“Di gloria in gloria… trasformati dallo Spirito” (2Cor 3,1-12)

dal sito:

http://www.sacrocuoreaigerolomini.it/documenti/trasformati.doc

Laboratorio della fede

don Mario Russo

Paolo

25 maggio 2007

“Di gloria in gloria… trasformati dallo Spirito” (2Cor 3,1-12)

Introduzione
Chiediamoci questa sera, quale aspetto assume il volto di chi si lascia trasformare dallo Spirito?
E quando si conclude questo processo di trasformazione?
Nell’oggi della mia quotidianità… come posso attestare e riconoscere i cambiamenti interiori che il vangelo realizza nell’esistenza, senza lasciarmi vincere dallo scoraggiamento e dalla sofferenza umana?

Restiamo ancora in compagnia della comunità di Corinto e torniamo sulla seconda lettera, raggiungendo la conclusione del capitolo 3, in cui Paolo esprime la propria fiducia nella “metamorfosi” profonda dell’esistenza cristiana.

Lettura 2Cor 3,12-18

La letteratura mondiale conosce tre classici dedicati alla metamorfosi: quelli degli scrittori latini,Apuelio e Ovidio, che nella loro rispettiva opera, le metamorfosi, descrivono i mutamenti universali di corpi in altri corpi, in uomini in divinità e all’inverso, e quello di Franz Kafka, che in la metamorfosi affronta le diverse mutazioni dell’animo umano. Così l’autore praghese introduce la sua opera: “destandosi un mattino dai sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto”.
Nel paragrafo di 2Cor che abbiamo ascoltato, Paolo utilizza un verbo che in greco richiama il processo di trasformazione che lo Spirito realizza in noi: “Siamo trasformati (metamorphoumetha) nella stessa immagine…” (2Cor 3,18). La vita nello spirito segue un processo di metamorfosi, ma ben lontani da quelli descritti da Ovidio, Apuelio e Kafka. I credenti non sono trasformati nella divinità sino a confondersi con essa, come è tipico delle religioni misteriche, ma in Cristo che è l’icona vivente di Dio. Così specifica Paolo nei versi successivi: “E’ Dio che disse rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2Cor 4,6). Se nella creazione l’essere umano è creato a “immagine e somiglianza di Dio” … con la redenzione è destinato ad essere ricreato a “immagine” di Cristo.
Altrettanto diversa è la metamorfosi cristiana da quella Kafkiana: non si verifica in un batter d’occhio, ne assume l’aspetto di un grande insetto, che induce il protagonista alla disperazione… ma è progressiva, interiore e ha come meta la definitiva trasformazione in Cristo.

Cerchiamo allora di cogliere le connotazioni della trasformazione cristiana.
  È una metamorfosi interiore che inizia dal giorno in cui lo Spirito di Dio è stato effuso nei nostri cuori: con il Battesimo. Cristo vive in noi, dice Paolo, perché abbiamo ricevuto il “suo Spirito che grida in noi Abbà, Padre” (cfr. Gal 4,6)… il fatto che noi diciamo con la bocca “Abbà, Padre” (le stesse parole di Gesù durante l’agonia cfr Mc 14,36) si deve alla presenza dello Spirito in noi.
  È una metamorfosi progressiva, anche se si riscontrano momenti di pausa o di regresso… tuttavia Paolo a tale scopo ci esorta: “per questo non ci scoraggiamo, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16).
  È una metamorfosi positiva, giacché  ha  come orizzonte finale la ‘’conformazione all’immagine del figlio di Dio’’ ( cfr. Rm 8,29):una conformazione che appartiene al misterioso disegno che Dio ha progettato sin dalla creazione del mondo.
Dunque lo Spirito realizza in noi una profonda trasformazione della  quale molte volte, non ci rendiamo conto cadendo nell’errore di ritenere che nella vita interiore siamo sempre gli stessi: gli stessi difetti , peccati e  limiti; cambierebbe soltanto l’aspetto del corpo , mentre l’anima resterebbe immutabile e senza trasformazione. Contro una tale visione dualistica, affermiamo che siamo invece in continua e totale trasformazione che partendo dalla nostra interiorità, arriva a toccare anche l’aspetto esteriore. La metafora che bene descrive la trasformazione cristiana è quella del chicco di grano descritta dallo stesso Paolo, per spiegare la resurrezione dei corpi: “Ciò che tu semini non prende vita se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere” (1Cor 15, 36-37).
 Come riconoscere allora la metamorfosi che lo Spirito realizza nella vita interiore?

DI GLORIA IN GLORIA
Abbiamo già meditato sul fatto che la vita umana conosce due tipi di trasformazione… lo abbiamo fatto con il laboratorio della fede incentrato sulla lettera ai Galati 5,16-26!
Ci si abbrutisce con le “opere della carne”… ci si abbellisce col “Frutto della Spirito”.
La via della bellezza è espressa nei nostri versi con l’espressione “di gloria in gloria” ossia attraverso una gloria sempre più intensa.
 Nella Sacra Scrittura, la gloria è scelta come il simbolo della presenza di Dio. Un particolare ruolo è svolto da Mosè nella relazione tra il popolo e la gloria divina, che troviamo nelle prime pagine dell’Esodo: parlando della sua vocazione, infatti l’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto…”non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”… Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio… (Es 3,2-6).
La gloria del Signore suscita due reazioni contrastanti:
  Un’attrazione sempre maggiore;
  Il terrore di trovarsi di fronte alla sua presenza
È fascinosa e terribile la sua gloria!
L’esperienza più intensa di Mosè, della manifestazione della gloria divina è quella che si realizza in occasione del dono della legge (le dieci parole per la tradizione ebraica): allora il suo volto diventa raggiante e gli israeliti non possono fissare il suo volto, al punto che è costretto a usare un velo per non accecarli, sino a quando non si trova alla presenza del Signore e può parlargli faccia a faccia, senza più veli (cfr. Es 34, 29-35). Paolo richiama questo episodio dell’Esodo in 2Cor 3, per esprimere la superiorità del proprio ministero rispetto a quello di Mosè…
Non c’è più bisogno di velo sul volto, perché la gloria di Dio si manifesta prima di tutto sul volto di Cristo, per contagiare quella di quanti credono in lui. Così la gloria o la bellezza sul volto del credente è sempre più intensa, in quanto esprime la trasformazione in atto che si completerà nella partecipazione piena e definitiva della stessa bellezza di Lui, nella resurrezione dai morti.

DA CESARE DI FILIPPO AL TABOR…
Abbiamo iniziato proprio da Cesarea, il laboratorio della fede di quest’anno… allora ci siamo lasciati interrogare dalla domanda “Chi è Gesù per me?” (cfr. Mc 8, 27-30)… ora arriviamo alla seconda tappa di vitale importanza per il nostro cammino di discepolato. È Luca che ci racconta che: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”.
L’episodio ha un grande valore simbolico… ci ricorda che la trasfigurazione del volto di Gesù si realizza prima di tutto su un monte, come quello del Sinai che ha visto la trasfigurazione del volto di Mosè… tuttavia è una trasfigurazione transitoria o passeggera, che , come annota l’evangelista, anticipa quella definitiva della ascensione di Gesù a Gerusalemme, dopo la morte e resurrezione.
Ma è proprio questa transitorietà che spinge Paolo a parlare di trasformazione di gloria in gloria anche per i credenti Cristo.
Un grande teologo russo, della chiesa ortodossa, Paul Evdokimov, osa persino sostenere che quella del Tabor “era la trasfigurazione non del Signore ma degli Apostoli” (P.Evokimov, l’uomo icona di Cristo,Ancora, Milano 1982,p.45).
Il monte, dunque, è il luogo simbolico dell’incontro con la gloria di dio; e chi non osa… non ha il coraggio di restare con Gesù sul monte, non può contemplare alcuna trasfigurazione.
Naturalmente non sto affermando qui, di fare una gita… una escursione in montagna! L’ascesi al monte Tabor, si realizza nella preghiera… soltanto con i sensi della preghiera si realizza e si contempla, la trasfigurazione del volto di Cristo e quello dei credenti.
La presenza di Elia e Mosè sta a significare che tutta la scrittura è irradiata della gloria di Cristo.
Infine, la nube, come segno visibile della presenza di Dio, avvolge i presenti che in essa entrano con paura (cfr. Lc 9,34-35), perché si è posti davanti al fascino terribile della bellezza di Dio.
Non basta allora essere arrivati a Cesarea di Filippo con la professione di fede “Gesù Cristo mio Signore” per ritenere di aver concluso il proprio itinerario di maturazione nella fede… è necessario salire fino al tabor e da li intravedere l’ultima meta della trasfigurazione di Cristo e nostra; quella dl golgota e dell’ascensione, dove la gloria di Cristo diventa permanente e progressiva in noi, fino alla partecipazione della stessa gloria nell’incontro finale con lui. S.Ambrogio nel commento al vangelo di Luca 5,51 così dice:”Non con i passi del corpo, ma con le tue azioni elevate Sali questa montagna. Segui Cristo in modo che tu stesso possa divenire un monte”.

“L’essenziale è invisibile agli occhi” scrive Antoine de Saint-Exupéry nella sua opera le petit prince: è quanto si può affermare di fronte alla trasformazione dell’esistenza cristiana, poiché è soprattutto nella preghiera, nell’ascolto della parola di dio, che si riesce a percepire quanto sta oltre le apparenze: “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2Cor 4,18). Stiamo parlando degli “occhi della fede”, come li definisce S.Giovanni Crisostomo: “Infatti come quelli del corpo possono vedere solo ciò che accade sotto i sensi, così al contrario gli occhi della fede non vedono nulla delle cose visibili, ma vedono le cose invisibili così come se stessero davanti ad essi”. Tuttavia per poter vedere come “anche il nostro uomo esteriore si rinnova di giorno in giorno” (cfr 2Cor 4,16) o “di gloria in gloria” sono necessarie due condizioni che si realizzano nella preghiera
  Bisogna liberarsi dal velo sul volto
  Aver il coraggio di specchiarsi in Gesù cristo che è l’icona vivente della gloria di Dio.
Togliere il velo dal nostro volto significa presentarsi con nudità davanti a Dio, con le virtù e i vizi, i pregi e i difetti che ci accompagnano. Solo così, nell’esercizio del servizio o del ministero per gli altri, diventa verificabile che “la straordinaria grandezza dell’essere cristiano viene dalla potenza di Dio e non da noi” (cfr. 2Cor 4,7b). Fino a quando non avremo il coraggio di presentarci come siamo di fronte allo specchio della vita interiore che riflette il volto di Cristo, continueremo a percepire una visione falsata di noi stessi… non ci sarà spazio per la grazia o per la bellezza della gloria di Dio sul nostro volto

La vita cristiana, molto più di quella umana, è un esilio, durante il quale bisogna attraversare il deserto, raggiungere il mare, salire sulle colline e imparare a scalare le montagne.
Tutto il nostro essere è in trasformazione: una metamorfosi che parte dal di dentro – dove possiamo contemplare la bellezza della gloria di Cristo -, per manifestarsi all’esterno, quando sappiamo porci di fronte ad uno specchio, senza maquillage o trucchi.
Efficace a riguardo, è l’immagine della tenda che è il nostro corpo, la nostra stessa persona: “Sappiamo infatti che quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è una tenda, riceveremo da Dio una abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna nei cieli” (2Cor 5,1)… siamo come una tenda di nomadi nel deserto: in cammino verso la patria, la dove soltanto potremo possedere fissa dimora, dove Cristo stesso è per noi dimora, gloria e bellezza senza fine.
Il cantore della bellezza, Agostino di Ippona, scriverà ricordando i momenti decisiva della propria conversione: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ecco, tu eri dentro di me e io stavo al di fuori: e qui ti cercavo, e deforme quele ero, mi buttavo su tutte queste cose belle che tu hai creato. Tu eri con me, e io non ero con te, tenuto lontano da te proprio da quelle creature che non esisterebbero se non fossero in te. Mi chiamasti, gridasti e vincesti la mia sordità; folgorasti con il tuo splendore e mettesti in fuga la mia cecità;esalasti il tuo profumo, lo aspirai e anelo a te; ti gustai e ora ho fame e sete; mi toccasti e ora brucio dal desiderio di conseguire la tua pace”. (Le confessioni 10,27).
Intanto, poiché dove c’è lo spirito c’è la libertà, lo stesso spirito ci libera, con discrezione, da qualsiasi velo o maschera che tentiamo di porre sul volto per non guardarci allo specchio con nudità e verità e per aiutarci a riconoscere quella trasformazione che egli realizza nella vita interiore, sino a quando sul nostro volto non si rifletterà, in modo definitivo, la gloria del volto di Cristo.
Ogni credente, è un alter Christus, perché porta in se l’immagine di Cristo in una progressione senza limiti, fino a quando non avremo bisogno neppure di specchi, ma lo contempleremo faccia a faccia: “Ora noi vediamo in modo confuso, come in uno specchi; allora invece vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente come anch’io sono conosciuto” (1Cor 13,12).

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