Il mistero della «discesa agli inferi
dal sito:
http://www.cappellauniss.org/teologia/discesa_inferi.htm
Gesù Cristo discese agli inferi
Il mistero della «discesa agli inferi
A. «DESCENDIT IN INFERNA» (CCC 632-637)
L’apocrifo Vangelo di Nicodemo (II secolo), di origine giudeo-cristiana, contiene una pittoresca narrazione dell’ingresso vittorioso di Gesù nel regno dei morti, della disintegrazione di questo regno e della liberazione dei morti:
«E subito, a quella parola, le porte bronzee si frantumarono e le sbarre di ferro furono infrante. Tutti i morti legati furono sciolti dalle catene [...]. Il re della gloria entrò come un uomo. I luoghi bui tutti dell’ade s’illuminarono»2.
Particolarmente suggestiva la liberazione di Adamo:
«II re della gloria, porgendo la sua destra, prese e sollevò il progenitore Adamo. Quindi, volgendosi agli altri, disse: « Orsù, venite con me voi tutti che subiste la morte per il legno che costui ha toccato. Ecco io vi faccio risorgere tutti per mezzo del legno della croce”»3.
Questa tradizione apocrifa è largamente attestata nei padri, sia orientali che occidentali, che attribuiscono alla discesa di Gesù nel regno dei morti una precisa intenzionalità salvifica. Anche se assente nel simbolo niceno-costantinopolitano, il descensus è testimoniato nei simboli di fede già a partire dal quarto secolo. Rufino di Aquileia (vissuto nella seconda metà del secolo IV e all’inizio del secolo V), nella Expositio Symboli commenta più volte l’articolo che recita: «Crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus descendit in inferna». La discesa viene da lui interpretata come vittoria sul regno della morte e annuncio di salvezza per i defunti.
Il descensus viene documentato sempre più frequentemente in simboli, formule di fede, precisazioni dottrinali, pronunciamenti conciliari. Anche nel Credo Apostolico, che dopo il simbolo niceno-costantinopolitano è il più importante sommario di fede della cristianità, si professa: «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi ». Si può, pertanto, affermare che «la dottrina che Cristo abbia trascorso negli inferi il tempo tra la morte di croce e la sua risurrezione era comunemente insegnata ai cristiani fin dai primi tempi».
B. IL DATO BIBLICO
1. I passi di 1Pt 3,19-20; 4,6
L’apostolo, dopo aver parlato di Cristo «messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18), così prosegue: «E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione…» (1Pt 3,19-20). E più oltre afferma: «infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subito, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito» (1Pt 4,6).
A questi testi, che venivano presi come fondamento del descensus di Gesù Cristo nel regno dei morti, si pone la domanda: chi sono gli spiriti che attendono in prigione? Non è affatto chiaro: le anime dei giusti dell’AT convertitisi in occasione del diluvio? o gli uomini della generazione del diluvio? o gli angeli, figli di Dio, di cui parla Gen 6,1-6?
Inoltre la 1Pt non parla affatto di una «discesa», quanto piuttosto di una «ascesa». Infatti le espressioni «reso vivo nello spirito» e «in spirito andò ad annunziare» (1Pt 3,18.19) indicano inequivocabilmente il Cristo risorto (e non solo l’anima umana di Cristo, separata dal corpo dopo la morte). Il testo, quindi, intende parlare dell’ascesa di Cristo nella gloria, evento che significa salvezza per coloro che hanno creduto in lui, a partire dai giusti dell’AT, e condanna per gli increduli di ogni epoca, soprattutto per quegli spiriti malvagi che provocarono la devastazione del diluvio.
2. Il fondamento biblico
Il fondamento biblico al «descensus» viene allora ritrovato in altre allusioni neotestamentarie, che facevano parte dell’esegesi patristica e che poi furono trascurate a vantaggio dei supposti testi probanti di 1Pt. In Mt 12,40, ad esempio, si accenna al segno di Giona: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». Il segno di Giona è un segno della passione e del descensus del Figlio dell’uomo. Allo stesso modo viene interpretata l’affermazione paolina di Rm 10,7:
«Così come Giona era stato dentro il buio ventre del pesce nelle profondità dell’abisso, così Cristo è stato nell’abisso del regno dei morti».
Questa permanenza di Cristo nel regno dei morti non è inerzia salvifica, ma è già l’inizio dell’era messianica. L’evento della morte di Cristo è già reviviscenza di ossa inaridite (cf. Ez 37) e irruzione di vita e di salvezza. Gli straordinari eventi accaduti alla morte di Gesù lo testimoniano:
«Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono» (Mt 27,51-52).
Altre allusioni del «descensus» agli inferi si trovano in At 2,27-31; Ef 4,8-10; Fil 2,5-10; Col 1,18; Eb 13,20; Ap 1,18. Quest’ultimo testo afferma:
«Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi».
In realtà nel NT il descensus è solo un’implicanza collaterale del mistero della morte e risurrezione di Gesù. Ha però un suo preciso e autonomo significato salvifico. Il Gesù, che si è immerso nella kénosi assoluta della morte, è lo stesso Cristo, che, proprio attraverso questo suo essere nella morte e presso i morti, conduce i morti alla vita. Di qui la rappresentazione figurativa giudeo-cristiana del descensus messianico.
C. SIGNIFICATO TEOLOGICO
A proposito del descensus di Gesù nel regno dello sheol, si è affermato che «il sabato santo sta, come mistero tra croce e risurrezione, non alla periferia ma al centro di tutta quanta la teologia». La morte di Cristo significa la sua piena e solidale entrata nello sheol, che insieme con il cielo e la terra (cf. Es 20,4), costituiva una delle tre parti della cosmologia biblica (Is 14,9; Sal 63,107). Lo sheol è il regno dei morti (Gen 37,35; 1Sam 2,6; Sal 89,49), da cui l’uomo non può mai uscire (Gb 7,9). In esso sono ospitati buoni e cattivi (1Sam 28,19). È un carcere senza ritorno, la terra delle tenebre eterne (Gb 10,21), del silenzio, dell’abbandono (Pr 15,11; Gb 12,22; 26,6; 34,22), della solitudine, dell’incapacità di lodare Dio (Is 38,18; Sal 6,6). È il regno assoluto della negatività, del caos, della mancanza di bene.
Mediante la morte, Gesù viene immerso in questa situazione di estrema derelizione. Sperimentò l’abbandono, la solitudine, l’inerzia totale. Il dato biblico, però, ci dice che non ne rimase sopraffatto: «non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide la corruzione» (At 2,31). Il Santo fu sciolto «dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24). È lui, infatti, ad avere «potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1,18; cf. 1Cor 15,26). Per questo la morte è obbligata a restituire i suoi prigionieri: «la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi» (Ap 20,13; cf. Mt 27,52).
La solidarietà di Gesù nella morte e l’esperienza dello sheol costituiscono un’offerta di salvezza per l’uomo, doppiamente mortale per la sua condizione umana e per i suoi peccati. Del resto, durante la sua vita, Gesù aveva affermato:
«In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno» (Gv 5,25).
Se prima lo sheol era un carcere di morte, in Gesù diventa via di redenzione. La presa di possesso dello sheol da parte sua significa che le porte degli inferi sono state scardinate («la morte e gli inferi furono get ati nello stagno di fuoco»: Ap 20,14) e l’uomo è stato liberato dal caos e dalla condanna al nulla.
Anche il Figlio dell’uomo è disceso nell’abisso dell’estremo abbandono, ma per sconfiggerlo mediante il legame indistruttibile della sua comunione di carità trinitaria. Il descensus diventa allora una possibilità di esodo e di risalita. Rappresenta la mano tesa del Figlio di Dio ai figli dell’uomo «morti», ma non per questo abbandonati al loro destino di annientamento e di insignificanza esistenziale. Nel luogo della perenne solitudine dell’io, Gesù porta l’offerta della comunione del «noi». Infatti, pur trovandosi nella morte e cioè nella situazione della lontananza estrema da Dio, Gesù non era privato della comunione di carità col Padre nello Spirito. Il luogo più «apneumatico» si trasforma cosi in una situazione di carità e di salvezza trinitaria.
Oltre a questo aspetto «verso il basso», il «descensus» è anche un momento di liberazione «all’indietro», «verso il passato». Gesù morto si trova solidale con gli uomini vissuti prima di lui. Per cui la sua liberazione si estende anche ad essi. La storia della salvezza non ha ripercussioni solo nel presente e nel futuro, ma anche nel passato. Non ci sono barriere temporali e spaziali alla salvezza inagurata dalla morte redentrice del Cristo.
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1 A. Amato, Gesù è il Signore, cit., pp. 530-536.
2 M. Ebretta (a cura di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1981, I/2, p. 268.
3 Ibid., p. 269.
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