologico che aveva sede nella chiesa di S. Anna.
Il terreno, chiamato dai pellegrini del XIII secolo e dei secoli seguenti, « campo fiorito », « giardino dei fiori », dopo il XIV secolo ci appare diviso, da sentieri e muriccioli, in diversi appezzamenti. Sembra in realtà che il waqf del Getsemani sia finito per diventare una proprietà privata che una serie di legati ereditari doveva spezzettare fra parecchi proprietari. 
Le testimonianze, che diventano con il tempo sempre più numerose seppure non sempre più esatte, dimostrano che i fedeli continuavano a venerare il Giardino degli Olivi. Tuttavia, mentre i cristiani orientali hanno conservato le tradizioni antiche, almeno per quanto concerne il luogo dell’Agonia, la maggioranza dei pellegrini occidentali ha invertito, a poco a poco, i posti, giungendo a localizzare il luogo dell’Agonia di Gesù nella grotta vicina (che venne così chiamata « Grotta dell’Agonia ») e il luogo dell’arresto, nel giardino. Nel XVII secolo, per interposta persona, i francescani entrarono in possesso del Giardino degli Olivi. Sebbene il contratto ufficiale d’acquisto sia stato redatto nel 1681, pare che il giardino appartenesse ai francescani già nel 1666, sempre che si possa prestar fede a quanto riferiscono diversi pellegrini. Gli archivi della Custodia di Terra Santa conservano numerosi documenti – contratti d’acquisto, composizioni di liti – relativi ai possedimenti del Getsemani, ma oggi è spesso difficile stabilire con precisione le località. Così, circa il contratto del 1681, noi possiamo rintracciare esattamente soltanto i confini est e ovest del terreno acquistato: il sentiero del Monte degli Olivi e la grande strada statale di Gerico. A nord, il terreno arrivava ad un oliveto dei francescani; a sud, al vigneto di due arabi. In quanto alla grotta compresa nel terreno acquistato, è impossibile appurare se era realmente l’attuale « Grotta del Getsemani ». 
Tuttavia, per quasi tutti i pellegrini il Giardino degli Olivi si restringeva in effetti al campo dove crescevano i vecchi olivi che l’ « opinione comune » e la « tradizione del paese » facevano risalire all’epoca del Cristo. L’area non era più coltivata; un muro a secco, alto circa 1 metro, la circondava. Il giardino fu lasciato in quelle condizioni fino al 1847. Per proteggere gli olivi, i francescani furono obbligati a costruire una recinzione più alta, che venne sostituita nel 1959 dal muro che oggi vediamo. Protetto in tal modo, il terreno fu coperto, malgrado i pareri contrari, da una serie di aiole, probabilmente a ricordo del « giardino dei fiori » dei secoli XIII e XIV. Ma, dalle relazioni pervenuteci, sembra che i pellegrini di allora sperassero di trovare in questo luogo un pó più di semplicità. Un bassorilievo di marmo, che un tempo era collocato nel giardino ed ora si trova a lato della porta della sacrestia, rappresenta l’agonia di Gesù. Questa scultura, opera del veneziano Torretti, maestro del Canova, è stata mutilata da ignoti vandali.  

IL GIARDINO DEGLI OLIVI

Otto vecchi olivi, da dietro una bassa cancellata a motivi bizantini (eretta nel 1959), attirano l’attenzione dei pellegrini al loro ingresso nel giardino, e creano l’atmosfera spirituale per una visita al Getsemani. La loro età ha sollevato discussioni che vengono riecheggiate in tutte le guide. Questi alberi, la cui prima menzione risale al XV secolo, apparivano ai pellegrini dei secoli seguenti, molto vecchi e molto grandi, i più grandi di tutti gli alberi di Palestina.  

Un venerabile olivo nel Giardino del Getsemani 

Nessuno mette in dubbio l’età veneranda di questi olivi dal tronco cavo e nodoso; ma né la storia né la botanica offrono argomenti decisivi circa la loro data di nascita. Tutte le deduzioni che alcuni hanno voluto trarre dalla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, sono vane e noi non sappiamo se gli olivi, che forse crescevano nel giardino all’epoca del Cristo, sono stati, o meno, abbattuti dai Romani nel 70, durante l’assedio di Gerusalemme. Altrettanto vana è la prova che alcuni pellegrini e alcuni scrittori (tra cui perfino Chateaubriand) hanno dedotto da una supposta esenzione fiscale – o riduzione, perché i testi sono contraddittori – di cui avrebbero goduto gli olivi del Getsemani per il fatto di essere anteriori all’invasione araba… o al dominio turco. Questa esenzione è spiegata semplicemente dalla natura religiosa dell’opera alla quale i musulmani avevano assegnato il giardino del Getsemani, dopo aver riconquistato Gerusalemme nel 1187.I botanici non hanno miglior fortuna degli storici. Se, da una parte, il tronco di un olivo, soprattutto di un vecchio olivo, non si presta allo studio dello sviluppo vegetale, d’altra parte nulla suffraga l’affermazione dei pellegrini che ritengono che gli olivi del Getsemani siano dei polloni delle piante dell’epoca del Cristo. Anche se spesso avviene, come già osservava Plinio il Vecchio, che l’olivo non muore, ma rinasce dal suo stesso ceppo, il fenomeno non è accaduto a quell’albero del Getsemani che i pellegrini del XVII secolo dicono esser stato bruciato, abbattuto, o esser morto di vecchiaia, e che non pare, checché se ne sia detto, aver generato dei polloni. Senza dubbio le anime sensibili possono provare una certa delusione. Ma, anche se non sono proprio le piante dell’epoca evangelica, e forse nemmeno i polloni, gli olivi del Getsemani meritano la venerazione di tutti i pellegrini grazie al ricordo dell’Agonia da loro suscitato in questo luogo che ne è stato il testimone.  
Un altro venerabile olivo del Getsemani
La storia del Giardino degli Olivi può essere riassunta in poche righe. Dopo aver fatto probabilmente parte del complesso ecclesiastico delle chiese costruite a partire dal IV secolo nel luogo dell’Agonia, il giardino subì, partiti i crociati, la sorte di tutte le antiche proprietà cristiane: fu assegnato come waqf (lascito pio) ad un’opera religiosa maomettana. Nel caso specifico, al collegio teologico che aveva sede nella chiesa di S. Anna.
Il terreno, chiamato dai pellegrini del XIII secolo e dei secoli seguenti, « campo fiorito », « giardino dei fiori », dopo il XIV secolo ci appare diviso, da sentieri e muriccioli, in diversi appezzamenti. Sembra in realtà che il waqf del Getsemani sia finito per diventare una proprietà privata che una serie di legati ereditari doveva spezzettare fra parecchi proprietari. Le testimonianze, che diventano con il tempo sempre più numerose seppure non sempre più esatte, dimostrano che i fedeli continuavano a venerare il Giardino degli Olivi. Tuttavia, mentre i cristiani orientali hanno conservato le tradizioni antiche, almeno per quanto concerne il luogo dell’Agonia, la maggioranza dei pellegrini occidentali ha invertito, a poco a poco, i posti, giungendo a localizzare il luogo dell’Agonia di Gesù nella grotta vicina (che venne così chiamata « Grotta dell’Agonia ») e il luogo dell’arresto, nel giardino. Nel XVII secolo, per interposta persona, i francescani entrarono in possesso del Giardino degli Olivi. Sebbene il contratto ufficiale d’acquisto sia stato redatto nel 1681, pare che il giardino appartenesse ai francescani già nel 1666, sempre che si possa prestar fede a quanto riferiscono diversi pellegrini. Gli archivi della Custodia di Terra Santa conservano numerosi documenti – contratti d’acquisto, composizioni di liti – relativi ai possedimenti del Getsemani, ma oggi è spesso difficile stabilire con precisione le località. Così, circa il contratto del 1681, noi possiamo rintracciare esattamente soltanto i confini est e ovest del terreno acquistato: il sentiero del Monte degli Olivi e la grande strada statale di Gerico. A nord, il terreno arrivava ad un oliveto dei francescani; a sud, al vigneto di due arabi. In quanto alla grotta compresa nel terreno acquistato, è impossibile appurare se era realmente l’attuale « Grotta del Getsemani ». 
Tuttavia, per quasi tutti i pellegrini il Giardino degli Olivi si restringeva in effetti al campo dove crescevano i vecchi olivi che l’ « opinione comune » e la « tradizione del paese » facevano risalire all’epoca del Cristo. L’area non era più coltivata; un muro a secco, alto circa 1 metro, la circondava. Il giardino fu lasciato in quelle condizioni fino al 1847. Per proteggere gli olivi, i francescani furono obbligati a costruire una recinzione più alta, che venne sostituita nel 1959 dal muro che oggi vediamo. Protetto in tal modo, il terreno fu coperto, malgrado i pareri contrari, da una serie di aiole, probabilmente a ricordo del « giardino dei fiori » dei secoli XIII e XIV. Ma, dalle relazioni pervenuteci, sembra che i pellegrini di allora sperassero di trovare in questo luogo un pó più di semplicità. Un bassorilievo di marmo, che un tempo era collocato nel giardino ed ora si trova a lato della porta della sacrestia, rappresenta l’agonia di Gesù. Questa scultura, opera del veneziano Torretti, maestro del Canova, è stata mutilata da ignoti vandali.  

IL GIARDINO DEGLI OLIVI  (dovete andare al sito per vedere tutte le immagini) dans CREAZIONE NELLA BIBBIA (LA) zgiardino

dun giardino degli ulivi nel Getsemani

Storia dell’ulivo

dal sito:

http://www.pisciotta.net/IT/notizie/PENSIERI%20IN%20LIBERTA%60/storia_dellulivo2.htm

Storia dell’ulivo

Pianta sacra da tempo immemorabile, l’ulivo è protagonista di diverse leggende che ne hanno attribuito questa sua origine divina.

La tradizione ebraica racconta che dai semi portati da un angelo e posti tra le labbra di Abramo, sepolto sul monte Tabor, nacquero tre piante: un cipresso, un cedro e un olivo.
Nell’Antico Testamento, la colomba che annuncia a Noè la fine del diluvio e la ricomparsa delle terre emerse porta nel becco un ramo d’ulivo.

Stesse origini l’ulivo ha anche nella mitologia greca. Da una contesa tra Poseidone e Atena sorta per il possesso dell’Attica, Atena fece germogliare un ulivo accanto al pozzo che aveva donato Poseidone e il tribunale composto da tutte le divinità olimpiche, convocato per decidere chi doveva governare l’Attica, decise che il dono migliore era stato fatto da Atena.

Sempre dalla mitologia greca, Apollo nacque a Delo sotto una pianta di ulivo e Aristeo, figlio di Apollo e Cirene, apprese dalle Ninfe del mirto come innestare l’olivastro per ottenere l’olivo.
Anche i primi cristiani, che combatterono tutti i culti pagani degli alberi, rispettarono invece l’ulivo, il cui olio sacro serviva per la cresima, la consacrazione dei sacerdoti, l’estrema unzione.

La storia racconta che, originario della parte orientale dell’area mediterranea, l’olivo si diffuse in Egitto, in Palestina, a Creta, a Rodi, nell’Attica, in Italia e poi in tutto il bacino del Mediterraneo. Il codice Babilonese di Hammurabi, che risale a circa 2500 anni prima di Cristo, cita l’olio di oliva e ne regolamenta la compravendita.

In Egitto, ai tempi della XIX dinastia, intorno al 1300 a.C., rami d’ulivo erano posti sulle tombe dei sovrani. Fenici, Greci e Cartaginesi commerciarono olio e contribuirono a diffondere la coltivazione dell’ulivo, utilizzato non solo come alimento, ma anche per le cure del corpo e per l’illuminazione.

In Italia, portato dai coloni greci, l’ulivo fu coltivato dagli Etruschi, che già nel VII secolo a.C. ne possedevano vaste piantagioni. Più tardi i Romani organizzarono razionalmente la distribuzione e il commercio dell’olio. A Roma costituirono l’arca olearia, una sorta di borsa dell’olio d’oliva, dove collegi di importatori, « negotiatores olearii », trattavano prezzi e quantità.

Secondo i più illustri naturalisti romani, esistevano ben dieci varietà diverse di ulivi e l’olio prodotto era classificato in cinque categorie. Il più pregiato era l’Oleum ex albis ulivis, ottenuto da olive verde chiaro, cui seguivano il Viride, ottenuto da olive che stanno annerendosi, il Maturum, frutto della spremitura di olive mature, il Caducum, ottenuto da olive raccolte da terra, e il Cibarium, prodotto con olive bacate e destinato solo agli schiavi.

Con la decadenza dell’impero e la cessazione dei tributi, l’olivo venne però a mancare e le invasioni barbariche fecero pressoché scomparire la pratica colturale dell’olivo.

Nel Medioevo sopravvissero oliveti di ridotte dimensioni presso alcuni conventi e nei feudi fortificati che sorsero soprattutto in Toscana. Successivamente, furono proprio i conventi a ricreare oliveti di grandi dimensioni, dati in gestione a contadini con contratti « ad laborandum », secondo cui il proprietario dell’oliveto riceveva parte del raccolto e alcune giornate di lavoro nelle proprie terre. 

Più tardi, nel XII secolo, vennero stipulati contratti « ad infinitum », cioè senza limiti di tempo, per cui i contadini si impegnavano alla coltivazione in cambio di un fitto, sovente pagato in olio.

Gli oliveti ripresero a diffondersi, Firenze divenne un centro importante per la coltivazione ed emanò severe leggi che regolamentavano la coltivazione dell’olio e il suo commercio; Venezia e Genova cominciarono a commerciare quantità sempre maggiori di olio proveniente da Corinto, Tebe, Costantinopoli e dalla Romania, Provenza, Spagna e Africa del nord.

All’inizio del XIV secolo, la Puglia divenne un enorme oliveto e piantagioni sorsero in Calabria, Abruzzo, Campania e Sicilia. Tale divenne l’importanza di questo alimento per queste regioni che, nel 1559, Parafran De Riveira, vicerè spagnolo, fece costruire una strada che collegava Napoli alla Puglia, alla Calabria e all’Abruzzo per agevolare il trasporto dell’olio.

Dopo una stasi attorno al 1600, dovuta alla dominazione spagnola che aumentò le tasse sulla produzione dell’olio e instaurò contratti a termine della durata di due o tre anni (non più convenienti per il coltivatore), la produzione riprese a crescere nel 1700 con lo svilupparsi del libero mercato e l’esenzione di tasse sugli uliveti per la durata di quarant’anni.

L’olio italiano venne diffuso in tutta Europa, e la stessa Caterina di Russia ricevette campioni di olio italiano racchiusi in un cofano in legno d’olivo. Nel 1830 papa Pio VII garantiva un premio in denaro per ogni olivo piantato e curato sino all’età di 18 mesi. Persino re Umberto, nel 1944, emanò un decreto, ancora oggi in vigore, che vieta l’abbattimento delle piante d’olivo.

Oggi si calcola che quasi la totalità di piante di olivo coltivate nel mondo sono presenti nel bacino del Mediterraneo, anche se si coltivano ulivi anche in Sud America, Australia, Oceania, Cina.

L’olivo è ovunque nel mondo e ogni anno le coltivazioni aumentano, così come cresce l’interesse per l’olio extra vergine.

GLI ALBERI DI ULIVO NELLA STORIA DELL’UOMO
Cenni storici dalla comparsa della pianta di ulivo sulla Terra all’utilizzo e alla coltivazione nel corso dei secoli   
     
  La pianta di ulivo è stata la prima ad essere selezionata dall’ uomo: la sua storia e quella delle civiltà mediterranee si intrecciano da oltre settemila anni.
La coltivazione di queste piante ebbe inizio nei paesi del Mediterraneo orientale. Cinquemila anni fa, in questa zona, la produzione ed il commercio dell’ olio divennero una fra le principali risorse economiche. Grazie all’ opera dei Micenei, dei Fenici, dei Greci e dei Romani l’ olivo giunge ad essere una delle principali colture agricole del Mediterraneo e l’olio fu usato per molti usi quotidiani.
L’ulivo venne travolto dalla crisi politica, economica e militare dettata dalla caduta dell’Impero Romano e l’olio tornò ad essere un’ elemento raro, prezioso e riservato ad usi religiosi o a pochi privilegiati.
Dal Medio Evo, attraverso i secoli, si sono consolidate le tradizioni delle grandi aree oleicole di oggi e l’ albero di ulivo è tornato ad essere uno degli elementi più importanti del paesaggio mediterraneo.

L’ olivo si potrebbe quasi definire una pianta immortale grazie alla sua capacità di rigenerarsi dalla ceppaia. Le caratteristiche botaniche, l’ aspetto, le varietà diffuse nel Mediterraneo, il portamento, il ciclo vegetativo annuale, l’ impianto e le pratiche colturali di un oliveto ci permettono di apprezzare le peculiarità per molti versi eccezionali di questo albero.L’ utilizzo dell’ ulivo e dei suoi prodotti è una testimonianza dell’ ingegnosità umana oltre che delle straordinarie caratteristiche di questa pianta. Reperti rari e sorprendenti di ogni epoca e paese, descrizioni e passi tratti dalla Bibbia, da Omero, da poeti e scrittori del passato illustrano l’ importanza di questo albero nella vita dell’ uomo.
L’ ulivo ha costituito un contributo ed un elemento indispensabile al benessere quotidiano e ad un raffinato modo di vita. Luce, medicamenti, unguenti e profumi, lubrificanti, alimento, condimento, calore e legno sono i preziosi doni dell’ulivo all’uomo.
Come gli antichi, anche noi possiamo dire che il Mediterraneo inizia e finisce con l’olivo. L’olio d’oliva è da millenni uno dei prodotti e delle merci più preziose del Mediterraneo.
Le aree oleicole lo esportavano, a caro prezzo, verso i popoli che non erano in grado di produrlo e che, ben presto si sforzavano di iniziare la coltivazione dell’olivo.
L’ olio e l’ olivo si sono quindi diffusi verso occidente in tutto il mondo allora conosciuto, dalle coste di Siria e Palestina fino all’ oceano Atlantico. Lungo questo viaggio l’ olivo vede nascere alcune delle più importanti civiltà antiche.

L’ olivo iniziò dalle città della Fenicia il proprio viaggio, che si svolgeva sotto la protezione del dio Melqart, più tardi identificato con Eracle o Ercole. A bordo delle navi dei mercanti fenici di Tiro l’ olivo oltrepassò lo stretto di Gibilterra e a Cadice, in un altro tempio di Melqart fu collocata l’ immagine di un olivo che segnava la fine del suo viaggio e del Mediterraneo.

L’ ulivo raggiunge molto anticamente la Grecia e già cinquemila anni fa gli abitanti di Creta e del Peloponneso si nutrivano di cibi cotti in olio d’ oliva. Quattromila anni fa Minosse di Creta e poi i re micenei furono grandi produttori di olio, che commerciarono in Italia meridionale, in Sicilia e Sardegna.
Nell’ Atene classica l’ olivo gode di una considerazione eccezionale: l’albero piantato sull’ Acropoli dalla stessa Dea Atena è il simbolo della città, ne incarna la sopravvivenza e la prosperità.

L’ulivo fa una prima timida comparsa in Italia tremilacinquecento anni fa, ma si diffonde ad opera dei mercanti fenici, cartaginesi e dei coloni greci soprattutto a partire dal VII secolo a.C. Etruschi ed Italici acquistano l’olio dai mercanti greci e fenici ed iniziano ad apprendere da questi popoli le tecniche di coltivazione dell’olivo e di estrazione olearia.
Autori latini come Catone e Columella scrissero volumi per spiegare come si devono coltivare gli olivi e come produrre l’olio migliore.

L’ olio d’ oliva e l’ olivo arrivano sulle coste iberiche nell’ ottavo secolo a.C. ad opera dei mercanti fenici che offrivano le proprie merci alle genti iberiche per avere in cambio i metalli di cui la Spagna era ricca: rame, argento e oro. Da questi contatti nacque una cultura originale, ricca di elementi locali, fenici, greci e cartaginesi. Durante i primi secoli dell’ Impero Romano la Spagna divenne la principale provincia olearia mediterranea e le anfore di olio betico importato a Roma per vari secoli, ammucchiate, diedero origine ad un nuovo monte in prossimità del Tevere: il Monte Testaccio.

Le ricerche moderne hanno messo in luce proprietà e principi attivi dell’ olio d’ oliva che spiegano l’ enorme fortuna e la lunga tradizione dei cosmetici a base oleosa tra le civiltà del Mediterraneo.
Fin dagli albori della storia i cosmetici hanno assunto un ruolo che spesso sconfinò nelle pratiche mediche e nei rituali religiosi.
Davanti allo specchio, fra vasetti di olio cosmetico e strumenti studiati per esaltare il fascino e la perfezione del corpo, hanno sorriso i personaggi simbolo di bellezza nel mondo antico: Afrodite, Elena, Cleopatra…

L’ ulivo è il simbolo mediterraneo per eccellenza.
Le suggestioni religiose, artistiche, spirituali e letterarie ad esso collegate costituiscono un fenomeno impressionante e antico.
L’ olio di oliva ha alimentato i lumi nei templi egizi del Dio Ra, nel Tempio di Salomone a Gerusalemme, nelle chiese e nelle moschee. E’ stato considerato sacro agli dei fenici, ittiti, greci prima ancora che nelle grandi religioni monoteistiche.
Le sue fronde simboleggiano da millenni la pace, l’ onore e la vittoria; il suo olio consacra Re, Sacerdoti e Vescovi, unge i credenti, infonde loro forza, speranza e salvezza, scandendo la nascita, la morte ed i momenti più importanti della loro vita.

di Maria Gabriella (non sono io)

Publié dans:CREAZIONE NELLA BIBBIA (LA) |on 27 avril, 2010 |Pas de commentaires »

ulivo secolare (domani vi racconto qualcosa sull’ulivo)

ulivo secolare (domani vi racconto qualcosa sull'ulivo) dans immagini...buona notte...e ulivo

http://www.cicloamici.it/lecce1000.htm

Publié dans:immagini...buona notte...e |on 26 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia prima lettura Atti

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7101.html

Omelia (09-05-2006) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Quando Barnaba giunse ad Antiochia e vide la grazia del Signore, si rallegrò.

Come vivere questa Parola?
L’episodio che ci viene proposto dalla prima lettura è ricco di interessanti sollecitazioni. In seguito a una persecuzione, i cristiani cercano rifugio ad Antiochia. Sono dei profughi, quindi in una situazione di disagio e di difficoltà. La fede sembrerebbe pericolosamente minacciata. E invece è proprio grazie a questa circostanza che il Vangelo varca i ristretti confini del mondo ebraico. L’uomo può tentare di ostacolare il disegno di Dio, ma finirà sempre col servirlo. Con S. Paolo si può affermare che « Tutto concorre al bene » quando la meta è Dio e il suo Regno. Ciò si verifica anche dietro le ombre del presente. Per questo non ci è consentito fare i « profeti di sventura ». Al contrario, come i primi cristiani, siamo investiti del compito di evangelizzare, con la vita soprattutto, un mondo che sembra voler escludere pesantemente Dio dal proprio orizzonte. Da notare che, ad Antiochia, non furono gli apostoli, ma i semplici fedeli a farsi portavoce di Dio. È un dovere che ci compete in quanto « battezzati ». La Chiesa di Gerusalemme, sollecita, manda Barnaba a incoraggiare e sostenere questi fratelli. Non solo non ci sono sciocche rivendicazioni di ruoli e di ambiti, ma ci si preoccupa di farsi sentire vicini, solidali con chi vive momenti di prova, e ci si « rallegra » del bene che altri realizzano. Che importa se il Regno di Dio si afferma per le mie personali qualità, per il mio lavoro apostolico… o per quello di un confratello, o comunque per la testimonianza di altri? È il Regno di Dio che deve affermarsi! È il nome di Gesù che deve raggiungere chi ne è assetato!

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi porrò due semplici domande: sento e vivo il dovere di testimoniare la mia fede? So rallegrarmi dei successi degli altri?

Aiutami, Signore, a vivere il momento presente, anche quando appare segnato da negatività, nella serena certezza che la storia è nelle tua mani. E questo alimenti in me l’abbandono in te e l’impegno di testimoniarti.

La voce della fondatrice dei focolari
Il mistero pasquale ci sta a testimoniare che Gesù è Vita che vince la morte, è Luce che rompe le tenebre, è pienezza che annulla il vuoto. Questo è in ultima analisi il cristianesimo, dove la croce è essenziale, ma come mezzo, e la lacrima è foriera di consolazione e la povertà di possesso del Regno: dove la purezza apre il sipario del Cielo e la persecuzione e la mansuetudine preannunziano la conquista dell’eternità e garantiscono l’avanzare della chiesa nel mondo.
Chiara Lubich 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 26 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia (27-04-2010)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17941.html

Omelia (27-04-2010) 
padre Lino Pedron

La festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme ricorreva a metà dicembre. Con tale solennità i giudei celebravano l’anniversario della purificazione del tempio operata da Giuda Maccabeo (cfr 1Mac 4,36-59; 2Mac 10,1-8).
I giudei mascherano la loro intenzione ipocrita, dichiarando di avere l’animo sospeso; fingono di avere il desiderio sincero di conoscere la verità. Gesù risponde richiamando le sue precedenti dichiarazioni, dalle quali potevano dedurre facilmente la sua messianicità.
Egli, per invitare ancora una volta i suoi avversari alla fede, fa appello alla testimonianza delle sue opere straordinarie compiute nel nome del Padre: esse sono la garanzia divina della sua messianicità.
I giudei non accettano la testimonianza divina delle opere compiute da Gesù perché non sono pecore di Cristo: le pecore di Cristo ascoltano la sua voce, i giudei invece non credono.
Le pecore di Gesù si trovano in mani sicure, perché sono custodite con cura dal Padre e dal Figlio, queste due persone che vivono in comunione e in intimità perfetta, come dice Gesù: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (v. 30). Le parole di Gesù, di essere una cosa sola con Dio, si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei.
In questo testo Giovanni pone sulla bocca di Gesù tre affermazioni che mettono in risalto l’identità delle pecore e le loro caratteristiche in rapporto a Cristo: ascoltano la sua voce, lo seguono e non periranno mai.
La qualità fondamentale di chi è aperto alla fede è anzitutto l’ascolto: « Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna » (Gv 5,24). Chi ascolta il Maestro ha la vita e diventa suo confidente. E a sua volta è conosciuto da lui con una unione personale e profonda che si concretizza nell’amore (Gv 10,4).
Ma l’ascolto implica il seguire Gesù, ed è azione e impegno. Chi si fida di Gesù, che « ha parole di vita eterna » (Gv 6,68), gode dei beni messianici e porta frutti di vita duratura (Gv 10,10-15; 14,6).
Inoltre chi lo segue sarà custodito da lui (Gv 17,12), nessun ladro lo potrà rapire e nessuna prova o persecuzione lo vincerà perché Gesù, cosciente della sua missione, lo custodisce e lo preserva dai pericoli nella sicurezza e nella pace.
Solo chi appartiene al gregge di Cristo riconosce nella sua parola la qualità di Messia e di buon Pastore, che agisce a nome del Padre, in unità di azione e di amore. Il credente, a differenza di colui che non è delle pecore di Cristo, sente vicino nella sua vita il Signore che gli dà sicurezza, perché in lui vede il Padre che gli dona la vita eterna, che è conoscenza del Padre e del Figlio (Gv 6,40; 17,3.22). 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 26 avril, 2010 |Pas de commentaires »
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