Archive pour avril, 2010

PROCLAMAZIONE DI SANTA CATERINA DA SIENA DOTTORE DELLA CHIESA – FESTA IL 29 APRILE – OMELIA DI PAPA PAOLO VI (1970)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1970/documents/hf_p-vi_hom_19701003_it.html

PROCLAMAZIONE DI SANTA CATERINA DA SIENA DOTTORE DELLA CHIESA

(festa il 29 aprile)

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Domenica, 3 ottobre 1970 

La spirituale esultanza che ha invaso l’animo Nostro nel proclamare Dottore della Chiesa la umile e sapiente vergine domenicana, Caterina da Siena, trova il riferimento più alto e, diremmo, la sua giustificazione nella gioia purissima esperimentata dal Signore Gesù, quando, come narra l’evangelista S. Luca, «trasalì di gioia nello Spirito Santo» e disse: «Io ti glorifico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti, e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché tale è stato il tuo beneplacito» (Luc. 10, 21; cfr. Matth. 11, 25-26).
In verità, nel ringraziare il Padre per aver svelato i segreti della sua divina sapienza agli umili, Gesù non aveva presenti al suo spirito soltanto i Dodici, che egli aveva eletti tra il popolo incolto, e che avrebbe un giorno inviato, quali suoi apostoli, ad istruire tutte le genti e ad insegnare ad esse quanto aveva loro comandato (Cfr. Matth. 28, 19-20), ma altresì quanti avrebbero creduto in Lui, fra i quali innumerevoli sarebbero stati i meno dotati agli occhi del mondo.
E questo si compiaceva di osservare l’Apostolo delle genti, scrivendo alla comunità della greca Corinto, città pullulante di gente infatuata di umana sapienza. «Considerate tra voi, o fratelli, quelli che (Dio) ha chiamato: non molti i sapienti secondo l’estimazione terrena; non molti i potenti; non molti i nobili. Ciò invece che è stolto per il mondo, Iddio scelse per confondere i sapienti; e ciò che è debole Iddio scelse per confondere quello che è forte; scelse ciò che per il mondo non ha pregio e valore, ciò che non esiste, per ridurre al nulla ciò che esiste, affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio» (1 Cor. 1, 26-29).
Tale scelta preferenziale di Dio per quanto è irrilevante o, magari, spregevole agli occhi del mondo era già stata annunciata dal Maestro, quando – in netta antitesi alle valutazioni terrene – aveva chiamato beati e candidati al suo Regno i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace (Cfr. Matth. 5, 3-10).
Non è certo Nostra intenzione indugiare nel porre in rilievo come nella vita e nell’attività esterna di Caterina le Beatitudini evangeliche abbiano avuto un modello di superlativa verità e bellezza. Tutti voi, del resto, ricordate quanto ella sia stata libera nello spirito da ogni terrena cupidigia; quanto abbia amato la verginità consacrata al celeste sposo, Cristo Gesù; quanto sia stata affamata di giustizia e colma di viscere di misericordia nel cercare di riportare la pace in seno alle famiglie ed alle città, dilaniate da rivalità e da odi atroci; quanto si sia prodigata per riconciliare la repubblica di Firenze con il Sommo Pontefice Gregorio XI, fino ad esporre alla vendetta dei ribelli la propria vita. Né ci fermeremo ad ammirare le eccezionali grazie mistiche, di cui volle dotarla il Signore, tra le quali il mistico sposalizio e le sacre stigmate. Crediamo altresì non rispondente alla presente circostanza il rievocare la storia dei magnanimi sforzi, compiuti dalla Santa per indurre il Papa a ritornare alla sua legittima sede, Roma. Il successo che ella finalmente ottenne, fu veramente il capolavoro della sua operosità, che rimarrà nei secoli la sua gloria più grande e costituirà un titolo tutto speciale all’eterna riconoscenza per lei da parte della Chiesa.
Crediamo, invece, opportuno in questo momento porre, sia pur brevemente, in luce il secondo dei titoli, che giustificano, in conformità al giudizio della Chiesa, il conferimento del Dottorato alla figlia dell’illustre Città di Siena: e cioè la peculiare eccellenza della dottrina.
Quanto al primo titolo infatti, quello della santità, il suo riconoscimento solenne fu espresso, ed in ampia misura e con stile inconfondibile di umanista, dal Pontefice Pio II, suo concittadino, nella Bolla di Canonizzazione Misericordias Domini, di cui egli stesso fu l’autore (Cfr. M.-H. LAUKENT, OP., Proc. Castel., pp. 521-530; Trad. ital. di I. Taurisano, OP., S. Caterina da Siena, Roma 1948, pp. 665-673). La speciale cerimonia liturgica ebbe luogo nella Basilica di S. Pietro, il 29 giugno 1461.
Che diremo dunque dell’eminenza della dottrina cateriniana? Noi certamente non troveremo negli scritti della Santa, cioè nelle sue Lettere, conservate in numero assai cospicuo, nel Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina e nelle «orationes», il vigore apologetico e gli ardimenti teologici che distinguono le opere dei grandi luminari della Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente; né possiamo pretendere dalla non colta vergine di Fontebranda le alte speculazioni, proprie della teologia sistematica, che hanno reso immortali i Dottori del medioevo scolastico. E se è vero che nei suoi scritti si riflette, e in misura sorprendente, la teologia dell’Angelico Dottore, essa vi compare però spoglia di ogni rivestimento scientifico. Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico.
Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che S. Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane, e di cui volle che fosse ben disciplinato l’uso, ammonendo che tali doni non sono tanto a vantaggio di coloro che ne sono dotati, quanto piuttosto dell’intero Corpo della Chiesa: come infatti in esso – spiega l’Apostolo – «unico e medesimo (è) lo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole» (1 Cor. 12, 11) così su tutte le membra del mistico organismo di Cristo deve ridondare il beneficio dei tesori spirituali che il suo Spirito elargisce (Cfr. 1 Cor. 11, 5; Rom. 12, 8; 1 Tim. 6, 2; Tit. 2, 15).
«Dottrina eius (scilicet Catharinae) non acquisita fuit; prius magistra visa est quam discipula» (Proc. Castel., 1. c.): così dichiarò lo stesso Pio II nella Bolla di Canonizzazione. Ed invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami all’imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore ardente dall’Amore Infinito, ch’è lo Spirito Santo.
Ma quali sono le linee caratteristiche, i temi dominanti del suo magistero ascetico e mistico? A Noi sembra che, ad imitazione del «glorioso Paolo» (Dialogo, c. XI, a cura di G. Cavallini, 1968, p. 27), di cui riflette talvolta anche lo stile gagliardo ed impetuoso, Caterina sia la mistica del Verbo Incarnato, e soprattutto di Cristo Crocifisso; essa fu l’esaltatrice della virtù redentivi del Sangue adorabile del Figliuolo di Dio, effuso sul legno della Croce con larghezza di amore per la salvezza di tutte le umane generazioni (Cfr. Dialogo, c. CXXVII, ed. cit., p. 325). Questo Sangue del Salvatore, la Santa lo vede fluire continuamente nel Sacrificio della Messa e nei Sacramenti, grazie al ministero dei sacri ministri, a purificazione ed abbellimento dell’intero Corpo mistico di Cristo. Caterina perciò potremmo dirla la mistica del Corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa.
D’altra parte la Chiesa è per lei autentica madre, a cui è doveroso sottomettersi, prestare riverenza ed assistenza: «Ché – Ella osa dire – la Chiesa non è altro che esso Cristo» (Lettera 171, a cura di P. Misciatelli, III, 89).
Quale non fu perciò l’ossequio e l’amore appassionato che la Santa nutrì per il Romano Pontefice! Noi oggi personalmente, minimo servo dei servi di Dio, dobbiamo a Caterina immensa riconoscenza, non certo per l’onore che possa ridondare sulla nostra umile persona, ma per la mistica apologia ch’ella fa dell’ufficio apostolico del successore di Pietro. Chi non ricorda? Ella contempla in lui «il dolce Cristo in terra» (Lettera 196, ed. cit., III, 211), a cui si deve filiale affetto ed obbedienza, perché : «Chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa del frutto del Sangue del Figliuolo di Dio» (Lettera 207, ed. cit., III, 270). E quasi anticipando, non solo la dottrina, ma il linguaggio stesso del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 23), la Santa scrive al Papa Urbano VI: «Padre santissimo . . cognoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa di conservare questo popolo (di Firenze) alla obbedienza e reverenza della Santità Vostra, perocché qui è il capo e il principio della nostra fede» (Lettera 170, ed. cit., III, 75).
Ai Cardinali, poi, a molti Vescovi e sacerdoti, essa rivolge pressanti esortazioni, né risparmia forti rimproveri, sempre però in tutta umiltà e rispetto per la loro dignità di ministri del Sangue di Cristo. Né Caterina poteva dimenticare di essere figlia di un Ordine religioso, e tra i più gloriosi ed attivi nella Chiesa. Essa, quindi, nutre stima singolare per quelle che chiama le «sante religioni», che considera quasi vincolo di unione tra il Corpo mistico, costituito dai rappresentanti di Cristo (secondo una qualificazione sua propria), ed il corpo universale della religione cristiana, cioè i semplici fedeli. Esige dai religiosi fedeltà alla loro eccelsa vocazione, attraverso l’esercizio generoso delle virtù e l’osservanza delle rispettive regole. Non ultimi, nella sua materna sollecitudine, sono i laici, a cui indirizza vivaci e numerose lettere, volendoli pronti nella pratica delle virtù cristiane e dei doveri del proprio stato, animati da ardente carità per Iddio e per il prossimo, poiché anch’essi sono membra vive del Corpo mistico; ora, dice la Santa, «ella (cioè la Chiesa) è fondata in amore, ed è esso amore» (Lettera 103, a cura di G. Gigli).
Come poi non ricordare l’opera intensa, svolta dalla Santa per la riforma della Chiesa? È principalmente ai sacri Pastori che essa rivolge le sue esortazioni, disgustata di santo sdegno per l’ignavia di non pochi di loro, fremente per il loro silenzio, mentre il gregge loro affidato andava disperso ed in rovina. «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue, scrive ad un alto prelato. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il Sangue di Cristo» (Lettera 16 al card. di Ostia, a cura di L. Ferretti, I, 85).
E che cosa intendeva essa per rinnovamento e riforma della Chiesa? Non certamente il sovvertimento delle sue strutture essenziali, la ribellione ai Pastori, la via libera ai carismi personali, le arbitrarie innovazioni nel culto e nella disciplina, come alcuni vorrebbero ai nostri giorni. Al contrario, essa afferma ripetutamente che sarà resa la bellezza alla Sposa di Cristo e si dovrà fare la riforma «non con guerra, ma con pace e quiete, con umili e continue orazioni, sudori e lagrime dei servi di Dio» (Cfr. Dialogo, cc. XV, LXXXVI, ed. cit., pp. 44, 197). Si tratta, quindi, per la Santa di una riforma anzitutto interiore, e poi esterna, ma sempre nella comunione e nell’obbedienza filiale verso i legittimi rappresentanti di Cristo.
Fu anche politica la nostra devotissima Vergine? Sì, indubbiamente, ed in forma eccezionale, ma in un senso tutto spirituale della parola. Ella, infatti, respinse sdegnosamente l’accusa di politicante, che le muovevano alcuni dei suoi concittadini, scrivendo ad uno di loro: «. . . E i miei cittadini credono che per me o per la compagnia ch’io ho meco, si facciano trattati: elli dicono la verità; ma non la cognoscono, e profetano; perocché altro non voglio fare né voglio faccia chi è con me, se non che si tratti di sconfiggere il dimonio e toglierli la signoria che egli ha presa dello uomo per lo peccato mortale, e trargli l’odio del cuore, e pacificarlo con Cristo Crocifisso e col prossimo suo» (Lettera 122, ed. cit., II, 253).
La lezione pertanto di questa donna politica «sui generis» conserva tuttora il suo significato e valore, benché oggi sia più sentito il bisogno di far la debita distinzione tra le cose di Cesare e quelle di Dio, tra Chiesa e Stato. Il magistero politico della Santa trova la più genuina e perfetta espressione in questa sua lapidaria sentenza: «Niuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia» (Dialogo, c. CXIX, ed. cit., p. 291).
Non contenta di avere svolto un intenso e vastissimo magistero di verità e di bontà con la parola e con gli scritti, Caterina volle suggellarlo con l’offerta finale della sua vita, per il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, nell’ancor giovanile età di 33 anni. Dal suo letto di morte, circondata dai fedeli discepoli in una celletta presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva, in Roma, essa rivolse al Signore questa commovente preghiera, vero testamento di fede e di riconoscente, ardentissimo amore: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in (vantaggio di) questo corpo mistico della santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il cuore, dunque, e premilo sopra la faccia di questa sposa» (Lettera 371, ed. L. Ferretti, V, pp. 301-302).
Il messaggio perciò di una fede purissima, di un amore ardente, di una dedizione umile e generosa alla Chiesa Cattolica, quale Corpo mistico e Sposa del Redentore divino: questo è il messaggio tipico del nuovo Dottore della Chiesa, Caterina da Siena, a illuminazione ed esempio di quanti si gloriano di appartenerle. Raccogliamolo con animo riconoscente e generoso, perché sia luce della nostra vita terrena e pegno di futura e sicura appartenenza alla Chiesa trionfante del Cielo. Così sia!                                                       

San Tommasoi D’aquino : I gradi della carità

dal sito:

http://www.preticattolici.it/Teologia%20spirituale.htm#I_GRADI_DELLA_CARITÀ_

I GRADI DELLA CARITÀ

San Tommaso d’ Aquino – Somma Teologica

«Di per sé ed essenzialmente, la perfezione della vita cristiana consiste nella carità: in maniera principale nell’amore di Dio, e in maniera secondaria nell’amore del prossimo… Ora, l’amore di Dio e del prossimo non sono comandati secondo una certa misura, così da lasciare il di più come consiglio; e ciò risulta dalla stessa formulazione del precetto che mira alla perfezione: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore”… oppure “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Ciascuno ama se stesso in grado massimo. E questo perché “il fine del precetto è la carità” (1 Tm 1, 5).

«La carità dei viatori può aumentare. Infatti noi siamo considerati «viatori” (uiatores) per il fatto che tendiamo verso Dio, fine ultimo della nostra beatitudine. Ora, in questa nostra via tanto più avanziamo, quanto più ci avviciniamo a Dio, al quale ci si avvicina non con i passi del corpo, ma con gli affetti dell’anima. Ma è la carità stessa a compiere questo avvicinamento, perché con essa l’anima si unisce a Dio. Perciò la carità dei viatori ha per sua natura di poter aumentare:
poiché se non potesse aumentare, questo cammino progressivo che caratterizza la nostra vita non esisterebbe più. Ecco perché l’Apostolo dà alla carità il nome di via, là dove dice: “vi mostrerò una via ancora più eccellente”». «Così la carità non cresce in maniera attuale con qualsiasi atto, ma qualsiasi atto di carità predispone all’aumento di essa, in quanto l’uomo da un atto di carità viene reso più pronto ad agire nuovamente in tal senso. E col crescere di questa attitudine, prorompe finalmente in un atto più fervente di carità, col quale si sforza di assicurarne lo sviluppo; e allora la carità cresce in maniera attuale»
«L’aumento spirituale della carità da un certo punto di vista si può paragonare alla crescita materiale di un uomo. Ora, sebbene questa si possa sezionare in molte parti, ha tuttavia determinate sezioni in base ai determinati atti e compiti che l’uomo raggiunge nel suo sviluppo: si ha, cioè, l’età infantile, prima che raggiunga l’uso della ragione; si distingue poi un secondo stato quando comincia a parlare e a usare la ragione; e finalmente si ha un terzo stato, che è quello della pubertà, quando incomincia a poter generare; e di qui fino a che raggiunge la perfezione.
Allo stesso modo si distinguono pure diversi gradi nella carità, in base ai vari compiti che l’uomo è portato ad affrontare con l’aumento di essa. Infatti da principio l’uomo ha il compito principale di allontanarsi dal peccato e di resistere alle sue concupiscenze, che muovono in senso contrario alla carità. E questo appartiene ai debuttanti nei quali la carità va nutrita e sostenuta perché non perisca. — Segue poi, come secondo compito, lo sforzo di procedere o avanzare nel bene. E questo compito appartiene ai proficienti, che tendono principalmente a irrobustire e ad accrescere in se stessi la carità. — Il terzo finalmente consiste soprattutto nel tendere all’adesione e alla fruizione di Dio. E questo appartiene ai perfetti, i quali «desiderano andarsene ed essere con Cristo” (Fil 1, 23). Del resto anche nel moto fisico vediamo che la prima cosa è l’abbandono del termine di partenza; la seconda è l’avvicinamento al termine d’arrivo; e la terza è la quiete nel termine raggiunto».
«Lo Spirito è dato ai debuttanti all’origine della giustificazione…, nel bagno del rinnovamento…, nel privilegio dell’adozione… (Esso viene dato anche) ai proficienti per plasmare la loro intelligenza…, per fortificare la loro volontà…, per sostenere il loro agire… (E dato inoltre) ai perfetti: come privilegio della libertà…, come vincolo dell’unità…, come pegno dell’eredità. »

San Tommaso d’ Aquino – Somma Teologica

SPERARE LA GIOIA È IL RALLEGRARSI CRISTIANO (Fil 4,4-7)

dal sito:

http://www.keepandshare.com/doc/1710305/sperare-la-gioia-e-il-rallegrarsi-cristiano-55k?da=y

SPERARE LA GIOIA È IL RALLEGRARSI CRISTIANO

Dalla Lettera ai Filippesi (,4, 4-7):

«Rallegratevi  nel  Signore,  ve  lo  ripeto:  rallegratevi!  La  vostra  affabilità  sia  nota  a tutti.  Il  Signore  è  vicino!  Non  angustiatevi  per  nulla,  ma  in  ogni  circostanza  fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace
di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo
Gesù».

Dal LIBELLUS de Principiis Ordinis Praedicatorum, del B. Giordano di Sassonia:

“Vi era in lui qualcosa di ben più splendente e meraviglioso degli stessi miracoli. Era tale la perfezione morale dei suoi costumi, tale lo slancio di fervore divino che lo trasportava, da non  potersi  minimamente  dubitare  ch’egli  fosse  un  vaso  di  onore  e  di  grazia,  un  vaso ornato d’ogni specie di pietre preziose. Aveva una volontà ferma e sempre lineare, eccetto quando si lasciava prendere dalla compassione e dalla misericordia. E poiché un cuor lieto rende ilare il viso, l’equilibrio sereno del suo interno si manifestava al di fuori nella bontà e nella gaiezza del volto”.

« Rallegratevi nel Signore, sempre! » (Fil 4,4), ci dice l’apostolo Paolo. Ma come poter accogliere questa Parola di Dio in un momento storico così delicato? Paura, intolleranza, guerre, ingiustizie, crisi  economiche  e  morali  …  Un  concentrato  di  circostanze  tali  da  far  deviare  persino  il  giusto! Sembrerebbe persino che su questa nostra terra e sulla nostra Madre Chiesa, colpita dall’arsura della consolazione divina, – quasi da sperimentare concretamente quella parola della Scrittura: “Sion ha detto: Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato” (Is 49,14) -   l’invito, anzi, il grido  che  l’Apostolo  ci  rivolge  oggi,  sconvolga  terribilmente  la  nostra  vita.  Ma  cos’è  la  gioia cristiana?

Rallegratevi:  Papa  Paolo  VI  nel  1975  scriveva  così  parlando  proprio  della  gioia:  “La  società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare
la gioia. Perché la gioia viene d’altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale   spesso   non   mancano;   e   tuttavia   la   noia,   la   malinconia,   la   tristezza   rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all’angoscia e alla disperazione, che l’apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire. Per contro, in molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia”.

Sperare la gioia è il rallegrarsi cristiano: quella fiducia costante che ha un respiro ben più ampio della stessa situazione gravosa da affrontare. Perché Gesù con la sua vita – morte e risurrezione ci
ha fatto vedere il Padre e noi siamo in Cristo realmente suoi figli. Se Dio è Padre non c’è nessun
orfano  sulla  terra,  perché  Egli  ha  cura  di  noi. Per  questo  amici:  “Rallegratevi  nel  Signore sempre!”

nel Signore:  La nostra gioia, quindi,  manifesta l’Amore di Dio per ciascuno di noi. L’Amore è la grande epifania di Dio. Anzi, vorrei utilizzare un’espressione un po’ forte, anche se difficile, usata
da un filosofo del nostro tempo: l’amore come diafania di Dio. Quando diciamo che uno è diafano, vogliamo dire che fa passare la luce, è trasparente in maniera pura, pur restando se stesso. E qual sarà  la  luce  di  cui  noi  siamo  travolti  e  testimoni  con  la  nostra  gioia  se  non  l’incontro  con  Gesù Cristo? Continua Paolo VI: “Per essenza, la gioia cristiana è partecipazione alla gioia insondabile, insieme  divina  e  umana,  che  è  nel  cuore  di  Gesù  Cristo  glorificato.  Non  appena  Dio  Padre comincia  a  manifestare  nella  storia  il  disegno  della  sua  benevolenza,  che  aveva  prestabilito  in Cristo, per darvi compimento nella pienezza dei tempi, questa gioia si annuncia misteriosamente in seno al popolo di Dio”. Si tratta di gustare gioiosamente la bellezza di  Dio nella nostra storia – che diviene così storia sacra -   per rispondere adeguatamente al suo grido: “Rallegratevi nel Signore sempre!”

sempre: Lasciarsi permeare dalla  gioia di Cristo,  per  essere  gioiosamente  cristiani è  l’irrompere
nel tempo dell’Eterno. Sì, nella beatitudine celeste è sempre festa – festa alla quale noi tutti siam chiamati  a  prendervi  parte.  Ma  per  cantare  insieme  la  gioia  che  prorompe  dal  Cuore  di  Cristo, dobbiamo  permettergli  di  ripulire  la  sua  aia  –  che  è  la  nostra  vita  -   con  il  ventilabro  della  sua Misericordia: spazzar via tutto ciò che ci separa da Lui, che ci tiene avvinti a lacci indegni della nostra  dignità  di  figli  di  Dio  e  abbandonare  le  nostre  tenebre  per  far  spazio  alla  luce  che  sorge dall’alto:  Gesù  e  la  potenza  del  suo  vangelo!  Per  questo,  amici  :  “Rallegratevi  nel  Signore
sempre!”
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BENEDETTO XVI, Spes Salvi, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2007PAOLO VI, Esortazione apostolica Gaudete in Domino, 1975.

Publié dans:Lettera ai Filippesi |on 28 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia prima lettura: Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. (Atti 13,2)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7108.html

Omelia (10-05-2006) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. (Atti 13,2)

Come vivere questa Parola?
Il versetto si situa in un contesto comunitario segnato da « digiuno » e « preghiera ». « Digiuno » (inteso non solo come privazione di cibo) che crea spazi interiori, libera e dispone all’ascolto. Se il cuore è appesantito da ricerche egoistiche, se gli orizzonti sono limitati ai soli interessi relativi alla vita materiale, la Parola di Dio non trova cassa di risonanza. Non viene neppure percepita. « Preghiera », che mette in un « a tu per tu » con Dio, rende attenti alla sua Presenza, disponibili alla sua volontà, corroborati dalla sua forza. E tutto questo nel grembo di una comunità, che non solo genera alla fede, ma favorisce il pieno dispiegamento di essa nell’alveo di ogni specifica vocazione. È la comunità, prima ancora che il singolo individuo, ad essere interpellata, perché « riservi » per Dio, cioè custodisca, coltivi e sostenga la vocazione personale di ciascun suo membro. Sì, perché non solo « Barnaba e Saulo », cioè quanti sono raggiunti da una chiamata particolare quale potrebbe essere quella sacerdotale o religiosa, ma ogni battezzato è in qualche modo un chiamato. Ognuno ha la sua vocazione e si realizza nella misura in cui l’accoglie e la vive. Di essa è responsabile e garante la comunità cristiana e, in particolare, quella « piccola chiesa domestica » che è la famiglia.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi fermerò a considerare il mio atteggiamento di fronte alla vocazione. Assumo il mio « status » in seno alla società e alla Chiesa come « vocazione »? Mi sento responsabile della « vocazione » dei miei fratelli?

Ti ringrazio, Signore, per avermi chiamato alla vita. Ti ringrazio per avermi fatto dono di una comunità (familiare, parrocchiale, religiosa…) che mi aiuta a cogliere e a vivere i tuoi appelli. Ti ringrazio e ti chiedo di aiutarmi ad assumermi, a mia volta, la responsabilità di « far corpo » con gli altri nella « preghiera » e nel « digiuno » per essere sempre disponibili a cogliere la tua voce.

La voce di un esegeta
La missione che affonda le radici nella vita trinitaria può nascere solo dall’ascolto della voce dello Spirito: preghiera e digiuno liberano l’uomo da quell’egoismo che lo spinge a portare avanti idee personali e a ricercare i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo.
Benito Marconcini 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 27 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/12472.html

Omelia (06-05-2009) 
a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 12,44-50

1) Preghiera

O Dio, vita dei tuoi fedeli,
gloria degli umili, beatitudine dei giusti,
ascolta la preghiera del tuo popolo,
e sazia con l’abbondanza dei tuoi doni
la sete di coloro che sperano nelle tue promesse.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 12,44-50
In quel tempo, Gesù gridò a gran voce: « Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me ».

3) Riflessione

• Il Vangelo di oggi ci presenta la parte finale del Libro dei Segni, in cui l’evangelista fa un bilancio. Molti credettero in Gesù ed ebbero il coraggio di manifestare la loro fede pubblicamente. Altri discepoli credettero, ma non ebbero il coraggio di manifestare pubblicamente la loro fede. Ebbero paura di essere espulsi dalla sinagoga. E molti non credettero: « Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui; perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Gv 12,37-38). Dopo questa constatazione, Giovanni riprende alcuni dei temi centrali del suo vangelo:
• Giovanni 12,44-45: Credere in Gesù è credere in colui che lo ha mandato. Questa frase è un riassunto del vangelo di Giovanni. E’ il tema che appare e riappare in molti modi. Gesù è così unito al Padre che non parla a nome proprio, ma sempre a nome del Padre. Chi vede Gesù, vede il Padre. Se vuoi conoscere Dio, guarda Gesù. Dio è Gesù!
• Giovanni 12,46: Gesù è la luce che venne al mondo. Qui Giovanni riprende ciò che aveva già detto nel prologo: « Il Verbo era la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9). « La luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta » (Gv 1,5). Qui lui ripete: « Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre ». Gesù è una risposta viva ai grandi interrogativi che muovono e ispirano la ricerca dell’essere umano. E’ una luce che rischiara l’orizzonte. Fa scoprire il lato luminoso dell’oscurità della fede.
• Giovanni 12,47-48: Non sono venuto per condannare il mondo. Giungendo alla fine di una tappa, sorge la domanda: « Come sarà il giudizio? In questi due versetti l’evangelista chiarisce il tema del giudizio. Il giudizio non si fa secondo la minaccia con maledizioni. Gesù dice: se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la mia parola, lo condannerà nell’ultimo giorno. Il giudizio consiste nel modo in cui la persona si definisce dinanzi alla propria coscienza.
• Giovanni 12,49-50: Il Padre mi ha ordinato ciò che devo dire. Le ultime parole del Libro dei Segni sono il riassunto di tutto ciò che Gesù disse e fece fino ad ora. Riafferma ciò che affermava fin dall’inizio: « Non ho parlato di me. Il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me ». Gesù è il riflesso fedele del Padre. Per questo, non offre prova né argomento a coloro che lo provocano per legittimare le sue credenziali. E’ il Padre che lo legittima mediante le opere che lui compie. E dicendo opere, non si riferisce ai grandi miracoli, ma a tutto ciò che lui disse e fece, fino alle minime cose. Gesù stesso è il Segno del Padre. E’ il miracolo ambulante, la trasparenza totale. Lui non si appartiene, ma è interamente proprietà del Padre. Le credenziali di un ambasciatore non vengono da lui, ma da colui che rappresenta. Vengono dal Padre.

4) Per un confronto personale

• Giovanni fa un bilancio dell’attività rivelatrice di Dio. Se io facessi un bilancio della mia vita, cosa ci sarebbe di positivo in me?
• C’è qualcosa in me che mi condanna?

5) Preghiera finale

Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. (Sal 66,4-5) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 27 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Anselmo d’Aosta: « Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100428

Mercoledì della IV settimana di Pasqua : Jn 12,44-50
Meditazione del giorno
Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), monaco, vescovo, dottore della Chiesa
Meditazioni

« Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre  »

        O buon Signore Cristo Gesù, come sole tu illuminasti me che non ti cercavo né ti pensavo, e mi mostrasti come ero… Hai rimosso il peso che mi opprimeva dall’alto; hai respinto chi mi percuoteva con la tentazione… Tu mi chiamasti con un nome nuovo (Ap 2,17) tratto dal tuo nome e, incurvato com’ero, mi innalzasti fino alla tua visione dicendo: «Non temere, io ti ho riscattato, ho dato per te la mia vita. Se stai unito a me, fuggirai i mali in cui ti trovavi e non precipiterai nell’abisso verso il quale correvi; ma io ti condurrò nel mio regno…»

        Sì, Signore, tutto questo facesti per me. Ero nelle tenebre e non lo sapevo…, scendevo verso gli abissi dell’ingiustizia, ero caduto nella miseria del tempo per cadere ancora più in basso. E nell’ora in cui mi trovavo senza soccorso, illuminasti me mentre non ti cercavo… Nella tua luce, vidi ciò che erano gli altri, e ciò che ero io…; mi desti di credere nella mia salvezza, tu che desti la tua vita per me… Lo riconosco, o Cristo, devo tutta la mia vita al tuo amore.

ulivo secolare

ulivo secolare dans immagini varie ulivo

http://www.cicloamici.it/lecce1000.htm

Publié dans:immagini varie |on 27 avril, 2010 |Pas de commentaires »
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