GIOVEDÌ SANTO

dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15461.html
Omelia (09-04-2009)
don Ezio Stermieri
(1Cor 11,23-26)
Donare la vita.
Carissimi, ascoltando con voi dalla Parola di Dio quanto S. Paolo scrive ai cristiani di Corinto: “Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta ho trasmesso…” per un attimo ho riassunto tutti il senso che ho dato alla mia esistenza: trasmettere quello che Gesù ha fatto nella sera di Pasqua, portando a compimento il memoriale di Israele e ponendo la memoria di Cristo a fondamento della storia futura. Sì, sono qui per donarvi Gesù. Non l’idea di Gesù, o qualcosa del suo insegnamento ma la sua vita donata per noi. I cristiani di Corinto facevano fatica a far memoria di Gesù, tendevano a evidenziare se stessi, la loro amicizia… come anche oggi può nascere la tendenza a valutare solo gli elementi umani, buoni ma non sufficienti per immettere nella vicenda umana, oggi bambini, ma domani adulti che testimonino “finché Egli venga” che il comunicarsi al Signore è testimonianza che Dio non ci lascia soli, è alleato con ogni fatica per costruire una società più umana, un mondo più giusto, rapporti di benevolenza, uno sguardo sull’uomo come figlio, amato da Dio e dunque sempre da rispettare: nel suo lavoro, nella sua famiglia, nei suoi sentimenti, nel suo corpo, nella sua libertà.
Di più ancora! Mangiando, nutrendoci di Lui noi impariamo a vivere con Lui e per Lui dando continuità non solo al gesto ma al significato del dono. Lo abbiamo ascoltato da Giovanni. Egli si è curvato sulla nostra sporcizia, ci ha accolti come amici, commensali degni di condividere la sua avventura. Tutto questo lavando i nostri piedi! Sarete capaci voi bambini di mettere il proposito per tutta la vita di essere gente che fa quello che ha fatto Gesù? Vorrete bene a tutti? Imparerete a farvi accoglienti? Andrà al di là della festa il vostro incontro con Gesù? Molto dipende da noi adulti: genitori, sacerdote, catechista, comunità tutta: insegnarvi come l’antico Israele che celebrare la Pasqua è vivere lo stile di vita che il Signore ha dato, riassumibile in una sola parola: libertà. Ma molto dipenderà da ognuno di noi perché il Signore si fa strada nel cuore in qualunque contesto; parola in ogni situazione, sceglie per amico chi vuole. Ebbene, nonostante la nostra tiepidezza, intermittenza, lo scarso valore che noi diamo alla dimensione religiosa: al rapporto con il Signore… Egli stesso vi ha condotti qui, a questo giorno, a questo incontro, primo di chissà quanti altri e in quali contesti della vita. Metterete nel vostro cuore questo momento per farne memoria, ricordarvi che il Signore vi vuole bene. Ponete il proposito di essere come Lui. Se lo amerete Egli vi darà la forza di superare ogni ostacolo e un giorno anche voi direte a vostro figlio: È giunto il momento che ti faccia conoscere il Signore e quello che ha fatto. È il momento che tu sappia che Egli è la forza della mia vita.
dal sito:
http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/venerdischmemann.htm
Protopresbitero A. Schmemann
5. Venerdì Santo:
La Croce
Dalla luce del Santo Giovedì, si entra nelle tenebre del Venerdì, il giorno della Passione di Cristo, della Morte e della Sepoltura. Nella Chiesa antica questo giorno veniva chiamato “Pasqua della Croce”, perché esso è davvero l’inizio di questa Pasqua o Passaggio il cui senso ci sarà progressivamente rivelato, in primo luogo, nella meravigliosa quiete del Grande e Benedetto Sabato, e, poi, nella gioia del giorno della Risurrezione.
Ma, in primo luogo, le Tenebre. Se solo riuscissimo a capire che nel Santo Venerdì le tenebre non sono solo simboliche e commemorative! Molto spesso guardiamo la bellezza e la solenne tristezza di queste ufficiature in uno spirito di auto-redenzione e di auto-giustificazione. Duemila anni fa uomini cattivi hanno ucciso Cristo, ma oggi noi – il buon popolo cristiano – innalziamo sontuosi sepolcri nelle nostre chiese – non è questo il segno della nostra bontà? Eppure, il Santo Venerdì non si occupa solo del passato. È il giorno del Peccato, il giorno del Male, il giorno in cui la Chiesa ci invita a renderci conto della loro terribile realtà e del loro potere in “questo mondo”. Perché il Peccato e il Male non sono scomparsi, ma, al contrario, costituiscono ancora la legge fondamentale del mondo e della nostra vita. E noi che ci diciamo cristiani, non facciamo molto spesso nostra questa logica del male che ha portato il Sinedrio ebraico e Ponzio Pilato, i soldati Romani e tutta la folla ad odiare, torturare e uccidere Cristo? Da quale parte, con chi saremmo stati, se fossimo vissuti a Gerusalemme sotto Pilato? Questa è la domanda indirizzata a noi in ogni parola dell’ufficiatura del Santo Venerdì. È, infatti, il giorno di questo mondo, e la sua condanna reale e non simbolica, il giudizio reale e non rituale sulla nostra vita… È la rivelazione della vera natura del mondo, che poi ha preferito, e preferisce ancora, le tenebre alla luce, il male al bene, la morte alla vita. Dopo aver condannato a morte Cristo, “questo mondo” ha condannato a morte sé stesso nella misura in cui accetta il suo spirito, il suo peccato, il suo tradimento di Dio – siamo anche noi condannati… Questo è il primo e terribilmente reale significato del Santo Venerdì – una condanna a morte…
Ma questo giorno del Male, della sua manifestazione e trionfo finale, è anche il giorno della Redenzione. La morte di Cristo si rivela a noi come morte oikonomica[1] per noi e per la nostra salvezza.
Si tratta di una Morte oikonomica perché è il totale, perfetto e supremo Sacrificio. Cristo dona la Sua Morte al Padre Suo e dona la Sua Morte a noi. A Suo Padre, perché, come vedremo, non vi è altro modo per distruggere la morte, per salvare gli uomini da essa, ed è la volontà del Padre che gli uomini siano salvati dalla morte. A noi, perché in assoluta verità Cristo muore al posto nostro. La morte è il naturale frutto del peccato, un castigo immanente. L’uomo ha scelto di stare lontano (alienato) da Dio, ma non avendo la vita in sé stesso e da sé stesso, muore. Eppure in Cristo non vi è alcun peccato e, quindi, nessuna morte. Egli accetta di morire solo per nostro amore. Vuole assumere e condividere la nostra condizione umana sino alla fine. Accetta il castigo della nostra natura, come si è assunto l’intero onere del genere umano. Muore perché si è veramente identificato con noi, ha preso su di sé la tragedia della vita dell’uomo. La sua morte è l’ultima rivelazione della Sua compassione e del Suo amore. E poiché il suo morire è amore, compassione e condivisione della sofferenza, nella Sua morte, la natura stessa della morte è stata cambiata. Da punizione diventa radioso atto d’amore e di perdono, la fine dell’alienazione e della solitudine. La condanna è trasformata in perdono…
E, infine, la sua morte è una morte oikonomicamente salvifica, perché distrugge la fonte stessa della morte: il male. Accettando nell’amore tutto questo, dando sé stesso ai suoi uccisori e permettendo loro un’apparente vittoria, Cristo rivela che, in realtà, questa vittoria è la totale e decisiva sconfitta del Male. Per essere vittorioso il Male deve annientare il Bene, deve dimostrare di essere la verità ultima sulla vita, screditare il Bene e, in una parola, mostrare la propria superiorità. Ma in tutta la Passione è Cristo e Lui solo che trionfa. Il Male non può fare nulla contro di Lui, poiché non può indurre Cristo ad accettare il Male come verità. L’Ipocrisia si rivela come Ipocrisia, l’Omicidio in quanto Omicidio, la Paura quale Paura; e come Cristo avanza in silenzio verso la Croce e la Fine, così la tragedia umana raggiunge il Suo culmine, il Suo trionfo, la Sua vittoria sul male, la Sua glorificazione divenuta sempre più evidente. E ad ogni passo questa vittoria è riconosciuta, confessata, proclamata – da parte della moglie di Pilato, da Giuseppe, dal ladro crocifisso, da parte del centurione. E quando Lui muore sulla Croce avendo accettato l’ultimo orrore della morte: la solitudine assoluta (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?), non rimane null’altro da confessare se non che “veramente questo era il Figlio di Dio!…”. E, quindi, è questa Morte, questo Amore, questa obbedienza, la pienezza della Vita che distrugge ciò che rese la morte un destino universale. “E le tombe si aprirono…” (Matteo 27, 52). Appaiono già i raggi della risurrezione.
Questo è il duplice mistero del Santo Venerdì, rivelato nelle sue ufficiature che ci rendono di esso partecipi. Da un lato, vi è la costante attenzione sulla Passione di Cristo come il peccato di tutti i peccati, il crimine di tutti i crimini. Dal Mattutino, nel corso del quale la lettura dei dodici Evangeli della Passione ci fa seguire passo per passo le sofferenze di Cristo, alle Ore (che sostituiscono la Divina Liturgia: il divieto di celebrare in questo giorno l’Eucaristia significa che il sacramento della presenza di Cristo non appartiene a “questo mondo” di peccato e di tenebre, ma è il sacramento del “mondo che verrà”) e, infine, i Vespri, gli uffici della sepoltura di Cristo, gli inni e le letture sono pieni di solenni accuse di coloro che volontariamente e liberamente decisero di uccidere Cristo, che addussero a giustificazione per questo omicidio la loro religione, la loro lealtà politica, le loro considerazioni pratiche e la loro obbedienza professionale.
Ma, dall’altro lato, il sacrificio d’amore che prepara la vittoria finale è altresì presente fin dall’inizio. Dalla lettura del primo Evangelo (Giovanni 13, 31), che inizia con il solenne annuncio di Cristo: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e in Lui Dio è stato glorificato”, agli stichira alla fine del Vespro – vi è l’accrescersi della luce, il lento evolversi della speranza e della certezza che “la morte sarà calpestata dalla morte…”
“Quando Tu, il Redentore di tutti,
fosti posto per tutti nel sepolcro nuovo,
l’Ade, che di nessuno ha timore, vedendo Te si chinò impaurito.
I chiavistelli furono infranti, le porte sconquassate,
le tombe furono aperte, i morti risuscitati.
Allora Adamo, con gioiosa gratitudine, Ti gridò:
“Gloria alla tua condiscendenza, o Misericordioso Sovrano”.
E quando, alla fine dei Vespri, abbiamo posto al centro della Chiesa, l’immagine di Cristo nel sepolcro, quando questo lungo giorno sta giungendo alla sua fine, sappiamo che siamo giunti alla fine della lunga storia della salvezza e della redenzione. Il Settimo Giorno, il giorno di riposo, il benedetto Sabato sta giungendo e con esso – la rivelazione della Tomba Vivificante.
Rev. Alexander Schmemann, Holy Week: A Liturgical Explanation for the Days of Holy Week (La Santa Settimana: Spiegazione Liturgica per i giorni della Santa Settimana), pubblicato da St Vladimir’s Seminary Press.
Tradotto : Tradizione Cristiana da E. M. Aprile 2009
Testo originale in http://www.svots.edu/News/Recent/schmemann-holy-week-friday-cross/
dal sito:
http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/ultcenaschmemann.htm
Alexander Schmemann
4. Giovedì Santo
L’Ultima Cena
Due importanti eventi caratterizzano le sacre ufficiature del Santo e Grande Giovedì: l’Ultima Cena del Signore Gesù Cristo con i suoi discepoli e il tradimento di Giuda. Il significato più profondo di questi due eventi è l’amore. L’Ultima Cena è la rivelazione escatologica dell’amore salvifico di Dio per l’uomo, l’amore che è il cuore della salvezza. Il tradimento di Giuda rivela che il peccato, la morte e l’autodistruzione sono anch’essi dovuti all’amore; ma un amore distruttivo, un amore che divide, disperde e conduce là dove domina tutt’altro che l’amore. Proprio qui sta il mistero di questo unico giorno, del Santo Giovedì. Le sacre ufficiature, dove la luce e le tenebre, la gioia e il dolore sono stranamente mescolati, ci provocano mettendoci di fronte ad una scelta dalla quale dipende la destinazione finale di ciascuno di noi.
«Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre… dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine…» (Gv 13, 1). Per capire il significato dell’Ultima Cena, essa deve essere vista come il fine della grandiosa potenza del Divino Amore, che ha avuto inizio con la creazione del mondo e adesso si conclude con la Morte e la Risurrezione di Cristo.
«Dio è amore» (Gv 4, 8). E il primo dono dell’Amore è stato la vita. Il significato e il contenuto della vita era la comunione. Perché l’uomo riuscisse a vivere doveva mangiare e bere, partecipare alla vita del mondo. Così il mondo era amore divino che divenne cibo, divenne Corpo dell’uomo. Ed essendo vivo, partecipando cioè al mondo, l’uomo ha dovuto vivere in comunione con Dio, trovare senso in Dio, trovare in Lui il contenuto e il fine della sua vita. Comunione con il mondo – la creazione di Dio – era una vera e propria comunione con Dio.
L’uomo ha ricevuto il cibo da Dio, facendoli corpo e vita propria, ha offerto tutto il mondo a Dio trasformandolo in vita «in Cristo». L’amore di Dio ha dato la vita all’uomo, l’amore dell’uomo per Dio ha trasformato questa vita in comunione con Dio. Questo è stato il Paradiso. La vita nel Paradiso era veramente eucaristica. Attraverso l’uomo e il suo amore per Dio, l’intera creazione si sarebbe santificata e trasformata in un mistero della Presenza Divina e l’uomo sarebbe stato il celebrante di questo mistero.
Però con il peccato, l’uomo ha perso questa vita eucaristica. L’ha persa perché smise di vedere il mondo come un mezzo di comunicazione con Dio, e la sua vita come eucaristia, come adorazione e gratitudine… Amò sé stesso per sé stesso e il mondo per il mondo. Fece di lui e del mondo qualcosa fine a sé stessa. Amò tanto sé stesso che lo rese il centro, il contenuto e il fine della sua esistenza. Credé che la sua fame e la sua sete, cioè la dipendenza della sua vita dal mondo, potesse essere soddisfatta da questo mondo, dal cibo che offre il mondo. Ma il mondo e il cibo, una volta separati dal loro significato misterico – come mezzi di comunicazione con Dio – dal momento in cui essi non sono assunti come doni di Dio e non soddisfano la fame e la sete per Dio, non offrono più una certa soddisfazione, né colmano la vita. In altre parole, quando Dio non è più il reale contenuto e il significato della vita del mondo, la fame e la sete cessano di essere soddisfatte, perché il mondo non ha più la vita in sé… Quindi mettendo l’amore in queste cose l’uomo si distaccò dal solo oggetto di tutto l’amore, di tutta la fame, di tutti i desideri. Ed è morto. Egli è morto perché la morte è l’inevitabile «decomposizione» della vita staccata dall’unica fonte e dall’autentico contenuto.
L’uomo, invece di trovare la vita in questo mondo e il cibo che offre il mondo, trovò la morte. La vita diventò ormai comunione con la morte invece di trasformare il mondo attraverso la fede, l’amore, il culto di Dio e della comunione con Lui. L’uomo si sottomise interamente al mondo, cessò di essere il suo celebrante e divenne il suo schiavo. Con il suo peccato tutto il mondo è diventato un immenso cimitero dove le persone sono condannate a morte, perché sono «abitanti nella regione dell’ombra della morte…» (Mt 4, 16).
Sebbene l’uomo abbia tradito, Dio è rimasto fedele all’uomo, non gli ha voltato le spalle. «Tu non hai respinto per sempre la creatura che avevi plasmato, o Buono, né hai dimenticato l’opera delle tue mani, ma l’hai visitata in molti modi nella tua grande misericordia» (Preghiera della Divina Liturgia di Basilio il Grande). Un nuovo progetto divino ebbe inizio; il progetto della redenzione e della salvezza. E questo progetto si completò con Cristo, il Figlio di Dio, che, per restaurare l’uomo nella sua «bellezza primitiva» e riportare la vita in comunione con il suo Creatore, si è fatto Uomo. Assunse la nostra natura umana con tutte le sue caratteristiche: la fame, la sete, il desiderio di amore, di vita. Nel volto del Cristo incarnato si rivelò la vera vita la quale fu data in origine all’uomo come una completa e perfetta Eucaristia, come piena e perfetta comunione con Dio. Il Cristo Teantropo negò la tentazione umana fondamentale: di vivere «di solo pane». Egli rivelò che Dio e il Suo Regno sono il vero pane, la vera vita dell’uomo. Questa perfetta vita eucaristica, piena di Dio – e quindi della vita divina e immortale – l’ha data a tutti i Suoi fedeli. Quindi, i credenti in Dio trovano in Lui il senso e il contenuto della loro vita. Questo è esattamente il più profondo, il meraviglioso senso dell’Ultima Cena.
Gesù Cristo offrì Sé stesso come il vero, l’essenziale cibo dell’uomo, perché la vita di Cristo è la vera vita. Così il movimento del Divino Amore che ha avuto inizio nel Paradiso con l’offerta di Dio «Mangia [del frutto] di qualunque albero del paradiso» (perché il cibo è la vita dell’uomo) raggiunge ora il suo culmine con il divino «prendete e mangiate, questo è il mio corpo…» (perché Dio è la vita dell’uomo). L’Ultima Cena, quindi, è il ripristino del Paradiso delle Delizie, la restaurazione della vita come Eucaristia e comunione.
Ma questo momento di estremo Amore è anche il tempo dell’estremo tradimento. Giuda abbandona la luce che inondava la «Gran Sala» ed entra nel buio. «Quello però, preso il boccone, uscì subito. Era notte» (Gv 13, 30). Perché se ne è andato? Perché amava, risponde l’Evangelo. E questo amore fatale si sottolinea ripetutamente negli inni del Grande Giovedì. «Il tuo agire è colmo di perfidia, illegittimo Giuda; essendo ammalato di avarizia, hai guadagnato la misantropia; se amavi le ricchezze perché seguivi Colui che insegnava la povertà? anche se lo baciasti, perché hai venduto colui che non ha prezzo?…». Non ha importanza il fatto che l’oggetto dell’amore di Giuda sia stato l’«oro». L’oro, il denaro, rappresentano qui tutti gli amori perversi e distruttivi che portano l’uomo alla negazione di Dio. È infatti un amore rubato a Dio ed è proprio per questo che Giuda è un ladro. E quando qualcuno non ama Dio e il suo amore in genere non proviene da Dio, anche allora l’uomo ama e desidera – perché è creato per amare e l’amore è la sua natura – ma una passione oscura e autodistruttiva lo porta alla morte.
Ogni anno, mentre celebriamo questo grande giorno del Santo Giovedì e affondiamo nella sua luce infinita, e nelle profondità insondabili dei significati del giorno, la stessa domanda decisiva è rivolta a ciascuno di noi: Io, corrispondo all’amore di Dio e l’accetto come mia vita, o seguo Giuda nel buio della sua notte?
Le ufficiature del Grande Giovedì includono il Mattutino, il Vespro e poi la Divina Liturgia di Basilio il Grande. Anticamente nelle cattedrali si compiva l’ufficiatura del «Lavabo» dopo la Divina Liturgia. Oggi si riscontra in pochi monasteri. Mentre il diacono legge l’Evangelo, il Vescovo (o l’igumeno) lava i piedi di dodici sacerdoti (o monaci), fatto che ci ricorda che l’amore di Cristo è il fondamento della vita della Chiesa e caratterizza tutti i rapporti all’interno della Chiesa. Inoltre nelle prime Chiese Autocefale era d’uso anticamente nel Grande Giovedì la pratica dell’ufficiatura del Santo Miron il quale viene utilizzato nel sacramento della Santa Unzione. Ma oggi il Santo Miron si prepara solo al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in una specifica ufficiatura del Grande Giovedì. A questa ufficiatura partecipano il Patriarca Ecumenico, i Metropoliti e tutto il clero del Santo Trono (Ecumenico). Con il Santo Miron che riceviamo dopo il nostro battesimo, riceviamo i doni del Santo Spirito. Pertanto, il nuovo amore che Cristo porta sulla terra, ci sigilla nel giorno in cui, come nuovi membri, facciamo il nostro ingresso nella Chiesa.
Nel Mattutino i tropari sottolineano il tema del giorno che è il contrasto tra l’amore di Cristo e l’«insaziabile anima» di Giuda. Uno dei tanti tropari ci dice:
«Mentre i gloriosi discepoli venivano illuminati con la lavanda della cena, ecco che l’empio Giuda, malato di avarizia, si ottenebrava; e consegnava a giudici iniqui te, il giusto Giudice. Vedi come l’amante del denaro proprio per questo finisce impiccato; fuggi anima insaziabile che tanto ha osato contro il Maestro. O tu, buono con tutti, Signore, gloria a te».
La lettura dell’Evangelo (Lc 22, 1-39) è la narrazione dei fatti accaduti in quella «grande sala pronta». Segue il meraviglioso canone – pieno di significati teologici – poema del Monaco Cosma: «Il Mar Rosso squarciato si apre…». Questo ci dà l’impulso per concentrarci e meditare sul significato escatologico dell’Ultima Cena. L’ultimo Irmòs della 9ª Ode ci invita a prendere parte alla tavola immortale che ci fornisce il Signore con imperiosa ospitalità:
«Venite, o fedeli, con sensi elevati godiamo, nella sala alta, dell’ospitalità del Signore e della sua mensa immortale, godiamo il Logos innalzato, che esaltiamo poiché egli ce l’ha rivelato».
Nel Vespro dopo il «Signore, ho gridato a te…» agli idiòmela delle Lodi che seguono si evidenzia il terribile declino spirituale di Giuda: Il tradimento. Lo stico che segue è rappresentativo:
«Giuda, servo e ingannatore, discepolo e insidiatore, amico e diavolo, si rivela nelle opere. Seguiva infatti il Maestro e meditava tra sé il tradimento; diceva in sé: lo consegnerò e raccoglierò il denaro. Cercava di vendere il miron ma anche di consegnarlo con l’inganno. Diede l’abbraccio, consegnò Cristo come agnello al macello, così seguì, l’unico misericordioso e amico dell’uomo».
Dopo l’Ingresso del santo Evangelo si leggono tre letture dall’Antico Testamento:
1) Esodo 19, 10-19. Dio viene «nelle nubi» sul monte Sinai e Mosè con il popolo esce a incontrarlo. Ciò prefigura la venuta di Cristo nel mondo e soprattutto nella riunione Eucaristica.
2) Giobbe 38, 1-23; 42, 1-5. Dio parla a Giobbe e Giobbe risponde: «… chi è costui che senza cognizione ottenebra il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose grandi e meravigliose che non comprendevo». E queste cose «grandi e meravigliose» si compiono ora in questa splendente «Grande Sala» con i Doni altissimi: il Corpo e il Sangue di Cristo.
3) Isaia 50, 4-11. Le profezie sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo. «Ho dato il mio corpo a quelli che mi percuotevano, e le mie guance a quelli che mi strappavano la barba; non nascosi il mio volto a quelli che mi schernivano e che mi sputavano…».
Nella lettura dell’Apostolo si legge dalla Prima Lettera ai Corinzi (11, 23-32) la descrizione dell’Ultima Cena e il significato della Santa Comunione, come li riporta l’apostolo Paolo.
La lettura dell’Evangelo che segue, è la più lunga nel corso dell’anno, ed è un testo composto da brani di tutti e quattro gli Evangeli. Parla di tutto quanto accade nell’Ultima Cena, del tradimento di Giuda e dell’arresto di Gesù Cristo nel giardino del Getsemani.
Segue la Divina Liturgia di Basilio il Grande, dove invece dell’Inno Cherubico e del Koinonikòn si canta l’inno che diciamo sempre prima della santa Comunione:
«Della tua mistica cena, Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe; non svelerò il Mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda, ma come il ladrone ti confesserò: ricordati di me, Signore nel tuo Regno».
dal sito:
http://liturgia.silvestrini.org/
I TRE GIORNI SANTI
* Oggi la grazia dello Spirito Santo ci ha radunati. Tutti, portando la tua croce, diciamo: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!
Oggi il sinedrio malvagio si è riunito contro Cristo… Oggi Giuda si stringe intorno il laccio del danaro… Oggi Caifa senza volerlo profetizza… Oggi Giuda mette da parte la maschera dell’amore per la povertà e svela la natura della sua cupidigia. Non si occupa più dei poveri, non vende più il profumo della peccatrice, ma il miron celeste…
* Oggi, o Figlio di Dio, prendimi come commensale alla tua mistica Cena: non dirò il Mistero ai tuoi nemici, non ti darò il bacio di Giuda; ma come il ladro ti confesserò: ricordati di me, o Signore, quando verrai nel tuo regno.
* Oggi è appeso al legno Colui che ha appeso la terra alle acque! Il Re degli angeli è cinto di una corona di spine! È avvolto di una porpora mendace Colui che avvolge il cielo di nubi! Riceve uno schiaffo lui che nel Giordano ha liberato Adamo! Lo Sposo della Chiesa è inchiodato con i chiodi! Il Figlio della Vergine è trafitto da una lancia! Adoriamo la tua passione, o Cristo! Mostacci anche la tua risurrezione.
* Oggi una tomba racchiude Colui che nella sua mano stringe il creato, una pietra copre Colui che copre i cieli con la sua potenza. Dorme la Vita e l’Hades trema e Adamo è sciolto dalle sue catene. Gloria alla tua economia! Per essa, dopo aver compiuto tutto, tu ci hai donato il sabato eterno, la tua risurrezione santissima dai morti!
Liturgia bizantina