Archive pour avril, 2010

Il mistero della «discesa agli inferi

dal sito:

http://www.cappellauniss.org/teologia/discesa_inferi.htm

Gesù Cristo discese agli inferi

Il mistero della «discesa agli inferi

A.   «DESCENDIT IN INFERNA» (CCC 632-637)

L’apocrifo Vangelo di Nicodemo (II secolo), di origine giudeo-cristiana, contiene una pittore­sca narrazione dell’ingresso vittorioso di Gesù nel regno dei morti, della disintegrazione di questo regno e della liberazione dei morti:

«E subito, a quella parola, le porte bronzee si frantumarono e le sbarre di ferro fu­rono infrante. Tutti i morti legati furono sciolti dalle catene [...]. Il re della gloria entrò come un uomo. I luoghi bui tutti dell’ade s’illuminarono»2.

Particolarmente suggestiva la liberazione di Adamo:

«II re della gloria, porgendo la sua destra, prese e sollevò il progenitore Adamo. Quindi, volgendosi agli altri, disse: « Orsù, venite con me voi tutti che subiste la morte per il legno che costui ha toccato. Ecco io vi faccio risorgere tutti per mezzo del legno della croce”»3.

Questa tradizione apocrifa è largamente attestata nei padri, sia orientali che occidentali, che attribuiscono alla discesa di Gesù nel regno dei morti una precisa intenzionalità salvifica. Anche se assente nel simbolo niceno-costantinopolitano, il descensus è testimoniato nei simboli di fede già a partire dal quarto secolo. Rufino di Aquileia (vissuto nella se­conda metà del secolo IV e all’inizio del secolo V), nella Expositio Sym­boli commenta più volte l’articolo che recita: «Crucifixus sub Pontio Pi­lato et sepultus descendit in inferna». La di­scesa viene da lui interpretata come vittoria sul regno della morte e an­nuncio di salvezza per i defunti.

Il descensus viene documentato sempre più frequentemente in sim­boli, formule di fede, precisazioni dottrinali, pronunciamenti conciliari. Anche nel Credo Apostolico, che dopo il simbolo niceno-costantinopolitano è il più importante sommario di fede della cristianità, si professa: «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi ». Si può, pertanto, affermare che «la dottrina che Cristo abbia tra­scorso negli inferi il tempo tra la morte di croce e la sua risurrezione era comunemente insegnata ai cristiani fin dai primi tempi».

B.    IL DATO BIBLICO

1.    I passi di 1Pt 3,19-20; 4,6

L’apostolo, dopo aver parlato di Cristo «messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18), così prosegue: «E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione…» (1Pt 3,19-20). E più oltre afferma: «infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo su­bito, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano se­condo Dio nello spirito» (1Pt 4,6).

A questi testi, che venivano presi come fondamento del descensus di Gesù Cristo nel regno dei morti, si pone  la domanda: chi sono gli spiriti che attendono in prigione? Non è affatto chiaro: le anime dei giusti dell’AT convertitisi in occasione del diluvio? o gli uomini della generazione del diluvio? o gli angeli, figli di Dio, di cui parla Gen 6,1-6?

Inoltre la 1Pt non parla affatto di una «discesa», quanto piuttosto di una «ascesa». Infatti le espres­sioni «reso vivo nello spirito» e «in spirito andò ad annunziare» (1Pt 3,18.19) indicano inequivocabilmente il Cristo risorto (e non solo l’anima umana di Cristo, separata dal corpo dopo la morte). Il testo, quindi, in­tende parlare dell’ascesa di Cristo nella gloria, evento che significa sal­vezza per coloro che hanno creduto in lui, a partire dai giusti dell’AT, e condanna per gli increduli di ogni epoca, soprattutto per quegli spiriti malvagi che provocarono la devastazione del diluvio. 

2.   Il fondamento biblico

Il fondamento biblico al «descensus» viene allora ritrovato in altre allusioni neotestamentarie, che facevano parte dell’esegesi patristica e che poi furono trascurate a vantaggio dei supposti testi probanti di 1Pt. In Mt 12,40, ad esempio, si accenna al segno di Giona: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». Il segno di Giona è un segno della passione e del descensus del Figlio dell’uomo. Allo stesso modo viene interpretata l’affermazione paolina di Rm 10,7:

«Così come Giona era stato dentro il buio ventre del pesce nelle profondità dell’a­bisso, così Cristo è stato nell’abisso del regno dei morti».

Questa permanenza di Cristo nel regno dei morti non è inerzia sal­vifica, ma è già l’inizio dell’era messianica. L’evento della morte di Cristo è già reviviscenza di ossa inaridite (cf. Ez 37) e irruzione di vita e di salvezza. Gli straordinari eventi accaduti alla morte di Gesù lo testimo­niano:

«Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscita­rono» (Mt 27,51-52).

Altre allusioni del «descensus» agli inferi si trovano in At 2,27-31; Ef 4,8-10; Fil 2,5-10; Col 1,18; Eb 13,20; Ap 1,18. Quest’ultimo testo af­ferma:

«Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli in­feri».

In realtà nel NT il descensus è solo un’implicanza collaterale del mistero della morte e risurrezione di Gesù. Ha però un suo preciso e au­tonomo significato salvifico. Il Gesù, che si è immerso nella kénosi assoluta della morte, è lo stesso Cristo, che, proprio attraverso questo suo es­sere nella morte e presso i morti, conduce i morti alla vita. Di qui la rap­presentazione figurativa giudeo-cristiana del descensus messianico.

C.   SIGNIFICATO TEOLOGICO

A proposito del descensus di Gesù nel regno dello sheol, si è affer­mato che «il sabato santo sta, come mistero tra croce e risurrezione, non alla periferia ma al centro di tutta quanta la teologia». La morte di Cristo significa la sua piena e solidale entrata nello sheol, che insieme con il cielo e la terra (cf. Es 20,4), costituiva una delle tre parti della cosmologia biblica (Is 14,9; Sal 63,107). Lo sheol è il regno dei morti (Gen 37,35; 1Sam 2,6; Sal 89,49), da cui l’uomo non può mai uscire (Gb 7,9). In esso sono ospitati buoni e cattivi (1Sam 28,19). È un carcere senza ritorno, la terra delle tenebre eterne (Gb 10,21), del silen­zio, dell’abbandono (Pr 15,11; Gb 12,22; 26,6; 34,22), della solitudine, del­l’incapacità di lodare Dio (Is 38,18; Sal 6,6). È il regno assoluto della ne­gatività, del caos, della mancanza di bene.

Mediante la morte, Gesù viene immerso in questa situazione di estrema derelizione. Sperimentò l’abbandono, la solitudine, l’inerzia to­tale. Il dato biblico, però, ci dice che non ne rimase sopraffatto: «non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide la corruzione» (At 2,31). Il Santo fu sciolto «dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24). È lui, infatti, ad avere «potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1,18; cf. 1Cor 15,26). Per questo la morte è obbligata a restituire i suoi prigionieri: «la morte e gli inferi re­sero i morti da loro custoditi» (Ap 20,13; cf. Mt 27,52).

La solidarietà di Gesù nella morte e l’esperienza dello sheol costi­tuiscono un’offerta di salvezza per l’uomo, doppiamente mortale per la sua condizione umana e per i suoi peccati. Del resto, durante la sua vita, Gesù aveva affermato:

«In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno» (Gv 5,25).

Se prima lo sheol era un carcere di morte, in Gesù diventa via di re­denzione. La presa di possesso dello sheol da parte sua significa che le porte degli inferi sono state scardinate («la morte e gli inferi furono get ati nello stagno di fuoco»: Ap 20,14) e l’uomo è stato liberato dal caos e dalla condanna al nulla.

Anche il Figlio dell’uomo è disceso nell’abisso dell’estremo abbandono, ma per sconfiggerlo mediante il legame indistruttibile della sua comu­nione di carità trinitaria. Il descensus diventa allora una possibilità di esodo e di risalita. Rappresenta la mano tesa del Figlio di Dio ai figli del­l’uomo «morti», ma non per questo abbandonati al loro destino di an­nientamento e di insignificanza esistenziale. Nel luogo della perenne soli­tudine dell’io, Gesù porta l’offerta della comunione del «noi». Infatti, pur trovandosi nella morte e cioè nella situazione della lontananza estrema da Dio, Gesù non era privato della comunione di carità col Padre nello Spirito. Il luogo più «apneumatico» si trasforma cosi in una situazione di carità e di salvezza trinitaria.

Oltre a questo aspetto «verso il basso», il «descensus» è anche un momento di liberazione «all’indietro», «verso il passato». Gesù morto si trova solidale con gli uomini vissuti prima di lui. Per cui la sua liberazione si estende anche ad essi. La storia della salvezza non ha ripercussioni solo nel presente e nel futuro, ma anche nel passato. Non ci sono barriere temporali e spaziali alla salvezza inagurata dalla morte redentrice del Cristo.
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1 A. Amato, Gesù è il Signore, cit., pp. 530-536.
2 M. Ebretta (a cura di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1981, I/2,  p. 268.
3 Ibid.,  p. 269.
  

SABATO SANTO

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http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 2 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino: La notte che ci libera dal sonno della morte

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100403

Sabato Santo – Domenica di Pasqua : Veglia Pasquale nella Notte Santa : Lc 24,1-12
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorsi per la Notte Santa, 2 ; PLS 2, 549-552

La notte che ci libera dal sonno della morte

       Fratelli, vegliamo, perché fino a questa notte, Cristo è rimasto nella tomba. In questa notte, è sopravvenuta la risurrezione della sua carne. Sulla croce, essa è stata esposta agli scherni ; oggi, è adorata dai cieli e dalla terra. Questa notte fa parte fin d’ora della nostra domenica. Occorreva che Cristo risuscitasse di notte, perché la sua risurrezione ha illuminato le nostre tenebre… Come la nostra fede, rinsaldata dalla risurrezione di Cristo, caccia ogni sonno, così questa notte, illuminata dalle nostre veglie, si riempie di luce. Essa ci fa sperare, insieme con la Chiesa sparsa su tutta la terra, di non essere sorpresi nella notte (Mt 13, 33).

        Su tanti popoli, radunati in nome di Cristo da questa festa ovunque solennissima, il sole è tramontato – eppure fa pur sempre giorno. Le luci del cielo hanno lasciato il posto alle luci della terra … Colui che ci ha dato la gloria del suo nome (Sal 28, 2), ha anche illuminato questa notte. Colui al quale diciamo : « Rischiara le mie tenebre » (Sal 18, 29), diffonde la sua luce nei nostri cuori. Come i nostri occhi abbagliati contemplano queste fiaccole splendenti, così il nostro spirito illuminato ci fa vedere quanto sia luminosa questa notte – questa santa notte in cui il Signore ha inaugurato nella propria carne la vita che non conosce né sonno, né morte !

Into the Harbour of the Sacred Passion

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http://vultus.stblogs.org/author/father-mark/2008/03/

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SANT’AGOSTINO – DISCORSO 231: UN SERMONE PASQUALE

dal sito:

http://www.santagostino.info/pdf/un_sermone_pasquale.pdf

SANT’AGOSTINO – DISCORSO 231

UN SERMONE PASQUALE

Predicato un lunedì di Pasqua a partire dal 412, il discorso 231 è uno dei tanti sermoni di Agostino sull’evento centrale per la fede cristiana: la risurrezione di Gesù. Anche il cristiano, come dice san Paolo nella lettera ai Colossesi, è risorto con Cristo, e per questo deve «cercare le cose di lassù». Il sermone agostiniano illustra questo tema dell’unione con il Cristo risorto come principio di vita nuova per il credente.

DISCORSO 231

1. È costume in questi giorni leggere la resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo desumendone il racconto da tutti e quattro i Vangeli. Nella lettura di oggi abbiamo potuto osservare che il Signore Gesù rimproverò i suoi discepoli, che pure erano le membra più ragguardevoli del suo corpo in quanto gli erano stati proprio fianco a fianco. Li rimproverò perché ricusavano di credere che fosse vivo colui per la cui morte erano rattristati. Essi, padri della fede, non ancora fedeli; essi, maestri, ad opera dei quali tutto il mondo avrebbe creduto a quel che essi annunziavano e per cui sarebbero morti, ancora non credono. L’avevano visto risuscitare i morti, eppure non credevano che lui stesso fosse risorto. Giusto pertanto il rimprovero, che mirava ad aprire i loro occhi e mostrar loro cosa erano se abbandonati a se stessi e cosa sarebbero diventati per grazia di lui. Così anche Pietro poté scoprire chi fosse quando, poco tempo prima della passione del Signore presunse ma poi, durante la passione, vacillò. Rientrato in sé, si vide, si addolorò e si mise a piangere, finché non si ravvide e si rivolse a colui che l’aveva creato. Quanto ai discepoli, eccoli là!, non credevano ancora; come qui si legge, ancora non credevano mentre già vedevano. Quale misericordia non ha usato con noi colui che ci ha concesso di credere in ciò che ancora non vediamo! Noi crediamo alle loro parole, essi non credevano ai propri occhi!

2. La resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo segna la nuova vita di quanti credono in Cristo; e questo mistero della sua morte e resurrezione voi lo dovete conoscere in profondità e riprodurlo nella vostra vita. Non fu infatti senza motivo che la Vita si sottopose alla morte; non fu senza motivo che la fonte della vita, da cui beve chiunque vuol vivere, si accostò a bere qui quel calice che per nulla le era dovuto. Cristo infatti era esente da morte. Indaghiamo pure da che cosa provenga la morte, quale ne sia l’origine: [troveremo che] padre della morte è il peccato. Se non si fosse peccato, nessuno sarebbe morto; e, quando il primo uomo ricevette da Dio quella legge, cioè quel primo precetto di Dio, lo ricevette con la condizione che se l’avesse osservato sarebbe vissuto, se l’avesse trasgredito sarebbe morto. Non credendo che sarebbe dovuto morire fece quello che gli causò la morte e toccò con mano quanto fosse vero quello che gli aveva minacciato l’Autore

della legge. Da lì venne la morte, la condizione di mortalità, la tribolazione, la miseria; da lì, ancora, dopo la morte prima, la morte seconda, cioè, dopo la morte temporale, la morte eterna. E soggetto a questa condizione mortale, a queste leggi dell’inferno, nasce ogni uomo, escluso – naturalmente – colui che si fece uomo per liberare l’uomo dalla perdizione. Costui non venne condizionato dalle leggi della morte, tanto che nel Salmo si dice di lui che fu libero in mezzo ai morti (Sal 87, 6). Egli era stato concepito da una vergine senza influsso di concupiscenza, era stato generato da una vergine rimasta vergine. Egli visse esente da colpa e la sua stessa morte non fu dovuta a colpa: partecipò alla pena inflitta a noi, ma non partecipò alla nostra colpa. È vero che la morte è pena di una colpa, ma il nostro Signore Gesù Cristo venne a morire non commettendo peccato: subendo, lui che era senza colpa, la stessa nostra pena ci liberò e dalla colpa e dalla pena. Da quale pena ci ha liberati? Quella che ci era dovuta dopo la vita presente. Quando dunque fu crocifisso, da quella croce diede a tutti di vedere che era finita con il nostro uomo vecchio, e quando risuscitò mostrò nella sua stessa vita la nuova vita che avremmo dovuto vivere. Così ci istruisce l’Apostolo quando insegna: Egli – dice – fu consegnato a causa dei nostri peccati e

risorse per la nostra giustificazione (Rm 4, 25). A significare tale trasformazione era stata data ai patriarchi la circoncisione, per cui ogni maschio veniva circonciso otto giorni dopo la nascita. La circoncisione si faceva con coltelli di pietra (cf. Gs 5, 2): la quale pietra era Cristo (1 Cor 10, 4). In questa circoncisione era raffigurato lo spogliamento della vita carnale che avviene mediante la resurrezione di Cristo nel giorno ottavo. Difatti il settimo giorno della settimana si conclude con il sabato, e di sabato il Signore restò a giacere nel sepolcro. Ciò nel settimo giorno, cioè nel sabato; ma nell’ottavo giorno risuscitò. Con la sua resurrezione ci dona la vita nuova. Dunque ci ha circoncisi nel giorno ottavo. In tale speranza noi viviamo.

3. Ascoltiamo l’Apostolo che ci dice: Se siete risorti con Cristo (Col 3, 1). Ma quando risorti se ancora non siamo morti? Cosa vuol dirci dunque l’Apostolo con le parole: Se siete risorti con Cristo? O che lui stesso sarebbe potuto risorgere se prima non fosse morto? Parlava a dei vivi, non a dei morti; eppure li vedeva risorgere. Che significa? Badate alle sue parole: Se siete risorti con Cristo, gustate le cose di lassù, dov’è Cristo, assiso alla destra di Dio; cercate le cose di lassù e non quelle della terra. Siete infatti morti (Col 3, 1-3). Lo dice l’Apostolo, non io; e dice la verità, per cui anch’io vi dico la stessa cosa. Perché anch’io vi dico la stessa cosa? Perché così ho creduto e così per conseguenza ho da parlare (Sal 115, 1). Se viviamo bene, è segno che siamo morti e risuscitati. Se uno, al contrario, non è né morto né risuscitato, vive ancora nel male e, se vive nel male, non vive. Muoia, se non vuol

morire! Che significa: Muoia se non vuol morire? Cambi condotta e così eviterà la condanna. Se siete risorti con Cristo – ripeto le parole dell’Apostolo – gustate le cose di lassù, dov’è Cristo, assiso alla destra di Dio; cercate le cose di lassù e non quelle della terra. Siete infatti morti e la vostra vita è nascosta insieme con Cristo in Dio. Quando apparirà Cristo, vostra vita, allora apparirete anche voi insieme con lui nella gloria (Col 3, 1-4). Ecco le parole dell’Apostolo; e io, da parte mia, a colui che ancora non fosse morto dico che ha da morire, a colui che ancora vive nel male dico che deve cambiare vita. Se infatti un tempo viveva nel male ma ora ha smesso di viverci, è morto [al male]; se vive bene, è risuscitato.

4. Ma che vuol dire vivere bene? Gustate le cose di lassù e non quelle della terra (Col 3, 2). Orbene, fino a quando sarai terra, sarai orientato alla terra (Gn 3, 19) e leccherai la terra. Finché amerai la terra leccherai la terra, e sarai nemico di colui del quale dice il Salmo: I suoi nemici leccheranno la terra (Sal 71, 9). Cosa eravate un tempo? Figli dell’uomo. Ora cosa siete? Figli di Dio. Ebbene, o figli dell’uomo, fino a quando avrete il cuore intorpidito? Perché amate la vanità e andate a caccia di ciò che è falso? (Sal 4, 3) E qual è la falsità? Ve lo dico subito. So che voi desiderate la felicità. Trovami un uomo, magari ladro, delinquente, fornicatore, un uomo dedito a malefici o sacrilegi, o immerso in ogni sorta di vizi, o gravato da una moltitudine di scelleratezze e delitti, il quale non desideri una vita felice. Sì, lo so bene: tutti volete vivere felici; ma di ciò che rende felice l’uomo non tutti andate in cerca. Desideri l’oro, pensando che con l’oro possa diventare felice, ma l’oro non ti renderà felice. Perché vai in cerca di ciò che è falso? E perché ambisci onori mondani? Forse pensi di diventar felice una volta raggiunta una onorificenza umana o una grandezza di questo mondo. Sappi però che nessuna grandezza mondana può renderti felice. Perché dunque andare in cerca di ciò che è falso? E così di qualsiasi altra cosa di cui ti appassioni. Se cerchi cose mondane, se cerchi amando e, per così dire, leccando la terra, è vero che cerchi in vista di una felicità; tuttavia nessuna cosa terrena potrà renderti felice. Perché dunque non smettere di cercare il falso? E, quanto alla felicità, come potrai conquistarla? O figli dell’uomo, fino a quando avrete il cuore intorpidito? O vorreste dire che non sia torpido il vostro cuore quando lo appesantite con cose terrene? E fino a quando gli uomini ebbero il cuore intorpidito? Finché non venne Cristo, finché non risuscitò, gli uomini ebbero intorpidito il cuore. Fino a quando sarete torpidi di cuore? Perché amate la vanità e andate in cerca di ciò che è falso? Volete essere felici, e cercate le cose che vi rendono miseri! Vi ingannano le cose che cercate; sono una falsità le cose che cercate. 5. Vuoi essere felice? Se lo vuoi, ti mostrerò la via per esserlo. Dice [il Salmo]: Fino a quando avrete il cuore intorpidito? Perché amate la vanità e andate in cerca di ciò che è falso? e poi continua: Sappiate. Cosa dobbiamo sapere? Che il Signore ha glorificato il suo Santo (Sal 4, 4). Incontro alle nostre miserie è venuto Cristo, il quale ha voluto aver fame e sete, stancarsi e dormire. Egli, pur avendo compiuto miracoli, si sottopose al dolore: fu flagellato, coronato di spine, sputacchiato, schiaffeggiato, sospeso ad una croce, trafitto da una lancia e deposto in un sepolcro. Da lì però risorse il terzo giorno, ponendo fine alla sofferenza, uccidendo la morte. Lì pertanto, cioè nella sua resurrezione, fissate lo sguardo, poiché Dio ha tanto glorificato il suo Santo da risuscitarlo da morte e da accordargli il privilegio di sedere alla sua destra nel cielo. Ti ha mostrato le cose a cui devi aspirare se desideri essere beato, essendo scontato che quaggiù non puoi esserlo. Nella vita presente infatti non potrai

certo raggiungere la felicità: nessuno ha questo potere. Tu cerchi, è vero, una cosa buona, ma questa terra non è il luogo dove alligni la cosa da te cercata. Cosa cerchi? La vita felice. Purtroppo non è di quaggiù. Fa’ conto che ti metta a cercare l’oro in un posto dove non c’è. Se arriva uno che sa non essere quello il posto dove si trova l’oro, non ti direbbe forse: Ma che stai scavando? perché smuovi la terra? Fai una buca dove potresti cadere, non dove si trovano le cose che cerchi. Cosa replicheresti a chi ti dà questi suggerimenti? Sto cercando l’oro. E l’altro: Non ti dico che sia cosa da nulla quello che cerchi; tu cerchi una cosa buona, ma non è dove la cerchi. Così quando tu dici: Voglio la felicità. Cerchi una cosa buona, ma non è cosa di questo mondo. Se in questo mondo fu felice Cristo, lo sarai anche tu. Venendo nella regione dove tu giaci morto, cosa vi trovò Cristo? Notalo bene! Egli proveniva da una regione diversa: ebbene, quando venne quaggiù, cosa vi trovò se non quelle cose che quaggiù abbondano? Tribolazioni, dolori, morte: ecco quello che si trova quaggiù, che quaggiù abbonda. Mangiò insieme con te i cibi che in abbondanza erano riposti nella dispensa della tua miseria. Bevve l’aceto, gli fu dato il fiele. Ecco cosa trovò nella tua dispensa. In cambio, egli ti invitò alla sua grande tavola imbandita, alla mensa celeste, alla mensa degli angeli dove pane è lui stesso. Scese dunque e nella tua dispensa trovò le cose ributtanti sopra accennate; eppure non ricusò di sedersi a una tal mensa qual era la tua, promettendo la sua. E cosa ci dice? Abbiate fede, abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com’è vero che io non ho ricusato d’assaporare i mali della mensa vostra. Ha preso su di sé il tuo male, e ti darà il suo bene? Ma certo che te lo darà! Ci ha promesso la sua vita, anzi ha fatto una cosa ancora più inaudita: come anticipo ci ha elargito la sua morte, quasi volesse dirci: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita. È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui v’invito, ecco, è la regione degli angeli, è l’amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me. Di più: vi invito a [godere di] me stesso, a partecipare della mia vita. Stentate a credere che io vi darò la mia vita? Ebbene, ve ne sia pegno la mia morte, che già è in vostro possesso. Se quindi al presente ci tocca vivere nella carne soggetta a corruzione, moriamo con Cristo cambiando condotta, e viviamo con Cristo amando la santità. Ricordiamoci che non conseguiremo la vita beata se non quando saremo giunti là dove è colui che è disceso in mezzo a noi e quando cominceremo a vivere totalmente uniti a colui che è morto per noi.

La passiflora o « fiore della passione »…

La passiflora o

Alla Passiflora per la sua particolare forma viene attribuita una mistica e complessa rappresentazione. Infatti questo fiore, chiamato volgarmente « fiore della Passione », racchiude nella sua corolla tutti gli elementi simbolici che ricordano il sacrificio di Cristo: un cerchio di filamenti purpurei rappresenta la corona di spine, i tre stili raffigurano i chiodi, lo stame il martello, i petali ricordano gli Apostoli, i viticci della pianta, poi raffigurano la frusta della flagellazione.

http://www.leserre.it/?ida=5359

San Germano di Costantinopoli: Il trono della croce

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100402

Venerdì Santo « In Passione Domini » : Jn 18,1-40#Jn 19,1-42
Meditazione del giorno
San Germano di Costantinopoli (? – 733), vescovo
In Domini corporis supulturam ; PG 98, 251-260

Il trono della croce

        « Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse » (Is 9, 1), la luce della redenzione. Visto il Tiranno ferito a morte, questo popolo torna dalle tenebre alla luce ; passa dalla morte alla vita.

        Il legno della croce porta colui che ha fatto l’universo. Subendo la morte per la mia vita, colui che porta l’universo è appeso al legno come un morto ; colui che dona la vita ai morti rende l’ultimo respiro sul legno. Non si vergogna della croce, la che, come un trofeo, attesta la sua vittoria totale. Siede da giusto giudice sul trono della croce. La corona di spine che porta sulla fronte conferma la sua vittoria. « Abbiate fiducia ; io, portando il peccato del mondo,  ho vinto il mondo e il principe di questo mondo. » (Gv 16, 33 ; 1, 29).

        Che la tua croce sia un trionfo, le pietre stesse lo gridano, queste pietre del calvario dove, secondo un’antica tradizione dei padri, fu sepolto Adamo, nostro primo padre. « Adamo, dove sei ? » (Gn 3, 9) grida di nuovo Cristo sulla croce. « Sono venuto a cercarti e, per poterti trovare, ho steso le mani sulla croce. Con le mani stese, mi rivolgo al Padre per rendere grazie per averti trovato, poi rivolgo le mani anche verso di te per abbracciarti. Non sono venuto per giudicare il tuo peccato, bensì per salvarti per il mio amore per gli uomini (Gv 3, 17) ; non sono venuto per maledirti per la tua disubbidienza, bensì per benedirti con la mia ubbidienza. Ti coprirò con le mie penne, sotto le mie ali troverai rifugio, la mia fedeltà ti coprirà dello scudo della croce e non temerai i terrori della notte (Sal 90, 1-5) perché conoscerai il giorno che non tramonta (Sap 7, 10). Cercherò la tua vita nascosta nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79). Non mi darò riposo finché, umiliato e sceso fino agli inferi per cercarti, non ti abbia ricondotto in cielo.

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