Archive pour octobre, 2009

DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 – LA LITURGIA CELEBRATA DALL’ORDINE FRANCESCANO

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Giotto, San Francesco, il transito

DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 – LA LITURGIA CELEBRATA DALL’ORDINE FRANCESCANO

LA MESSA CELEBRATA DALL’ORDINE FRANCESCANO (c’è la sequenza) LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/1004Page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  Gal 6,14-18
Il mondo è stato per me crocifisso, come io per il mondo.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo. 
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.  

PRIMI VESPRI

Lettura breve   Rm 8, 10-11
Se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Efesini di san Paolo, apostolo 4, 1-24

A ciascuno è stata data la sua grazia, per edificare il corpo di Cristo
Fratelli, vi esorto io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini (Sal 67, 19).
Ma che significa la parola «ascese», se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.
E’ lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.
Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.
Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.

Responsorio   1 Cor 2,4.2
R. La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, * ma sulla manifestazione dello spirito e della sua potenza.
V. Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso,
R. ma sulla manifestazione dello spirito e della sua potenza.

Seconda Lettura
Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d’Assisi
(Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94)

Dobbiamo essere semplici, umili e puri
Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All’approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato per noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull’altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì per i nostri peccati, lasciandoci l’esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! E’ detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l’adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. E’ il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre

LODI

Lettura breve   Gal 1, 15-16.24
Dio, che mi scelse e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio, perché lo annunziassi in mezzo ai pagani. E a causa mia glorificavano Dio.

SECONDI VESPRI:

Lettura breve   Gal 6,14.17-18
Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 – XXVII DEL TEMPO ORDINARIO

 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 - XXVII DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera a Timoteo - prima 04%20CATACOMBS%20OF%20STPETER%20AND%20MARCELLINUS%20ADAM%20AND%20E

Catacombs of StPeter and Marcellinus Adam and Eve

http://www.artbible.net/firstestament_fr.html

DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 – XXVII DEL TEMPO ORDINARIO

SAN FRANCESCO D’ASSISI PATRONO D’ITALIA (solennità per i francescani)

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinB/B27page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura   Eb 2, 9-11
Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine.

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.
Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

dal sito Bible Service:

http://www.bible-service.net/site/380.html

Hébreux 2,9-11
En reprenant les mots du psaume 8 (cité quelques versets en amont de notre lecture) l’auteur insère Jésus dans le destin des hommes. Et si Jésus affronte le chemin de l’homme, abaissement puis gloire, passion et Résurrection, c’est pour le salut de tous. Ayant ainsi vécu en tout la condition humaine, il est  » à l’origine du salut « , ou plus littéralement  » pionnier du salut « , premier à avoir ouvert la route.
Le message de ce court passage, très cohérent avec le reste de l’épître, est de redonner confiance et assurance : Jésus qui sanctifie et les hommes qui sont sanctifiés sont de la même race, de la même famille, ils sont frères. Lui, Jésus, n’en a pas honte. Et qui, parmi les hommes, en rougirait ?
Ebrei 2, 9-11
Riprendendo le parole del Salmo 8 (citato all’inizio di questa lettura) l’autore inserisce Gesù nel destino degli uomini. E così Gesù affronta il cammino dell’uomo, abbassamento poi la gloria, passione e Resurrezione, questo per la salvezza di tutti, Avendo vissuto così, in tutto la condizione umana egli è « all’origine della salvezza » o, più letteralmente, pioniere (il primo, l’origine?) della salvezza, primo ad aver aperto la strada.
Il messaggio di questo breve passaggio, molto coerente con il resto della lettera, è di donare di nuovo fiducia e sicurezza: Gesù che santifica e gli uomini che sono santificati sono della stessa razza, della stessa famiglia, essi sono fratelli. Lui, Gesù, non ne ha vergogna. E qui, tra gli uomini, chi arrossisce? (arrossirebbe, è condizionale).


PRIMI VESPRI

Lettura breve   Eb 13, 20-21
Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna (cfr. Zc 9, 11 gr.; Is 55, 3), il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera a Timoteo di san Paolo, apostolo 1, 1-20

La missione di Timoteo.  Paolo ministro del Vangelo
Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per sicure.
Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.
Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; tra essi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.

Responsorio    1 Tm 1, 14. 15; Rm 3, 23
R. La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato, insieme alla fede e alla carità. * Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.
V. Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.
R. Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.

Seconda Lettura
Dalla «Regola pastorale» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 2, 4 PL 77, 30-31)

Il pastore sia accorto nel tacere, tempestivo nel parlare
Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo ch’è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio.
Il Signore li rimprovera per mezzo del Profeta, dicendo: «Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare» (Is 56, 10), e fa udire ancora il suo lamento: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore» (Ez 13, 5). Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amor di giustizia, alla guerra dei malvagi.
Cos’è infatti per un pastore la paura di dire la verità, se non un voltar le spalle al nemico con il suo silenzio? Se invece si batte per la difesa del gregge, costruisce contro i nemici un baluardo per la casa d’Israele. Per questo al popolo che ricadeva nuovamente nell’infedeltà fu detto: «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità, per cambiare la tua sorte» (Lam 2, 14). Nella Sacra Scrittura col nome di profeti son chiamati talvolta quei maestri che, mentre fanno vedere la caducità delle cose presenti, manifestano quelle future.
La parola di Dio li rimprovera di vedere cose false, perché, per timore di riprendere le colpe, lusingano invano i colpevoli con le promesse di sicurezza, e non svelano l’iniquità dei peccatori, ai quali mai rivolgono una parola di riprensione.
Il rimprovero è una chiave. Apre infatti la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa. Per questo Paolo dice: «Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono» (Tt 1, 9). E anche il profeta Malachia asserisce: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 2, 7).
Per questo il Signore ammonisce per bocca di Isaia: «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce» (Is 58, 1).
Chiunque accede al sacerdozio si assume l’incarico di araldo, e avanza gridando prima dell’arrivo del giudice, che lo seguirà con aspetto terribile. Ma se il sacerdote non sa compiere il ministero della predicazione, egli, araldo muto qual’è , come farà sentire la sua voce? Per questo lo Spirito Santo si posò sui primi pastori sotto forma di lingue, e rese subito capaci di annunziarlo coloro che egli aveva riempito.

Omelia 03-10-2009: Commento su Sl 68,33-34

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16307.html

Omelia (03-10-2009) 
Eremo San Biagio
Commento su Sl 68,33-34

Dalla Parola del giorno
“Vedano gli umili e si rallegrino, si ravvivi il cuore di chi cerca Dio perché il Signore ascolta i poveri.”

Come vivere questa Parola?
Questa è un’espressione del salmo responsoriale collocato tra la prima lettura che è un brano del profeta Baruc e il vangelo di Luca.
Baruc incoraggia gli Israeliti a credere con cuore saldo che il Signore, dopo averli provati, è lì a volere per loro “una gioia perenne”.
Luca riporta la parola di Gesù che assicura i suoi di un’allegrezza interiore data loro a misura della semplicità di cuore con cui, come bambini, si fidano del Padre Celeste. Così, in tale cornice preziosa, acquista rilievo il senso di questa parola salmica.
Sì, gli occhi del cuore sono essi a vedere. Ma si aprono se ci sono due condizioni: umiltà e povertà come un continuo spossessarsi dagli averi di ogni genere.
Gli occhi di un cuore umile e povero possono ben rallegrarsi perché, avendo abbandonata qualsiasi pretesa, sono liberi. E la libertà vera è quella di percepirsi vivi, anzi continuamente ravvivati interiormente, nella sincera continua unione di Dio, in pratica del compimento della sua volontà.
Certo, il Signore “ascolta i poveri” perché è Lui e non altri il loro appoggio e tutta la loro speranza-ricchezza vera.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, passo del tempo a consegnarmi a Dio con tutto quello che sono e che ho. Rallegrarmi, dentro il ravvivarsi del cuore, dipende proprio da questo non trattenere nulla con avide mani. Tutto dare a Lui. Di tutto servirsi per servire i fratelli. E cercarlo ad ogni attimo, in ogni respiro.

Signore, vita del mio vivere, che io sia rivolto a te sempre. Come il navigante alla stella polare. E nella tua luce io veda la luce del bene da compiere in mezzo ai fratelli.

La voce di una beata
Sorridere e gioire sempre! Poiché in verità tutto è buono per un’anima che vuole ciò che Dio vuole

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 3 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

Sant’Ireneo di Lione: « Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091003

Sabato della XXVI settimana del Tempo Ordinario : Lc 10,17-24
Meditazione del giorno
Sant’Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie, IV, 6,3-7 ; SC 100, 443

« Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio »

Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre. Il Figlio, poi, porta a compimento la benevolenza del Padre ; infatti il Padre manda, mentre il Figlio è mandato e viene. Il Verbo conosce il Padre, per quanto invisibile e indefinibile per noi, e anche se è inesprimibile, viene da lui espresso. A sua volta, poi, solo il Padre conosce il suo Verbo…

Il Verbo per la sua stessa natura rivela Dio creatore, per mezzo del mondo il Signore creatore del mondo, per mezzo della creatura l’artefice che l’ha plasmata, e per la sua condizione di Figlio rivela quel Padre che lo ha generato. Certo tutti discutono allo stesso modo queste verità, ma non tutti vi credono allo stesso modo. Così il Verbo predicava se stesso e il Padre, per mezzo della Legge e dei Profeti, e tutto il popolo ha sentito allo stesso modo, ma non tutti hanno creduto allo stesso modo. Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile (1 Gv 1,1), quantunque non tutti credessero allo stesso modo ; ma tutti videro il Padre nel Figlio (Gv 14,9)…

Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio… Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre. In tutto e per tutto non c’è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino.

Portraits of Paul

Portraits of Paul dans IMMAGINI (DI SAN PAOLO, DEI VIAGGI, ALTRE SUL TEMA) 17%20NAGEL%20CAMBRAI%20ST%20PAUL

Portraits of Paul, vers 1600 Auteur : Nagel Jan

http://www.artbible.net/2NT/PORTRAITS%20OF%20%20PAUL/index7.html

TEOLOGIA PAOLINA – ANNO 2009 – (sul tema della speranza)

dal sito:

http://www.parrocchiadiarenzano.it/FileDoc/2009/LezioneMarzo09.doc

TEOLOGIA PAOLINA – ANNO 2009 – Don Claudio Doglio

Lezione del 09/03/2009

Leggiamo dalla Lettera ai Filippesi il cap 3 su cui ci siamo soffermati particolarmente a trattare il tema della giustificazione per fede come argomento fondamentale della teologia di Paolo. L’elemento altrettanto significativo è l’attesa della Risurrezione. Paolo scrive il suo desiderio di conoscere la potenza della Risurrezione di Cristo: pronto a diventare partecipe della morte nella speranza di giungere alla Risurrezione dai morti. Avevamo già accennato al tema della speranza, ma è meglio tornarci sopra perché è un argomento decisivo per la nostra spiritualità cristiana.
Purtroppo non siamo aiutati dalla parola perché ormai nella lingua corrente il verbo « sperare » il sostantivo « speranza » hanno un significato debole: indicano semplicemente una ipotesi che può verificarsi o no.
Sono termini di incertezza che indicano una attesa, ma decisamente vago. Questo è un limite perché le nostre parole hanno perso il peso; non comunicano più il loro valore teologico.
Dobbiamo valorizzare meglio le parole o cambiarle, trovando qualcosa di meglio
« Speriamo » significa « viviamo nell’incertezza ». Ciò che determina la speranza cristiana è la certezza; invece la parola corrente è sinonimo di incertezza… « io speriamo che me la cavo »…
La speranza è la virtù teologale, quindi che viene da Dio e ha come oggetto Dio. E’ il desiderio di Dio. La speranza è attesa certa: è aspettativa ma non ipotetica e incerta.
E’ l’attesa certa: aspetto che si realizzi qualcosa di cui sono certo.
San Tommaso d’Aquino ci presenta la speranza come l’attesa certa di un bene futuro arduo, ma possibile. E’ una realtà che non c’è ancora perché ciò che si vede non è più speranza. E’ arduo, difficile da raggiungere, non è una banalità; è qualcosa che va al di là, che ci supera; è un bene talmente grande che non dipende da noi. Pensiamo alla felicità: chi non desidera essere felice? Ogni essere umano vive nella beata speranza: è l’attesa della beatitudine.
L’esperienza cristiana offre speranza cioè garantisce l’attesa. La speranza è la certezza che si realizzi questo bene futuro, arduo, ma possibile. Noi annunciamo che è possibile la realizzazione di questo bene. Che cosa speriamo? Non possiamo moltiplicare gli oggetti della speranza; è una cosa seria. Non è una virtù teologale sperare bel tempo o nella vittoria di una squadra.
« Mio Dio spero per la tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo Nostro Signore, la vita eterna ». E’ una preghiera dottrinale sintetica dove ogni parola ha il suo peso e il suo valore.
« Mio Dio spero » – prima di mettere l’oggetto (la vita eterna) ci sono tre fondamenti:
«  La tua bontà
«  Le tue promesse
«  I meriti di Gesù Cristo

Questi tre elementi sono fondamentali: garantiscono la solidità dell’attesa perché la differenza di ciò che non è solido e viene aspettato, rispetto alla speranza, è illusione.
Dalle illusioni nascono le delusioni.
La speranza non delude (San Paolo – Lettera ai Romani) perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori.
La speranza non delude perché è fondata. Ogni attesa infondata illude, cioè prende in giro. Quando uno entra nel gioco si illude; quando esce fuori, cadendo giù è de-luso: il gioco è finito.
La nostra vita è un gioco di attese da cui si entra e da cui si esce. La speranza invece non delude perché non è l’aspettativa mia di qualcosa che semplicemente mi piace, ma è l’attesa della vita eterna sul fondamento della bontà di Dio, della sua promessa e dei meriti di Gesù Cristo. Il punto di partenza è la conoscenza di un Dio buono.
Il peccato originale è il dubbio che Dio non voglia il nostro bene che sia un Dio antagonista, nemico dell’uomo. La rivelazione cristiana parte dall’idea che Dio è per noi; la natura di Dio è a nostro favore.
Io posso aspettare con certezza da Dio solo quello che Dio ha promesso di darmi. Tutta la scrittura è basata sul tema della promessa.
La nostra fede è basata su una promessa: Dio si è rivelato come colui che promette. Dio ha promesso ad Abramo un figlio poi glielo chiede, ma non glielo porta via. Glielo da in pienezza perché sia proprio il figlio della fede.
Abramo si rende conto che Dio mantiene la promessa; gli chiede fiducia totale, ma Dio merita questa fiducia totale perché l’ha detto e l’ha fatto.
Anche Gesù promette ai discepoli tante cose: non ha promesso una buona salute e una vita lunga senza difficoltà e problemi. Quindi noi non possiamo sperare la salute del corpo o sperare di vivere a lungo, o sperare di non avere grane perché non rientrano nelle promesse di Dio. E’ il verbo sbagliato: che ognuno di noi desideri essere sano, vivere tanto è naturale, ma non è la speranza cristiana, è l’istinto di tutti, anche dei peggiori peccatori. Sperare la salute non è una virtù cristiana; non è un dono di Dio e non stiamo aspettando la promessa di Dio, ma aspettiamo quello che istintivamente ci piace. Dio ha promesso attraverso Gesù la vita eterna e questa vita è possibile per i meriti di Gesù Cristo. Non per le nostre opere, ma per quelle che ha fatto Cristo. Io spero la vita eterna e i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. Ma che cos’è la vita eterna? Anche qui il linguaggio non ci aiuta perché ormai è diventato sinonimo di « al di là ».
La vita eterna è il paradiso…ma non è sufficiente…
La vita eterna non è semplicemente la vita che dura tanto. L’aggettivo « eterno » non significa solo « senza fine », con una durata illimitata, il concetto di eterno è simile a quello di pieno, perfettamente buono.
Il Signore vuole per noi una vita bella, pienamente bella, vuole che ci possiamo godere la vita, ma noi abbiamo confuso il fine con i mezzi; abbiamo valorizzato i mezzi dimenticandoci i fini. Il fine è la felicità, è la vita, pienamente bella.
Ogni persona desidera realizzarsi. Il contrario di realizzato è fallito. C’è il rischio di essere dei falliti. Dio vuole la nostra realizzazione, non ci vuole falliti; vuole che realizziamo tutte le nostre potenzialità.
Quando una persona si realizza totalmente  ha una vita bella; quando realizza tutte le sue potenzialità è una persona perfetta. Questa è la vita eterna: la piena realizzazione della nostra persona.
La virtù teologale della speranza ha come oggetto la vita bella, pienamente realizzata nel progetto di Dio. Questa parola a volte può suonare male perché viene usata come auto – realizzazione, come se io dicessi: « mi faccio da me ». Io non mi realizzo da me con le mie capacità e i miei sforzi, ma accolgo il dono di una vita bella.
La vita eterna è iniziata nel battesimo: io sono stato ammesso a questa vita ed è in parte già presente, non ancora del tutto; io spero quello che ancora manca e quello che c’è, già lo vivo.
Nella lettera agli Ebrei (cap 11,vers 1) si da la definizione di fede, dicendo che è sostanza di cose sperate. La nostra vita di battezzati è un evento reale. Questo è il fondamento delle cose sperate. Io spero che si compia tutto perché ho la garanzia che è già cominciato e le cose che non vedo ancora le intuisco sulla base di quelle che vedo.
Mi accorgo dei passi in avanti che ho fatto con la grazia di Dio e sono convinto che si possa fare. Sono convinto che la potenza di Dio può portare a compimento l’opera che ha iniziato in me. Il portare a compimento l’opera è la vita eterna.
Quando Paolo ha cominciato a predicare il Vangelo, ha insistito proprio su questo aspetto. Il primo oggetto della predicazione di Paolo, soprattutto nel mondo greco, non poteva essere un Messia degli Ebrei. Agli Ebrei poteva dire: « il Cristo che aspettavamo è venuto; c’è l’annuncio di un compimento delle promesse ». I Greci per annunciare il Vangelo di Gesù non avevano il riferimento alle Scritture. Paolo presenta la figura di Gesù come Colui che è in grado di dare la vita.
Nella lettera agli Efesini, al cap 2, vers 12 c’è un passaggio molto importante dove si dice che « voi greci eravate in questa situazione tragica, seguendo i desideri della carne. Eravate senza Cristo esclusi dalla cittadinanza di Israele, estranei ai fatti della promessa , senza speranza e senza Dio in questo mondo ».
Si adopera la parola « atei ». I greci non erano atei; l’ateismo come lo intendiamo noi, è una questione moderna.
Solo alcuni pochi razionalisti moderni hanno teorizzato l’ateismo come negazione di Dio. Gli antichi assolutamente non se lo immaginavano; i greci e i romani erano pieni di divinità.
Per Paolo, Dio e la speranza sono strettamente congiunte. Paolo comincia la predicazione cristiana annunciando che c’è speranza di vita.
Nella prima fase della predicazione paolina questo annuncio della speranza di vita equivaleva anche all’annuncio di un imminente venuta gloriosa del Cristo, proprio come il garante della vita. Ma l’attesa della venuta imminente non era un elemento dottrinale certo, che Paolo insegnasse, ma era probabilmente una sua opinione, un suo desiderio.
Paolo adopera un termine tecnico del linguaggio greco – romano e dice « parusia ». Non significa il ritorno di Cristo; è un termine comune della lingua greca.
E’ composto da due termini: para e usia = l’esserci
I greci chiamavano parusia la visita ufficiale dell’imperatore. Quando l’imperatore  o qualche grande rappresentante dello stato veniva in visita ufficiale nella città si chiamava parusia.
Paolo, usando il linguaggio corrente della gente greca annuncia una visita di stato: il Cristo risorto sta per venire qui; la Sua è una presenza imminente. La parusia va preparata: è una visita piacevole che deve essere vissuta con preparazione di accoglienza. Paolo parte da questa immagine; non annuncia la fine del mondo come immagine negativa e paurosa; annuncia qualcosa di bello e di entusiasmante.
Quando ha cominciato questo tipo di predicazione con la comunità cristiana di Tessalonica, ha dovuto interrompere molto presto perché è stato perseguitato e allontanato e ha scritto la Prima Lettera ai Tessalonicesi proprio per completare la catechesi che non era riuscito a concludere. Si era reso conto che il rischio del fraintendimento c’era e i suoi collaboratori devono avergli riferito che avevano capito male. Nel frattempo, da quando se n’era andato Paolo, qualche cristiano di Tessalonica, era morto. Erano le prime esperienze, non avevano mai visto morire un battezzato. Avevano capito male. Se Paolo proponeva l’immersione nella morte di Cristo, si moriva sacramentalmente e si risorgeva con Lui per la vita eterna; significava che il battezzato non moriva più. Era morto simbolicamente nel battesimo e aveva cominciato una vita nuova che sarebbe stata la vita eterna. Nel momento in cui qualcuno della comunità cristiana muore, crea il problema. Ma allora che vita eterna ha promesso il Cristo se i cristiani muoiono? Se è morto, è perso perché quando il Cristo viene non lo trova più. Il mondo greco non dava nessuna speranza oltre la morte e quindi non riuscivano a pensare ad una vita eterna oltre la morte; al massimo era una vita duratura su questa terra. Paolo interviene e offre una catechesi molto importante.
« Non voglio lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti perché continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza »
Quelli che non hanno speranza continuano ad affliggersi e ritengono che la perdita sia irrecuperabile.
« Noi crediamo che Gesù è morto ed è resuscitato, così anche quelli che sono morti Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui. Questo vi diciamo sulla Parola del Signore. Noi che viviamo e che saremo ancora in vita per la parusia del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti ».
Paolo mette se stesso fra quelli che sono ancora vivi e la venuta del Signore?
Sta parlando in modo molto familiare, non con l’intenzione di scrivere un trattato teologico. E proprio perché parla in un modo coinvolgente, usa il « noi » di tipo ipotetico: « noi che saremo ancora vivi » equivale a « quelli che saranno ancora vivi ».
« Il Signore stesso ha un ordine alla voce dell’arcangelo, al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo e prima risorgeranno i morti in Cristo. Quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo partiti insieme con loro tra le nubi per andare incontro al Signore nell’aria ».
Paolo usa un linguaggio simbolico dove le nubi indicano la trascendenza, una dimensione sovra terrena, diversa da quella della terra. Quando arriva al vertice dice « saremo sempre con il Signore ». Questa è l’escatologia paolina, l’annuncio delle cose ultime.
Poi continua Paolo, dicendo che bisogna stare svegli, sobri (2° parte dell’atto di speranza)
« Spero la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare ». Spero l’amore di Dio, che mi renda capace di vivere nel modo che piace a Lui perché la vita bella è la vita come piace a Dio. La mia realizzazione è la realizzazione del progetto di Dio.

Publié dans:temi - la speranza, TEOLOGIA |on 2 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

San Paolo: 1Cor 1,19-25 (per me molto interessante)

dal sito:

http://www.unicatt.it/CentroPastorale/Approfondimenti/dettaglio.asp?id=418

San Paolo: 1Cor 1,19-25   

Prof. Angelo Zanella Chiesa  |  07/03/2009  


Per motivi professionali – sono stato Professore di Statistica per oltre 30 anni – mi sono talvolta trovato a disagio nei confronti di Autori che non mi apparivano con una preparazione professionale adeguata al tema trattato. Temo che ora questo sia il mio caso volendo formulare una breve riflessione sul passo di San Paolo che ci è stato indicato. Ritengo, infatti, difficile non cadere in banalità o inesattezze senza la necessaria competenza in discipline complesse quali sono la Teologia e l’Esegesi biblica. Il mio coraggio è dovuto all’esigenza di non ignorare l’opportunità offerta di esprimere per scritto l’adesione al convincimento religioso, che è il vero punto di forza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la quale ho collaborato come Docente per tanti anni.

Ricopio il testo per chiarezza:

«Sta scritto infatti:

Distruggerò la sapienza dei sapienti
e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.

Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».
( 1Cor 1, 19 -25 )

La prima affermazione, tolta da Isaia, Is 29,14, è molto forte e provocatoria, nello stile che spesso è tipico di San Paolo. Però, nella stessa lettera ai Corinzi, San Paolo tende a chiarire il significato e il contenuto delle affermazioni che seguono il passo di Isaia. Così in 1Cor 2, 6-9, precisa in primo luogo:

«Anche noi, però, tra i cristiani spiritualmente adulti, parliamo di una sapienza. Ma non si tratta di una sapienza di questo mondo né di quella dei potenti che lo governano, e che presto saranno distrutti. Parliamo della misteriosa sapienza a di Dio, del suo progetto di farci partecipare alla sua gloria. Dio lo aveva già stabilito prima della creazione del mondo, ma non lo avevamo conosciuto. Nessuna delle potenze che governano questo mondo ha conosciuto questa sapienza. Se l’avessero conosciuta non avrebbero crocefisso il Signore della gloria. Ma come si legge nella Bibbia:

Quel che nessuno ha mai visto e udito
quel che nessuno ha mai immaginato
Dio lo ha preparato per quelli che lo amano.»

Poi alla fine del Capitolo 12 e inizio del Capitolo 13 , sempre della prima lettera ai Corinzi ( 1Cor 12,31 e 1Cor 13,1-13 ), San Paolo delinea l’aspetto essenziale della sapienza di Dio, in quello che viene in generale ricordato come l’Inno all’Amore.

«Cercate di avere i doni migliori.
Ora vi insegno la via migliore:
Se parlo le lingue degli uomini e anche quelle degli angeli, ma non ho l’amore sono un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto. Se ho il dono d’essere profeta e di conoscere tutti i misteri, se possiedo tutta la scienza e anche una fede da smuovere i monti ma non ho l’amore non sono niente. ………………..
Ora la nostra visione è confusa, come in un antico specchio, ma un giorno saremo faccia a faccia dinanzi a Dio. Ora lo conosco solo in parte, ma un giorno lo conoscerò come lui mi conosce. Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza, amore. Ma la più grande di tutte è l’amore.»

Tornando alla profezia di Isaia, si può concludere che questa non è più valida quando la sapienza e l’intelligenza di questo mondo siano integrate e, infine, sostituite dalla misteriosa nuova sapienza di Dio, possibile dopo la venuta di Cristo. Per questa sapienza rinnovata rimane valido l’elogio del Libro del Siracide, la cui parte iniziale può essere presente, se non vado errato, nella liturgia della parola della Santa Messa domenicale.

«La sapienza fa l’elogio di se stessa e proclama la sua gloria in mezzo al suo popolo.
Prende la parola nell’assemblea del popolo di Dio
e loda se stessa alla presenza dell’Onnipotente:
Sono io la parola pronunciata dall’Altissimo e ho ricoperto la terra come un vapore.»
( Sir 24, 1-3 )

Si può, forse, dire alla fine che la sapienza e l’intelligenza rimangono aspetti positivi e fondamentali per l’umanità, purché si sia consapevoli della loro subordinazione alla misteriosa sapienza di Dio; credo che il progetto di educazione, di formazione e di ricerca alla base dell’Università Cattolica del Sacro Cuore cerchi, appunto, di porli in sintonia con il progetto trascendente di Dio.

Prof. Angelo Zanella


 

Publié dans:Lettera ai Corinti - prima |on 2 octobre, 2009 |Pas de commentaires »
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