Archive pour novembre, 2009

Omelia (25-11-2009) – da Sant’Agostino

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16696.

Omelia (25-11-2009) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
« Nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime
. »

Come vivere questa Parola?
La venuta finale del Regno di Dio è segnata da calamità e sofferenze. Nella sovversione e confusione i credenti, ancorati fortemente a Gesù, otterranno forza dallo Spirito Santo per tener fede alla loro identità di testimoni.
Lo scotto da pagare non è da poco: tradimenti anche da parte dei familiari e degli amici, odio accanito e pericolo di morte.
Ma allora come salvarsi? Sarà la catastrofe per tutti? È l’affermazione finale che fa da perno luminoso a tutto il discorso escatologico di Gesù « Nemmeno un capello del vostro capo perirà ».
Aveva già detto che, dentro la diatriba e l’accanimento verbale dei nemico non c’era di che preoccuparsi. Il credente (sorretto ed ispirato dallo Spirito Santo) avrebbe trovato le parole giuste al momento giusto per controbattere la verità con l’errore. Ma ora la promessa va a fondo e si amplifica. C’è un’invisibile presenza dentro la mia storia, la tua, quella di tutti. Ed è la presenza che salvaguardia il mio BENE. Non è detto che sempre la mia vita fisica sia preservata da eventi disastrosi e dalla morte. Tuttavia « tutto sarà bene » perché tutto sarà salvato. A un patto, però: che io perseveri nella sequela di Cristo, nell’impegno a vivere la sua Parola.

Nella mia pausa contemplativa, oggi, mi lascio consolare profondamente dalla promessa di Gesù circa la mia totale salvezza e nello stesso tempo considero l’imprescindibile impegno a non fare del « dilettantismo spirituale », ma a perseverare ogni giorno negli impegni scelti.

Signore, grazie! Niente, assolutissimamente nulla di me andrà perduto. Ma rendimi responsabile della mia personale risposta alla tua salvezza, con la forza del perseverare.

La voce di un dottore della Chiesa
Credete a Cristo che assicura: Neanche un capello del vostro capo perir e, liberati ormai dalla vostra infedeltà, pensate piuttosto a quanto valete. Che cosa di noi, infatti, potrà essere trascurato dal redentore, se neanche un capello verrà trascurato?
S. Agostino 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 25 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

San Gregorio Magno : «Con la vostra perseveranza otterrete la vita»

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091125

Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario : Lc 21,12-19
Meditazione del giorno
San Gregorio Magno (circa 540-604), papa e dottore della Chiesa
Commento morale al libro di Giobbe, Lib 10, 47-48 ; PL 75, 946

«Con la vostra perseveranza otterrete la vita»

        «Colui che, come me, viene deriso dai propri amici invocherà Dio, che lo esaudirà» (Giobbe 12,4 Vulgata)… A volte l’anima persevera nel bene, eppure subisce la derisione degli uomini. Agisce in modo ammirevole, e riceve delle ingiurie. Allora colui che le lodi avrebbero potuto attirare al di fuori, respinto dagli affronti, rientra in se stesso. E si fortifica in Dio tanto più saldamente per il fatto che non trova all’esterno nulla su cui potersi riposare. Ripone tutta la propria speranza nel suo Creatore e, in mezzo alle beffe oltraggiose, implora solo più il testimone interiore. L’anima dell’uomo afflitto si avvicina a Dio ancor di più per il fatto che si trova abbandonato dal favore degli uomini. Egli s’immerge subito nella preghiera, e, sotto l’oppressione venuta dal di fuori, si purifica per prenetrare le realtà interiori. È quindi con ragione che questo testo dice: «Colui che, come me, viene deriso dai propri amici invocherà Dio che lo esaudirà…» Quando questi sventurati trovano delle armi nella preghiera, arrivano a toccare interiormente la bontà divina: questa li esaudisce perché, all’esterno, sono privati dell’elogio degli uomini…

      «Ci si fa beffe della semplicità del giusto» (Jb 12,4). La sapienza di questo mondo consiste nel dissimulare il cuore sotto artifici, a velare il pensiero con le parole, a mostrare come vero ciò che è falso, a provare la falsità di ciò che è vero. La saggezza dei giusti, al contrario, consiste nel non inventare nulla per farsi valere, nel rivelare il proprio pensiero nelle loro parole, nell’amare la verità così come essa è, nel fuggire la falsità, nel fare il bene gratuitamente, nel preferire sopportare il male piuttosto che farlo, nel non cercare mai di vendicarsi di un’offesa, nel considerare come un beneficio l’insulto che si riceve per la verità. Ma è proprio questa semplicità dei giusti che viene derisa, perché i sapienti di questo mondo credono che la purezza sia stupidità. Tutto ciò che si fa con integrità, lo considerano evidentemente come assurdo; tutto ciò che la Verità approva nella condotta degli uomini appare come una follia alla cosiddetta sapienza di questo mondo.

Notre-Dame du Chene

Notre-Dame du Chene dans immagini sacre NDCGilson3

http://www.notredameduchene.com/telechargement/z02.pagechapeletsdumois.html

Publié dans:immagini sacre |on 24 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il Tempo Liturgico dell’ Avvento

dal sito:

http://www.pasomv.it/index_file/Page1516.htm

Il Tempo Liturgico dell’ Avvento

1. INTRODUZIONE: SENSO DELL’ANNO LITURGICO

Cos’è l’anno liturgico? È l’azione della Chiesa che nel tempo ricorda e vive quanto il suo Signore ha fatto per lei permettendo a tutti i fedeli un incontro esistenziale con Lui morto e risorto.

Quest’azione celebrativa della Chiesa è essenzialmente celebrazione del mistero pasquale di Gesù Cristo, mistero che essendo troppo denso e ricco per essere da noi compreso e vissuto in maniera immediata e totale, viene – per così dire – spezzettato nel tempo perché possiamo gustarne e assimilarne i diversi aspetti e le diverse dimensioni.

Ogni celebrazione liturgica della Chiesa è celebrazione del mistero pasquale di Gesù, ma nei vari tempi liturgici questa celebrazione viene enfatizzata in alcuni suoi aspetti particolari.

Ogni celebrazione liturgica è celebrazione di fede, speranza, carità e queste tre virtù ci aiutano anche a capire tre dimensioni sempre presenti in ogni celebrazione liturgica.

La fede ci riporta al passato, la speranza al futuro, la carità al presente.

Ogni celebrazione liturgica è ricordo o memoria di un evento storico passato, con la virtù teologale della fede noi crediamo veramente accaduto quanto ricordiamo.

Ogni celebrazione liturgica non è solo ricordo o memoria di un evento passato, ma è anche memoriale, cioè presenza sacramentale dell’evento. Cioè quanto noi crediamo avvenuto un tempo si rende presente nell’oggi della liturgia permettendo così a chi vi partecipa non solo un ricordo psicologico di esso, ma un contatto esistenziale con quanto ricordato che viene reso presente per la forza del sacramento. Questa presenza richiede un’accoglienza amorosa che il fedele opera attraverso la virtù teologale della carità che lo spinge a vivere ciò che celebra nel rito anche con la partecipazione dell’offerta della propria persona.

L’accoglienza amorosa di quanto il Padre ha fatto per l’umanità in Cristo spinge il fedele a vivere in un amore donante e consegnante ciò che celebra, donandosi e consegnandosi con Gesù al Padre.

Ogni celebrazione non è solo ricordo e presenza sacramentale di un evento passato, ma è anche anticipo e pegno di quell’incontro definitivo col Cristo glorioso che faremo quando Lui tornerà a chiudere la storia. Quindi ogni celebrazione è carica di una tensione di speranza dell’incontro definitivo, è tesa verso Gesù che ritorna.

Ogni celebrazione è un rinnovare con forza e amore quel ‘Vieni Signore Gesù – Maranatah (Ap 22,17) con cui si chiude la Bibbia.

2. SENSO DEL TEMPO D’AVVENTO

Quest’ultimo aspetto della tensione verso il futuro, è proprio di tutte le celebrazioni liturgiche e quindi di tutto l’anno liturgico, ma lo è in modo specifico del tempo dell’Avvento che enfatizza proprio questa attesa.

Il tempo d’Avvento è il tempo della speranza, della viva attesa di Gesù. Per ridestare una speranza viva nel ritorno del suo Signore la Chiesa si fa aiutare dal ricordo di quell’attesa che pulsava nel cuore di ogni israelita che attendeva il Messia, la salvezza. E così, ad esempio, la Chiesa rileggendo Isaia e le sue profezie di speranza al popolo ebreo schiavo a Babilonia, rinnova nel cuore del cristiano il suo desiderio che Gesù Signore venga presto a salvare questo mondo e a regnare sull’universo: ‘Se tu squarciassi i cieli e scendessi!’ (Is 63,19)

Per questo è cosa buona rileggersi in questo tempo l’AT, soprattutto quei brani che ci raccontano i periodi più difficili e angosciosi della storia ebraica in cui più esplodeva nel cuore del pio israelita la speranza e il desiderio che si realizzasse quella salvezza promessa dai profeti nell’annuncio di un Salvatore venturo.

La Chiesa in questo tempo contempla e medita dunque quel desiderio di quel popolo che Dio si scelse per preparare la venuta del Salvatore, in particolare in questo tempo siamo chiamati a guardare verso quella figura di quel popolo che condensò nel suo cuore, al massimo grado, tutte le speranze di Israele, questa figura è Maria. Nel tempo d’Avvento guardiamo particolarmente verso di lei, entriamo nel suo cuore così desideroso di vedere quel Salvatore che mirabilmente in Lei aveva preso lineamenti umani e avrebbe partorito nella povertà del presepe.

Celebrando quindi l’attesa del ritorno di Gesù, l’Avvento ci fa rivivere l’attesa della sua nascita a Betlemme e l’ansia di Maria di vedere il suo Figlioletto divino.

L’ansia della salvezza vissuta dal popolo santo di Dio nella sua storia di salvezza mi deve rimandare ad entrare in profondità in due realtà per invocare con più forza e desiderio la salvezza:

· La prima è la realtà della mia personale e soggettiva storia della salvezza che è la storia della mia vita personale. Entriamo in questo Avvento in profondità nella nostra storia personale, entriamo in profondità in quella realtà di tenebre, di malizia, di peccato che ci portiamo dietro come una più o meno pesante zavorra, prendiamo coscienza della nostra personale miseria per poter invocare con più desiderio, con più forza, con più confidenza la mia salvezza e gridare così a Gesù, mio Salvatore, a Gesù mio Redentore: Vieni Signore Gesù! (Ap 22.17.20). Vieni presto a salvarmi! Ho bisogno di Te! Ho bisogno di essere guarito dentro! Ho bisogno di essere toccato, guardato, amato, perdonato da Te! Ecco l’Avvento con il suo grido: MARANATAH: Vieni Signore Gesù!… Vieni a salvarmi!· 

· La seconda realtà che devo approfondire nella fede, speranza e carità, è la realtà del mondo che mi circonda e nel quale vivo, la realtà del mio piccolo mondo nel quale sono inserito esistenzialmente: il mondo della mia famiglia, del mio parentado, delle mie amicizie, del mio lavoro, delle persone che incontro, ecc.; la realtà del grande mondo che mi circonda con i suoi travagli, le sue problematiche, i suoi mali, le sue ingiustizie, le sue guerre, le sue miserie, le sue angosce, ecc. La vista quotidiana di tanti mali e sciagure dovrebbe suscitare nel nostro cuore il desiderio che questo mondo sia salvato, fatto nuovo dalla misericordia di Dio e perciò che venga presto il Signore Gesù a chiudere la storia e presentare questo mondo rifatto nuovo al Padre (cf 1Cor 15,25-28). Ecco l’Avvento con il suo grido: MARANATAH: Vieni Signore Gesù!… Vieni a salvarci!

L’Avvento ci spinge ad “attendere con amore la manifestazione del Signore” (2Tm 4,8), se non L’attendiamo con amore, se non preghiamo perché venga presto, significa chiaramente che non l’amiamo, che preferiamo che il suo regno per ora non ci sia. Che amore è il nostro se da un lato affermiamo di amarLo e d’altra parte siamo ben contenti di non vederLo arrivare! Quanto siamo veramente piccoli nell’amore!

Diversi affermano che loro sarebbero contenti, solo che pensano ai loro cari che vivono lontani da Lui e hanno paura che venendo Lui presto loro sarebbero nei guai… Ma questi sono ragionamenti piccoli piccoli che denotano una poca conoscenza del Signore, del suo amore infinito per noi, per ciascuno di noi. Certamente dobbiamo pregare perché i nostri cari si convertano a Lui prima che venga, ma siamo certi che Lui nel suo amore per noi non mancherà di dare a tutti le grazie sufficienti per convertirsi e che quindi quando verrà avrà ben bussato forte forte al cuore di tutti perché si possano salvare. D’altra parte poi, tutti possono sempre accettare o rifiutare le sue grazie, il suo amore, la sua salvezza. A noi quindi, se L’amiamo, pregare che venga presto, che regni presto, che faccia presto tutto nuovo, cominciando da noi, ci penserà poi Lui al resto, perché Lui ama i nostri cari molto, ma molto più di noi e si è fatto mettere in croce per salvarci, non per dannarci. Per cui tutto quello che Lui può fare perché i nostri cari si salvino, lo fa e lo farà.

3. AVVENTO: CELEBRAZIONE DELLE TRE VENUTE DI GESÙ

L’Avvento è celebrazione liturgica delle due venute di Gesù: quella avvenuta nella povertà del presepe da noi creduta con fede; quella ventura, quando Gesù verrà nella sua gloria, venuta da noi attesa nella speranza. Nello stesso tempo l’Avvento ci spinge a saper scoprire e accogliere nell’amore quella continua venuta del Signore nella nostra personale storia.

Si racconta di un anziano rabbi – un maestro del giudaismo – che una volta, mentre osservata dei ragazzini che si divertivano a giocare a nascondino, improvvisamente si mise a piangere… Uno di loro allora gli si avvicinò e gli chiese perché piangesse. “Anche Dio si nasconde, come nel vostro gioco – rispose – ma non c’è nessuno che si metta a cercarlo”.

Ecco l’Avvento è quel tempo liturgico che ci invita a scoprire la presenza nascosta in mezzo a noi di Gesù Signore che viene in vari modi nel nostro oggi ecclesiale per salvarci.

Gesù viene a noi in modo assolutamente mirabile nell’Eucarestia e si nasconde in essa. Gesù nascosto – così lo chiamava Francesco, uno dei tre fanciulli di Fatima. Gesù nascosto! Gesù si nasconde per darci la gioia di scoprirlo! L’Avvento è tempo di Eucaristia!

Ma Gesù non si nasconde solo nell’Eucarestia, Gesù ha un altro nascondiglio nel quale ama essere scoperto: la sua Parola. L’Avvento è tempo di riscoperta della Parola

Ma sono diversi ancora i nascondigli di Gesù, Gesù si nasconde nei suoi ministri, mirabile nascondiglio! Quanta fede alle volte ci vuole per poterLo scoprire, ma quanta gioia ci riserva questa scoperta! Quanta pace! Quanta luce! Quanta serenità Gesù ci trasmette attraverso quel povero uomo che Lui ha preso come suo nascondiglio: ‘Va in pace, i tuoi peccati ti sono perdonati’ e attraverso le mani di quel povero uomo veniamo toccati da Gesù, guariti da Gesù, perdonati da Gesù.

E poi ci sono quegli altri nascondigli di Gesù di cui Lui stesso ci ha parlato nel suo Vangelo: ‘Avevo fame… avevo sete… ero nudo… forestiero…malato… carcerato… quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! … L’avete fatto a me!’ (Mt 25,31ss): Gesù nascosto nel povero, nel malato, nel bisognoso… Gesù nascosto nel parente…, nel collega…, dove spesso è così ben nascosto che proprio non riesco umanamente a vederlo… eppure Lui c’è, basta attivare un po’ di fede per scoprirLo e un po’ di amore per accoglierLo.

L’Avvento è dunque tempo di quella carità che ci fa accogliere questa presenza nella mia vita.

Ma, infine, c’è ancora un nascondiglio di Gesù, che vi invito a scoprire per incontrarvi con gioia con Lui in questo tempo d’Avvento. Gesù è lì nascosto così vicino a noi e noi così distratti ce ne accorgiamo così raramente. Ma qual’è quest’ultimo nascondiglio di Gesù? Gesù si nasconde nel tuo cuore, nel mio cuore… Se ci fermassimo un attimo a pensare la grandezza e l’importanza di questo: sono io il nascondiglio preferito di Gesù, sono io! La mia persona è il nascondiglio di Gesù: quanto Gesù ama essere costretto ad uscire da questo nascondiglio! Facciamo uscire fuori Gesù! Facciamolo vedere questo Gesù, facciamolo crescere questo Gesù. L’Avvento è il tempo gioioso di questa rinnovata scoperta di Gesù nel nostro cuore scoperto dalla nostra vita di preghiera: cos’è la preghiera se non un contatto vivo con questo Gesù risorto e vivo presente nel nostro cuore che ci invita a dire nel suo Santo Spirito: ‘Padre nostro’? L’Avvento è dunque, infine, tempo di preghiera fervorosa, intima e amorosa.

Il Signore Gesù dia a ciascuno di noi in questo prossimo Avvento la grazia di una rinnovata scoperta della sua presenza e di un rinnovato desiderio di abbracciarlo nella fede, nella speranza e nell’amore.

4. MARIA NEL TEMPO DI AVVENTO: nn. 3-4 della Marialis Cultus di Paolo VI I

3. Così, nel tempo di avvento, la liturgia, oltre che in occasione della solennità dell’8 dicembre – celebrazione congiunta della concezione immacolata di Maria, della preparazione radicale (cf. Is 11,1,10) alla venuta del Salvatore, e del felice esordio della chiesa senza macchia e senza ruga -, ricorda frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il Natale, nella quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla Vergine Maria e sul Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo precursore.

4. In tal modo i fedeli, che vivono con la liturgia lo spirito dell’avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, « vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode ». Vogliamo, inoltre, osservare come la liturgia dell’avvento, congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale, che può essere assunto quale norma per impedire ogni tendenza a distaccare – come è accaduto talora in alcune forme di pietà popolare – il culto della Vergine dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo; e faccia sì che questo periodo – come hanno osservato i cultori della liturgia – debba esser considerato un tempo particolarmente adatto per il culto alla Madre del Signore: tale orientamento noi confermiamo, auspicando di vederlo dappertutto accolto e seguito.

Figure delle realtà ultime nell’Antico Testamento

dal sito:

http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Sintesi?num=131

Figure delle realtà ultime nell’Antico Testamento

sintesi della relazione di Rinaldo Fabris

Verbania Pallanza, 19 dicembre 1998

Gli ebrei fino al secondo secolo a.C., al tempo dei martiri a causa della fede, non si interessarono molto dell’aldilà, oltre la morte. Il futuro, tanto del singolo individuo che dell’intera umanità e del mondo, non va oltre la storia.
La speranza di un futuro ultimo si fa strada su un terreno fecondato da elementi religiosi e culturali che occorre prendere in considerazione.
Innanzitutto la fede in Dio creatore del mondo e signore della storia favorirà il formarsi della prospettiva di una nuova creazione e la fede in un Dio fedele agli impegni dell’alleanza farà sorgere l’idea di resurrezione per chi è ucciso a causa della fede. Così pure favorirà la speranza in futuro oltre la storia la fede in un Dio giusto e l’esperienza di persone che non hanno avuto giustizia in questo mondo.
La cultura dell’antico medio oriente poi, in particolare quella mesopotamica e egiziana, fornirà materiali per l’elaborazione della speranza ebraica nell’aldilà.

1. La speranza escatologica
Momento fondamentale è l’esperienza traumatica dell’esilio, epoca nella quale sorge una nuova coscienza individuale, prima assorbita in quella collettiva.
Nei profeti, anzitutto, l’azione salvifica di Dio, il vivente, è garanzia di vita e di resurrezione. In particolare Osea nel 7° secolo (« al terzo giorno ci farà rialzare noi vivremo alla sua presenza ») e Ezechiele nel 6° secolo preparano il linguaggio della resurrezione sia individuale che collettiva, anche se impiegano un linguaggio metaforico per annunciare il ritorno nella terra o per scongiurare la minaccia dell’invasione.
Nei libri sapienziali emerge il problema di coniugare la fedeltà del Dio vivente e il destino dell’essere umano, che per Giobbe è totalmente circoscritto entro la vita presente. Giobbe vuole avere giustizia in questa vita e spera in un Dio riscattatore, salvatore
Nel 2 Maccabei si giunge a enunciare il tema della resurrezione non più come metafora, ma come realtà, come risposta alla morte del resistente, conseguenza della fedeltà a Dio. La madre e i suoi sette figli martiri esprimono la speranza in un futuro oltre la morte. La resurrezione viene vista come un nuovo atto creatore di Dio. Il Nuovo Testamento non aggiungerà nulla di nuovo, se non la resurrezione di Gesù, all’idea di resurrezione come nuova creazione da parte di Dio. Non c’è attesa di un giudizio finale, ma passaggio immediato alla nuova vita. La resurrezione è vista come reintegrazione di tutto l’essere umano.
Nel libro della Sapienza si parla di anime dei giusti, di immortalità. Il linguaggio platonico utilizzato (immortalità, incorrutibilità) deve essere letto, a differenza di quanto solitamente si fa, secondo la prospettiva della cultura ebraica: l’immortalità non è una qualità dell’anima rispetto al corpo mortale. L’essere umano muore e la potenza di Dio creatore lo fa vivere nella sua interezza.

2. Giudizio di Dio e giorno del Signore
Giudizio di Dio e giorno del Signore sono categorie fondamentali riguardanti la realtà ultima.
Anzitutto è bene sottolineare che il giudizio di Dio è l’azione a difesa dell’indifeso, del povero, del debole, di chi non ha giustizia. I Profeti utilizzano la categoria del giudizio per denunciare l’infedeltà del popolo all’alleanza. Il giudizio di condanna è la conseguenza del rifiuto alla conversione.
« Il giorno del Signore » è una espressione impiegata per parlare del giudizio di Dio. Anche l’ira di Dio è legata al giudizio: indica la dimensione affettiva, emotiva, passionale del rapporto tra Dio e il suo popolo. Dio si adira come un padre, o una madre o uno sposo di fronte al tradimento. Restiamo talvolta scandalizzati di fronte ad un Dio che non corrisponde al Dio aristotelico impassibile o al modello dell’uomo che controlla e gela le proprie emozioni. L’esperienza religiosa deve coinvolgere integralmente l’essere umano, anche con le sue passioni.
La categoria del giudizio appare già con Amos, in cui il giorno del Signore appare come giorno di tenebre e di oscurità, immagine ripresa dai profeti successivi, fino ai vangeli sinottici quando parlano dell’oscurità che avvolge la terra nel momento della morte di Gesù, giorno decisivo del giudizio.
Anche Isaia (2,10-22) presenta il giorno del Signore come giorno del giudizio, come intervento di Dio nei confronti di Israele che ha abbandonato il rapporto di fedeltà all’alleanza e ha riposto la propria fiducia nei prodotti delle proprie mani, negli idoli o nelle potenza politica e militare. L’intervento di Dio, presentato con l’immagine del terremoto, porta allo scoperto il male per eliminarlo.
Per Sofonia il giorno del Signore (Dies irae) è un giorno di strage, con lo scopo ultimo di salvare il giusto che si affida a Dio. Per Gioele (2,1-2.10-11) il giorno del Signore è vicino, è incombente come una invasione straniera, come una distruzione che minaccia la città. Questo modo di parlare sarà ripreso nel Nuovo Testamento. Non si tratta di incutere terrore o paura, ma di invitare alla conversione.
Rimane il problema di una insufficiente distinzione tra male e persone che commette il male.

3. Testi apocalittici
In Isaia (24-27) si parla di resurrezione, ma in termini metaforici, indicando il ritorno nella terra al popolo deportato.
Ezechiele (38-39) parla della guerra escatologica: Dio farà giustizia contro le nazioni prepotenti, contro Gog re di Magog. Il testo fornirà materiale all’unico testo interamente apocalittico della Bibbia: l’Apocalisse.

Conclusioni
Quello che conta, al di là del linguaggio utilizzato, è la fedeltà di Dio, del Dio della creazione, dell’esodo, dell’alleanza. L’intervento efficace di Dio porterà alla piena rivelazione delle sua fedeltà e nello stesso tempo fa appello alla fedeltà del giusto: l’alleanza implica una duplice fedeltà.
Tutta la terra e il cosmo sono sconvolti dall’intervento di Dio. Nel momento finale si ha lo stesso respiro universale ed ecumenico del momento iniziale, quello della creazione. La storia di Israele è parabola rappresentativa della storia dell’intera umanità.
La fede nel Dio creatore consente di pensare alla fine non come distruzione, ma come salvezza, come creazione di « cieli e terra nuova ».

Omelia (24-11-2009)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16709.html

Omelia (24-11-2009) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli
perché, collaborando con impegno alla tua opera
di salvezza,
ottengano in misura sempre più abbondante
i doni della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 21,5-11
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: « Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta ».
Gli domandarono: « Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi? »
Rispose: « Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io » e: ‘‘Il tempo è prossimo »; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine ». Poi disse loro: « Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo ».

3) Riflessione

- Nel vangelo di oggi inizia il discorso di Gesù, chiamato Discorso Apocalittico. E’ un lungo discorso, che sarà il tema dei vangeli dei prossimi giorni fino alla fine dell’ultima settimana dell’anno ecclesiastico. Per noi del XXI Secolo, il linguaggio apocalittico è strano e confuso. Ma per la gente povera e perseguitata delle comunità cristiane di quel tempo era la parola che tutti capivano ed il cui scopo principale era animare la fede e la speranza dei poveri e degli oppressi. Il linguaggio apocalittico è frutto della testimonianza di fede di questi poveri che, malgrado le persecuzioni, continuavano a credere che Dio stesse con loro e che continuasse ad essere il Signore della storia.
- Luca 21,5-7: Introduzione al Discorso Apocalittico. Nei giorni precedenti il Discorso Apocalittico, Gesù aveva rotto con il tempio (Lc 19,45-48), con i sacerdoti e con gli anziani (Lc 20,1-26), con i sadduccei (Lc 20,27-40), con gli scribi che sfruttavano le vedove (Lc 20,41-47) ed alla fine, come abbiamo visto nel vangelo di ieri, termina elogiando la vedova che da in elemosina tutto ciò che possedeva (Lc 21,1-4). Ora, nel vangelo di oggi, ascoltando che « mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: « Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta ». Nell’ascoltare questo commento di Gesù, i discepoli domandarono: « Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi? » Loro chiedono più informazione. Il Discorso Apocalittico che segue è la risposta di Gesù a questa domanda dei discepoli sul quando e sul come avviene la distruzione del Tempio. Il vangelo di Marco informa quanto segue sul contesto in cui Gesù pronuncia questo discorso. Dice che Gesù era uscito dalla città ed era seduto sul Monte degli Olivi (Mc 13,2-4). Lì, dallo alto del monte aveva una visione maestosa sul tempio. Marco informa inoltre che c’erano solo quattro discepoli ad ascoltare l’ultimo discorso. All’inizio della sua predicazione, tre anni prima, lì a Galilea, le moltitudini seguivano Gesù per ascoltare le sue parole. Ora, nell’ultimo discorso, ci sono appena quattro uditori: Pietro, Giacomo, Giovanni ed Andrea (Mc 13,3). Efficienza e buon risultato non sempre sono misurati dalla quantità!
- Luca 21,8: Obiettivo del discorso: « Guardate di non lasciarvi ingannare! » I discepoli avevano chiesto: « Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi? » Gesù comincia la sua risposta con un’avvertenza: « Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io » e: ‘‘Il tempo è prossimo »; non seguiteli ». In epoca di mutamenti e di confusione compaiono sempre persone che vogliono trarre vantaggi dalla situazione ingannando gli altri. Ciò avviene oggi e successe anche negli anni 80, epoca in cui Luca scrive il suo vangelo. Dinanzi ai disastri ed alle guerre di quegli anni, dinanzi alla distruzione di Gerusalemme dell’anno 70 ed alla persecuzione dei cristiani da parte dell’impero romano, molti pensavano che la fine dei tempi stesse per avvenire. C’era gente che diceva: « Dio non controlla più i fatti! Siamo perduti! » Per questo, la preoccupazione principale dei discorsi apocalittici è sempre la stessa: aiutare le comunità a discernere meglio i segni dei tempi per non essere ingannati dalle conversazioni della gente sulla fine del mondo: « Guardate di non lasciarvi ingannare! ». Poi viene il discorso che offre segni per aiutarli a discernere e, così, aumenta in loro la speranza.
- Luca 21,9-11: Segni per aiutarli a leggere i fatti. Dopo questa breve introduzione, inizia il discorso propriamente detto: « Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine ». Poi disse loro: « Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo ». Per capire bene queste parole, bisogna ricordare quanto segue. Gesù vive e parla nell’anno 33. I lettori di Luca vivono e ascoltano nell’anno 85. Ora, nei cinquanta anni tra l’anno 33 e l’anno 85, la maggioranza delle cose menzionate da Gesù erano già avvenute e da tutti conosciute. Per esempio, in diverse parti del mondo c’erano guerre, spuntavano falsi profeti, c’erano malattie e pesti e, in Asia Minore, i terremoti erano frequenti. D’accordo con lo stile ben apocalittico, il discorso enumera tutti questi avvenimenti, uno dopo l’altro, quali segni o tappe del progetto di Dio nella storia del Popolo di Dio, dall’epoca di Gesù fino ai nostri tempi:
1º segnale: i falsi messia (Lc 21,8);
2º segnale: guerra e rivoluzioni (Lc 21,9);
3º segnale: nazioni che lottano contro altre nazioni, un regno contro un altro regno (Lc 21,10);
4º segnale: terremoti in diversi luoghi (Lc 21,11);
5º segnale: fame, peste e segni nel cielo (Lc 21,11);
Fin qui, il vangelo di oggi. Quello di domani ci presenta un altro segnale: la persecuzione delle comunità cristiane (Lc 21,12). Il vangelo di dopo domani due segnali: la distruzione di Gerusalemme e l’inizio della disintegrazione della creazione. Così, per mezzo di questi segnali del Discorso Apocalittico, le comunità degli anni ottanta, epoca in cui Luca scrive il suo vangelo, potevano calcolare a che altezza si trovava l’esecuzione del piano di Dio, e scoprire che la storia non era scappata dalla mano di Dio. Tutto avveniva secondo quanto previsto ed annunciato da Gesù nel Discorso Apocalittico.

4) Per un confronto personale

- Qual è il sentimento che hai provato durante la lettura del vangelo di oggi? Pace o timore?
- Pensi che la fine del mondo è vicina? Cosa rispondere a coloro che dicono che la fine del mondo è vicina? Cosa spinge oggi la gente a resistere ed avere speranza?

5) Preghiera finale

Esultino davanti al Signore che viene,
perché viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e con verità tutte le genti. (Sal 95) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 24 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Santa Teresa Benedetta della Croce [Edith Stein] :« Lodate il Signore nel suo santuario… Ogni vivente dia lode al Signore» (Sal 150)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091124

Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario : Lc 21,5-11
Meditazione del giorno
Santa Teresa Benedetta della Croce [Edith Stein] (1891-1942), carmelitana, martire, compatrona d’Europa
La preghiera della Chiesa

« Lodate il Signore nel suo santuario… Ogni vivente dia lode al Signore» (Sal 150)

        Nell’antica Alleanza avevano già una certa comprensione della dimensione eucaristica della preghiera: quell’opera prodigiosa della tenda dell’Alleanza (Es 25) come, in seguito, quella del Tempio di Salomone, fu considerata come l’immagine di tutta la creazione radunata attorno al suo Signore per adorarlo e servirlo… Come, secondo il racconto della creazione, il cielo è stato srotolato come un telo, così, dei teli dovevano costituire le pareti della tenda. Come le acque che sono sotto il firmamento sono state separate dalle acque che sono sopra il firmamento, così il velo del Tempio separava il Santo dei santi dagli spazi esteriori… Il candelabro a sette bracci figura i luminari del cielo. Agnelli e uccelli rappresentano il pullulare degli esseri viventi che abitano il mare, la terra e il cielo. E come all’uomo fu affidata la terra, spetta al sommo sacerdote tenersi nel santuario…

        Al posto del Tempio di Salomone, Cristo ha edificato un tempio fatto di pietre vive (1 Pt 2, 5), la comunione dei santi. Egli si tiene in mezzo ad esso in quanto sommo sacerdote eterno, e sull’altare egli in persona è il sacrificio eternamente offerto. E tutta la creazione è resa partecipe di questa liturgia: i frutti della terra vi sono riuniti in offerte misteriose, i fiori e le luci, i teli e il velo del Tempio, il sacerdote consacrato, come pure l’unzione e la benedizione della casa di Dio. 

        Neanche i cherubini sono assenti. Le loro figure scolpite montavano la guardia nel Santo dei santi. Ora i monaci, che sono la loro immagine vivente, si curano che la lode di Dio non cessi mai, sulla terra come in cielo… I loro canti di lode chiamano all’alba tutta la creazione a unirsi per magnificare il Signore: monti e colline, fiumi e torrenti, e creature tutte che abitano sulla terra, nuvole e venti, piogge e rugiade, neve e nebbia, tutti i popoli della terra, uomini di ogni condizione e razza, e abitanti dei cieli, angeli e santi (Dn 3, 57-90)… Noi dobbiamo raggiungere, per mezzo della nostra liturgia, questa lode eterna di Dio. « Noi », cioè, non soltanto i religiosi regolari… ma tutto il popolo cristiano.

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