Archive pour avril, 2010

Omelia (16-04-2009) : Commento su Atti 3,16

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15108.html

Omelia (16-04-2009) 
Eremo San Biagio

Commento su Atti 3,16

Dalla Parola del giorno
Proprio per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; […] ha dato la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.

Come vivere questa Parola?
Qui Pietro prende posizione di fronte alla folla euforica per la guarigione dello storpio avvenuta presso la porta del tempio per l’invocazione del nome di Gesù da parte dell’apostolo. Ciò che Pietro vuol chiarire è proprio che, solo per la fede a cui lo storpio si è aperto, la potenza del nome di Gesù (la potenza della sua Persona di Crocifisso Risorto!) è stata libera di agire ottenendo una “perfetta guarigione”. L’esortazione di Pietro poi prende motivo dal fatto che, come egli sottolinea, Dio ha adempiuto in Gesù tutte le sue promesse. È con grande franchezza che egli dice: “Pentitevi dunque e cambiate vita, e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore”.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi lascerò raggiungere da questo eloquente invito a cambiare in vista di una consolazione di cui non solo il mio ma tanti cuori hanno urgenza. E cambiare vita vuol dire anzitutto affidare pienamente a Cristo risorto i miei giorni, tutto ciò che penso e opero. E vuol dire risorgere, in lui, a una vita aperta al dono: uno sguardo buono, una parola di conforto, una rivendicazione taciuta, un’espressione di riconciliazione e di benevolenza, i piccoli gesti della cordialità, dell’amicizia. È qui che la risurrezione di Gesù, per il mio credere, dispiega le sue energie vivificanti.

La luce della tua risurrezione, Signore Gesù, ci dia la forza di credere fino in fondo all’annuncio di gioia che la tua Pasqua ha gridato alla terra e alle sue lacrime.

La voce di un grande pensatore
Si può credere a molte cose; ma propriamente parlando, non si dà la propria fede se non a qualcuno.

H. De Lubac 

Omelia (08-04-2010)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17922.html

Omelia (08-04-2010) 
padre Lino Pedron

In questo brano Luca collega direttamente il nostro conoscere il Risorto con l’esperienza di Simone e degli altri con lui. La differenza tra noi e loro sta nel fatto che essi contemplarono e toccarono la sua carne anche fisicamente; noi invece la contempliamo e la tocchiamo solo spiritualmente, attraverso la testimonianza della loro parola e la celebrazione dell’Eucaristia.
Luca insiste molto sulla corporeità del Signore risorto. E’ una necessità nei confronti dell’ambiente ellenistico, che credeva all’immortalità dell’anima, ma non alla risurrezione dei corpi (cfr At 17,18.32; 26,8.24). Con la risurrezione della carne sta o cade sia la promessa di Dio che la speranza stessa dell’uomo di superare l’ultimo nemico, la morte (cfr 1Cor 15, 26).
Chiave di lettura e sintesi delle Scritture è il Crocifisso, che offre la visione di un Dio che è amore e misericordia infinita. Ai piedi della croce cessa la nostra paura di Dio e la nostra fuga da lui, perché vediamo che egli è da sempre rivolto a noi e ci perdona. I discepoli saranno testimoni di questo (v. 48): faranno conoscere a tutti i fratelli il Signore Gesù come nuovo volto di Dio e salvezza dell’uomo.
La forza di questa testimonianza è lo Spirito Santo, la potenza dall’alto (v. 49). Come scese su Maria, scenderà su di loro (cfr Lc 1,35; At 1,8; 2,1ss). L’incarnazione di Dio nella storia continua e giunge al suo compimento definitivo. Dio ha reso perfetta la sua solidarietà con l’uomo: al tempo degli antichi fu « davanti a noi » come legge per condurci alla terra promessa; al tempo di Gesù fu « con noi » per aprirci e insegnarci la strada verso il Padre; ora, nel tempo della Chiesa, è « in noi » come vita nuova.
Gesù ha terminato la sua missione. Noi la continuiamo nello spazio e nel tempo. In lui e con lui, ci facciamo prossimi a tutti i fratelli, condividendo con loro la Parola e il Pane. 

Papa Paolo VI: « Pace a voi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100408

Giovedì fra l’Ottava di Pasqua : Lc 24,35-48

Meditazione del giorno
Paolo VI, papa dal 1963 al 1978
Allocuzione del 9/4/1975

« Pace a voi »

        Fermiamo la nostra attenzione sull’improvviso saluto, tre volte ripetuto nel medesimo contesto evangelico, di Gesù risorto, apparso ai suoi discepoli, raccolti e chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei ; il saluto che doveva essere allora consueto, ma che nelle circostanze in cui è pronunciato acquista una pienezza stupefacente ; lo ricordate, è questo : « Pace a voi ! » Un saluto che era risuonato nel canto angelico del Natale (Lc 2, 14) : « Pace in terra » ; un saluto biblico, già preannunciato come promessa effettiva del regno messianico (Gv 14, 27), ma ora comunicato come una realtà che è inaugurata da quel primo nucleo di Chiesa nascente : la pace, la pace di Cristo vittorioso della morte e delle sue cause vicine e lontane, dei suoi effetti tremendi ed ignoti.

        Gesù risorto annuncia, anzi infonde la pace agli animi smarriti dei suoi discepoli. È la pace del Signore nel suo primo significato, quello personale, quello interiore, quello che S. Paolo iscrive nella lista dei frutti dello Spirito, dopo la carità e il gaudio, quasi confuso con essi (Ga 5, 22). Che cosa v’è di meglio per un uomo cosciente ed onesto ? La pace della coscienza non è il migliore conforto che noi possiamo trovare in noi stessi ? …

        La pace della coscienza è la prima autentica felicità. Essa aiuta ad essere forti nelle avversità ; essa conserva la nobiltà e la libertà della persona umana nelle condizioni peggiori, in cui essa si può trovare ; la pace della coscienza per di più rimane la fune di salvataggio, cioè la speranza, … quando la disperazione dovrebbe avere il sopravvento nel giudizio di sé. … È il primo dono fatto da Cristo risorto ai suoi, cioè il sacramento del perdono, un perdono che risuscita.

Emmaus_on_the_way_en_route (vangelo di oggi)

Emmaus_on_the_way_en_route (vangelo di oggi) dans immagini sacre 16%20BASSANO%20SUPPER%20AT%20EMMAUS
http://www.artbible.net/3JC/-Luk-24,13_Emmaus_on_the_way_en_route/index.html

Publié dans:immagini sacre |on 7 avril, 2010 |Pas de commentaires »

I ROTOLI DELL’EXULTET

dal sito:

http://www.exultet.it/rotoli.html

I ROTOLI DELL’EXULTET

 Il termine Exultet corrisponde alla prima parola del canto liturgico che, dall’alto del pulpito, veniva intonato dal diacono nel corso della cerimonia della notte del Sabato Santo .
Tale canto, denominato praechonium paschale , aveva la funzione di annunciare alla comunità dei fedeli il mistero della Resurrezione e celebrare il rito dell’offerta del cero pasquale .
Per esteso, lo stesso termine è passato ad indicare anche i rotoli sui quali il testo dell’inno è stato più volte trascritto e illustrato tra X e XIV secolo, secondo una prassi attestata pressoché quasi esclusivamente nell’Italia meridionale.

L’Exultet e la liturgia pasquale

I rituali della vigilia del Sabato Santo sono molto antichi.
Essi derivano dall’usanza di restare in attesa per tutta la notte del giorno della Resurrezione. La veglia prevede da sempre una serie di letture e preghiere che si concludono con la messa.
Nel medioevo essa, in quanto simbolo di rinnovamento, coincideva anche con il momento dell’ammissione al Battesimo dei catecumeni.
In tale contesto l’Exultet ha svolto un ruolo fondamentale. La sua proclamazione dall’alto dell’ ambone costituiva infatti il momento culminante di tutto un complesso cerimoniale che comprendeva, se pure con diverse varianti, il rito della benedizione del fuoco nuovo per il cero pasquale , quello dell’accensione del cero stesso da parte del diacono o del vescovo e la cerimonia del Lumen Christi.
Quest’ultima prevedeva che il diacono, spesso a conclusione di una processione, esclamasse per tre volte le parole Lumen Christi (Luce di Cristo).
Ad ogni enunciazione i fedeli dovevano rispondere in modo sempre più trionfante con l’invocazione Deo Gratias (Rendiamo Grazie a Dio).
La lettura solenne dell’Exultet seguiva subito dopo a conclusione del rituale.

Il Testo dell’Exultet

Il testo dell’Exultet che si legge ancora oggi nel corso della veglia pasquale discende da una redazione duecentesca fissata da papa Innocenzo III.
A sua volta, questo si fonda su una tradizione più antica, rimasta pressoché invariata nel corso dei secoli.
Soltanto nell’Italia meridionale l’Exultet ha conosciuto agli albori del suo utilizzo una diversa redazione, denominata « testo di Bari » o della Vetus Itala.
Essa conteneva una formula variata nella prefazio che è stata successivamente normalizzata nel corso del XII secolo sulla base dell’ordo romano .
Soltanto nella parte finale il testo seguiva varianti di volta in volta diverse: esso si concludeva infatti con le commemorazioni liturgiche, cioè formule di intercessione per il clero, i fedeli, i papi, i sovrani e le autorità locali.
Poiché nel corso degli anni si potevano avere serie diverse di reggenti, spettava al diacono ricordare o leggere il nome della autorità del momento, che di solito veniva appuntata sul rotolo mediante note mnemoniche.
Queste ultime offrono oggi preziosi indizi per la datazione e la provenienza dei rotoli.

TESTO LATINO

Exultet iam angelica turba caelorum! Exultent divina mysteria, et pro tanti regis victoria tuba intonet salutaris. Gaudeat se tantis Tellus inradiata fulgoribus, et aeterni regis splendore lustrata, totius orbis se sentiat amisisse caliginem. Laetetur et Mater Ecclesia, tanti luminis adornata fulgore, et magnis populorum vocibus haec aula resultet. Quapropter adstantibus vobis, fratres carissimi, ad tam miram sancti huius luminis claritatem, una mecum, quaeso, Dei omnipotentis misericordiam invocate. Ut qui me, non meis meritis, intra levitarum numerum dignatus est adgregare, luminis sui gratia infundente, cerei huius laudem implere praecipitat. Per (..) Vere qui dignum et iustum est invisibilem Deum omnipotentem Patrem, Filiumque unigenitum Dominum nostrum Iesum Christum, toto cordis ac mentis adfectu at voci ministerio personare, qui pro nobis aeterno Patri Adae debitum solvit et veteris piaculi cautionem pio cruore detersit. Haec sunt enim festa paschalium, in quibus verus ille agnus occiditur eiusque sanguis postibus consecratur. Haec nox est in qua primum patres nostros, filios Israel, educens de Aegypto, Rubrum mare sicco vestigio transire fecisti. Haec igitur nox est, quae peccatorum tenebras columnae inluminatione purgavit. Haec nox est, quae hodie per universum mundum in Christo credentes, a vitiis saeculi segregatos et caligine peccatorum, reddit gratiae, sociat sanctitati. Haec nox est, in qua destructis vincolis mortis, Christus ab inferis victor ascendit. Nihil enim nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset. O mira circa nos tuae pietatis dignatio! O inaestimabilis dilectio caritatis: ut servum redimeres, filius tradidisti! O certe necessarium Adae peccatum, quod Christi morte deletum est! O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere redemptorem! O beata nox, quae sola meruit scire tempus et horam in qua Christus ab inferis resurrexit. Haec nox est, de qua scriptum est: Et nox ut dies inluminabitur, et: Nox inluminatio mea in deliciis meis. Huius igitur sanctificatio noctis fugat scelera, culpas lavat et reddit innocentiam lapsis, maestis laetitiam; fugat odia, concordiam parat et curvat imperia. In huius igitur noctis gratia, suscipe, sancte Pater, incensi huius sacrificium vespertinum, quod tibi in hac cerei oblatione solemni, per ministrorum manus, de operibus apum, sacrosancta reddit Ecclesia. Sed iam columnae huius praeconia novimus, quam in honore Dei rutilans ingnis accendit. Qui licet divisus in partes, mutuati luminis detrimenta non novit: alitur liquantibus ceris quas in substantiam pretiosae huius lampadis apis mater eduxit. Apis ceteris, quae subiecta sunt homini animantibus antecellit. Cum sit minima corporis parvitate, ingentes animos angusto versat in pectore, viribus imbecilla sed fortis ingenio. Haec explorata temporum vice, cum canitiem pruinosa hiberna posuerint, et glaciale senium verni temporis moderata deterserint, statim prodeundi ad laborem cura succedit; dispersaque per agros, libratis paululum pinnibus, cruribus suspensis insidunt, prati ore legere flosculos; oneratis victualibus suis, ad castra remeant, ibique aliae inaestimabili arte cellulas tenaci glutino instruunt, aliae liquantia mella stipant, aliae vertunt flores in ceram, aliae ore natos fingunt, aliae collectis et foliis nectar includunt. O vere beata et mirabilis apis, cuius nec sexum masculi violant, foetus non quessant, nec filii destruunt castitatem; sicut sancta concepit virgo Maria, virgo peperit et virgo permansit. O vere beata nox, que expoliavit Aegyptos, ditavit Hebraeos; nox in qua terrenis caelestia iunguntur. Oramus te, Domine, ut cereus iste, in honore nominis tui consecratus, ad noctis huius caliginem destruendam indeficiens persevert. In odorem suavitatis acceptus, supernis luminaribus miseatur. Flammas eius Lucifer matutinus inveniat, ille inquam Lucifer qui nescit occasum; ille qui regressus ab inferis, humano generi sereno inluxit. Precamur ergo te, Domine (…)

TRADUZIONE ITALIANA

Esulti ormai l’angelica schiera dei cieli!
Esultino i ministri divini, e per la vittoria di sì gran re risuoni la tromba salvifica. Gioisca la Terra irradiata da tanti fulgori e, illuminata dallo splendore del re eterno, senta di essersi liberata dalla tenebra in tutta la sua estensione.
Si rallegri anche la madre Chiesa, adornata dallo splendore di tanta luce, e quest’aula echeggi delle alte voci dei fedeli. Perciò, o fratelli carissimi, essendo voi presenti a sì meravigliosa luce di questa santa fiamma, invocate insieme con me, vi prego, la misericordia di Dio onnipotente; affinché colui il quale, non per meriti miei, si degnò di pormi tra il numero dei leviti, travasandosi la grazia della sua luce, mi insegni a compiere la lode di questo cero.
Per (il nostro signore Gesù Cristo..)
Perché è cosa veramente degna e giusta con tutto lo slancio del cuore e della mente e con l’ausilio della voce proclamare la gloria di Dio invisibile Padre onnipotente e del Figlio unigenito nostro Signore Gesù Cristo, il quale in nostra vece pagò all’Eterno Padre il debito di Adamo e col sangue innocente cancellò l’obbligazione contratta con l’antico peccato.
Sono queste, infatti, le feste pasquali, in cui è sacrificato il vero agnello e il suo sangue è destinato alle porte.
È questa la notte in cui, conducendo fuori dall’Egitto i nostri padri, figli d’Israele, li facesti passare attraverso il Mar Rosso a piedi asciutti.
È questa dunque la notte che ha rimosso le tenebre del peccato con la luce della colonna di fuoco.
È questa la notte che i credenti in Cristo, allontanati dai vizi del mondo e dalle tenebre del peccato, oggi in tutto il mondo restituisce alla grazia, riunisce alla santità. E questa la notte in cui, spezzate le catene della morte, Cristo risorge vittorioso dagli inferi.
A nulla avrebbe giovato a noi l’esser nati, se non ci fosse toccato il bene della redenzione.
O meravigliosa condiscendenza della tua misericordia verso di noi!
O inestimabile amore di carità! Per redimere il servo consegnasti il figlio!
O peccato di Adamo, certo necessario, che è stato cancellato con la morte di Cristo! O colpa felice, alla quale fu concesso di avere tale e tanto redentore!
O notte beata, alla quale sola fu concesso di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo risuscitò dalla morte!
È questa la notte di cui fu scritto: e la notte sarà illuminata come giorno, e ancora: la notte sarà la mia luce nella felicità.
E dunque la santificazione di questa notte fuga i delitti, lava le colpe e ridà l’innocenza ai traviati, letizia agli afflitti; dissipa gli odi, procura la concordia, piega le potenze.
Accetta dunque, padre Santo, in questa notte di grazia, il sacrificio vespertino di questa fiamma che la santa Chiesa per mano dei suoi ministri a te porge in questa solenne offerta del cero, frutto di operosità delle api.
Ma ormai conosciamo gli annunci di questa colonna che a onore di Dio la vivida fiamma accende. Fiamma che, sebbene spartita, non conosce diminuzione della luce distribuita: si alimenta delle molli cere che madre ape ha prodotto per formare la materia di questa preziosa lampada
L’ape è superiore a tutti gli altri esseri viventi che sono soggetti all’uomo.
Pur molto piccola di corpo, rivolge tuttavia nell’angusto petto alti propositi; debole di forze ma forte d’ingegno.
Essa, dopo aver esplorato l’alternare delle stagioni, allorché il gelido inverno depose la canizie e poi il clima moderato della primavera spazzò via il torpore glaciale, subito sente la preoccupazione di uscire al lavoro; e le api sparse per i campi, librando leggermente le ali, si posano appena con le agili zampe per cogliere con la bocca i piccoli fiori del prato, cariche del loro vitto rientrano negli alveari e qui alcune con arte inestimabile costruiscono cellette con tenace glutine, altre stipano il fluido miele, altre tramutano in cera i fiori, altre danno forma ai loro piccoli lambendoli con la bocca, altre incamerano il nettare delle foglie raccolte.
O ape veramente beata e mirabile, di cui i maschi non violano il sesso, né lo turbano i feti, né i figli distruggono la castità; così come, nella sua santità, Maria concepì vergine, partorì vergine e vergine rimase.
O notte veramente beata, che spogliò gli Egizi e arricchì gli ebrei, notte in cui le cose celesti si congiungono con le terrene, Preghiamo te, o Signore, affinché questo cero consacrato in onore del tuo nome persista senza venire meno per dissipare le tenebre.
Possa l’astro del mattino trovare la sua fiamma (ancora accesa), quell’astro di Lucifero, dico, che non conosce tramonto, quell’astro che, ritornando dagl’Inferi suole spargere sereno la sua luce sul genere umano.
Preghiamo dunque te, o Signore, (…)

Origini e significato del rotolo

Il testo e la melodia dell’Exultet furono più volte trascritti tra il X e il XIV secolo su rotoli formati da più fogli di pergamena cuciti insieme.
L’origine di questa pratica è attestata quasi esclusivamente in ambito meridionale ed è forse da ricercarsi nei cosiddetti libelli: piccoli libretti composti da uno o più quaternioni destinati alla celebrazione di determinate festività o di particolari azioni liturgiche (il rito di investitura sacerdotale, l’unzione dei malati ed altro).
Essi erano molto diffusi nel medioevo e costituivano manufatti estremamente semplici e di modesto valore.
Di conseguenza, nelle celebrazioni più importanti, venivano talvolta sostituiti da esemplari assemblati nella più nobile forma di rotolo.
L’adozione di questa inconsueta tipologia libraria a fini liturgici richiamava infatti le forme dei papiri dell’antichità.
Essa fu però probabilmente suggerita nel Meridione anche dalla conoscenza dei riti della chiesa greco-orientale.
Questi ultimi prevedevano l’utilizzo di rotoli manoscritti, denominati kontakia, forse già nel V-VI secolo e comunque sicuramente nell’VIII-IX secolo.
La loro conoscenza dovette avvenire in ambito beneventano-cassinese grazie ai monaci italo-greci che, nei secc X-XI, trasmigrarono dalle Calabria e la Sicilia verso la Campania e il Lazio meridionale.
E’ infatti nell’area beneventana che compaiono i primi esemplari di rotoli di Exultet.

Il ciclo iconografico

In quanto genere creato ad hoc, l’Exultet non si conforma ad una tipologia illustrativa già esistente, ma è frutto di una vera e propria invenzione iconografica elaborata intorno al X secolo.
Per questo motivo le decorazioni non seguono uno schema predefinito, ma compongono un ciclo variabile che prevede l’illustrazione di soggetti diversi.
Essi sono sostanzialmente riconducibili a tre ambiti tematici connessi al testo e alla liturgia pasquale: la storia sacra, le cerimonie liturgiche – le più ricorrenti mostrano il diacono che riceve il rotolo dal vescovo, accende il cero pasquale, o recita l’orazione dall’ambone – e i ritratti di contemporanei.
Anche per la traduzione visiva del medesimo concetto vengono inoltre proposte differenti soluzioni.
Ad esempio, l’allegoria della terra, Tellus, chiamata a celebrare la Resurrezione, può essere ritratta in veste di donna riccamente abbigliata, oppure come una figura, o come Cristo in trono con gli animali; la figura della Mater Ecclesia è invece talora indicata dalla comunità dei fedeli raccolti intorno al Vescovo, altre volte da una figura di donna, o da ulteriori varianti.
Le scene bibliche sono numerose e tratte per lo più dal Nuovo Testamento.
Fanno eccezione pochi temi, quali la salvazione delle primogeniture israelitiche, il peccato originale, il passaggio del Mar Rosso, che si ispirano ai brani del Genesi e dell’ Esodo contenuti nel Vecchio Testamento.
Una delle immagini ricorrenti è quella introdotta a corredo della Laus Apium, l’elogio delle api.
Essa segue diverse varianti dettate dagli specifici orientamenti dei miniatori: talvolta assume un carattere fortemente simbolico o decorativo; altre volte è improntata alla narrazione vivace e mostra gli sciami che volano per i campi e i contadini che raccolgono il miele e la cera.
L’Exultet si concludeva con le commemorazioni liturgiche, spesso accompagnate dal ritratto solenne e stereotipato dei personaggi politici e religiosi evocati.

di Sandro Magister: La passione di papa Benedetto. Sei accuse, una domanda

posto questo articolo di Sandro Magister su tutti e tre i miei blog, ossia anche quello italiano e quello fancese, dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it:80/articolo/1342796

La passione di papa Benedetto. Sei accuse, una domanda

La pedofilia è solo l’ultima delle armi puntate contro Joseph Ratzinger. E ogni volta egli è attaccato dove più esercita il suo ruolo di guida. Uno ad uno, i punti critici di questo pontificato

di Sandro Magister

ROMA, 7 aprile 2010 – L’attacco che colpisce papa Joseph Ratzinger con l’arma dello scandalo dato da preti della sua Chiesa è una costante di questo pontificato.

È una costante perché ogni volta, su un terreno diverso, è colpito in Benedetto XVI proprio l’uomo che ha operato e opera, su quello stesso terreno, con più lungimiranza, con più risolutezza e con più frutto.

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La tempesta seguita alla sua lezione di Ratisbona del 12 settembre 2006 è stata la prima della serie. Si accusò Benedetto XVI di essere un nemico dell’islam e un fautore incendiario dello scontro tra le civiltà. Proprio lui che con una lucidità e un coraggio unici aveva svelato dove affonda la radice ultima della violenza, in un’idea di Dio mutilata dalla razionalità, e quindi aveva detto anche come vincerla.

Le aggressioni e persino le uccisioni che seguirono alle sue parole ne confermarono dolorosamente la giustezza. Ma che egli avesse colto nel segno è stato confermato soprattutto dai passi di dialogo tra la Chiesa cattolica e l’islam che si sono registrati in seguito – non contro ma grazie alla lezione di Ratisbona – e di cui la lettera al papa dei 138 saggi musulmani e la visita alla Moschea Blu di Istanbul sono stati i segni più evidenti e promettenti.

Con Benedetto XVI, il dialogo tra il cristianesimo e l’islam, come pure con le altre religioni, procede oggi con una più nitida consapevolezza su ciò che distingue, in forza della fede, e su ciò che può unire, la legge naturale scritta da Dio nel cuore di ogni uomo.

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Una seconda ondata di accuse contro papa Benedetto lo dipinge come un nemico della ragione moderna e in particolare della sua suprema espressione, la scienza. L’acme di questa campagna ostile fu toccato nel gennaio del 2008, quando dei professori costrinsero il papa a cancellare una visita nella principale università della sua diocesi, l’Università di Roma « La Sapienza ».

Eppure – come già a Ratisbona e poi a Parigi al Collège des Bernardins il 12 settembre 2008 – il discorso che il papa intendeva rivolgere all’Università di Roma era una formidabile difesa del nesso indissolubile tra fede e ragione, tra verità e libertà: « Non vengo a imporre la fede ma a sollecitare il coraggio per la verità ».

Il paradosso è che Benedetto XVI è un grande « illuminista » in un’epoca in cui la verità ha così pochi estimatori e il dubbio la fa da padrone, fino a volergli togliere la parola.

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Una terza accusa scagliata sistematicamente contro Benedetto XVI è di essere un tradizionalista ripiegato sul passato, nemico delle novità portate dal Concilio Vaticano II.

Il suo discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 sull’interpretazione del Concilio e poi, nel 2007, la liberalizzazione del rito antico della messa sarebbero le prove nelle mani dei suoi accusatori.

In realtà, la Tradizione alla quale Benedetto XVI è fedele è quella della grande storia della Chiesa, dalle origini a oggi, che non ha nulla a che vedere con un formalistico attaccamento al passato. Nel citato discorso alla curia, per esemplificare la « riforma nella continuità » rappresentata dal Vaticano II, il papa ha richiamato la questione della libertà di religione. Per affermarla in modo pieno – ha spiegato – il Concilio ha dovuto riandare alle origini della Chiesa, ai primi martiri, a quel « patrimonio profondo » della Tradizione cristiana che nei secoli più recenti era andato smarrito, ed è stato ritrovato anche grazie alla critica della ragione illuminista.

Quanto alla liturgia, se c’è un autentico continuatore del grande movimento liturgico che è fiorito nella Chiesa tra Ottocento e Novecento, da Prosper Guéranger a Romano Guardini, questi è proprio Ratzinger.

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Un quarto terreno d’attacco è contiguo al precedente. Si accusa Benedetto XVI di aver affossato l’ecumenismo, di anteporre l’abbraccio con i lefebvriani al dialogo con le altre confessioni cristiane.

Ma i fatti dicono l’opposto. Da quando Ratzinger è papa, il cammino di riconciliazione con le Chiese d’Oriente ha fatto straordinari passi avanti. Sia con le Chiese bizantine che fanno capo al patriarcato ecumenico di Costantinopoli, sia – ed è la novità più sorprendente – con il patriarcato di Mosca.

E se ciò è avvenuto, è proprio per la ravvivata fedeltà alla grande Tradizione – a cominciare da quella del primo millennio – che è un distintivo di questo papa, oltre che l’anima delle Chiese d’Oriente.

Sul versante dell’Occidente, è ancora l’amore della Tradizione ciò che spinge persone e gruppi della Comunione Anglicana a chiedere di entrare nella Chiesa di Roma.

Mentre con i lefebvriani ciò che ostacola un loro reintegro è proprio il loro essere attaccati a forme passate di Chiesa e di dottrina erroneamente identificate con la Tradizione perenne. La revoca della scomunica ai loro quattro vescovi, nel gennaio del 2009, nulla ha tolto allo stato di scisma in cui essi permangono, così come nel 1964 la revoca delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli non ha sanato lo scisma tra Oriente e Occidente ma ha reso possibile un dialogo finalizzato all’unità.

*

Tra i quattro vescovi lefebvriani ai quali Benedetto XVI ha revocato la scomunica c’era l’inglese Richard Williamson, antisemita e negatore della Shoah. Nel rito antico liberalizzato c’è una preghiera affinché gli ebrei « riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini ».

Questi e altri fatti hanno contribuito ad alimentare una ricorrente protesta del mondo ebraico contro l’attuale papa, con punte notevoli di asprezza. Ed è un quinto terreno d’accusa.

L’ultima arma di questa protesta è stato un passaggio del sermone tenuto nella basilica di San Pietro, il Venerdì Santo alla presenza del papa, dal predicatore della casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa. Il passaggio incriminato era una citazione di una lettera scritta da un ebreo, ma nonostante ciò la polemica si è appuntata esclusivamente contro il papa.

Eppure, nulla è più contraddittorio che accusare Benedetto XVI d’inimicizia con gli ebrei.

Perché nessun altro papa, prima di lui, si è spinto tanto avanti nel definire una visione positiva del rapporto tra cristianesimo ed ebraismo, ferma restando la divisione capitale sul riconoscimento o no di Gesù come Figlio di Dio. Nel primo tomo del suo « Gesù di Nazaret » pubblicato nel 2007 – e vicino ad essere completato dal secondo tomo – Benedetto XVI ha scritto in proposito pagine luminose, in dialogo con un rabbino americano vivente.

E numerosi ebrei vedono effettivamente in Ratzinger un amico. Ma sui media internazionali è altra cosa. Lì è quasi soltanto il « fuoco amico » che tambureggia. Di ebrei che colpiscono il papa che più li capisce e li ama.

*

Infine, un sesto capo d’accusa – attualissimo – contro Ratzinger è d’aver « coperto » lo scandalo dei preti che hanno abusato sessualmente di bambini.

Anche qui, l’accusa investe proprio l’uomo che ha fatto più di tutti, nella gerarchia della Chiesa, per sanare questo scandalo.

Con effetti positivi che qua e là già si misurano. In particolare negli Stati Uniti, dove l’incidenza del fenomeno tra il clero cattolico è nettamente diminuita negli ultimi anni.

Là dove invece, come in Irlanda, la piaga è tuttora aperta, è stato sempre Benedetto XVI a imporre alla Chiesa di quel paese di mettersi in stato penitenziale, lungo un severo cammino di rigenerazione da lui tracciato in una lettera pastorale dello scorso 19 marzo, che non ha precedenti.

Sta di fatto che la campagna internazionale contro la pedofilia ha oggi un solo vero bersaglio, il papa. I casi ripescati dal passato sono ogni volta quelli che si calcola di ritorcere contro di lui, sia quand’era arcivescovo di Monaco, sia quand’era prefetto della congregazione per la dottrina della fede, con in più l’appendice di Ratisbona per gli anni il cui il fratello del papa, Georg, dirigeva il coro di bambini della cattedrale.

*

I sei capi d’accusa contro Benedetto XVI, fin qui richiamati, aprono una domanda.

Perché questo papa è così sotto attacco, da fuori la Chiesa ma anche da dentro, nonostante la sua lampante innocenza rispetto alle accuse?

Un principio di risposta è che papa Benedetto è sistematicamente attaccato proprio per ciò che fa, per ciò che dice, per ciò che è.

Commento Luca 24,13-35 (I discepoli di Emmaus) mercoledì 7 aprile 2010

dal sito:

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?mostra_id=4051

Commento Luca 24,13-35

Totustuus 
III Domenica di Pasqua (Anno A) (10/04/2005)
Vangelo: Lc 24,13-35  

TEMA DELLE LETTURE

Nella lettura degli Atti degli Apostoli e nel salmo 15 viene messo in evidenza un collegamento tra l’Antico ed il Nuovo Testamento. Il salmo esprime l’affidamento che un cristiano fa della propria vita a Dio. Il Signore guida il salmista perfino « di notte », e questi sa che anche di fronte alla morte stessa il Signore proteggerà la sua vita e lo condurrà alla gioia piena ed eterna al suo fianco. San Pietro parla di un senso profetico del salmo di David. L’adempimento della promessa del Signore si è pienamente realizzato in Gesù Cristo, che fu messo a morte per decisione umana ed è risorto dai morti per la potenza di Dio. Lo Spirito di Dio è stato effuso nei cuori dei cristiani. È questo Spirito che muove noi cristiani, lungo il nostro pellegrinaggio qui sulla terra, a temere e a sperare nel Padre, dopo aver conosciuto la risurrezione di Gesù.

San Luca narra quanto accadde ai due discepoli che procedevano sulla via per Emmaus. Quel che è specialmente interessante sono i diversi livelli di conoscenza. Ai due discepoli viene prima chiesto di riferire i fatti della passione di Gesù, avvenuti nei giorni precedenti. Ed essi lo fanno quasi con distacco, con disincanto, limitandosi ad esporre i semplici fatti. Il « viandante » poi illumina, a loro beneficio, il significato scritturale di quegli stessi fatti, ad un secondo e più alto livello di conoscenza. Alla fine, la presenza di Gesù si rivela visibilmente ai loro occhi alla frazione del pane: un’esperienza che aveva avuto inizio lungo la strada (´Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?ª, v. 32), e che manifesta il senso personale di quegli stessi fatti.

MESSAGGIO DOTTRINALE

I segnali sacramentali. La sparizione di Gesù al momento della frazione del pane può essere considerata come una pedagogia sacramentale. Gesù Cristo ha voluto vivere nel mondo attraverso i suoi discepoli. Egli conferì loro i poteri del suo ministero e associò ad essi segni tangibili. Il ministero dei discepoli, e specialmente quello sacerdotale, è una partecipazione del potere di Dio al fine di convertire menti e cuori al pieno senso cristiano della vita. I segni sacramentali dovrebbero essere momenti chiave nell’esperienza cristiana di conversione ed impegno, in quanto essi esprimono, in maniera visibile, un reale intervento di Dio nell’esistenza umana. Molti dei sacramenti sono collegati a momenti fondamentali della vita umana, come la nascita, l’entrare nell’età della maturità, il matrimonio, la morte. Il sacramento della riconciliazione corrisponde al riconoscimento umano del fallimento personale e alla conseguente ammissione di colpa. Il sacerdozio configura certi uomini a Gesù Cristo nel suo unico ruolo di sacerdote del popolo.

Riferimenti nel Catechismo: il paragrafo 1076 si riferisce all’opera di salvezza di Cristo presente nella liturgia ‘sacramentale’; i paragrafi 117-1130 trattano dei sacramenti nella vita della Chiesa.

Mediazione e ministero. Il processo interiore per arrivare a credere, non dipende solo dall’intervento diretto di Dio attraverso la sua grazia, ma anche dalle preghiere e dalle opere del cristiano. Parliamo dunque di un necessario ministero cristiano, dell’attiva ed integrale educazione nella fede cristiana che dipende dall’esperienza cristiana degli altri, chiaramente intesa e attivamente vissuta. Occorre anche il riconoscimento e l’accettazione degli altri come ministri e mediatori di Dio.

Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 871-873 definiscono i cristiani partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.

APPLICAZIONI PASTORALI

Può darsi che, a volte, ci siamo trovati a dover spiegare cose di cui in effetti sapevamo ben poco. La fede cristiana può talvolta apparire un po’ come una bella favoletta che può spiegare tutto quel che accade o è accaduto nell’universo. È tutto così semplice e chiaro che non ci sono difficoltà né problemi. Tutto ha un lieto fine.

La nostra esperienza di vita ci dimostra che non è così. Le brutte esperienze e i momenti difficili del nostro passato non rientrano nelle categorie prestabilite di ordine e comprensione. Soprattutto, ci pare di voler troppo da questa vita dalle mille sfaccettature, e viviamo un’intima contraddizione tra le nostre speranze ed il continuo fluire della storia.

Una delle reazioni può essere il ridimensionamento delle nostre aspettative, oppure la ritrattazione o riformulazione delle nostre speranze fondamentali per adattarci al divenire storico. Qualcosa di simile accadde ai due discepoli diretti ad Emmaus. Ci liberiamo delle nostre aspettative e regrediamo ad uno stadio di neutralità, tipico di chi non è più coinvolto personalmente in grandi imprese.

Il cristianesimo non spiega dettagliatamente l’asprezza dell’esistenza. Ci sono, infatti, molti aspetti di cui la fede cristiana non fornisce spiegazioni a livello unicamente umano. Il cristianesimo ci rassicura su significati e scopi che vanno al di là dell’esperienza contingente, e ci dà la forza per continuare ad aspettarci grandi cose in questa vita, come in quella futura. La maggior parte dei cristiani non ha visioni e non ha necessariamente esperienze mistiche di rilievo. Talvolta, però, senza accorgersene e senza riconoscerne la causa, « arde loro il cuore nel petto » (v. 32).

Il cristianesimo non teme di guardare alla realtà per quella che è, perché, anzi, esso indirizza a far proprio questo. Ma non siamo sempre preparati a farlo. Certi mercati prosperano sulla vendita delle false speranze, della roba vecchia. È interessante notare che Gesù non abbia glissato circa le brutalità della sua passione; anzi, egli chiese ai discepoli di rammentarle. Egli intendeva così mostrarne il significato pieno.

C’è un rimedio pratico da individuare nell’episodio di Emmaus. Si comincia con l’affrontare quel che temiamo e da cui fuggiamo, raccontando agli altri o perfino a noi stessi la bella favoletta dal lieto fine. La realtà cristiana non ha bisogno di alcun rifugio. Non abbiamo motivo di temere.

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