Archive pour février, 2010

Icon depicting St. Paul ordaining St. Titus as the Bishop of Crete

Icon depicting St. Paul ordaining St. Titus as the Bishop of Crete  dans IMMAGINI (DI SAN PAOLO, DEI VIAGGI, ALTRE SUL TEMA) oapost%2520pavlos%2520xirotonon%2520titon

Icon depicting St. Paul ordaining St. Titus as the Bishop of Crete (taken from: http://www.imga.gr/apostolos_pavlos.htm)

http://full-of-grace-and-truth.blogspot.com/2009/08/holy-apostle-titus.html

Card. Tettamanzi – Omelia per i Vespri della Solennità di tutti i Santi (1999) – 2 Cor 6, 16b; 7, 1: Noi siamo il tempio del Dio vivente

dal sito:

http://www.diocesi.genova.it/documenti.php?idd=455

Noi siamo il tempio del Dio vivente

Omelia per i Vespri della Solennità di tutti i Santi (1999) – 2 Cor 6, 16b; 7, 1

(dovrebbe trattarsi dei secondi vespri ossia: 2 Cor 6, 16b; 7, 1 « Noi siamo il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo (Lv 26, 11-12; Ez 37, 27). In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio. »)

Cattedrale,
1 novembre 1999

La breve lettura che abbiamo ora ascoltato, tratta dalla seconda lettera di Paolo ai Corinzi, ci invita a riflettere ancora una volta sulla santità, come nostra vocazione, nostra grazia, nostro compito e nostro destino nel tempo e nell’eternità.

1. Che significa essere santi? Non dobbiamo avere alcuna paura di fronte a questa domanda, perché essere santi non è un privilegio offerto a pochi ma è una consegna data a tutti. Proprio per questo non possiamo sfuggire all’interrogativo così semplice e decisivo: che significa essere santi?
Ci risponde l’apostolo Paolo, sollecitandoci a fissare il nostro sguardo non su noi stessi ma innanzi tutto su Dio e sul suo amore, sul disegno mirabile ch’egli ha voluto progettare per noi. E’ un disegno che viene indicato con le parole di una solenne promessa, che tante volte è stata fatta al popolo di Dio. Leggiamo nel libro del Levitico: « Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e io non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo » (Lev 26, 11-12). E nel libro del profeta Ezechiele: « In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo » (Ez 37, 27).
Dunque c’è una promessa da parte di Dio: nessuno di noi, allora, può dubitare. Siamo certi che Dio è assolutamente fedele alla sua parola: egli compie quanto dice! Il disegno che promette è una realtà viva per noi e in noi. Dio non solo abita in mezzo a noi, non solo cammina con noi: egli è in noi, nell’intimo del nostro essere e del nostro cuore. Come scrive l’apostolo Paolo: « Noi siamo il tempio del Dio vivente » (2 Cor 6, 16).
Santo è chi vive con il Signore, chi gode della sua presenza, di una presenza così silenziosa e soave ed insieme così eloquente e forte, quella di Dio uno e trino, del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Questa esperienza spirituale Dio la offre a tutti i cristiani che vivono in grazia, secondo la parola esplicita di Gesù: « Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui » (Gv 14, 23).
E’ un’esperienza che tutti noi cristiani siamo chiamati a percepire nella fede e a vivere nell’amore in una maniera più intensa durante l’imminente Grande Giubileo del 2000, ordinato com’è alla glorificazione della santissima Trinità. Proprio in questa direzione ho inteso attirare l’attenzione di tutti con la Lettera pastorale « Nel cuore della Trinità ». Certo, non a tutti il Signore dà la grazia della contemplazione e della gioia dei mistici. A tutti però egli chiede di crescere nella vita di grazia e di santità, e dunque di essere più consapevoli della Trinità presente e operante nel nostro cuore. I grandi santi, con la loro testimonianza, possono ravvivare il nostro desiderio e intensificare il nostro impegno. Riascoltiamo, ad esempio, qualche risonanza della straordinaria esperienza di santa Caterina da Siena, che nella sua preghiera infuocata così si esprime: « Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, poù cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce… O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni fredezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Ti cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna! » (Dal « Dialogo della Divina Provvidenza »).

2. « Noi siamo il tempio del Dio vivente ». Questa realtà di grazia, che è dono e frutto della promessa divina che si compie, coinvolge la nostra libertà e impegna la nostra responsabilità: se Dio è il nostro Dio e noi siamo il suo popolo, la nostra vita concreta – ossia i nostri pensieri, sentimenti, desideri, propositi, scelte e azioni – deve svolgersi alla presenza di Dio, anzi deve realizzarsi in intima comunione di amore e di vita con Dio. Sempre, in ogni momento o di gioia o di sofferenza e in ogni attività, anche la più umile e faticosa, noi siamo il tempio del Dio vivente.
Di qui il compito preciso che ci viene affidato: non dobbiamo rovinare o sciupare la bellezza spirituale di questa fisionomia e dignità che Dio ha plasmato in noi. L’esperienza di Israele e di ciascuno di noi ci fa avvertiti della triste possibilità – che è anche per noi – di rifiutare l’amore di Dio o comunque di non corrispondere adeguatamente alla sua tenerezza di Padre e di Sposo. Possiamo svuotare di significato l’alleanza di Dio con noi. Possiamo romperla. Proprio per questo l’apostolo Paolo ci invita a percorrere ogni giorno la via della conversione: « purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio » (2 Cor 7, 1).

Non è forse questa la grande grazia che l’Anno Santo ci chiede di accogliere nel nostro cuore, come fonte di vita nuova?

X Dionigi Tettamanzi
Arcivescovo di Genova

Omelia (15-02-2010)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17297.html

Omelia (15-02-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
« Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? »

Come vivere questa Parola?
Il profondo respiro è sintomatico di qualcosa che fa soffrire Gesù. E quell’interrogativo che segue rende palese il motivo della sua disapprovazione.
La gente spesso, oggi come ieri, vuole un segno dall’Alto. Vuol mettere alla prova Dio e pretende d’interpretarne il volere. Se succede questo, vuol dire che Dio punisce. Se succede quest’altro, è segno che Dio benedice. Se a quel tale è venuto « un malaccio » (cancro, per esempio) è segno che Dio lo castiga, perché ha commesso questo male e quest’altro. Se la fabbrica di quel tale funziona a meraviglia e produce fior di quattrini, è segno che Dio lo benedice. È una « lettura » molto banale e fuorviante del modo di rapportarsi di Dio con noi. Anzitutto se entriamo un po’ nella conoscenza di lui come mistero, non ci sogniamo affatto di chiedere segni. Sappiamo una cosa: Dio è pura trascendenza, fuori, del tutto fuori e superiore infinitamente alle nostre categorie. La certezza però di fondo è questa: Dio è AMORE. Ce lo ha rivelato Lui, soprattutto con l’incarnazione la passione e la morte del Signore Gesù. È questo il vero segno. Di qui si evidenzia che è presuntuoso e stolto chiedere altri segni. Può darsi che Lui voglia darcene: quando e come crede. Ce lo farà capire. A noi il fidarci con pieno abbandono.

Signore, ti prego, fammi semplice nel cuore. E aumenta la mia fede, in modo che io sappia vedere gli infiniti segni della tua bontà nel « segno » superiore: il segno per eccellenza che è Gesù crocifisso e risorto che sospinge la storia ad approdi di salvezza.

La voce di un Padre della Chiesa
L’occhio della fede, con la pupilla della semplicità, riconosce la voce di Dio appena questa si fa sentire. La luce della sua parola si fa strada nell’uomo: egli le va gioiosamente incontro e la accoglie in sé.

Filosseno di Mabbug, 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 15 février, 2010 |Pas de commentaires »

San [Padre] Pio di Pietrelcina: « Perché questa generazione chiede un segno ? » : Credere, persino nell’oscurità

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100215

Lunedì della VI settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 8,11-13
Meditazione del giorno
San [Padre] Pio di Pietrelcina (1887-1968), cappuccino
OP ; GF 174 ; Ep 4,418

« Perché questa generazione chiede un segno ? » : Credere, persino nell’oscurità

        Lo Spirito Santo ci dice : Non lasciate il vostro spirito soccombere alla tentazione e alla tristezza, perché la gioia del cuore è vita dell’anima. La tristezza non giova a nulla e causa la morte spirituale.

        Succede a volte che le tenebre della prova soverchino il cielo della nostra anima ; ma sono proprio luce ! Grazie ad esse infatti, voi credete persino nell’oscurità ; lo spirito si sente sperso, teme di non vedere più, di non capire più. Eppure è proprio il momento in cui il Signore parla e si rende presente all’anima ; e questa ascolta, intende e ama nel timore di Dio. Per « vedere » Dio, non aspettate il Tabor (Mt 17,1) quando già lo contemplate sul Sinai (Es 24,18).

        Andate avanti nella gioia di un cuore sincero e spalancato. E se vi è impossibile mantenere questa gioia, almeno non perdete coraggio e conservate tutta la vostra fiducia in Dio.

Santi Cirillo e Metodio – festa oggi 14 febbraio

Santi Cirillo e Metodio - festa oggi 14 febbraio dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 14 février, 2010 |Pas de commentaires »

OMELIA DI PAOLO VI (14 febbraio 1969) : XI CENTENARIO DEL TRANSITO DI SAN CIRILLO APOSTOLO DELLE GENTI SLAVE

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1969/documents/hf_p-vi_hom_19690214_it.html

XI CENTENARIO DEL TRANSITO DI SAN CIRILLO APOSTOLO DELLE GENTI SLAVE

OMELIA DI PAOLO VI

Venerdì, 14 febbraio 1969

Oggi si compiono undici secoli dalla morte di San Cirillo, apostolo dei popoli slavi.

In questo sacro momento della concelebrazione, siamo intimamente lieti e commossi di vedere qui, stretti attorno all’altare del Sacrificio di Cristo, presso la tomba venerata del Principe degli Apostoli, un’eletta rappresentanza di quei popoli, venuti per ricordare quella data. E nel porgervi il Nostro saluto, non possiamo non pensare che sono con voi tutte le genti slave, a Noi tanto dilette; sappiamo che il loro cuore e il loro pensiero si rivolgono qui, dalle loro distese regioni sconfinate e lontane; sono qui idealmente raccolte, per cogliere insieme con voi il significato e il valore di quella grande figura, che, insieme col fratello Metodio, è rimasta come l’ideale, l’emblema, il simbolo della spiritualità e del genio slavo.

A voi e a loro, pertanto, Noi oggi Ci rivolgiamo: e nel riandare le tappe di una vita, che fu singolarmente feconda, Noi siamo certi di intrecciare un fraterno colloquio che non vorrebbe fermarsi più.

Come tutti sapete, egli nacque nell’anno 827 a Salonicco nell’impero bizantino e al battesimo ricevette il nome di Costantino. Però, prima di ‘morire a Roma, con la professione monastica, prese il nome di Cirillo, con il quale passò alla storia e nell’elenco dei Santi sia della Chiesa occidentale, sia di quella orientale.

Costantino-Cirillo, dotato di grande ingegno, acquistò profonda cultura profana e sacra durante i suoi studi a Costantinopoli, così che si meritò il soprannome di «Filosofo». Rifiutò le dignità e gli uffici profani offertigli dall’imperatore, ma accettò gli ordini sacri e l’ufficio di bibliotecario patriarcale prima e poi la cattedra di filosofia cristiana allo studio generale imperiale. Gli fu allora affidata anche una importante missione diplomatico-religiosa. Egli accompagnò in qualità di teologo-consigliere il legato imperiale inviato alla corte del califfo in Mesopotamia.

AMMIREVOLE VITA DI PREGHIERA E DI STUDIO

I turbolenti avvenimenti politici alla corte di Bisanzio indussero Cirillo a ritirarsi dall’insegnamento pubblico per raggiungere il suo fratello Metodio nel Monastero dell’Olimpo sulla riva asiatica del Bosforo, dove si dedicò alla vita di preghiera e di studio. Qui lo raggiunse un altro incarico imperiale, – la missione religioso-diplomatica presso i Chazari al Mare Caspio. Rientrando da questa missione Cirillo portò con sé a Costantinopoli le reliquie di S. Clemente papa e martire, che egli scoprì in Crimea nel luogo indicato dalla tradizione locale.

Dopo breve tempo arrivarono a Costantinopoli gli inviati del principe Rostislavo, sovrano della Grande Moravia. Egli chiedeva un maestro che conoscesse bene la lingua slava, affinché provvedesse alla più completa istruzione religiosa dei suoi sudditi, già in buona parte cristiani come il principe stesso. La scelta imperiale cadde anche questa volta su Cirillo, già esperto in simili missioni. Cirillo, prima di partire, compose il nuovo alfabeto per la lingua slava e incominciò la traduzione del Vangelo. In tal modo egli diede inizio alla letteratura slava scritta. Poi Cirillo, insieme col fratello Metodio e con un gruppo di discepoli di origine slava o per lo meno pratici della lingua slava, lasciò Costantinopoli e si diresse in Moravia, portando con sé anche le reliquie di San Clemente. In Moravia Cirillo e Metodio continuarono la traduzione in slavo della Sacra Scrittura e dei libri liturgici e istruirono nelle lettere e nella religione numerosi giovani affidati loro dal principe. L’uso della lingua del popolo non solo nella predicazione, ma anche nella liturgia, fu il segreto del grande successo dell’opera missionaria di Cirillo, che la continuò per tre anni e mezzo circa. Poi, preso con sé un gruppo dei migliori discepoli giudicati degni degli ordini sacri, parti col fratello Metodio per Roma, rispondendo all’invito giuntogli dal Pontefice Romano. Alle porte di Roma questi pellegrini furono accolti da una processione del clero e del popolo guidata personalmente dal Papa Adriano II, perché portavano con sé le reliquie di San Clemente. Il Papa poi ricevette Cirillo e i suoi collaboratori in udienza solenne nella basilica di Santa Maria Maggiore ed approvò i libri liturgici nella lingua slava. Alcuni discepoli di Cirillo ricevettero gli ordini sacri e celebrarono la Messa e il divino Ufficio in slavo nelle principali chiese romane.

INSEGNAMENTI SEMPRE VALIDI DI PERFETTA VERITÀ

Il soggiorno romano della missione morava fu rattristato dalla grave malattia di Cirillo, il quale scongiurò il fratello Metodio di non abbandonare la missione morava per l’amore della vita monastica. Prima di spirare Cirillo pregò: «Signore mio Dio, ascolta la mia preghiera e custodisci il tuo gregge fedele, al quale avevi preposto me, tuo servo inutile e indegno. Fa’ crescere la tua Chiesa in numero, mantieni tutti uniti e fa’ il popolo concorde nella confessione della tua vera fede ed inspira nei loro cuori il verbo del tuo insegnamento». E, così pregando, Cirillo rese lo spirito il 14 febbraio 869, in età di 42 anni. Il fratello Metodio voleva trasportare la salma di Cirillo in patria, secondo il desiderio della loro madre; ma, poi, cedette alle insistenze del Papa e del clero romano e così Cirillo fu sepolto nella basilica di San Clemente, di cui egli aveva portato le reliquie a Roma.

La vita e l’opera di San Cirillo è feconda di insigni meriti, dai quali scaturiscono esempi e insegnamenti validi ancora oggi.

Il primo grande merito di San Cirillo è indubbiamente il fatto che egli abbia inventato un alfabeto per la lingua slava e abbia cominciato la versione della Sacra Scrittura e della liturgia in slavo. Con questo egli pose l’inizio della letteratura scritta dei popoli slavi. Certamente la sua intenzione era di diffondere in primo luogo il cristianesimo. Ma con la cultura religiosa erano allora strettamente legati anche la cultura e il progresso civile. I meriti del cristianesimo per il progresso culturale e civile dei popoli slavi sono chiaramente dimostrati dalle opere letterarie, dai monumenti d’arte e dalla loro storia. Tanti degni vescovi e sacerdoti, ispirandosi all’opera religiosa e culturale di San Cirillo, hanno guidato i popoli slavi nelle ore difficili della loro storia, hanno risvegliato e mantenuto nel popolo la coscienza nazionale. Il dovere di voi tutti, eredi spirituali di San Cirillo, è di rimanere fedeli al carattere cristiano della vita culturale e sociale dei popoli slavi, difendendolo e sviluppandolo con tutte le vostre forze buone ed oneste.

LA LITURGIA IN LINGUA PALEOSLAVA

Un altro merito insigne di San Cirillo fu quello di aver iniziato la liturgia sia bizantina che romana in lingua slava, perché voleva la partecipazione consapevole del popolo al culto divino. Questa sua opera liturgica sopravvisse fino ad oggi, specialmente in rito bizantino-slavo. Anche se attraverso i secoli si sono sviluppate le differenti lingue parlate dai singoli popoli slavi, la loro terminologia religiosa tuttavia mostra anche oggi i chiari segni della derivazione dalla lingua liturgica cirilliana. Il Concilio Vaticano II, nel suo aggiornamento liturgico e pastorale, ha disposto che il culto divino sia celebrato nella lingua propria di ciascun popolo. Così ha confermato il principio tanto difeso da San Cirillo.

Perciò diffondendo oggi la lettura delle Sacre Scritture e la celebrazione delle sacre funzioni anche nella lingua propria di ciascuno dei vostri popoli, non fate che continuare l’opera iniziata da San Cirillo. San Cirillo con grande sollecitudine educava e istruiva i giovani, futuri collaboratori e continuatori della sua opera. I migliori di essi condusse con sé a Roma, affinché questo soggiorno nel centro. della cristianità coronasse la loro preparazione al sacerdozio. Anche oggi la conveniente preparazione dei futuri sacerdoti è di massima importanza per la conservazione e lo sviluppo dell’eredità spirituale di San Cirillo presso, i vostri popoli. In modo particolare a questo , contribuirà il soggiorno dei giovani chierici nei collegi ecclesiastici che le vostre nazioni hanno a Roma. Qui nel centro della cattolicità insieme con lo studio delle scienze sacre essi consolideranno il loro attaccamento al supremo magistero della cattedra di San Pietro.

AMORE PER LA CHIESA: GLORIOSA TRADIZIONE

L’amore della Chiesa universale di Cristo, che abbraccia tutti i popoli sotto la guida del Pontefice Romano, era il fulcro dell’opera e degli insegnamenti di San Cirillo. Egli dedicò le proprie energie intellettuali e fisiche alla diffusione del cristianesimo presso i popoli slavi, allora ben inferiori ‘a Bisanzio culturalmente e socialmente. Egli rispettava le loro particolarità etniche, li stimava tutti uguali in Cristo e così cercava di inserirli nel seno della Chiesa universale. Proprio ai suoi tempi venne in grave crisi la comunione della Chiesa bizantina con la Sede Apostolica Romana. In questi frangenti difficili della storia della Chiesa, San Cirillo, nonostante il suo patriottismo bizantino e le sue amicizie personali, seguì la via giusta sia nella dottrina sia nella prassi. Egli professò sempre il primato del Pontefice Romano e sottopose al giudizio della Sede Apostolica le sue innovazioni liturgiche, la sua opera letteraria, i problemi della sua attività missionaria. Anche in questo San Cirillo sia di esempio a voi. Solo nella comunione con la Sede Apostolica potrete trovare la giusta soluzione dei vostri problemi religiosi. Strettamente uniti al Successore di Pietro potrete aprirvi sempre più al sano ecumenismo ecclesiale verso i vostri fratelli separati, come avete fatto già in passato. Nello spirito di San Cirillo avete celebrato i Congressi di Velehrad, nell’amore e rispetto dei fratelli separati fu fondato e operò l’Apostolato dei Santi Cirillo e Metodio. Continuate secondo le vostre forze questa gloriosa tradizione.

Il vostro grande Apostolo S. Cirillo riposa ora in una basilica romana accanto al Papa e Martire San Clemente. Così anche voi siate fedeli agli esempi ed insegnamenti di San Cirillo e siate anche sempre fiduciosamente custodi della comunione con i Pontefici Romani. In tal modo per l’intercessione dei Santi Clemente, Cirillo e Metodio Dio proteggerà sempre i vostri popoli, farà fiorire nelle vostre patrie la vita cristiana e con essa la vera pace di Cristo.

OGGI 14 FEBBRAIO SANTI CIRILLO E METODIO, PATRONI D’EUROPA, CATECHESI DI PAPA BENEDETTO (17 GIUGNO 2009)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20090617_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 giugno 2009  

Santi Cirillo e Metodio

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare dei Santi Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, detti apostoli degli slavi. Cirillo nacque a Tessalonica dal magistrato imperiale Leone nell’826/827: era il più giovane di sette figli. Da ragazzo imparò la lingua slava. All’età di quattordici anni fu mandato a Costantinopoli per esservi educato e fu compagno del giovane imperatore Michele III. In quegli anni fu introdotto nelle diverse materie universitarie, fra le quali la dialettica, avendo come maestro Fozio. Dopo aver rifiutato un brillante matrimonio, decise di ricevere gli ordini sacri e divenne “bibliotecario” presso il Patriarcato. Poco dopo, desiderando ritirarsi in solitudine, andò a nascondersi in un monastero, ma fu presto scoperto e gli fu affidato l’insegnamento delle scienze sacre e profane, mansione che svolse così bene da guadagnarsi l’appellativo di “Filosofo”. Nel frattempo, il fratello Michele (nato nell’815 ca.), dopo una carriera amministrativa in Macedonia, verso l’anno 850 abbandonò il mondo per ritirarsi a vita monastica sul monte Olimpo in Bitinia, dove ricevette il nome di Metodio (il nome monastico doveva cominciare con la stessa lettera di quello di battesimo) e divenne igumeno del monastero di Polychron.

Attratto dall’esempio del fratello, anche Cirillo decise di lasciare l’insegnamento per recarsi sul monte Olimpo a meditare e a pregare. Alcuni anni più tardi però, (861 ca.), il governo imperiale lo incaricò di una missione presso i khazari del Mare di Azov, i quali chiedevano che fosse loro inviato un letterato che sapesse discutere con gli ebrei e i saraceni. Cirillo, accompagnato dal fratello Metodio, sostò a lungo in Crimea, dove imparò l’ebraico. Qui ricercò pure il corpo del Papa Clemente I, che vi era stato esiliato. Ne trovò la tomba e, quando col fratello riprese la via del ritorno, portò con sé le preziose reliquie. Giunti a Costantinopoli, i due fratelli furono inviati in Moravia dall’imperatore Michele III, al quale il principe moravo Ratislao aveva rivolto una precisa richiesta: “Il nostro popolo – gli aveva detto – da quando ha respinto il paganesimo, osserva la legge cristiana; però non abbiamo un maestro che sia in grado di spiegarci la vera fede nella nostra lingua”. La missione ebbe ben presto un successo insolito. Traducendo la liturgia nella lingua slava, i due fratelli guadagnarono una grande simpatia presso il popolo.

Questo, però, suscitò nei loro confronti l’ostilità del clero franco, che era arrivato in precedenza in Moravia e considerava il territorio come appartenente alla propria giurisdizione ecclesiale. Per giustificarsi, nell’867 i due fratelli si recarono a Roma. Durante il viaggio si fermarono a Venezia, dove ebbe luogo un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta “eresia trilingue”: costoro ritenevano che vi fossero solo tre lingue in cui si poteva lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e la latina. Ovviamente, a ciò i due fratelli si opposero con forza. A Roma Cirillo e Metodio furono ricevuti dal Papa Adriano II, che andò loro incontro in processione per accogliere degnamente le reliquie di san Clemente. Il Papa aveva anche compreso la grande importanza della loro eccezionale missione. Dalla metà del primo millennio, infatti, gli slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le due parti dell’Impero Romano, l’orientale e l’occidentale, che erano già in tensione tra loro. Il Papa intuì che i popoli slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione tra i cristiani dell’una e dell’altra parte dell’Impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione dei due Fratelli nella Grande Moravia, accogliendo e approvando l’uso della lingua slava nella liturgia. I libri slavi furono deposti sull’altare di Santa Maria di Phatmé (Santa Maria Maggiore) e la liturgia in lingua slava fu celebrata nelle Basiliche di San Pietro, Sant’Andrea, San Paolo.

Purtroppo a Roma Cirillo s’ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, volle consacrarsi totalmente a Dio come monaco in uno dei monasteri greci della Città (probabilmente presso Santa Prassede) ed assunse il nome monastico di Cirillo (il suo nome di battesimo era Costantino). Poi pregò con insistenza il fratello Metodio, che nel frattempo era stato consacrato Vescovo, di non abbandonare la missione in Moravia e di tornare tra quelle popolazioni. A Dio si rivolse con questa invocazione: “Signore, mio Dio…, esaudisci la mia preghiera e custodisci a te fedele il gregge a cui avevi preposto me… Liberali dall’eresia delle tre lingue, raccogli tutti nell’unità, e rendi il popolo che hai scelto concorde nella vera fede e nella retta confessione”. Morì il 14 febbraio 869.

Fedele all’impegno assunto col fratello, nell’anno seguente, 870, Metodio ritornò in Moravia e in Pannonia (oggi Ungheria), ove incontrò di nuovo la violenta avversione dei missionari franchi che lo imprigionarono. Non si perse d’animo e quando nell’anno 873 fu liberato si adoperò attivamente nella organizzazione della Chiesa, curando la formazione di un gruppo di discepoli. Fu merito di questi discepoli se poté essere superata la crisi che si scatenò dopo la morte di Metodio, avvenuta il 6 aprile 885: perseguitati e messi in prigione, alcuni di questi discepoli vennero venduti come schiavi e portati a Venezia, dove furono riscattati da un funzionario costantinopolitano, che concesse loro di tornare nei Paesi degli slavi balcanici. Accolti in Bulgaria, poterono continuare nella missione avviata da Metodio, diffondendo il Vangelo nella «terra della Rus’». Dio nella sua misteriosa provvidenza si avvaleva così della persecuzione per salvare l’opera dei santi Fratelli. Di essa resta anche la documentazione letteraria. Basti pensare ad opere quali l’Evangeliario (pericopi liturgiche del Nuovo Testamento), il Salterio, vari testi liturgici in lingua slava, a cui lavorarono ambedue i Fratelli. Dopo la morte di Cirillo, a Metodio e ai suoi discepoli si deve, tra l’altro, la traduzione dell’intera Sacra Scrittura, il Nomocanone e il Libro dei Padri.

Volendo ora riassumere in breve il profilo spirituale dei due Fratelli, si deve innanzitutto registrare la passione con cui Cirillo si avvicinò agli scritti di san Gregorio Nazianzeno, apprendendo da lui il valore della lingua nella trasmissione della Rivelazione. San Gregorio aveva espresso il desiderio che Cristo parlasse per mezzo di lui: “Sono servo del Verbo, perciò mi metto al servizio della Parola”. Volendo imitare Gregorio in questo servizio, Cirillo chiese a Cristo di voler parlare in slavo per mezzo suo. Egli introduce la sua opera di traduzione con l’invocazione solenne: “Ascoltate, o voi tutte genti slave, ascoltate la Parola che venne da Dio, la Parola che nutre le anime, la Parola che conduce alla conoscenza di Dio”. In realtà, già alcuni anni prima che il principe di Moravia venisse a chiedere all’imperatore Michele III l’invio di missionari nella sua terra, sembra che Cirillo e il fratello Metodio, attorniati da un gruppo di discepoli, stessero lavorando al progetto di raccogliere i dogmi cristiani in libri scritti in lingua slava. Apparve allora chiaramente l’esigenza di nuovi segni grafici, più aderenti alla lingua parlata: nacque così l’alfabeto glagolitico che, successivamente modificato, fu poi designato col nome di “cirillico” in onore del suo ispiratore. Fu quello un evento decisivo per lo sviluppo della civiltà slava in generale. Cirillo e Metodio erano convinti che i singoli popoli non potessero ritenere di aver ricevuto pienamente la Rivelazione finché non l’avessero udita nella propria lingua e letta nei caratteri propri del loro alfabeto.

A Metodio spetta il merito di aver fatto sì che l’opera intrapresa col fratello non fosse bruscamente interrotta. Mentre Cirillo, il “Filosofo”, era propenso alla contemplazione, egli era piuttosto portato alla vita attiva. Grazie a ciò poté porre i presupposti della successiva affermazione di quella che potremmo chiamare l’«idea cirillo-metodiana»: essa accompagnò nei diversi periodi storici i popoli slavi, favorendone lo sviluppo culturale, nazionale e religioso. E’ quanto riconosceva già Papa Pio XI con la Lettera apostolica Quod Sanctum Cyrillum, nella quale qualificava i due Fratelli: “figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi” (AAS 19 [1927] 93-96). Il ruolo storico da essi svolto è stato poi ufficialmente proclamato dal Papa Giovanni Paolo II che, con la Lettera apostolica Egregiae virtutis viri, li ha dichiarati compatroni d’Europa insieme con san Benedetto (AAS 73 [1981] 258-262). In effetti, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine “inculturazione”: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento.

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