Archive pour février, 2010

Beato Guerrico d’Igny: « Luce per illuminare le genti »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100202

Presentazione del Signore (festa) : Lc 2,22-40
Meditazione del giorno
Beato Guerrico d’Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
1a omelia per la Purificazione, 3-5 ; SC 166, p.313s

« Luce per illuminare le genti »

        Mi rallegro con te e ti benedico, o piena di grazia ; hai dato alla luce la Misericordia che è venuta su di noi. Hai preparato tu questo cero che ricevo oggi nelle mani [nella liturgia di questa festa]. Hai dato tu la cera a questa fiamma…quando, Madre senza corruzione, hai vestito di una carne senza corruzione il Verbo incorruttibile.

        Fratelli, andiamo ! Oggi questo cero brucia nelle mani di Simeone. Venite a prendervi la luce, venite a accendervi i vostri ceri, voglio dire queste lampade che il Signore vuole che teniate nelle mani. « Guardate a lui e sarete raggianti » (Sal 33, 6). Non tanto per portare in mano delle fiaccole, quanto per essere voi stessi fiaccole che brillano dentro e fuori, per il bene vostro e per quello degli altri : … Gesù accenderà la vostra fede, farà brillare il vostro esempio, vi suggerirà la parola giusta, infiammerà la vostra preghiera, purificherà la vostra intenzione…

        E per te, che possiedi dentro di te tante lampade accese, quando si spegnerà la lampada di questa vita, sorgerà la luce di quella vita che non si può spegnere. Sarà per te, di sera, come il sorgere della luce di mezzogiorno. Nel momento in cui pensavi di spegnerti, sorgerai come la stella del mattino (Gb 11, 17) e le tue tenebre saranno come il sole meridiano (Is 38, 10). Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna (Is 60, 19), perché la lampada della nuova Gerusalemme è l’Agnello (Ap 21, 23). A lui sia benedizione e splendore per i secoli ! Amen.

Presentazione al Tempio di Gesù

Presentazione al Tempio di Gesù dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 1 février, 2010 |Pas de commentaires »

FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO, OMELIA DI PAOLO VI (2 febbraio 1972)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1972/documents/hf_p-vi_hom_19720202_it.html

FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 2 febbraio 1972

La festa, che oggi la Chiesa ci invita a celebrare, è complessa per il duplice fatto registrato nel Vangelo di San Luca (Luc. 2, 22, ss.) della Purificazione di Maria e della Presentazione di Gesù al Tempio, secondo il rituale ebraico (Cfr. Lev. 12, 2-8; Ex. 13, 2), e per lo sviluppo liturgico e popolare, che la commemorazione di tale fatto assunse, in forme e in tempi diversi, nella tradizione cristiana (Cfr. P. RADÒ, Ench. Lit. II, 1138, ss.), così che si presta a diverse considerazioni spirituali. Rimase per noi caratteristico di questa festa il rito della benedizione delle candele, forse derivato dalla solennità che a questa celebrazione era data, fin dalla fine del IV secolo a Gerusalemme (si veda la celebre Peregrinatio Etheriae, a. 395), o forse a causa della processione notturna, istituita da Papa Gelasio (492-496) per sostituirla nel costume cristiano a quelle lustrali pagane, solite a compiersi nel mese di febbraio (Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di St. Lit. II, 84). Oggi il rito si evolve, e prende forma e significato di offerta, che voi state compiendo, ed a cui noi vogliamo attribuire il suo valore altamente espressivo: il cero si fa simbolo d’un’oblazione sacra, la quale, per un verso, vuole connettersi con quella di Gesù Cristo bambino, presentato a Dio in riconoscimento dell’ossequio voluto da Dio circa ogni primogenito, per un altro verso intende professare l’omaggio di obbedienza e di fedeltà all’Apostolo Pietro, nella persona del suo successore, Vescovo di Roma.

«UN CERO È UNA LUCE»

Se vogliamo pertanto fermare un istante l’attenzione su questo aspetto della singolare e tradizionale cerimonia, noi dobbiamo oggi entrare nell’intenzione e nello spirito d’un’oblazione. Un’oblazione, la quale ha nel cero il suo simbolo, il suo linguaggio, così semplice così profondo. Che cosa è un cero, nell’uso e nella mentalità liturgica? Qui si potrebbe fare una bella escursione nella spiritualità religiosa cattolica, la quale non rifiuta di servirsi di segni materiali, ma ne fa alfabeto sacramentale, artistico perciò, e di più misterioso e sacro. Un cero è una luce. Ricordate il triplice grido della liturgia del Sabato santo, quando la processione, entrando nella chiesa buia e deserta della presenza di Cristo, vibra di stupore e di gioia alla voce del diacono, che grida, alla accensione del cero: lumen Christi? E così la luce è tutto lo spazio della vita cristiana, della rivelazione divina, che risplende nelle tenebre dell’universo cosmico e della cecità sconfinata dello spirito umano. È una luce, che stabilisce una relazione dell’uomo con le cose, con gli altri uomini, con il tempo, con ciò che è e ciò che si muove, con la vita. Rileggete nel cuore il prologo di S. Giovanni: «la vita era la luce» (Io. 1, 4). E poi tutti ricordate la teologia evangelica della luce. La luce è Cristo. «Mentre io sono nel mondo, dice Cristo stesso, sono la luce del Mondo» (Io. 9, 5). E la luce siamo noi, noi stessi se la riceviamo da Lui: «Voi siete la luce del mondo» (Matth. 5, 14) ci dice il Maestro. Ma come la riceviamo, come la facciamo risplendere? Ancora il cero ce lo dice: ardendo, e ardendo consumandosi. Un lampo di fuoco, un raggio d’amore, un’inevitabile immolazione si celebrano sopra quella candela pura e diritta, mentre essa, effondendo il suo dono di luce, esaurisce se stessa in silenzioso sacrificio (Cfr. GUARDINI, I santi segni, p. 56, ss.). Dove trovare riflessa con più lirica e drammatica evidenza la storia della vita cristiana? dove riscontrare più aperto e vissuto quel «sacerdozio regale» (1 Petr. 2, 9), che il Concilio ha ricordato alla nostra fede e alla nostra pietà, riscoprendolo in ogni cristiano rigenerato dal battesimo, e che si fa manifesto mediante il cero sacro a lui, il nuovo cristiano, subito consegnato, dopo la sua inserzione nel Corpo mistico di Cristo, la Chiesa, da questa medesima Madre e Maestra?

TRIBUTO DI SUDDITANZA A CRISTO E ALLA CHIESA

Ma il cero, in questa cerimonia, esprime qualche altra cosa, come dicevamo, cioè l’oblazione dell’offerente a Cristo e alla sua Chiesa. Esso vuol essere un tributo di sudditanza. E allora il cero, simbolo di un’offerta della propria vita, integra il simbolo della luce; lo integra con quello d’una testimonianza, con quello d’un programma di vita, con quello d’una scelta, che decide dell’orientamento e dell’impiego della propria esistenza. Questo dono vuol dire: ecco, io riconosco sopra di me il dominio assoluto di Dio, la possessione di Cristo, l’autorità della Chiesa.

È un atto di umiltà, di fedeltà, di obbedienza, che prende figura nell’offerta del cero. Se volessimo approfondire quest’analisi, forse ci troveremmo sconcertati dal timore di compiere un gesto falso e insincero, perché contrario a quella coscienza della propria autonomia, della propria libertà adulta, della propria dignità personale, oggi dominante nella psicologia moderna. Anche fra noi, discepoli della dottrina di Cristo, questo sentimento di indipendenza e di autogoverno è così penetrato, che duriamo fatica, a prima vista, a scoprire come l’ossequio religioso e canonico, che ci è richiesto nell’economia ecclesiale, non solo si accorda con la vera libertà dei figli di Dio, ma ne è il fondamento e la garanzia. Abbiamo paura di essere asserviti ad una teocrazia anacronistica e insopportabile.

PARTECIPAZIONE ALLA COMUNIONE ECCLESIALE

Mentre invece non ci deve essere difficile, né ingrato, rivedere, alla luce meridiana della nostra fede, come la sudditanza, a noi richiesta da questo ordinamento teologico ed esistenziale, è alla base del nostro essere di uomini, di cristiani, di cattolici, di eletti alla sequela di Cristo. Servire Deo regnare est: non è questo un semplice proverbio ascetico; è la sintesi d’una metafisica religiosa, la quale discopre la sua ragionevolezza, anzi la sua beatitudine, quando, come nella casa di Dio, alla quale per via di fede e di grazia siamo stati ammessi, noi sperimentiamo come questo servizio che vogliamo professare verso Dio e verso ciò che a Dio ci conduce, non è schiavitù, non è degradazione, non è perdita della propria libertà, ma è piuttosto l’impiego più alto di questa libertà, è l’elevazione al livello superiore della conquista e del godimento dei valori superiori della vita, è associazione all’amore di quel Dio ch’è Padre e che Amore si definisce; ed è sequela di Cristo, e partecipazione a quella comunione che definisce la Chiesa.

L’ATTESA DEI GIOVANI

È servizio, sì. Ma quale significato di reale grandezza riacquista oggi questo decaduto ed ora riabilitato vocabolo, se riferito alla coscienza ideale della vita e a quella sociale del nostro tempo! Diventa vocazione. L’uomo ha bisogno di servire una causa per la quale valga la pena di dare questa vita presente. Forse tanta gente, oggi, si agita e si ribella, perché non sa chi e che cosa meriti davvero d’essere servito. La leggenda di S. Cristoforo dovrebbe essere raccontata di nuovo alla nostra generazione. Forse tanti giovani, inconsciamente non attendono che una chiamata potente a consacrare la propria vita, vuota altrimenti ed egoista e condannata a finale delusione, ad un ideale, ad una realtà che impegni tutte le loro energie e le esalti nel dono magnanimo ed eroico di sé; alla Croce, porta dolorosa e gloriosa della vera risurrezione.

Anche qui il discorso potrebbe prolungarsi. Ma qui lo fermiamo, nella convinzione e nella soddisfazione che l’offerta dei ceri vuol significare tutto questo. E in verità lo significa, con la nostra Apostolica Benedizione.

MARTEDÌ 2 FEBBRAIO 2010 – PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO

MARTEDÌ 2 FEBBRAIO 2010 – PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0202-Page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  Eb 2,14-18

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Prima Lettura
Dal libro dell’Esodo 13, 1-3a. 11-16

Consacrazione del primogenito
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti — di uomini o di animali —: esso appartiene a me».
Mosè disse al popolo: «Quando il Signore ti avrà fatto entrare nel paese del Cananeo, come ha giurato a te e ai tuoi padri, e te lo avrà dato in possesso, tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del bestiame, se di sesso maschile, appartiene al Signore.
Riscatterai ogni primo parto dell’asino mediante un capo di bestiame minuto; se non lo riscatti, gli fiaccherai il collo. Riscatterai ogni primo parto dell’uomo tra i tuoi figli. Quando tuo figlio domani ti chiederà: Che significa ciò?, tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto, dalla condizione servile. Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nel paese d’Egitto, i primogeniti degli uomini e i primogeniti del bestiame. Per questo io sacrifico al Signore ogni primo frutto del seno materno, se di sesso maschile, e riscatto ogni primogenito dei miei figli. Questo sarà un segno sulla tua mano, sarà un ornamento fra i tuoi occhi, per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto».

Responsorio   Cfr. Lc 2, 28
R. Adorna, o Sion, la stanza per le nozze, accogli Cristo tuo Signore. * Maria lo concepì vergine, lo partorì vergine; vergine dopo il parto, adorò colui che aveva generato.
V. Simeone prese il bambino tra le braccia e benedisse il Signore.
R. Maria lo concepì vergine, lo partorì vergine; vergine dopo il parto, adorò colui che aveva generato.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Sofronio, vescovo
(Disc. 3, sull’«Hypapante» 6, 7; PG 87, 3, 3291-3293)

Accogliamo la luce viva ed eterna
Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.
La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1, 9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.

Omelia (01-02-2010)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17148.html

Omelia (01-02-2010) 
padre Lino Pedron

Abbiamo già conosciuto la potenza di Gesù contro i demoni (cfr Mc 1,21-28; 1,34; 3,11-12). Ma qui c’è qualcosa di nuovo: siamo nel territorio dalla Decapoli (che significa dieci città), in terra pagana, dove il potere di satana ha maggiore solidità.
Segno concreto della terra pagana è quel numeroso branco di porci al pascolo sul monte (luogo riservato al culto e alla preghiera). Il porco è animale immondo, aborrito dagli ebrei, e che può trovarsi solo in una terra immonda e pagana.
Nell’indemoniato geraseno prevale un istinto di morte: odia la vita degli altri e danneggia la propria, vive nei sepolcri… Il demonio che tiene schiavo quest’uomo si chiama legione: una coalizione di demoni. Combattuti e vinti in terra d’Israele, essi avevano ripiegato in terra pagana. Nella tempesta sul mare (Mc 4, 35-41) avevano tentato di fermare l’avanzata vittoriosa del Cristo. Gesù, superata la linea di sbarramento, attacca l’impero di satana al cuore, alla sede dello stato maggiore.
Questo indemoniato viene considerato come il rappresentante-tipo del paganesimo, e ciò alla luce di Isaia 65,1-4: « Mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: Eccomi, a gente che non invocava il mio nome. Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro capricci, un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti ».
Questo pagano ha un nome. In pieno testo greco, risponde con una parola latina: legione. Ricordiamo che la legione romana era formata da seimila uomini. Questa parola evoca la guerra, la presenza e la dominazione romana, personificata da quei « porci » di legionari (il verro era uno dei simboli della potenza imperiale raffigurato sulle insegne dell’esercito romano). E’ la demonizzazione dell’esercito romano.
Per Marco che scrive il suo vangelo probabilmente a Roma, capitale dell’impero di satana, in piena persecuzione di Nerone, questo brano potrebbe voler dire ai cristiani: Cristo butterà a mare questa legione di porci indemoniati (i persecutori) e libererà la terra dal potere oppressivo dell’impero romano, che è una manifestazione del potere di satana. A conferma di questa visione della storia si legga Ap 13-20.
Il brano di porci che precipita in mare è certamente una scena sconvolgente per l’ »uomo economico » di tutti i tempi. Il Signore sta liberando la terra dal male e dal maligno, e questa liberazione è motivo di gioia, ma questa gioia ha un prezzo salato: la perdita di duemila porci. E i geraseni non se la sentono di pagare prezzi così alti.
Sarà anche un grande liberatore questo Gesù, ma presenta delle parcelle troppo esose. Meglio allora sopportare rassegnati la schiavitù di satana e godere indisturbati la propria ricchezza e le proprie « porcherie ». E la loro stessa preghiera suona assurda e sconcertante: « Si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio » (v. 17).
Gli uomini parlano tanto di libertà e di liberazione, ma la rifiutano appena si accorgono che c’è un prezzo da pagare.
Al desiderio dell’indemoniato guarito di stare con Gesù, il Signore risponde inviandolo in missione. Egli è diventato apostolo perché è in grado di raccontare ciò che il Signore gli ha fatto. Il vangelo è la buona notizia di quanto Gesù ha fatto per noi. L’evangelizzazione non è tanto un’esposizione di dottrina o di idee, ma un racconto di fatti, una narrazione di quanto il Signore ha operato per noi.
Come Gesù iniziò a proclamare il vangelo nella Galilea (Mc 1,14), così questo indemoniato guarito lo proclama nella Decapoli. E’ l’inizio della missione ai pagani. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 1 février, 2010 |Pas de commentaires »

Papa Benedetto XVI : «Esci, spirito immondo, da quest’uomo!»

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100201

Lunedì della IV settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 5,1-20
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 03/12/08 – Copyright © Libreria Editrice Vaticana

«Esci, spirito immondo, da quest’uomo!»

        Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male?… La fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c’è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l’essere non è un misto di bene e male; l’essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c’è solo una fonte buona, il Creatore…

        Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell’essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso… Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all’altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte.

        Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell’evoluzionismo, non possono dire che l’uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l’uomo è sanabile… E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte.

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