Risurrezione: nascosti per sempre nel grembo dell’Amore (Pasqua)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21974?l=italian

Risurrezione: nascosti per sempre nel grembo dell’Amore

Domenica di Pasqua, 4 aprile 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 2 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il primo giorno della settimana, al mattino presto, le donne si recarono al sepolcro portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”. Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano a esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto (Lc 24,1-12).

Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria (Col 3,1-4).

“Proviamo a collocare il fatto nella nostra realtà quotidiana: un amico sta per morire; noi lo assistiamo, lo vediamo divenire sempre più debole, riceviamo le sue ultime parole ed esortazioni, il suo testamento…ci prendiamo cura del freddo cadavere, lo laviamo e lo ungiamo con unguento, lo avvolgiamo secondo le antiche usanze con fazzoletti e bende, deponiamo la salma nella terra,..vi rotoliamo sopra la pietra, sigilliamo il sepolcro,..ce ne andiamo a casa strisciando come mosche stordite, mezzo morte, come esseri per i quali ogni presente è sprofondato nel passato, il quale soffia nel futuro come un vento impetuoso attraverso un tronco vuoto. Dopodomani il sepolto sta in mezzo a noi, ci saluta, come se ritornasse da un viaggio e, mentre noi non sappiamo se ridere o piangere,..egli ci mostra le sue mani, i suoi piedi e il suo costato, – come un turista di ritorno da un viaggio è solito mostrare i souvenirs – per dimostrare che egli era veramente là..nel paese della morte e delle ombre, del freddo e della prigione senza speranza, di cui le quattro assi della bara sono solo un simbolo…” (H.U.V. Balthasar, “Tu coroni l’anno con la tua grazia”, p. 65s).

Il significato pasquale di questa scena stupefacente è quello espresso una settimana fa da Benedetto XVI: “La fede in Gesù Cristo non è un’invenzione leggendaria. Essa si fonda su una storia veramente accaduta. Questa storia noi la possiamo, per così dire, contemplare e toccare.(…) E’ commovente salire la scala verso il Calvario fino al luogo in cui Gesù è morto per noi sulla Croce. E stare infine davanti al sepolcro vuoto; pregare là dove la sua santa salma riposò e dove il terzo giorno avvenne la risurrezione. Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è lui stesso” (Omelia nella Domenica delle Palme 2010).

La via interiore tracciata dal Risorto non è un percorso spirituale a tappe, ma è una crescente intimità nella fede e nell’amore con Colui che ha detto “Io sono la via” (Gv 14,6). Il Signore Gesù, risorto e vivo dentro di noi, è la via che rivela e conduce alla meta della vita terrena, quella che viene affermata dalla comunità dei fedeli ogni domenica: “credo la risurrezione della carne e la vita del mondo che verrà”.

Credere nella risurrezione della carne significa sperare (cioè essere convinti) che realmente accadrà fra noi mortali qualcosa di simile al racconto di Balthasar, con la differenza che l’infinita sorpresa del reciproco incontro è trasferita nel mondo che verrà.

Occorre precisare, inoltre, che risurrezione della carne non vuol dire semplicemente “eterna giovinezza”, l’idea che nell’aldilà saremo tutti come bambini in perfetta salute, pieni di vitalità, radiosi e gioiosi per sempre. In quest’immagine, per altro, c’è sicuramente qualcosa di vero, dal momento che Gesù stesso ha detto: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

La similitudine con il bambino va mantenuta e completata, però, alla luce di queste altre parole del Signore: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,14-15).

Ma cosa vuol dire accogliere il Regno di Dio come un bambino? Nella risposta a questa domanda sta la comprensione del mistero della nostra personale risurrezione.

L’accoglienza del Regno di Dio alla maniera di un bambino non dice solo che l’adulto deve imitare la fede semplice e fiduciosa dei piccoli. Con il paragone “a chi è come loro”, Gesù vuole indicare anzitutto ciò che definisce essenzialmente l’esistenza del bambino, vale a dire quella relazione profonda con la mamma che lo fa vivere in totale e vitale simbiosi con lei.

Per comprendere meglio come sarà la pienezza di quel Regno che è già in mezzo a noi, e cosa significa risorgere nella vita del mondo che verrà, basta allora ricordare che il senso etimologico di “in mezzo” è “nelle viscere”, nel grembo. Come il grembo materno appartiene per nove mesi al bambino che vi sta nascosto fin dal primo giorno di vita, così per l’eternità sarà nostro il Regno di Dio e la nostra vita sarà “nascosta” con Cristo in Dio, custodita per sempre nell’intimità ineffabile del grembo divino della Santissima Trinità.

Perciò il Regno di Dio nel quale vivremo risorti in Cristo, sarà la nostra perfetta ed eterna comunione d’amore con le tre divine Persone, nel cui mondo vivremo beati come bambini nel grembo, assieme ad una miriade di altri figli.

Consideriamo infatti ciò che Gesù stesso, poco prima di morire, dichiara a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me , anche se muore, vivrà” (Gv 11,25). Non dice: io sono il principio, la causa, il fine della risurrezione, ma “Io sono la risurrezione e la vita”, che significa: “Io sono la risurrezione, la vita eterna di tutti i risorti”. Un po’ come se la mamma dicesse al bambino: “io sono la tua generazione, e la mia relazione con te è la tua vita”, personificando in se stessa il fatto biologico del concepimento per fondarlo nella sua vitale, profonda e perenne relazione con il figlio.

Quando ho letto per la prima volta l’Istruzione “Dignitas personae”, leggendo le splendide parole: “la vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza” (n.3), ho pensato che la vittoria della vita è un evento che riguarda anche il presente, dal momento che la Risurrezione di Gesù è un fatto perennemente attuale. Perciò, nonostante che la morte non sia stata ancora definitivamente sconfitta, la vita vince adesso, la vita è una vittoria del presente, come grida Paolo: “Siano rese grazie a Dio che ci da la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili…” (1Cor 15,57-58). Ancora più esplicitamente: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?…Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm 8,35.37).

E’ un formidabile grido di sfida e di vittoria sulla morte che potrei attualizzare così: l’angoscia della perdita di una persona cara, come quella di un genitore al quale è stato tolto tragicamente un figlio per malattia o incidente; l’angoscia ancor più dolorosa di una mamma che il figlio se lo è fatto togliere per mano del medico abortista o per effetto di un farmaco mortale; e tante altre simili situazioni di morte (viste anche dal versante della stessa vittima), può realmente trovare tregua e pace duratura al presente nella verità della Risurrezione, non solo per il pensiero che nell’aldilà incontreremo i nostri cari e sarà asciugata ogni lacrima per sempre, ma per reale esperienza.

Possiamo capire questo solamente se rispondiamo alla domanda cruciale: che cos’è la vita? Qual è la verità essenziale della vita umana? Se la vita è solo qualcosa di biologico e psicologico, valgono le tristi parole di Giobbe: “Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” (Gb 1,22).

Ma la vita non può essere e non è il contrario della morte. La vita è infinitamente di più, è una realtà incorruttibile che dimora in noi e a cui il nostro corpo da’ visibilità. Tale realtà divina proviene da una Fonte zampillante che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25).

Se Gesù è la risurrezione e la vita, allora la risurrezione e la vita non sono rimandate all’al di là, ma appartengono già all’al di qua, poiché Gesù risorto è vivo in mezzo a noi.

Per questo Benedetto XVI ha detto: “La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”.

Vi può entrare da subito, per mezzo dello Spirito del Signore risorto.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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