Don Alberione e il suo carisma: « Afferrato » da san Paolo

dal sito:

http://www.sanpaolo.org/vita/0904vp/0904vp60.htm

Don Alberione e il suo carisma
« Afferrato » da san Paolo

di ELISEO SGARBOSSA     
 
    « San Paolo oggi vivente » è il filo conduttore dell’Anno dedicato all’Apostolo. È l’occasione favorevole per attualizzare il carisma alberioniano, che è un dono non soltanto per la Famiglia paolina, ma per la tutta Chiesa.
   
Nell’opuscolo autobiografico Abundantes divitiæ don Alberione racconta: «San Paolo: il santo dell’universalità. L’ammirazione e la divozione cominciarono specialmente dallo studio e dalla meditazione della Lettera ai Romani. Da allora la personalità [dell’Apostolo], la santità, il cuore, l’intimità con Gesù, la sua opera nella Dogmatica e nella Morale, l’impronta lasciata nell’organizzazione della Chiesa, il suo zelo per tutti i popoli, furono soggetti di meditazione. Gli parve veramente l’Apostolo: dunque ogni apostolo ed ogni apostolato potevano prendere da Lui. A san Paolo venne consacrata la Famiglia» (AD 64).

La Famiglia paolina esisteva allora soltanto nella mente del giovane seminarista, già consapevole della propria vocazione speciale fin dalla notte santa di fine secolo, quando «una particolare luce venne dall’Ostia santa, maggior comprensione dell’invito di Gesù « venite ad me omnes »; gli parve di comprendere il cuore del grande Papa [Leone XIII], gli inviti della Chiesa, la missione vera del Sacerdote [...], il dovere di essere gli Apostoli di oggi [...] Si sentì profondamente obbligato a prepararsi a far qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto» (AD 15). In tale prospettiva il chierico Alberione orientò i suoi studi, privilegiando le ricerche storiche. E in questo percorso si incontrò con l’Apostolo. Era un primo incontro, che solo più tardi si sarebbe approfondito in una forte amicizia e in un totale coinvolgimento della vita.

Una diecina di anni dopo, nel 1914, don Alberione fu in grado di realizzare il suo sogno apostolico, con la fondazione della « Scuola tipografica », primo nucleo della congregazione maschile, e nel 1915, con l’avvio del « Laboratorio femminile », prima denominazione delle Figlie di San Paolo. Sette anni ancora, e il Fondatore nel 1921 può dire: «Finalmente [...] vi è un numero sufficiente di persone che si sono legate come in una società di anime, di volontà, di cuori, per l’opera della Stampa Buona. [...] Ora si deve cominciare. Perciò la Casa prende il suo vero nome: Pia Società San Paolo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, 15 luglio 1921).

Santità e apostolato in Paolo

Ecco la novità: la « società di anime » consacrate per la buona stampa ha il nome dell’apostolo san Paolo. Ma è solo un nome convenzionale? Perché san Paolo e non altri? La spiegazione fu data in termini espliciti dallo stesso Fondatore: «Prima di mettere l’Istituto sotto la protezione di san Paolo apostolo si è pregato molto. Si voleva un Santo che eccellesse in santità e nello stesso tempo fosse esempio di apostolato. San Paolo ha unito in sé la santità e l’apostolato» (Pred. SP 302). Santità e apostolato. Prego di ricordare questo binomio, che costituisce il cuore del carisma alberioniano, come vedremo fra poco.

Un’altra domanda possiamo rivolgerci: di chi fu la scelta di Paolo come patrono dell’istituzione? Fu forse di don Alberione, o gli pervenne da altri? Essa in realtà fu un dono dall’alto, una ispirazione. «È stata una vera ispirazione mettere la Famiglia [paolina] sotto la protezione di san Paolo; in un istante; illuminazione» (Alle Pie Discepole, 1961). La figura dell’apostolo Paolo ha sempre ispirato il pensiero e l’azione apostolica del beato Giacomo Alberione: «Vivere e dare al mondo Gesù Cristo Via e Verità e Vita». E ancora: «Una grande grazia ci ha fatto il Signore nel darci per padre, maestro, modello, amico, protettore san Paolo. Egli è un miracolo di dottrina, un prodigio di zelo, un eroe in ogni virtù. Egli fu convertito per un favore straordinario, egli ha lavorato più di tutti gli altri apostoli, egli ha illuminato il mondo con lo splendore della sua dottrina e dei suoi esempi». Così in uno scritto del 1918 (Introduzione a Un mese a san Paolo).

Dunque fin dai primi tempi don Alberione intese come protagonista l’apostolo Paolo: padre, maestro, modello, amico, protettore per ogni paolino. Si tratta di una convinzione che ha accompagnato il Fondatore per tutta la vita, fino a fargli scrivere, nella « storia carismatica » (Abundantes divitiæ, 1954), le note parole testamentarie: «Questa seconda storia [della propria insufficienza] ha prodotto in lui una profonda persuasione, e ne fa viva preghiera: tutti devono considerare solo come padre, maestro, esemplare, fondatore san Paolo apostolo. Lo è, infatti. Per lui è nata [la Famiglia paolina], da lui fu alimentata e cresciuta, da lui ha preso lo spirito [...]» (AD 2).

Tale persuasione è confermata in un altro scritto del 1954, in cui don Alberione esprime gratitudine al Signore e ribadisce la certezza che il « vero Fondatore » è san Paolo: «La riconoscenza più viva va a Gesù, Maestro divino, nel suo Sacramento di luce e di amore; alla Regina Apostolorum, Madre nostra e di ogni apostolato; a san Paolo apostolo, che è il vero Fondatore dell’istituzione. Infatti egli ne è il padre, maestro, esemplare, protettore. Egli si è fatta questa famiglia con un intervento così fisico e spirituale che neppure ora, a rifletterci, si può intendere bene; e tanto meno spiegare.

«Tutto è suo. Di lui, il più completo interprete del Maestro divino, che applicò il Vangelo alle nazioni e chiamò le nazioni a Cristo. Di lui, la cui presenza nella teologia, nella morale, nell’organizzazione della Chiesa, nelle adattabilità dell’apostolato e dei suoi mezzi ai tempi è vivissima e sostanziale; e rimarrà tale sino alla fine dei secoli. Tutto mosse, tutto illuminò, tutto nutrì; ne fu la guida, l’economo, la difesa, il sostegno; ovunque la Famiglia paolina si è stabilita. Meritava la prima chiesa e la bella « gloria » che lo riproduce nel suo apostolato e nella sua paternità rispetto ai paolini. Non è avvenuto come quando si elegge un protettore per una persona, o istituzione. Non è che noi lo abbiamo eletto; è, invece, san Paolo che ha eletto noi. La Famiglia paolina deve essere san Paolo oggi vivente, secondo la mente del Maestro divino; operante sotto lo sguardo e con la grazia di Maria Regina Apostolorum» (San Paolo, luglio-agosto 1954).

Triplice funzione dell’Apostolo

Di più: a san Paolo viene ancora attribuita la triplice funzione di padre, maestro, protettore e, addirittura, mediatore sacramentale: «San Paolo apostolo è il nostro padre, maestro, protettore. Egli ha fatto tutto. Questa si chiama Opera di san Paolo; il senso è quello inteso come quando si dice: il giovane tale è di Pietro, cioè è figlio di Pietro [...] La vita della Famiglia paolina viene dall’eucaristia; ma comunicata da san Paolo» (San Paolo, agosto-settembre 1954). Con tale patrocinio non devono dunque spaventarci le nostre debolezze e insufficienze. Lo stesso san Paolo, afferma don Alberione, «descrisse con efficacia la deplorevole debolezza della condizione umana: « Io non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio [...] » (cf Rm 7,19s.). Ma il rimedio sta nella grazia della redenzione, per cui la debolezza non impedisce la santità. Per san Paolo la santità è la maturità piena dell’uomo, l’uomo perfetto [...]» (San Paolo, settembre 1954).


Che farebbe oggi san Paolo?

Don Alberione, in un opuscolo del 1954, si pose la celebre domanda che fu dell’arcivescovo tedesco Wilhelm von Ketteler verso la metà dell’Ottocento: «Se San Paolo vivesse oggi [...] che farebbe?». E rispose allargando il discorso sull’intera Famiglia paolina: «Essa si propone di rappresentare e vivere san Paolo, oggi; pensando, zelando, pregando e santificandosi come farebbe san Paolo, se, oggi, vivesse. Egli visse i due precetti dell’amore verso Dio e verso il prossimo in una maniera così perfetta da mostrare in sé il Cristo stesso: « Vive in me Cristo » (Gal 2,20). Egli si è fatta la Società San Paolo, di cui è il fondatore. Non la Società San Paolo elesse lui, ma egli elesse noi; anzi ci generò: « Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo » (1Cor 4,15).

«Se san Paolo vivesse», prosegue don Alberione, «continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d’ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione. Non sarebbe la sua dottrina fredda ed astratta. Quando egli arrivava, non compariva per una conferenza occasionale: ma si fermava e formava: ottenere il consenso dell’intelletto, persuadere, convertire, unire a Cristo, avviare ad una vita pienamente cristiana [...].

«Egli dice ai paolini: Conoscete, amate, seguite il Divino Maestro Gesù. « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo! » (1Cor 11,1). Questo invito è generale, per tutti i fedeli e devoti suoi. Per noi vi è di più, giacché siamo figli. I figli hanno la vita dal padre; vivere perciò in lui, da lui, per lui, per vivere Gesù Cristo. Sono per noi appropriate le parole ai suoi figli di Tessalonica, ai quali ricorda di essersi fatto per loro forma: « Per darvi noi stessi come esempio da imitare ». Gesù Cristo è il perfetto originale; Paolo fu fatto e si fece per noi forma; onde in lui veniamo forgiati, per riprodurre Gesù Cristo. San Paolo forma non lo è per una riproduzione fisica di sembianze corporali, ma per comunicarci al massimo la sua personalità: mentalità, virtù, zelo, pietà [...] tutto. La Famiglia paolina, composta di molti membri sia Paolo vivente in un corpo sociale.

Un proposito per tutti

«Conoscere e meditare san Paolo nella vita, opere, lettere; onde pensare, ragionare, parlare, operare secondo lui; e invocare la sua paterna assistenza» (San Paolo, settembre 1954). Troviamo qui in sintesi tutti i motivi per cui san Paolo è divenuto, per grazia prima che per scelta, il patrono, il modello e l’ispiratore della Famiglia paolina. Possiamo aggiungere che l’Apostolo incarna per don Alberione il « carisma di fondazione » nel suo duplice versante: della spiritualità e dell’apostolato. Il documento Mutuæ Relationes tra vescovi e religiosi spiega: «Il carisma dei fondatori si rivela come una esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita». Tale esperienza dello Spirito costituisce come l’anima delle istituzioni e la loro « indole propria », la quale poi «comporta anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato» (MR 11).

I due versanti del carisma

1. Il versante spirituale. Quando il giovane Alberione si pose ai piedi del tabernacolo, nella lunga adorazione notturna del 31 dicembre 1900, percepì il senso e i dati fondamentali della propria vocazione, così come li riassunse in Abundantes divitiae 13-21. Egli comprese la missione vera del sacerdote, il modo di esercitarla più efficacemente come « apostoli di oggi », e pregò che la Chiesa avesse un nuovo slancio missionario sullo stile di san Paolo. Questa la componente spirituale del carisma, che impronta innanzitutto lo « stile particolare » della santità.

2. Il versante apostolico. La seconda qualità del carisma alberioniano è la ri-attualizzazione della vita e della missione dell’apostolo Paolo. «La Famiglia paolina è suscitata da san Paolo per continuare la sua opera; è san Paolo, vivo, ma che oggi è composto di tanti membri [...] E se vivesse oggi, che farebbe? [...] Adopererebbe i più alti pulpiti eretti dal progresso odierno [...]: per il vangelo di Gesù Cristo» (Alle FSP, 1955). Dunque il carisma fondazionale non fu solo una scelta pastorale o solo un dono dello Spirito riguardante la sorgente interiore e le modalità dell’apostolato moderno; fu anzitutto un dono di comprensione del mondo moderno, della sua realtà drammatica dal punto di vista religioso e culturale. Non si dimentichi in qual misura il giovane Alberione aveva sperimentato la tragedia della cultura atea…

Fu allora che la coscienza straordinariamente vigile del « convertito » Giacomo ebbe la percezione della posta in gioco e delle enormi possibilità offerte dai mezzi moderni per la promozione di una cultura ispirata al Vangelo. E la certezza che la nuova cultura sarà tanto umana e salvifica nella misura in cui sarà « integralmente cristiana », cioè se attingerà tutti i valori del « Cristo integrale »: Via e Verità e Vita (Maestro di dottrina e guida morale, Modello e Mediatore, Sacerdote e liturgo universale). Il concetto di « integralità » è essenziale nella visione apostolica di don Alberione, e significa che tutto il mistero di Cristo dev’essere comunicato a tutto l’uomo, in tutte le sue componenti, con tutti i mezzi più aggiornati di ricerca e di trasmissione. Strumento tecnico e pastorale di questa impresa apostolica, ispirata a Paolo, il « Santo dell’universalità », è il sistema moderno dei media, assunti come veicoli sacramentali del Verbo eterno, secondo la teologia dell’Incarnazione e l’immagine esemplare di san Paolo.

Eliseo Sgarbossa
 

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