PAOLO TRA RELATIVISMO E FONDAMENTALISMO

questo è quanto ho trovato, probabilmente non è tutto, ma vale la pena ugualmente di leggere quanto scritto; io sono passata dal PDF al testo, c’è qualche differenza nell’impostazione grafica, se volete potete leggere dall’originale, naturalmente, dal sito:

http://www.paoline.it/upload/immagini/farfa_relazione_virgili.pdf

Atti del Convegno
PAOLO TRA RELATIVISMO E FONDAMENTALISMO
Figlie di S. Paolo • Provincia italiana • Farfa (RI), 9-13 luglio 2008

ROSANNA VIRGILI

Premesso che i termini “fondamentalismo” e “relativismo” sono moderni e designano, pertanto, delle realtà e delle forme di pensiero che assumono contenuti distanti dalla cultura del tempo di Paolo, ciò non di meno essi possono essere ritrovati nel mondo paolino, sotto forma di atteggiamenti riconducibili all’idea che oggi ne abbiamo. Essi rappresentano due forme di pensiero, ambedue estreme, benché affatto diverse, se non addirittura contrapposte tra loro. Mentre per fondamentalismo si intende un attaccamento alla “lettera” delle Scritture e, in senso più largo, l’illegittimità del concorso della ragione per interpretarle e incarnarle nell’attualità, il relativismo designa lo scetticismo verso tutto ciò che è frutto di una Rivelazione calata dal cielo, poiché – al contrario – ogni conoscenza può e deve passare attraverso la ragione dell’uomo. Quando Paolo parla del Cristo crocifisso e lo definisce “scandalo per i Giudei e follia per i pagani”(1Cor 1,23), denuncia l’incapacità di una visione obiettiva della Croce. Tale incapacità era frutto, in ambedue i casi – quindi non soltanto per quanto riguardava i pagani che erano privi di una Rivelazione, ma anche per coloro che la possedevano – di un pensiero unilaterale, miope e comunque soltanto umano, privo di quell’intelligenza che sorge negli occhi e nella mente dell’uomo, quando questi si incrociano e si allargano sul punto di vista di Dio, nel frutto di una Sapienza che sempre si rinnova nella curiositas, ma anche nella visione dello Spirito e nell’ansia dell’Amore. I punti fondamentali che segneranno le tappe della nostro percorso di riflessione sul pensiero e sul messaggio di Paolo saranno, dunque, i seguenti:
1.
Sapienza e follia, forza e debolezza: il linguaggio nuovo e ‘rovesciato’ di Paolo per spiegare il Vangelo (1Cor 1,17-3,23). Paolo e il suo rapporto dialogico e dialettico con la sapienza umana.
2.
I limiti di una conoscenza a immagine dell’uomo, che si rifrange su quell’immagine ed è incapace di vedere oltre l’orizzonte del suo specchio (Rm 1,18-32).
3.
La legge del cuore e la testimonianza della coscienza: una via d’uscita dal vicolo cieco del relativismo (Rm 2,1-15).
4.
Paolo e la concezione del corpo come luogo di relazione, oltre il relativismo (“tutto mi è lecito!”) e il fondamentalismo etici (un corpo chiuso e da non contaminare) (1Cor 6,12-20; 10,23-33).
5.
“Mi son fatto tutto a tutti, per salvare a tutti i costi qualcuno”. “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo nè donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Paolo e i suoi sconfinamenti per amore del Vangelo e l’insensatezza di ogni fondamentalismo (1Cor 9,19-23; Gal 3,26-29).

Introduzione

Chiamare Paolo a interpretare la temperie culturale in cui vive oggi l’Occidente, specialmente in ciò che si riflette nell’esperienza della Chiesa cattolica, non è affatto peregrino. Se pure in fenomeni e formulazioni diverse, la cultura degli anni in cui Paolo scrisse, si presentava in molti aspetti simile alla nostra. Il clima culturale del nostro tempo può essere definito in uno schema polare che va dal fondamentalismo al relativismo. Queste due parole hanno, tuttavia, una estensione semantica affatto particolare che si rivolge a situazioni e ambiti molto diversi. Il fondamentalismo è un fenomeno molto specifico che riguarda il modo di leggere i testi sacri: esso pretende un’accoglienza cieca della forma della lettera biblica, che non può essere mutata, né interpretata, ma solo recepita così com’è. Storicamente il fondamentalismo nasce nell’Ottocento in contrapposizione al razionalismo con cui venivano lette e interpretate le Scritture, specialmente quelle del Nuovo Testamento, di cui denunciava l’illegittimità; il fondamentalismo, infatti, non ammette che la Bibbia sia oggetto di un esame critico – condotto al lume della ragione – poiché teme che ciò possa compromettere la sacralità della stessa Scrittura e porre in dubbio la sua matrice divina e ispirata. Pertanto il fondamentalismo irrigidisce la Scrittura nella sua forma letteraria e – ahimé! – storica, non permettendole di essere interpretata né attualizzata nel tempo presente. La stessa cosa che custodire un cadavere, piuttosto che far risorgere ogni volta un corpo morto! Il relativismo è, invece, una complessa corrente di pensiero che abbraccia un vasto campo filosofico e culturale. Esso si radica, innanzitutto, nella concezione della preminenza della ragione umana, considerata come lo strumento con cui l’uomo può conoscere e giudicare ogni cosa, anche Dio stesso.
Da qui l’aggettivo “relativo” che indica che ogni cosa è relativa al modo in cui l’uomo può conoscerla; se questo modo è la ragione, allora la conoscenza e la definizione stessa degli “oggetti”, dipendono dalla ragione. A questo punto scatta, però, la domanda su cosa sia o cosa si debba intendere per ragione e di quali elementi essa si costituisca o di quali contenuti si componga. Si perviene, così ad ammettere che la ragione non sia universale – come la pensava Kant o Cartesio prima di lui – ma che possa configurarsi in maniera diversa a seconda delle basi su cui si radica. Da questa concezione di ragione nasce, allora, il relativismo, che indica una certa soggettività di riferimento per la conoscenza. La ragione, insomma, non è solo formale e quello formale non è solo un metodo (la logica), ma è anche il criterio del giudizio sulla realtà. In questo modo la intende Benedetto XVI quando, proprio difendendo l’uso della ragione, la radica nel logos che è Gesù Cristo, nella concezione cristiana; mentre definisce relativismo un uso della ragione che rifiuta ogni altro criterio di conoscenza oggettiva, se non se stessa.
Il relativismo, dunque, non definisce tanto un criterio esegetico, quanto una prospettiva di pensiero che coinvolge l’intero ambito della conoscenza e quindi la stessa visione del mondo e della società. Il Papa taccia di relativismo la cultura occidentale contemporanea accusandola di avere come unico criterio di riferimento l’uomo e la sua autonomia in ogni campo, da quello scientifico a quello tecnico, da quello etico a quello politico. Di qui emerge un’immagine dell’uomo occidentale monca e negativa: individualista, egoista, edonista e senza limiti. Il relativismo è il clima culturale in cui Dio è tagliato fuori. In relazione alle scritture – che è l’ambito del nostro interesse – il relativismo designa più specificamente lo scetticismo verso tutto ciò che fosse frutto di una Rivelazione calata dal cielo, poiché non spiegabile, né raggiungibile attraverso la ragione dell’uomo. In che modo queste due prospettive culturali – fondamentalismo e relativismo – possono essere accostate e paragonate all’universo paolino, alla realtà delle sue comunità e a quanto emerge dai suoi scritti epistolari? In altre parole: quale aiuto, quali suggerimenti possiamo ricavare dall’esperienza della chiesa nascente che Paolo attesta nelle sue Lettere, che possano illuminarci e sostenerci nella nostra situazione attuale?

I. Paolo e la sua battaglia contro il fondamentalismo giudaico

Paolo ebbe a che fare con il fondamentalismo nel suo difficile rapporto con il Giudaismo su due livelli: quello esegetico e quello etico.
Occupiamoci, innanzitutto, del primo: quello dell’esegesi scritturale. Una custodia sacrale e letterale della Legge non permetteva alcuna interpretazione e rilettura che la potesse attualizzare e Paolo combatte con forza contro questa forma giudaica di fondamentalismo. Le sue lettere sono farcite di citazioni bibliche, basti pensare che nella sola lettera ai Romani si trovano ben 58 citazioni dirette dal Primo Testamento (da Isaia, Genesi, Deuteronomio, Osea, Levitico, Proverbi, ecc.), per non parlare di quelle indirette che non è facile quantificare, essendo più fluttuanti. Sul modo di utilizzare le Scritture ebraiche illuminante è quanto dice Antonio Pitta: “Spesso egli compie appropriazioni che possiamo definire indebite, a causa dell’orizzonte evangelico che gli sta principalmente a cuore. Di fatto non si riferisce mai all’AT per semplice erudizione estetica, ma sempre per dimostrare la consistenza del proprio vangelo che trova in Cristo e nell’azione salvifica di Dio il suo punto di arrivo” (Lettera ai Romani, 29).
Non solo l’Apostolo non fossilizza la parola biblica, ma la scava nel suo futuro escatologico che la venuta di Gesù, nell’attualità del suo tempo, ne procura. L’interpretazione attualizzante delle Scritture ebraiche genera, nell’esegesi paolina, perfino dei mutamenti di significato nelle pagine dell’AT. Per un esempio illuminante si consideri il lungo discorso che Paolo fa su Abramo, la sua stirpe, le sue due mogli e le due relative Alleanze, nella Lettera ai Galati (cfr. Gal 3-4).
In ciò Paolo mostra una straordinaria modernità, ma anche la continuità con un metodo di redazione biblica già presente nell’AT. L’uso che Paolo fa della legge e dei profeti rende la Scrittura viva, duttile, attuale, incarnata, capace di dilatare i confini di una lettera morta.
Lo scardinamento del fondamentalismo biblico trova ragioni e sviluppi nello scardinamento del fondamentalismo etnico, politico, sociale, etico, sessuale, religioso, a favore di un messaggio di salvezza universale: Ef 2,11-18: “Ora, invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete divenuti i vicini grazie al sangue di Cristo” 1Cor 9,19-23: “Mi son fatto tutto a tutti, per salvare a tutti i costi qualcuno”. Gal 3,26-29: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”.
Paolo manipola la parola (antica e nuova) perché lo accompagni nei suoi sconfinamenti per amore del Vangelo e dimostra, così, l’insensatezza di ogni fondamentalismo.

II. Paolo e la sua battaglia contro la sapienza (relativa alla ragione) della cultura di matrice greca

a. Parola in relazione
Un altro aspetto fondamentale della scrittura di Paolo è il grande impatto con la sapienza greca, anima della cultura del suo tempo e dell’area in cui egli orbitava. La Prima Lettera ai Corinzi ne è una espressione diretta e immediata. La ricchissima (definita: aphneios “opulenta”) e cosmopolita città greca di Corinto era un luogo di alto spessore culturale, pur costituendo – con i suoi due porti – uno dei maggiori centri commerciali dell’epoca. Nonostante quanto scrive Paolo che: “Non ci sono molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili” (1Cor 1,26), le comunità cristiane erano spesso frequentate da persone altolocate e facoltose le quali mettevano a disposizione le loro case per le riunioni comunitarie. Le signore godevano di una certa libertà (cfr. 1Cor 11,2-16) e dilagavano le dottrine filosofiche, specialmente la gnosi. A questa sapienza, corroborata dalla profusione dei carismi, corrispondeva, purtroppo, una profusione di schismata (“divisioni”) nella Chiesa (1Cor 1,10-16). A ciò Paolo contrappone una sapienza rovesciata, folle, debole: la sapienza del Vangelo. E lo fa assumendo il vocabolario della sapienza “del mondo”, ragionando con le sue stesse categorie, per rivelare sì il paradosso, ma anche la ragionevolezza ultima, la forza effettiva della sapienza della Croce. Il suo rapporto con la sapienza razionale del mondo ellenizzato è dialogico e dialettico, allo stesso tempo (cfr. 1Cor 1,17-3,23). In questo linguaggio “razionale” di Paolo rinveniamo ancora il suo rifiuto del fondamentalismo e inoltre il rifiuto di uno spiritualismo vuoto e inutile (cfr. 1Cor 14,1-4 sul carisma della glossolalia). Ciò non toglie che la sua parola fosse quella della fede, esperienza in cui lievita una sapienza capace di dialogare con la ragione umana e nei termini della ragione umana, e anche di aprire visioni e conoscenze ulteriori: Ë la parola della profezia cristiana. Essa è parola in relazione: edifica l’uomo che la pratica, edifica la comunità dei credenti, Ë autentica testimonianza verso la comunità universale.
b.
I limiti alla conoscenza razionale
Paolo opera una critica serrata alla sapienza dei sapienti (sophia): la loro conoscenza è limitata, in quanto è frutto della proiezione che l’uomo fa di se stesso nel mondo, tanto da non riuscire a vedervi che la sua stessa immagine. Finisce, così, che l’uomo non riesca a vedere che se stesso, amplificando la sua presenza nel mondo senza accorgersi che il creato è, invece, frutto, evidenza (doxa) di un Creatore. Una conoscenza siffatta diventa vittima di se stessa e puù essere quindi considerata una forma di relativismo. Il relativismo è, dunque, nella riflessione paolina, un vicolo cieco in cui l’uomo si caccia da solo e dal quale poi non riesce più ad uscire (cfr. Rm 1,18-32).
c.
La testimonianza della coscienza
Paolo, infine, affronta un problema anch’esso di grande attualità, ovviamente mutatis mutandis. Come è possibile che credenti e non credenti possano avere un punto con il quale e sul quale sia possibile un effettivo dialogo, visto che gli uni partono dal presupposto della Rivelazione e gli altri da quello della sola ragione? Questo è forse lo scoglio più grande nel dibattito tra cattolici e laici nel momento presente. A questa distanza che sembra incolmabile e che è concausa del relativismo, il Papa Benedetto XVI ha risposto nei seguenti termini: “Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita” (Discorso preparato per l’Inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università la Sapienza di Roma, 17 Gennaio 2008). La tesi del Papa è che la ragione trovi le sue radici nella fede, e senza la fede la ragione stessa si scompone e si frantuma. Pertanto i laici debbono attingere alla fede – e quindi alla Rivelazione che la veicola – per poter ricostituire una ragione che sia integra e capace di verità. Paolo interviene su una questione affatto simile a questa, in un modo un po’ diverso e trova, invece, un punto comune tra coloro che hanno il dono di una Rivelazione – dove è descritto il volto di Dio – e coloro che non hanno (o non accettano) un Rivelazione e utilizzano, pertanto, la sola ragione per conseguire la conoscenza che li porta a negare la presenza di Dio. Questo punto comune è la coscienza (suneidesis): siccome ogni uomo possiede la coscienza essa stessa gli sarà giudice dell’autenticità della conoscenza cui ciascuno – per vie diverse – perviene, sia il credente, sia il “sapiente” (Rm 2,12-15).

Conclusione

Oltre il relativismo di una sapienza auto-referenziale e il fondamentalismo di una parola chiusa in se stessa, Paolo propone una stupenda metafora: quella del corpo come luogo di relazione. Esso supera il relativismo etico di chi dice “tutto mi è lecito” e anche il fondamentalismo legalistico che condanna a morte l’uomo in nome della legge (cfr. 1Cor 6,12-20; 10,23-33). Paolo scardina la lettura giudaica della stessa Torah, che fondava sulla “lettera” la salvezza esclusiva dei figli di Abramo in virtù della loro circoncisione e soprattutto la salvezza che derivava dall’osservanza dei precetti stabiliti nella Legge di Mosè. Portando un’interpretazione attuale ed illuminata della Legge di Israele, Paolo apre a tutti, Giudei e Gentili, la porta della salvezza che viene da Dio, attraverso la giustificazione ottenuta per mezzo della fede nella Grazia del Cristo. Questo atto coraggioso di Paolo liberava la religione dei padri e la stessa Scrittura – in cui quella era custodita – dalla deriva dell’irrigidimento “fondamentalista” che avrebbe escluso dall’economia della Grazia la maggior parte dell’umanit‡. La luce che possiamo trovare in questo fondamentale intervento di Paolo è grandissima e preziosa per l’oggi: ci mette in guardia dal ricadere nella tentazione antica di irrigidire le scritture – ora anche quelle cristiane! – non solo assolutizzandone il contenuto letterale e affatto storicizzato, ma soprattutto trasformandole in codici religiosi, normativi ed etici con cui “giudicare” ogni uomo, più per la condanna che per la salvezza…! La Scrittura non deve mai perdere la sua anima: quella di essere una Parola di gioia, di giustizia, di libertà, di carità, di pace verso tutti, quanto corrisponde al suo essere “Vangelo”: la buona notizia della Vita. Su come affrontare, poi, un dialogo con il pensiero moderno Paolo può essere lo stesso di grande aiuto. Egli fu molto critico nei confronti della cultura greca che vedeva l’uomo celebrare ed assolutizzare se stesso, fino ad auto-celebrarsi come un dio, diventando un idolatra della creatura/e (cfr. Rm 1,18-23). Il modo in cui Paolo discuteva coi sapienti del mondo antico non era regolato, tuttavia, su una sorta di scomunica intellettuale fatta a priori, ma su un autentico ed umile confronto condotto in termini e metodi razionali, cioè gli stessi usati dai suoi interlocutori. Paolo mostra di non disprezzare affatto il pensiero greco, al contrario di averne profonda stima, tanto da assumerne il linguaggio e i postulati per poi utilizzarli come canali di dialogo e di traduzione di un Vangelo – il suo! – che egli voleva introdurre con argomenti plausibili e persuasivi. Paolo invita i sophoi a considerare anche i risultati, gli effetti tangibili del loro pensiero sulla società ed i suoi costumi, sullo stile di vita che essi stessi ispiravano e a farne una lettura onesta e disincantata (cfr. Rm 1,24-32). Un atteggiamento che invita i cristiani di oggi a non isolarsi dalla realtà culturale in cui si trovano a vivere, piuttosto a rispettarla e conoscerla a fondo per poterne essere autentici e credibili interlocutori. Per poterne esserne lievito profetico, spinta verso benefici superamenti e intuizioni di migliori orizzonti.

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BIBLIOGRAFIA
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Fitzmeyer J.A., Lettera ai Romani, Piemme, Casale Monferrato 1999.
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Manzi F., Paolo Apostolo del Risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008.
Pitta A., Lettera ai Romani, Paoline, Milano 2001.
Wright N.T., L’Apostolo Paolo, Claudiana, Torino 2008.
Wright N.T., Che cosa ha veramente detto Paolo, Claudiana, Torino, 1999
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Publié dans : Paolo - oggi, Paolo - temi attuali |le 5 novembre, 2009 |Pas de Commentaires »

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