“CONSOLAZIONE NELLA TRIBOLAZIONE” (riferimento a: 2Cor 1,3-11, citazione di Rm, 8,26; Gal 4,19; Col 1,24)

dal sito:

http://www.sacrocuoreaigerolomini.it/documenti/consolazione.pdf

LABORATORIO DELLA FEDE
 
“CONSOLAZIONE NELLA TRIBOLAZIONE”

(riferimento a:  2Cor 1,3-11, citazione di Rm, 8,26; Gal 4,19; Col 1,24)
 
Venerdì 28 Marzo 2008 
 
 
Spesso Paolo si è soffermato a contemplare il mistero della sofferenza: quella dei credenti, la propria e quella della creazione, lasciandoci pagine di grande profondità come Rm 8,18-27, in cui con crescente intensità si assiste ai gemiti della creazione, a quelli dei credenti e persino a quelli dello  Spirito;  o  come  il  brano  che  introduce  la  2Cor  1,3-11  dove l’esperienza del pericolo di morte lo induce a benedire il Signore per la sua vicinanza nella consolazione. Ascoltiamo.
 
Lettura 2Cor. 1,3-11
 
Il dolore è inscritto nel DNA dell’esistenza umana… è dentro di noi… ogni giorno si muore un po’.  Il messaggio cristiano non pretende di risolvere il dolore né la tragicità del vivere, ma lo rende persino più evidente sino a concepire in esso il coinvolgimento  misterioso  dello  spirito  che  “  intercede  con  gemiti inesprimibili  ” (cfr. Rm 8,26). Quanti si avvicinano al messaggio cristiano con la richiesta-pretesa di risolvere o addolcire a buon mercato il senso
del dolore, sono destinati a restare delusi, perché questo non ne proclama la  liberazione  ma ne  illustra  l’attraversamento  con  percorsi  tortuosi  di coinvolgimento  e  condivisione.  Come  mai,  dunque,  color  che  sono  stati liberati dal peccato e dalla morte continuano a soffrire? (“non faccio il bene che voglio ma metto in pratica il male che non voglio” Rm. 7,19s). E perché la lotta contro il peccato, pur essendo in gran parte vinta a causa della  croce  di  Cristo  e  dell’azione  dello  Spirito,  prosegue  nella  loro esistenza? Ascoltiamo  la  risposta  di  Paolo  a  riguardo:  “  Ritengo  che  le  attuali sofferenze non contrastano con la gloria che dovrà essere rivelata in noi. L’attesa  della  creazione  è  in  ansia  per  la  rivelazione  dei  figli  di  Dio… sappiamo che tutta la creazione congeme e consoffre fino ad ora nelle doglie del parto. Non soltanto, ma anche noi che possediamo la primizia dello  Spirito  gemiamo  in  noi  stessi,  mentre  siamo  in  attesa  della figliolanza, della redenzione del nostro corpo  ” (Rm 8,15-23). I credenti danno voce alla sofferenza e al gemito della creazione per condividerli, nell’attesa della redenzione definitiva, con la loro esperienza del dolore. 
 
La prossimità di Dio
 
Nella benedizione che introduce la 2Cor, Paolo ringrazia il Signore per la sua prossimità in un momento di estremo pericolo: ricorda che poco prima, nella provincia romana dell’Asia (forse ad Efeso) ha rischiato di morire per una sentenza di morte che gli era stata comminata.  Diremo: non c’era più  nulla  da  fare!  Ma  il  Signore  lo  ha  liberato  da  tale  situazione
permettendogli di riprendere la corsa del proprio ministero a favore del Vangelo. Nel momento della sofferenza il Signore gli è stato vicino e lo ho consolato  con  la  sua  presenza  paterna:  si  è  chinato,  come  il  buon samaritano, e “  ha versato sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della  speranza  ”.  La  consolazione  che  Paolo  ha  ricevuto  ha  superato  la tribolazione che lo ha rafforzato ed esortato a riprendere il cammino con
rinnovata energia.  L’esperienza del dolore è terribile perché può indurre alla perdita della
dignità umana, ma in tali occasioni la vicinanza consolante di Dio diventa il punto  fermo  che  orienta  nel  tunnel  buio  del  dolore.  Il  cristianesimo diventa  così  non  la  religione  dei  vinti  o  di  chi  sconfitto  si  aggrappa  al sonno, ma un imparare ogni giorno a confidare in Lui per riconoscerlo come unica  certezza  nelle  tribolazioni.  Tuttavia  chi  non  si  educa
quotidianamente  a  riporre  in  Lui  la  propria  speranza,  soprattutto  nel tempo della gioia e della serenità, non sarà capace di riconoscerlo come il consolatore nel momento del dolore e della tristezza. Bisogna educarsi ogni  giorno  a  convivere  con  il  dolore  e  a  maturare  nella  fiducia  per  il Signore che consola pur nel silenzio più assordante della sua presenza.
 
Verso la condivisione della sofferenza
 
L’esperienza  del  dolore  trasforma  di  una  trasformazione  molto  più radicale di quanto sia quella prodotta dall’amore. Il credente sperimenta nel dolore una misteriosa condivisione alla croce di Cristo o per meglio dire partecipazione alle sue sofferenze. Per Paolo poi questa condivisione viene  percepita  come  una  delle  credenziali  più  importanti  e  reali  che
gratifica  il  suo  ministero  di  apostolo  di  Cristo.  È  di  fronte  al  suo lamentarsi la risposta di Cristo diventa per lui conferma: ”  ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si compie nella debolezza  ” (2Cor. 12,9). A motivo di tale garanzia altrove Paolo affermerà: “  siamo infatti tribolati da  ogni  parte,  ma  non  schiacciati;  siamo  sconvolti  ma  non  disperati;   
perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la necrosi di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifestata nella nostra carne mortale” (2Cor 4,8-11).    La partecipazione alla morte –resurrezione di Cristo non si realizza in un momento né avviene fuori di noi, ma occupa lo spazio di tutta un’esistenza e  si  compie  nelle  profondità  del  nostro  vissuto.  Ecco  perché  Paolo  non parla  semplicemente  di  morte  di  Cristo  ma  di  necrosi  che  esprime  un progressivo  e  lento  morire  dell’essere.  Paolo  inoltre  motiverà  la
condivisione  della  necrosi  e  della  vita  di  Gesù:  ”  affinché  noi  possiamo consolare  coloro che  sono i  ogni  tribolazione  ”  (2Cor1,4).  La  sofferenza allora rende più fratelli e dona la capacità di farsi carico delle sofferenze altrui. Alla luce di tutto questo penso proprio che uno dei ministeri che abbiamo  bisogno  di  riscoprire  nelle  nostre  comunità  è  quello  della consolazione, citato d Paolo in Rm  12,8: non sappiamo più condividere le gioie e le sofferenze degli altri , reclinati come siamo su noi stessi. 

Maria modello di gestazione
 
Paolo rivolgendosi ai cristiani della Galazia dirà: “  figli miei che di nuovo genero  nel  dolore  finchè  non  sia  formato  in  voi  Cristo  ”  (Gal  4,19).  Il dolore  dei  credenti,  come  di  tutti  gli  esseri  umani,  appartiene all’imperscrutabile disegno divino; la finalità più alta di questo dolore si esprime  nell’aiutare  gli  altri  nel  corso  della  gestazione  di  Cristo  in  se stessi.  Esemplare  a  riguardo  è  il  percorso  della  gestazione  di  Maria, madre di Gesù, realizzato dallo Spirito. Sant’Agostino nel   De Verginitate 3,3   affermerà: “  il fatto di essere madre non sarebbe servito a nulla a Maria se non avesse portato Cristo più felicemente nel cuore che nella carne  ”.  Lo  stesso  Spirito  che  ha  adombrato  Maria  con  la  sua  potenza, adombra la vita della Chiesa e di ogni credente perché Cristo sia formato in noi: se Cristo non si forma in noi e non assumiamo la sua forma, non si realizza alcuna trasformazione cristiana, ma si verificano aborti continui. Non  a  caso  Sant’Ambrogio  conclude  la  propria  riflessione  sui  misteri scegliendo la madre di Gesù come modello esemplare di gestazione per Cristo: “se dunque lo Spirito Santo scendendo sopra una vergine operò il concepimento e compì la funzione generativa, non si deve certo dubitare che lo Spirito, scendendo sul fonte o su quelli che ottengono il Battesimo, operi la realtà della rigenerazione” (I misteri 59). 
Non è difficile partecipare alla vita della Chiesa quando siamo ben accolti o quando ci  è riservato lo spazio che si adatta alle nostre qualità umane, alle nostre attitudini o per meglio dire quando si adatta ai carismi ricevuti dallo  Spirito.  Diventa  quanto  mai  arduo  invece,  sentirsi  membra  della comunità quando non siamo abbastanza corrisposti o quando non lo siamo affatto! Proprio in questi frangenti diventa evangelico “  spendersi  ” per gli altri  (cfr.  2Cor  12,15)  con  tutte  le  incomprensioni  che  il  dono  di  sé comporta:  “  perciò  sono  lieto  delle  sofferenze  che  sopporto  per  voi  e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del  suo  corpo  che  è  la  Chiesa  ”  (Col.  1,24).  Al  culmine  di   addio  monti…Alessandro Manzoni scriverà che Dio “  non turba mai la gioia de’ suoi figli,
se non prepararne loro una più certa e più grande  ” (I promessi sposi 8).
 
Con  don  Tonino  Bello  facciamo  nostro  il  gemito  umano  di  chi  soffre  e
invoca Maria:
 
Santa Maria, vergine della notte,
noi ti preghiamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
e irrompe la prova,
e sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni,
o l’ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell’ora del nostro Calvario,
Tu, che hai sperimentato l’eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
vergine dell’avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l’aurora.
Così sia.
 

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