Natale 2009

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091224
Natale del Signore: Messa della notte, solennità : Lc 2,1-14
Meditazione del giorno
Sant’Alfonso Maria de Liguori (1696-1787), vescovo e dottore della Chiesa
Novena del Santo Natale, Discorso 10 (Opera Omnia, Èulogos 2007)
«Vengo ad annunciarvi una buona notizia, una grande gioia per tutto il popolo»
«Evangelizo vobis gaudium magnum». Così disse l’angelo a’ pastori, e così dico a voi in questa notte, anime divote. Vi porto una nuova di grande allegrezza. E qual nuova di maggior allegrezza può darsi ad un popolo di poveri esiliati dalla patria e condannati alla morte, che quella d’esser già venuto il lor Salvatore non solo a liberarli dalla morte, ma ancora ad ottenere loro il ritorno alla patria? E ciò è quello appunto che stanotte io vi annunzio: Natus est vobis… Salvator…
Quando entra la prima volta il re in una città del suo regno, quali onori non se gli apprestano? quanti apparati, quanti archi trionfali! Preparati dunque, o felice Betlemme, a ricever con onore il tuo Re… E sappi, dice il profeta (Mi 5,1), che fra tutte le città della terra tu sei la fortunata, che s’ha eletta per nascere in terra il Re del cielo, affin di regnare poi non già nella Giudea, ma né cuori degli uomini, che vivono nella Giudea e in tutta la terra… Oh che avran detto gli angeli in vedere entrar la divina Madre e Partorire in quella grotta [il Re dei re]! I figli de’ principi nascono nelle stanze addobbate d’oro…, col corteggio de’ primi signori del regno. E poi al re del cielo si apparecchia per nascervi una stalla fredda e senza fuoco? poveri pannicelli per coprirlo, un poco di paglia per letto, ed una vil mangiatoia per riporvelo?…
Ah che in considerare la nascita di Gesù Cristo e ‘l modo come nacque, dovressimo tutti ardere d’amore; e in sentir nominare grotta, mangiatoia, paglia, latte, vagiti, tali nomi – pensando alla nascita del Redentore – dovrebbero essere per noi tutte fiamme d’amore, e saette che ci ferissero i cuori. Sì, voi foste fortunati, o grotta, o presepe, o paglie; ma son più fortunati quei cuori che amano con fervore e tenerezza questo amabilissimo Signore, ed infiammati d’amore l’accolgono poi nella santa comunione. Oh con qual desiderio e contento va Gesù Cristo a riposare in un cuore che l’ama!
dal sito:
http://www.lestagioni.altervista.org/12poesia.htm
Nella notte di Natale
Sant’Ambrogio
Ascolta, tu che governi Israele,
che siedi sopra i cherubini;
compari in faccia ad Efraim, scuoti
la tua potenza, e vieni.
Vieni, redentore dei popoli,
vanta il parto da vergine;
ne stupisca ogni tempo:
parto che si conviene a Dio.
Non da seme maschile
ma per mistico fiato
si è fatto carne il Verbo di Dio
e il frutto del ventre è fiorito.
Il grembo della vergine si gonfia:
chiostro permane di pudore.
Delle virtù risplendono i vessilli:
in quel tempio si agita Dio.
Dal suo talamo venga,
regale sala del pudore,
il gigante di duplice natura
per correre animoso la sua strada:
l’uscita sua dal Padre,
il suo ritorno al Padre,
la corsa fino agli inferi,
e il suo ritorno alla divina sede.
Uguale al sommo Padre
recingiti col trionfo della carne
tu che rafforzi di valore eterno
le debolezze della nostra carne.
Già splende il tuo presepe
e la notte respira la sua luce,
che tenebra nessuna offuschi mai
e d’incessante fede possa splendere.
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16904.html
Omelia (25-12-2009)
Paolo Curtaz
Ecco Dio
Miagola, pigola, vagisce con una flebile voce, come fanno i cuccioli d’uomo appena nati.
Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso grinzoso all’acerbo seno della madre. Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba nel sonno.
La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra.
Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme. Sorride, pensando a quando, poche ore prima, la levatrice lo aveva rudemente pulito dalla placenta e dal sangue, incurante delle urla di protesta del piccolo.
Sorride, Maria, e guarda Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo viaggio e dalle emozioni delle ultime ore.
Anch’io taccio, in un angolo della stalla, senza fare rumore, sospeso fra la commozione e la stanchezza.
Ecco Dio, dunque.
Ecco Dio
Siamo tutti spiazzati, ancora.
Ecco Dio.
Ecco com’è veramente.
Che ha a che vedere, questo neonato, con l’idea che siamo fatti di Lui? Che c’entra?
Guardo lungamente, ora anche Maria appoggia il capo alla parete di pietra, cercando un improbabile sonno.
Ecco Dio: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta.
Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano di accarezzarlo.
Ecco l’uomo
Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo la sua vita nelle mani di Dio. E ora è lì, con il mistero dell’Universo che stringe a sé. Frastornata e meditabonda, con il suo cuore, immenso cuore di discepola, altalenante fra il gioire dell’essere diventata madre e lo stupirsi nel tenere Dio appeso al suo collo. Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette figlie di Eva che di Dio condividono il generare.
Giuseppe siede stanco. Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato sofferto, faticoso, strappato.
I suoi sogni ora sono il sogno di Dio, non ha più futuro, né spazio, né ambizione, né comprensibile orgoglio di padre. Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre, proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero, lui così consapevole che la vita non si misura dai risultati ma dalla fedeltà agli eventi.
Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte, ricacciando il dolore che sale a soffocare la gola e a riempire gli occhi di lacrime. Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri, senza scampo, senza tregua, senza luce.
E un angelo appare loro. Per voi, dice. Una mangiatoia, dice.
E vanno. E trovano Dio che abita una mangiatoia, come se fosse un trono, a capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può diventare il trono del Dio degli sconfitti.
A est, lontano, un gruppo di curiosi accampati discutono, alzando il prezzo della scommessa: chi sostiene che il segno nel cielo indica la nascita di un re, altri dicono che, invece, prospetta una catastrofe, altri ancora che non significa nulla. E scherzano e ridono, mentre i servi portano la carne cotta al fuoco. Andranno a dormire presto, domani ripartiranno verso la Giudea.
Sazi di denaro, sazi di cultura, sazi di beni.
Ma ancora curiosi, ancora si interrogano e cercano.
A Gerusalemme i Sommi Sacerdoti commentano la giornata, pianificano il futuro del nuovo, splendido tempio. Alla fine si congedano, pregano, invocano al venuta del Messia. Qualcuno sorride: ci mancherebbe la venuta del Messia, ora.
Erode caccia la concubina dal suo letto, stenta a prendere sonno. Si affaccia sulla terrazza del palazzo che domina la sua città. No, la folla non lo ama, nonostante tutto, pazienza: se non sarà ricordato per la sua gloria, sarà ricordato per il suo odio.
Noi
Ecco Dio, mi ripeto nella penombra della chiesa.
Dio non si è ancora stancato di noi, se chiede di nascere.
Prego, ora, affidando tutti, e tutti non riescono a stare nella mia povera preghiera.
Penso a chi soffre, questa notte, perché nessun angelo gli ha ancora detto che Dio nasce proprio per lui. Prego per i tanti, migliaia, che ho incontrato in questo anno così doloroso e intenso per me, e a come Dio sia stupefacente nel disegnare nuove strade per chi si affida a Lui. Penso alla nostra Italia così litigiosa, così affaticata e delusa, che non ha più speranza, che pensa di essere davvero mediocre come appare, e chiedo al Signore un regalo: di ricordarci da dove proveniamo e verso chi andiamo, tutti.
Vedo il bambino, nella penombra della chiesa. E mi dico in che cavolo di guaio mi sono messo, seguendo un Dio che, invece di risolvermi i problemi, me ne crea a bizzeffe.
Vorrei stringerlo fra le mie braccia, riempirlo di baci questo Dio, dire che lo amo, proprio perché così imprevedibile, perché così misteriosamente incontrabile e banale.
Apro un libretto di canti del banco e trovo un’immaginetta: contiene una preghiera di uno dei più feroci atei del secolo scorso, maestro del dubbio e della noia: Sartre.
Maria guarda Gesù e pensa:
questo Dio è mio figlio.
È Dio. E mi assomiglia.
Un Dio bambino che si può prendere fra le braccia
E coprire di baci.
Un Dio caldo
Che sorride e respira.
Un Dio che si può toccare e che respira,
un Dio che si può toccare e ride.
È in uno di questi momenti
Che dipingerei Maria,
se fossi pittore.
Buon Natale, cercatori di Dio.
Lasciatevi trovare.
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Omelia (24-12-2007)
Messa Meditazione
Gesù, sole che sorge
Prosegue il dialogo tra le due letture della Messa: la prima che annuncia la promessa, la seconda che ne proclama il compimento. Nel libro di Samuele, Davide ci commuove per l’accorata pretesa di ‘costruire una casa a Dio’; sarà Dio invece che in ben altro modo darà a lui una casa e un regno saldi per sempre. Il Cantico di Zaccaria nel Vangelo di Luca, ne verifica il primo attuarsi con la missione di Giovanni Battista, il bambino che precederà la venuta del Signore per preparargli la strada.
Il cantico del Benedetto e quello del Magnificat accompagnano la preghiera della Chiesa rispettivamente ogni mattina nelle Lodi e ogni sera nel Vespero. Rivive nella preghiera della Chiesa la lode e il ringraziamento al Signore per quello che egli ha compiuto tra noi. La nostra vita non è rimasta solitaria, in balia dei ‘nostri nemici’, nelle ‘mani di quanti ci odiano’. I passi che ci introducono in ciascuna giornata non ci inoltrano in un’ombra di morte, né ci lasciano brancolare nelle tenebre, ma un sole che sorge dall’alto viene a visitarci ogni giorno. Mentre Zaccaria pronuncia queste parole, sciogliendo il nodo della parola che gli si era incatenato, ha davanti agli occhi e tiene sulle braccia il bambino Giovanni, primo anticipo della promessa di Dio che si va realizzando. Il suo cantico non è un’esplosione vuota del cuore, ma nasce dalla constatazione di un fatto presente. Allo stesso modo, ogni mattina la Chiesa, e in essa il cristiano, si pone di fronte alla presenza del Signore che è venuto e che viene. Non siamo mossi appena da un impulso buono, da una misteriosa spinta interiore che si esaurisce e si consuma in noi stessi. Non viviamo come se niente fosse capitato alla nostra vita, ma ogni mattina siamo chiamati a riconoscere il Sole che sorge nella nostra vita, Gesù Signore. La sua Nascita lo introduce nel mondo e nella storia, in ogni giorno che comincia nella vita di ogni uomo. Così l’hanno riconosciuto i cristiani dei primi secoli, e così gli inni della liturgia, in particolare quelli ripresi da Sant’Ambrogio, lodano il Signore: una presenza che in ogni nostro mattino illumina la vita e dà il vero senso a tutte le cose. Che cosa sarebbe per una mamma svegliarsi e non ritrovare più il bambino che le dormiva accanto? Cosa diremmo di una mamma che rimanesse indifferente al suo richiamo? A noi, quale Bambino è donato!
Donami o Signore, occhi per vedere e cuore per cantare la tua presenza al mattino e alla sera: Benedetto sei tu Signore Dio d’Israele, che hai visitato il popolo cristiano e ancora lo accompagni nel procedere dei giorni.
I passi che mi introducono nella giornata non siano appesantiti dal pensiero delle incombenze che mi assalgono, ma la dolce presenza del Signore mi accompagni ad affrontare ogni cosa, e ad accogliere ogni persona con fiducia.
Commento a cura di don Angelo Busetto