Salmo 50 (51) – (lectio)

dal sito:

http://www.sanbiagio.org/lectio/libri_poetici_sapienziali/preghiera_richiesta_perdono.htm

Salmo 50 (51) – (lectio)

La bellezza e l’importanza vitale di questo salmo, proprio alla scoperta di un cammino di preghiera, è così espresso da Charles de Foucauld. « E’ un compendio di adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. A partire dalla considerazione di noi stessi e dalla vista dei nostri peccati, questo salmo sale fino alla contemplazione di Dio passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini » (citato da Ravasi G. Il libro dei salmi. Voll. II, EDB pag 13).
Questo salmo attraversa tutta la storia della spiritualità. Costituisce lo schema interno alle Confessioni di S. Agostino; è stato meditato e commentato da uomini come S. Gregorio Magno, il Savonarola, Lutero e Dostoevskij. Musicisti come Bach, Donizzetti e altri più recenti l’hanno musicato. Grandi pittori come G. Rouault si sono ispirati ad esso. « Meditandolo e pregandolo noi entriamo nel cuore dell’uomo e della storia » (C. M. Martini).

A lungo, come dicono i vv. 1-2, si è pensato che l’autore fosse Davide. Dal suo cuore sarebbe sgorgato il salmo dopo il suo adulterio con Betsabea, l’uccisione del marito Uria e l’ascolto della provocatoria parabola del profeta Natan (Cf 2Sam 11-12).
Oggi, gli esegeti sono invece propensi a cogliere, nel salmo, elementi teologici tipici dei profeti, specie di Geremia. Sarebbe dunque databile intorno al IV sec. a.C. dopo l’esilio babilonese. Va comunque sottolineato che la carica esistenziale, giunta dai profeti, ha fatto rielaborare in forma di preghiera personale, adatta a tutti i tempi, un’esperienza autentica di peccato e di conversione, nel più fiducioso ricorso a Dio.

E’ tale da farci cogliere una cosa importantissima nel rapporto coscienza del peccato e nostra preghiera: al centro – luce liberazione e salvezza – c’è la giustizia salvifica di Dio che è una sola cosa con la sua misericordia.
Lui è più grande di ogni nostro peccato: Sulla bilancia: peccato-Dio il piatto che pesa di più è quello dell’ « Esserci di Dio » ed « Esserci » come Misericordia.
La struttura risulta una grande armonia scandita da queste parti:

Introduzione: vv. 1-2 Si attribuisce il Salmo a Davide caduto in grave colpa.

vv.1-8 Si esplicita una consapevolezza acuta e dolorosa del peccato come enorme male. I verbi sono tutti all’indicativo ed esprimono dei fatti, degli errori commessi, in sostanza, contro Dio.

vv. 9-14 Si esprime la supplica. La percezione di Dio qui è certezza che Egli è assoluta fonte di perdono di grazia di rigenerazione e di gioia. I verbi sono all’imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia ecc.

vv. 15-19 Riguarda il futuro: quel che il salmista intravede come progetto di Dio. I verbi sono al futuro: insegnerò, la mia lingua acclamerà.

vv. 20-21 Appendice liturgica che è stata aggiunta in seguito.

vv. 3-5 « Pietà di me, o Dio secondo la tua bontà, secondo l’immensa tua misericordia, cancella le mie trasgressioni ».
Esordio importantissimo! L’accento è messo su Dio, anche se è forte il senso del peccato. Viene in mente quello che l’esegeta A. Gelin ha chiamato il « biglietto da visita di Dio nell’A.T. »: Jaweh, Jaweh, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione (Es 34,6-7).
Attingendo poi all’immagine di Dio – Padre che ci ha svelato Gesù, come non pensare a Lc 15 e a quella che si può dire la descrizione della psicologia del Padre misericordioso, nella parabola di Lui che accoglie e perdona? Interessante notare che il salmista dice: « secondo la tua misericordia » e non « nella tua misericordia » o « perché sei misericordioso ». L’accento è messo sull’ »intuire » (pur senza riuscire a capire!) l’enorme sproporzione tra il modo di essere dell’uomo e questa misericordia che è il modo di essere di Dio.
Le parole ebraiche tradotte con misericordia sono « hesed » e « rahamin ». Hesed esprime l’atteggiamento di Dio: lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà, tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore.
Dio è colui che io non pretendo di conoscere: però posso essere certo/a che per Lui sono importante, talmente Egli ha cura di me, « perfino dei capelli del mio capo », per dirla con Gesù! (cf Mt 10,30; Lc 12,7)
Hesed è uno dei vocaboli fondamentali sia della teologia salmica che di quella dell’Alleanza (ricorre 245 volte nell’A.T., di cui 127 solo nei salmi).
Ma è pure importante il termine rahamin (plurale di rehem) che evoca le viscere materne, simbolo archetipo dell’amore tutto donato. « Si dimentica forse una madre del suo bambino? Anche se ciò avvenisse, io non ti dimenticherò mai » (cf Is 49,15 e 30,18).
Nel Talmud « Misericordioso » è quasi il cognome di Dio che è così definito nella sua realtà più intima.

vv. 4-7 « Lavami dalla mia colpa, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia trasgressione, il mio peccato mi è sempre dinanzi. Contro te solo ho peccato ».
Con una ripetizione martellante ora il salmista porta alla ribalta il peccato, scoperto in tutta la sua nequizia. In ebraico sono usate tre parole di molto peso: Ht’= peccato; pèsa= colpa; awon= trasgressione e ribellione.
L’idea che il salmista ci comunica è che il peccato è il male fondamentale in sostanza, è l’unico vero male dell’uomo. Spezza infatti l’Alleanza nuziale con Dio; è uno sbandamento, è fallire il colpo nel « tiro a segno » della vita; è la rivolta contro Dio, fonte della vita e della gioia. In Es 21,8; Ger 3,20; Is 1,20; 50,5 emerge un’idea precisa dell’assoluta distruttività del peccato. Se Dio infatti costruisce pace e armonia in noi e nella storia, mediante la nostra libera adesione alla sua Legge, il peccato rovina e distrugge l’uomo e ciò che è correlato a lui perché si propone come volontà e progetto alternativo all’unica fonte di bene che è Dio.
v. 8 « Ecco, tu ami la verità della coscienza e nel mio intimo mi fai conoscere la sapienza ».
E’ un versetto che fa scivolare in un certo senso la prima nella seconda parte del salmo. Viene espresso che la coscienza lucida e forte di quello che è il peccato non trova però soluzione attraverso un rituale magico ma attraverso il sincero umiliarsi del cuore consapevole di aver fatto un gran « guasto »; un cuore però nello stesso tempo fiducioso nel perdono di Dio e nella possibilità di ricominciare con Lui a scegliere « la via della vita ».
E’ il « vuoto » del cuore contrito e umiliato che permette poi l’irrompere in noi della sapienza come capacità di vedere e decidere secondo ciò che piace a Dio.

vv. 9-11 « Purificami… lavami. Distogli il tuo volto dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe ».
Il salmo qui diventa supplica la cui forza è espressa dai verbi all’imperativo. Le immagini intensificano, attraverso la loro espressività simbolica, l’anelito alla purificazione. L’issopo è un’erba aromatica connessa al rito dell’agnello pasquale (Es 12,22), mentre la neve parla di un rinnovato candido splendore al cuore che viene perdonato da Dio (cf Is 1,18).
Anche l’immagine antropomorfica del « volto » di Dio (cf v. 11 e v. 13) approfondisce questo parlare con Dio, perché il volto è espressione, a volte dello sdegno e della punizione di Dio che non può sopportare il peccato (cf Sl 38,2; 90,8) così com’è espressione soprattutto della fonte di grazia e di pacificazione: « Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria » (Sl 30,8). Per questa persuasione il salmista è arrivato ora a pregare: « Fammi sentire gioia e allegria, esulteranno le ossa che hai spezzato » (v. 10). Il perdono infatti provoca una gioia che afferra tutto l’essere umano, anche nella sua realtà fisica ( le « ossa »).
Sentiamo risuonare Isaia: « Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore e le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca » (Is 66,4).

vv. 12-14 « Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo ».
La supplica diventa il grido di chi sempre più conosce Dio e, in preghiera, impara a conoscere se stesso alla Sua luce, chiedendo la forza del suo Spirito. Interessante il fatto che, nel testo ebraico, appaiono tre intense invocazioni allo Spirito Santo. L’italiano traduce: « sostieni in me uno spirito generoso », ma il testo originale dice: « rafforzami col tuo Spirito generoso ». Il senso è molto più consolante!
Siamo al momento culminante del salmo: è un’epiclesi penitenziale simile all’epiclesi nella Consacrazione, momento vertice della celebrazione eucaristica.
Importantissimo anche il termine « crea ». E’ il primo verbo della Bibbia: « In principio Dio creò il cielo e la terra » (Gn 1,1). La Bibbia riserva questa parola solo per Dio che fa sgorgare l’essere, l’assoluta novità dal nulla.
Solo Dio crea! L’uomo può ricevere l’essere, non lo dà. Correlata a questa richiesta di nuova creazione è l’altra supplica: « rendimi la gioia », nel testo originale: « fa risorgere in me la gioia ».
Il senso che viene da questa correlazione è profondo: dove c’è vera conoscenza di Dio e del suo perdono può esserci gioia vera, intensa!

vv. 15-19 « Insegnerò ai ribelli le tue vie (…) la mia lingua acclamerà la tua giustizia (…). Un cuore contrito e umiliato, o Dio, tu non disprezzi ».
E’ un finale fortemente intriso di speranza! Chi ha sperimentato lo forza travolgente della misericordia e « conosce » d’essere stato « ri-creato » da Dio, diventa un testimone, uno che sente l’urgenza dell’annuncio .
Sempre però anche quest’azione missionaria è sostenuta da Dio che ne è il propulsore. Quel Dio che non gradisce sacrifici e olocausti (v.18) formalistici e vuoti d’amore, unisce invece intimamente a sé lo spirito, meglio ancora il cuore che ha saputo entrare nell’umile e piena contrizione.

vv. 20-21 « Nel tuo amore favorisci Sion (…). Allora amerai i sacrifici legittimi ».
Gli esegeti hanno letto qui un’appendice liturgica, di valore secondario. Non è più solo il peccatore che si pente e chiede il perdono; è tutto il popolo che domanda a Dio di dimenticare le sue ribellioni e di gradire nuovamente gli olocausti, i riti d’Israele.

Se voglio imparare a pregare, è bene ch’io impari anzitutto a conoscere Dio nella sua identità di AMORE – MISERICORDIA e anche a conoscere me nella mia identità di persona che ha peccato.
Troppo spesso si prega con una conoscenza molto vaga sia di Dio che di se stessi. Si ha l’idea di un « paparone » quasi nonno e bonaccione, oppure di un giudice irato; un dio supportato da devozionalismi vari, la cui immagine si gioca nelle oscure paure della psiche o viene imbrattata da tante banalità di catechesi e omelie malfatte, da libercoli spiritualistici; oppure l’idea è di un Dio astratto da teologia impregnata di raziocinio. Un dio… non un Dio vivente, un Dio « tappabuchi »! Non Dio-Amore, Misericordia infinita!
Si prega anche con una cattiva coscienza di se stessi senza sufficiente capacità di giudizio su di sé.
Perfino confessandosi, il credente a volte più che accusare sé cerca giustificazioni, attenuanti, accusando gli altri. Scrive il Card. Martini: « Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei peccati; ne è però la premessa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che è solo mio e non va, l’ho fatto io e lo disapprovo » (La scuola della Parola. Mondadori, 1995 p. 46).
Bisogna dunque prendere coscienza che se, nelle mostre confessioni e nell’atteggiamento di fondo del nostro essere, siamo sempre propensi a scusare noi e ad accusare gli altri, siamo lontani dalla conoscenza di noi e tanto più dalla realtà del pentimento cristiano.
Un’altra presa di coscienza per aprirci alla ricchezza di questo salmo, riguarda il nostro contesto socioculturale. E’ molto bello che finalmente si parli anche di « peccato sociale » di « strutture di peccato », nella consapevolezza che il peccato tocca la Chiesa, disgrega la società e inquina gli aspetti politici ed economici delle comunità nazionali e mondiali.
Questo salmo però ci ricorda che, dietro ogni volto d’uomo, dentro ogni situazione umana, Dio è la grande Presenza. Quando io tratto male qualcuno, lo inganno, gli nego aiuto, è Dio che io tratto male e offendo! Il salmista infatti non dice: « Ho peccato » ma « Ho peccato contro di Te ». Ed è sulla scorta di tutto il salmo che il nostro pregare chiedendo perdono a Dio lungi da farci affondare nel deprimente senso di colpa, ci fa rimbalzare nella piena fiducia. « Il mio peccato mi è sempre davanti », « Quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto » dico con piena verità, ma senza indugiare con sguardo depresso sulle mie bassezze e miserie; perché volgendomi a Dio, grido a Lui con piena fiducia: « Pietà di me secondo la tua bontà, secondo l’immensa tua misericordia ».

- Quando prego, dopo una caduta, che idea ho di Dio nel mio cuore? Sono persuaso della sua infinita misericordia?

- Ho consapevolezza dell’enormità del peccato e riconosco lealmente qual è il peccato in cui più spesso cado? Oppure scivolo nella confusione e nella superficialità spirituale che tende a scusare me e a colpevolizzare gli altri?

- Vado a Dio oppresso/a da sensi di colpa o, mettendomi alla sua Presenza riconosco e consegno il mio peccato nella certezza del perdono di Dio?

- Peccato personale e sociale: radice di tutto è davvero, secondo me, l’aver rotto con Dio-Amore? Ne ho una persuasione inattaccabile?

Prego lentamente il salmo, mi soffermo sui versetti che più mi colpiscono, che rispondono, oggi, alla mia situazione spirituale. Li ripeto e memorizzo.
Non dimentico tra gli altri, quello che dice: « Crea in me un cuore puro, rendimi la gioia di essere salvato ». Lo mormoro sul ritmo del respiro.

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