Archive pour novembre, 2009

Omelia per il vangelo di domani

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8726.html

Omelia (27-11-2006) 
Monaci Benedettini Silvestrini
La vedova e i suoi due spiccioli

Il luogo del tesoro dove si depositavano le offerte per il Tempio era collocato nell’atrio delle donne. Il denaro che vi si gettava era espressione della riconoscenza verso il Signore per i tanti suoi benefici, e rientrava in quella decima che era per ogni pio israelita, un soave legame con il Signore. Ma come in tutte le cose umane il male si annida facilmente. Quell’atto così sacro era diventato per molti sfoggio della propria personalità. L’evangelista annota: « Gesù, alzati gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide pure una povera vedova che stava gettando due spiccioli ». In modo solenne Gesù segnala ai suoi discepoli il « più » dato dalla vedova, che dona tutto quanto possiede, indicando in ciò il modello del suo discepolo che mette tutto quanto ha ed è a disposizione di Dio. Il denaro, insieme al consumismo che su di esso si basa, è giunto a costituire per molti il surrogato dell’autentica religione. Tutto è immolato sul suo altare: lavoro, salute, principi morali, famiglia, amici, alfine di apparire, avere potere e godersi la vita. A Dio non si deve né tanto né poco né nulla: Tutto ciò che siamo e abbiamo è dono gratuito del suo amore per noi. « Noi siamo opera delle sue mani ». L’unica cosa da fare è corrispondere liberamente a questo suo amore. Questa donna fa con semplicità ciò che è impossibile a tutti, perché ama come è amata. Ella è una dei quei poveri nello spirito, a cui appartiene il Regno dei cieli 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 23 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Beato Charles de Foucauld : « Ha dato tutto quanto aveva »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091123

Lunedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario : Lc 21,1-4
Meditazione del giorno
Beato Charles de Foucauld (1858-1916), eremita e missionario nel Sahara
Meditazioni sui Santi Vangeli

« Ha dato tutto quanto aveva »

« Padre mio, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,46). Questa è l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro prediletto. Possa essa essere nostra, e essere non soltanto la preghiera dei nostri ultimi istanti, ma pure quella di ogni nostro istante : « Padre mio, io mi consegno nelle tue mani ; Padre mio io mi affido a te ; Padre mio, io mi abbandono a te ; Padre mio, fa’ di me ciò che ti piace ; qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio ; grazie di tutto. Sono pronto a tutto, accetto tutto, ti ringrazio di tutto, purché la tua volontà si compia in me, mio Dio, purché la tua volontà si compia in tutte le tue creature, in tutti i tuoi figli, in tutti coloro che il tuo cuore ama ; non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo, ed è per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura. Mi rimetto nelle tue mani con una confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio ».

San Clemente

San Clemente dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 22 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Papa Benedetto: San Clemente Romano, Papa

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20070307_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 7 marzo 2007

San Clemente Romano
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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di accogliervi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i pellegrini provenienti dalle Diocesi della Regione Ecclesiastica Piemontese, che accompagnano i loro Vescovi nella Visita ad limina. Cari amici, la fede cristiana si confronta, anche in Piemonte e Valle d’Aosta con molte sfide dovute, nell’odierno contesto socio-culturale, alle tendenze agnostiche presenti in campo dottrinale, come pure alle pretese di piena autonomia etica e morale. Non è certo facile annunciare e testimoniare oggi il Vangelo. Tuttavia permane nel popolo un solido substrato spirituale, che si manifesta tra l’altro nell’attenzione alle istanze della vita cristiana, nell’intimo bisogno di Dio, nella riscoperta del valore della preghiera, nella stima verso il sacerdote zelante e il suo ministero. Si avverte, inoltre, da parte di fedeli laici e di gruppi di impegno apostolico, una più sentita esigenza di tensione alla santità, misura alta della vita cristiana. Mi rivolgo pure a voi, cari Fratelli nell’Episcopato: di fronte alle difficoltà che a volte incontrano le comunità ecclesiali affidate alle vostre cure, vi esorto a proseguire con coraggio nell’aiutarle a seguire fedelmente il Signore, valorizzando le loro potenzialità spirituali e i carismi di ciascuno. Ricordate loro che nessuna difficoltà può separarci dall’amore di Cristo, come già affermava san Paolo (cfr. Rm 8,35-39). Per questo, unendo le forze, voi Pastori insieme ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli laici testimoniate con fervore la vostra comune adesione a Cristo ed edificate la Chiesa nella carità e nella verità. La Madre Celeste, che il popolo piemontese invoca da sempre con sentita devozione, vi assista, vi illumini e vi conforti.

Saluto ora i giovani qui presenti, in particolare gli alunni della Scuola Don Carlo Costamagna di Busto Arsizio e quelli della Scuola Don Giovanni Bosco di Canonica d’Adda. Cari amici, il tempo di Quaresima, che stiamo vivendo, sia per voi occasione propizia per riscoprire il dono della sequela di Cristo e imparare ad aderire sempre, con il suo aiuto, alla volontà del Padre.

E così prendiamo la strada giusta, la strada che ci apre il cammino al futuro.

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San Clemente Romano

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo meditato nei mesi scorsi sulle figure dei singoli Apostoli e sui primi testimoni della fede cristiana, che gli scritti neo-testamentari menzionano. Adesso dedichiamo la nostra attenzione ai santi Padri dei primi secoli cristiani. E così possiamo vedere come comincia il cammino della Chiesa nella storia.

San Clemente, Vescovo di Roma negli ultimi anni del primo secolo, è il terzo successore di Pietro, dopo Lino e Anacleto. Riguardo alla sua vita, la testimonianza più importante è quella di sant’Ireneo, Vescovo di Lione fino al 202. Egli attesta che Clemente «aveva visto gli Apostoli», «si era incontrato con loro», e «aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione, e davanti agli occhi la loro tradizione» (Contro le eresie 3,3,3). Testimonianze tardive, fra il quarto e il sesto secolo, attribuiscono a Clemente il titolo di martire.

L’autorità e il prestigio di questo Vescovo di Roma erano tali, che a lui furono attribuiti diversi scritti, ma l’unica sua opera sicura è la Lettera ai Corinti. Eusebio di Cesarea, il grande «archivista» delle origini cristiane, la presenta in questi termini: «E’ tramandata una lettera di Clemente riconosciuta autentica, grande e mirabile. Fu scritta da lui, da parte della Chiesa di Roma, alla Chiesa di Corinto … Sappiamo che da molto tempo, e ancora ai nostri giorni, essa è letta pubblicamente durante la riunione dei fedeli» (Storia Eccl. 3,16). A questa lettera era attribuito un carattere quasi canonico. All’inizio di questo testo – scritto in greco – Clemente si rammarica che «le improvvise avversità, capitate una dopo l’altra» (1,1), gli abbiano impedito un intervento più tempestivo. Queste «avversità» sono da identificarsi con la persecuzione di Domiziano: perciò la data di composizione della lettera deve risalire a un tempo immediatamente successivo alla morte dell’imperatore e alla fine della persecuzione, vale a dire subito dopo il 96.

L’intervento di Clemente era sollecitato dai gravi problemi in cui versava la Chiesa di Corinto: i presbiteri della comunità, infatti, erano stati deposti da alcuni giovani contestatori. La penosa vicenda è ricordata, ancora una volta, da sant’Ireneo, che scrive: «Sotto Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinti una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione, che da poco tempo essa aveva ricevuto dagli Apostoli» (Contro le eresie 3,3,3). Potremmo quindi dire che questa lettera costituisce un primo esercizio del Primato romano dopo la morte di san Pietro. La lettera di Clemente riprende temi cari a san Paolo, che aveva scritto due grandi lettere ai Corinti, e in particolare la dialettica teologica, perennemente attuale, tra indicativo della salvezza e imperativo dell’impegno morale. Prima di tutto c’è il lieto annuncio della grazia che salva. Il Signore ci previene e ci dona il perdono, ci dona il suo amore, la grazia di essere cristiani, suoi fratelli e sorelle. E’ un annuncio che riempie di gioia la nostra vita e dà sicurezza al nostro agire: il Signore ci previene sempre con la sua bontà, e la bontà del Signore è sempre più grande di tutti i nostri peccati. Occorre però che ci impegniamo in maniera coerente con il dono ricevuto e rispondiamo all’annuncio della salvezza con un cammino generoso e coraggioso di conversione. Rispetto al modello paolino, la novità è che Clemente fa seguire alla parte dottrinale e alla parte pratica, che erano costitutive di tutte le lettere paoline, una «grande preghiera», che praticamente conclude la lettera.

L’occasione immediata della lettera schiude al Vescovo di Roma la possibilità di un ampio intervento sull’identità della Chiesa e sulla sua missione. Se a Corinto ci sono stati degli abusi, osserva Clemente, il motivo va ricercato nell’affievolimento della carità e di altre virtù cristiane indispensabili. Per questo egli richiama i fedeli all’umiltà e all’amore fraterno, due virtù veramente costitutive dell’essere nella Chiesa: «Siamo una porzione santa», ammonisce, «compiamo dunque tutto quello che la santità esige» (30,1). In particolare, il Vescovo di Roma ricorda che il Signore stesso «ha stabilito dove e da chi vuole che i servizi liturgici siano compiuti, affinché ogni cosa, fatta santamente e con il suo beneplacito, riesca bene accetta alla sua volontà … Al sommo sacerdote infatti sono state affidate funzioni liturgiche a lui proprie, ai sacerdoti è stato preordinato il posto loro proprio, ai leviti spettano dei servizi propri. L’uomo laico è legato agli ordinamenti laici» (40,1-5: si noti che qui, in questa lettera della fine del I secolo, per la prima volta nella letteratura cristiana, compare il termine greco laikós, che significa «membro del laós», cioè «del popolo di Dio»).

In questo modo, riferendosi alla liturgia dell’antico Israele, Clemente svela il suo ideale di Chiesa. Essa è radunata dall’«unico Spirito di grazia effuso su di noi», che spira nelle diverse membra del Corpo di Cristo, nel quale tutti, uniti senza alcuna separazione, sono «membra gli uni degli altri» (46,6-7). La netta distinzione tra il «laico» e la gerarchia non significa per nulla una contrapposizione, ma soltanto questa connessione organica di un corpo, di un organismo, con le diverse funzioni. La Chiesa infatti non è luogo di confusione e di anarchia, dove uno può fare quello che vuole in ogni momento: ciascuno in questo organismo, con una struttura articolata, esercita il suo ministero secondo la vocazione ricevuta. Riguardo ai capi delle comunità, Clemente esplicita chiaramente la dottrina della successione apostolica. Le norme che la regolano derivano in ultima analisi da Dio stesso. Il Padre ha inviato Gesù Cristo, il quale a sua volta ha mandato gli Apostoli. Essi poi hanno mandato i primi capi delle comunità, e hanno stabilito che ad essi succedessero altri uomini degni. Tutto dunque procede «ordinatamente dalla volontà di Dio» (42). Con queste parole, con queste frasi, san Clemente sottolinea che la Chiesa ha una struttura sacramentale e non una struttura politica. L’agire di Dio che viene incontro a noi nella liturgia precede le nostre decisioni e le nostre idee. La Chiesa è soprattutto dono di Dio e non creatura nostra, e perciò questa struttura sacramentale non garantisce solo il comune ordinamento, ma anche questa precedenza del dono di Dio, del quale abbiamo tutti bisogno.

Al termine, la «grande preghiera» conferisce un respiro cosmico alle argomentazioni precedenti. Clemente loda e ringrazia Dio per la sua meravigliosa provvidenza d’amore, che ha creato il mondo e continua a salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume l’invocazione per i governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa rappresenta la più antica preghiera per le istituzioni politiche. Così, all’indomani della persecuzione, i cristiani, ben sapendo che sarebbero continuate le persecuzioni, non cessano di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene anche un insegnamento che guida, lungo i secoli, l’atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche nell’ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e «esercitino il potere, che Dio ha dato loro, nella pace e nella mansuetudine con pietà» (61,2). Cesare non è tutto. Emerge un’altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma «di lassù»: è quella della Verità, che vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata.

Così la lettera di Clemente affronta numerosi temi di perenne attualità. Essa è tanto più significativa, in quanto rappresenta, fin dal primo secolo, la sollecitudine della Chiesa di Roma, che presiede nella carità a tutte le altre Chiese. Con lo stesso Spirito facciamo nostre le invocazioni della «grande preghiera», là dove il Vescovo di Roma si fa voce del mondo intero: «Sì, o Signore, fa’ risplendere su di noi il tuo volto nel bene della pace; proteggici con la tua mano potente … Noi ti rendiamo grazie, attraverso il Sommo Sacerdote e guida delle anime nostre, Gesù Cristo, per mezzo del quale a te la gloria e la lode, adesso, e di generazione in generazione, e nei secoli dei secoli. Amen» (60-61).

Sant’Agostino: « Il mio regno non è di questo mondo »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091122

CRISTO RE (Solennità) : Jn 18,33-37
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Omelia sul vangelo di Giovanni, 115

« Il mio regno non è di questo mondo »

Ascoltate dunque, Giudei e gentili… ; ascoltate, regni tutti della terra: Io non intralcio la vostra sovranità in questo mondo: « Il mio regno non è di questo mondo » (Gv 18,36). Non lasciatevi prendere dall’assurdo timore di Erode che, alla notizia della nascita di Cristo, si allarmò… « Il mio regno – dice il Signore – non è di questo mondo. » Venite nel regno che non è di questo mondo; venite credendo, e non vogliate diventare crudeli per paura. E’ vero che in una profezia, Cristo, riferendosi a Dio Padre, dice: « Da lui io sono stato costituito re sopra Sion, il suo monte santo » (Sal 2, 6), ma questo monte e quella Sion, di cui parla, non sono di questo mondo.

Quale è infatti il suo regno se non i credenti in lui, a proposito dei quali dice: « Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo »? anche se egli voleva che essi rimanessero nel mondo, e per questo chiese al Padre: « Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male ». Ecco perché anche qui non dice: « Il mio regno non è in questo mondo », ma dice: « Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato » (Gv 18,36).

Il suo regno infatti è quaggiù fino alla fine dei secoli, portando mescolata nel suo grembo la zizzania fino al momento della mietitura (Mt 13,24s)… Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è peregrinante nel mondo. E’ precisamente agli appartenenti al suo regno che egli si riferisce quando dice: « Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo » (Gv 15,19). Erano dunque del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno, e appartenevano al principe del mondo (Gv 12,3). E’ quindi del mondo tutto ciò che è stato generato dalla stirpe corrotta di Adamo; è diventato però regno di Dio, e non è più di questo mondo, tutto ciò che in Cristo è stato rigenerato. E’ in questo modo che « Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio dell’amor suo » (Col 1,13).

22 novembre – Santa Cecilia

22 novembre - Santa Cecilia dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 21 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario, 22 novembre 2009: Il Re dell’Universo è il Concepito

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20422?l=italian

Il Re dell’Universo è il Concepito

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario, 22 novembre 2009

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 20 novembre 2009 (ZENIT.org).- Oggi, ultima Domenica dell’anno liturgico, celebriamo la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, centro del cosmo e della storia, Vita e Verità di tutto ciò che esiste, principio e compimento di ogni uomo (Gv 18,33b-37).

Spontaneamente il pensiero va al “Giudizio universale” della Cappella Sistina, in cui il Signore è poderosamente rappresentato al centro di una scena grandiosa, con il braccio destro levato in alto a separare per sempre i buoni dai cattivi. Ma la regalità del Signore è più modestamente annunciata a Natale: “Dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei?” (Mt 2,2); una domanda che è l’eco delle parole regali pronunciate dall’angelo Gabriele nove mesi prima: “Concepirai un figlio…sarà grande..il Signore Dio gli darà il trono di Davide..e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,31-33).

Sì, il Re dell’Universo che contempliamo oggi è Lui, il divino Concepito, il Figlio di Dio nel grembo di Maria; un piccolissimo Re che annuncia una verità tanto nascosta quanto palese: le sorti dell’umanità e della storia dipendono dal riconoscimento che l’uomo è uomo sin dal concepimento, e che perciò al concepito va sottomessa ogni cosa, perché è lui il criterio del bene comune.

Se il concepito verrà riconosciuto quale centro del cosmo e della storia, criterio, misura e pietra angolare della civiltà della vita e dell’amore, allora si compirà quella regalità cosmica di Cristo che celebriamo oggi e che l’evangelista Giovanni annuncia come trionfo del “Verbo della vita”, stabilito fin dal principio: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,1-5).

Il brano evangelico odierno fa parte della pericope intitolata “Gesù di fronte a Pilato” (Gv 18,28-38). Conviene rileggere il testo dall’inizio: “Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: ‘Che accusa portate contro quest’uomo?’. Gli risposero: ‘Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato’. Allora Pilato disse loro: ‘Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!’. Gli risposero i Giudei: ‘A noi non è consentito mettere a morte nessuno’. Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: ‘Sei tu il re dei Giudei?’. Gesù rispose: ‘Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?’. Pilato disse: ‘Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?’. Rispose Gesù: ‘Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù’. Allora Pilato gli disse: ‘Dunque tu sei re?’. Rispose Gesù: ‘Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce’. Gli dice Pilato: ‘Che cos’è la verità?’”.

Il dialogo fra Gesù e Pilato avviene nel pretorio, l’edificio pubblico occupato dal procuratore romano nei processi. E’ un dialogo che rimane sospeso. Alle domande viene risposto con altre domande. Se Gesù avesse voluto aiutare Pilato a comprendere la risposta al suo dubbio, avrebbe forse detto: non chiedere “Che cos’è la verità?”, ma: “Chi è la verità?”.

Ma ora siamo anzitutto noi a porci una domanda: che uomo era Pilato? E’ necessario saperlo, perché solo così risponderemo ad una seconda domanda che, come messaggio, ci interpella dal Vangelo: dove si trova oggi Pilato? Il suo ritratto, infine, ci permetterà di rispondere adeguatamente ad una terza e più decisiva domanda: chi è oggi il Gesù che Pilato indica alla folla dopo averlo fatto schernire e flagellare dicendo: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5)?

Il filosofo ebreo Filone d’Alessandria così dipinge Pilato: “Uomo di natura inflessibile e, in aggiunta alla sua arroganza, duro, capace solo di concussioni, violenze, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza processo e crudeltà spaventose e illimitate”, e lo storico filo-romano Giuseppe Flavio conferma questo giudizio di uomo spietato. Pilato odiava gli Ebrei e li provocava con dure repressioni.

L’evangelista Giovanni, mosso dall’interesse teologico, ci mostra invece un Pilato diverso, pensoso, attento a Gesù e alla sua parola, consapevole che gli è stato consegnato dal Sinedrio per invidia, vittima designata di una sentenza capitale che poteva essere resa esecutiva solo con la firma del procuratore romano. E’ il Pilato del film “La Passione” di Mel Gibson.

Per rispondere ora alla domanda: “dove si trova oggi Pilato?”, prendo il versetto iniziale “Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio” (Gv 18,28), e lo trasformo così: “Condussero poi Gesù nel consultorio”. L’equivalenza di luogo e di morte è del tutto giustificata, dal momento che il certificato attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta di abortire rilasciato dal medico del consultorio (o della struttura socio sanitaria, o dal medico di fiducia), altro non è che la firma pilatesca che autorizza la sentenza capitale nei confronti del bambino che deve nascere, riferendosi anche e soprattutto al quale Gesù ha detto: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Rendiamoci conto che il duro ritratto storico di Pilato che ho riportato da Filone, corrisponde oggettivamente alla spietata efferatezza di ciò che troppo spesso viene deciso nel consultorio, e che sarà eseguito qualche giorno dopo in ospedale: la condanna a morte e l’esecuzione capitale del bambino, eseguita dal medico abortista per mezzo di strumenti e atti che costituiscono una vera e propria tortura, brutale, crudele, spaventosa, implacabile mentre il bambino cerca invano di “mettersi in salvo” nel grembo di sua madre. Chi non lo sa guardi l’ecografia di un aborto al terzo mese, per conoscere la pura, scientifica, disumana verità della così ipocritamente detta “interruzione volontaria di gravidanza”.

Torniamo al Vangelo. La domanda finale di Pilato: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,38), omessa oggi dal lezionario, è fondamentale per la nostra riflessione.

A questa domanda, come ho accennato, si può rispondere solamente se la si trasforma in quest’altra: “Chi è la verità?”. Posta così, la domanda ha a che fare con la concretezza di ogni persona umana e perciò diventa: qual è la verità della vita di ogni uomo?

Recentemente, Mons. Elio Sgreccia ha affermato al riguardo: “G. Marcel notava: il carattere sacro dell’essere umano apparirà con maggior chiarezza quando ci accosteremo all’essere umano nella sua nudità e nella sua debolezza, all’essere umano disarmato così come lo incontriamo nel bambino, nell’anziano, nel povero. Noi potremo dire nel nascituro neoconcepito”.

La domanda sull’uomo concepito interpella oggi le nazioni, i governi, i politici, i magistrati, i mass media, gli scienziati, i sacerdoti, gli operatori sociali, gli educatori, i genitori e la coscienza di ogni persona, in particolare quella dei medici e degli operatori dei Consultori familiari.

La Chiesa ha sempre annunciato che la verità della vita è Cristo, il suo Autore.

Giovanni Paolo II l’ha riaffermato in un’intera enciclica: “Proprio nella carne di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo. E’ questa la verità affascinante ed insieme esigente che Cristo ci svela e che la sua Chiesa ripropone instancabilmente: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”(Mt 18,5); “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) (E.V., n.104).

Queste parole presuppongono quella informazione-formazione sulla verità scientifica della vita umana che in ogni Consultorio e in ogni caso va comunicata per prima: alla coppia, alla mamma incinta di qualunque età, agli adolescenti ignari, ad ogni persona che vi si rivolge per via di una maternità inattesa o indesiderata.

Verità sintetizzo in tre punti cardinali:

– la gravidanza inizia nell’istante della fecondazione, e non alcuni giorni dopo nella parete uterina;

– “concepito” (termine usato anche dalla legge 194, che non parla mai di aborto) non è il participio passato del verbo concepire, ma il nome dell’essere umano a partire dal concepimento: una persona, un uomo, un figlio, un bambino;

– “interruzione volontaria di gravidanza” significa l’uccisione volontaria e programmata di un bambino.

Il consultorio non è e non deve essere un “pretorio” cui rivolgersi per fissare direttamente la data dell’aborto, ma il luogo dove trionfa la regalità della vita, un centro affettivo ed effettivo di aiuto a quella “vita-sola-in-due-persone” che è la mamma incinta, in grado di assicurare con ogni mezzo il diritto e la felicità di non abortire in nessun caso: solidarietà vera, perfetta e assolutamente necessaria, dal momento che non abortire significa sopravvivenza personale anche per la mamma del bambino.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 21 novembre, 2009 |Pas de commentaires »
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