di Sandro Magister: La passione di papa Benedetto. Sei accuse, una domanda

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La passione di papa Benedetto. Sei accuse, una domanda

La pedofilia è solo l’ultima delle armi puntate contro Joseph Ratzinger. E ogni volta egli è attaccato dove più esercita il suo ruolo di guida. Uno ad uno, i punti critici di questo pontificato

di Sandro Magister

ROMA, 7 aprile 2010 – L’attacco che colpisce papa Joseph Ratzinger con l’arma dello scandalo dato da preti della sua Chiesa è una costante di questo pontificato.

È una costante perché ogni volta, su un terreno diverso, è colpito in Benedetto XVI proprio l’uomo che ha operato e opera, su quello stesso terreno, con più lungimiranza, con più risolutezza e con più frutto.

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La tempesta seguita alla sua lezione di Ratisbona del 12 settembre 2006 è stata la prima della serie. Si accusò Benedetto XVI di essere un nemico dell’islam e un fautore incendiario dello scontro tra le civiltà. Proprio lui che con una lucidità e un coraggio unici aveva svelato dove affonda la radice ultima della violenza, in un’idea di Dio mutilata dalla razionalità, e quindi aveva detto anche come vincerla.

Le aggressioni e persino le uccisioni che seguirono alle sue parole ne confermarono dolorosamente la giustezza. Ma che egli avesse colto nel segno è stato confermato soprattutto dai passi di dialogo tra la Chiesa cattolica e l’islam che si sono registrati in seguito – non contro ma grazie alla lezione di Ratisbona – e di cui la lettera al papa dei 138 saggi musulmani e la visita alla Moschea Blu di Istanbul sono stati i segni più evidenti e promettenti.

Con Benedetto XVI, il dialogo tra il cristianesimo e l’islam, come pure con le altre religioni, procede oggi con una più nitida consapevolezza su ciò che distingue, in forza della fede, e su ciò che può unire, la legge naturale scritta da Dio nel cuore di ogni uomo.

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Una seconda ondata di accuse contro papa Benedetto lo dipinge come un nemico della ragione moderna e in particolare della sua suprema espressione, la scienza. L’acme di questa campagna ostile fu toccato nel gennaio del 2008, quando dei professori costrinsero il papa a cancellare una visita nella principale università della sua diocesi, l’Università di Roma « La Sapienza ».

Eppure – come già a Ratisbona e poi a Parigi al Collège des Bernardins il 12 settembre 2008 – il discorso che il papa intendeva rivolgere all’Università di Roma era una formidabile difesa del nesso indissolubile tra fede e ragione, tra verità e libertà: « Non vengo a imporre la fede ma a sollecitare il coraggio per la verità ».

Il paradosso è che Benedetto XVI è un grande « illuminista » in un’epoca in cui la verità ha così pochi estimatori e il dubbio la fa da padrone, fino a volergli togliere la parola.

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Una terza accusa scagliata sistematicamente contro Benedetto XVI è di essere un tradizionalista ripiegato sul passato, nemico delle novità portate dal Concilio Vaticano II.

Il suo discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 sull’interpretazione del Concilio e poi, nel 2007, la liberalizzazione del rito antico della messa sarebbero le prove nelle mani dei suoi accusatori.

In realtà, la Tradizione alla quale Benedetto XVI è fedele è quella della grande storia della Chiesa, dalle origini a oggi, che non ha nulla a che vedere con un formalistico attaccamento al passato. Nel citato discorso alla curia, per esemplificare la « riforma nella continuità » rappresentata dal Vaticano II, il papa ha richiamato la questione della libertà di religione. Per affermarla in modo pieno – ha spiegato – il Concilio ha dovuto riandare alle origini della Chiesa, ai primi martiri, a quel « patrimonio profondo » della Tradizione cristiana che nei secoli più recenti era andato smarrito, ed è stato ritrovato anche grazie alla critica della ragione illuminista.

Quanto alla liturgia, se c’è un autentico continuatore del grande movimento liturgico che è fiorito nella Chiesa tra Ottocento e Novecento, da Prosper Guéranger a Romano Guardini, questi è proprio Ratzinger.

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Un quarto terreno d’attacco è contiguo al precedente. Si accusa Benedetto XVI di aver affossato l’ecumenismo, di anteporre l’abbraccio con i lefebvriani al dialogo con le altre confessioni cristiane.

Ma i fatti dicono l’opposto. Da quando Ratzinger è papa, il cammino di riconciliazione con le Chiese d’Oriente ha fatto straordinari passi avanti. Sia con le Chiese bizantine che fanno capo al patriarcato ecumenico di Costantinopoli, sia – ed è la novità più sorprendente – con il patriarcato di Mosca.

E se ciò è avvenuto, è proprio per la ravvivata fedeltà alla grande Tradizione – a cominciare da quella del primo millennio – che è un distintivo di questo papa, oltre che l’anima delle Chiese d’Oriente.

Sul versante dell’Occidente, è ancora l’amore della Tradizione ciò che spinge persone e gruppi della Comunione Anglicana a chiedere di entrare nella Chiesa di Roma.

Mentre con i lefebvriani ciò che ostacola un loro reintegro è proprio il loro essere attaccati a forme passate di Chiesa e di dottrina erroneamente identificate con la Tradizione perenne. La revoca della scomunica ai loro quattro vescovi, nel gennaio del 2009, nulla ha tolto allo stato di scisma in cui essi permangono, così come nel 1964 la revoca delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli non ha sanato lo scisma tra Oriente e Occidente ma ha reso possibile un dialogo finalizzato all’unità.

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Tra i quattro vescovi lefebvriani ai quali Benedetto XVI ha revocato la scomunica c’era l’inglese Richard Williamson, antisemita e negatore della Shoah. Nel rito antico liberalizzato c’è una preghiera affinché gli ebrei « riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini ».

Questi e altri fatti hanno contribuito ad alimentare una ricorrente protesta del mondo ebraico contro l’attuale papa, con punte notevoli di asprezza. Ed è un quinto terreno d’accusa.

L’ultima arma di questa protesta è stato un passaggio del sermone tenuto nella basilica di San Pietro, il Venerdì Santo alla presenza del papa, dal predicatore della casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa. Il passaggio incriminato era una citazione di una lettera scritta da un ebreo, ma nonostante ciò la polemica si è appuntata esclusivamente contro il papa.

Eppure, nulla è più contraddittorio che accusare Benedetto XVI d’inimicizia con gli ebrei.

Perché nessun altro papa, prima di lui, si è spinto tanto avanti nel definire una visione positiva del rapporto tra cristianesimo ed ebraismo, ferma restando la divisione capitale sul riconoscimento o no di Gesù come Figlio di Dio. Nel primo tomo del suo « Gesù di Nazaret » pubblicato nel 2007 – e vicino ad essere completato dal secondo tomo – Benedetto XVI ha scritto in proposito pagine luminose, in dialogo con un rabbino americano vivente.

E numerosi ebrei vedono effettivamente in Ratzinger un amico. Ma sui media internazionali è altra cosa. Lì è quasi soltanto il « fuoco amico » che tambureggia. Di ebrei che colpiscono il papa che più li capisce e li ama.

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Infine, un sesto capo d’accusa – attualissimo – contro Ratzinger è d’aver « coperto » lo scandalo dei preti che hanno abusato sessualmente di bambini.

Anche qui, l’accusa investe proprio l’uomo che ha fatto più di tutti, nella gerarchia della Chiesa, per sanare questo scandalo.

Con effetti positivi che qua e là già si misurano. In particolare negli Stati Uniti, dove l’incidenza del fenomeno tra il clero cattolico è nettamente diminuita negli ultimi anni.

Là dove invece, come in Irlanda, la piaga è tuttora aperta, è stato sempre Benedetto XVI a imporre alla Chiesa di quel paese di mettersi in stato penitenziale, lungo un severo cammino di rigenerazione da lui tracciato in una lettera pastorale dello scorso 19 marzo, che non ha precedenti.

Sta di fatto che la campagna internazionale contro la pedofilia ha oggi un solo vero bersaglio, il papa. I casi ripescati dal passato sono ogni volta quelli che si calcola di ritorcere contro di lui, sia quand’era arcivescovo di Monaco, sia quand’era prefetto della congregazione per la dottrina della fede, con in più l’appendice di Ratisbona per gli anni il cui il fratello del papa, Georg, dirigeva il coro di bambini della cattedrale.

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I sei capi d’accusa contro Benedetto XVI, fin qui richiamati, aprono una domanda.

Perché questo papa è così sotto attacco, da fuori la Chiesa ma anche da dentro, nonostante la sua lampante innocenza rispetto alle accuse?

Un principio di risposta è che papa Benedetto è sistematicamente attaccato proprio per ciò che fa, per ciò che dice, per ciò che è.

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