dal sito:
http://www.santorosario.net/mariologia/2.htm
Maria Santissima Madre di Dio
Mariologia e Cristologia
La Vergine Maria è innanzitutto la Madre del Verbo Incarnato, la Madre di Dio. Questo è il suo titolo principale e il fondamento di tutti i suoi privilegi. Possiamo quindi dire che la mariologia, almeno nel suo aspetto essenziale, è una parte della cristologia. Già S. Tommaso infatti tratta di Maria Santissima nella parte della Somma Teologica dedicata al mistero di Cristo. Il fatto poi che la trattazione di Maria sia stata inserita dal Concilio nella Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa non deve trarre in inganno. Scrive G. Söll:
«L’inserimento della dottrina mariana nello schema della Costituzione sulla Chiesa avvenne in conseguenza della volontà della maggioranza del Concilio di non elaborare alcuno schema proprio per Maria, e il fatto non può perciò essere inteso come un’assegnazione, confermata dal Magistero, della dottrina mariana all’ecclesiologia. Il luogo genuino della trattazione di questa parte della dogmatica, giustificato dalla storia dei dogmi, resta il trattato sulla persona e l’opera salvifica del Redentore».
Del resto questo fatto è ricordato anche dai Sommi Pontefici, come ad esempio da Pio XII, che scrive:
«Da questo sublime ufficio di Madre di Dio, come da arcana fonte limpidissima, sembrano derivare tutti quei privilegi e quelle grazie che adornarono in modo e misura straordinaria la sua anima e la sua vita».
Identico il pensiero di Paolo VI:
«Questa dignità e gloria della Madre di Dio non ha pari tra le creature, ed è per Maria un sommo titolo di onore, poiché nella divina maternità trovano fondamento tutti i privilegi e le prerogative di Maria».
Il Cardinale Suenens riporta il pensiero di un teologo ortodosso, Aleksander Schmeman:
«Affrontando il tema in modo alquanto paradossale, dirò che se null’altro fosse rivelato nella Scrittura all’infuori del fatto puro e semplice dell’esistenza di Maria, e cioè che Cristo, Dio e uomo, ha una madre e che il nome di questa era Maria, già questo fatto sarebbe sufficiente perché la Chiesa l’ami, la pensi in relazione al figlio e tragga conclusioni teologiche da questa contemplazione. Non abbiamo nessun bisogno di rivelazioni supplementari o speciali: Maria è una dimensione evidente ed essenziale del Vangelo stesso».
Vogliamo vedere dunque se, e perché, e in che senso Maria può e deve essere detta Madre di Dio, e cominciamo a esaminare la Sacra Scrittura.
I fondamenti biblici del titolo «Madre di Dio»
La formula «Madre di Dio» non appare esplicitamente nella Sacra Scrittura, ma in essa sono affermate nel modo più chiaro due verità: la prima è che Gesù è veramente Dio; la seconda è che Gesù è veramente figlio di Maria. A questo punto la logica ci obbliga a porre questo sillogismo:
Gesù è Dio;
Maria è la madre di Gesù:
quindi Maria è la madre di Dio.
Tuttavia possiamo trovare nella Scrittura anche delle formulazioni praticamente equivalenti a quella di «Madre di Dio». E procediamo secondo il probabile ordine cronologico dei testi scritturali.
In S. Paolo, come già abbiamo visto nel Primo Capitolo della Prima Parte, leggiamo (Gal 4,4): «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna». Ora, qui il termine «Figlio» è usato in senso forte. Gesù di Nazaret non è soltanto un uomo particolarmente caro a Dio, ma è il Figlio di Dio in senso vero e proprio. È l’Unigenito del Padre. Ora, questo Figlio è nato da una donna: quindi questa donna è sua madre. Così questa donna, madre del Figlio di Dio, che è Dio lui stesso, è la madre di Dio.
In S. Paolo c’è anche un altro testo bellissimo (Rm 9,5): «Da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli». Questo Dio benedetto nei secoli, che è Gesù, proviene dagli Israeliti secondo la carne, cioè secondo la generazione umana, e ciò avviene attraverso Maria, di cui egli è figlio. Quindi Maria è la Madre di colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. È quindi Madre di Dio.
In Mc 6,3 leggiamo: «Non è costui il figlio di Maria?». Gesù è il figlio di Maria. Ma Gesù, come noi sappiamo, è Dio. Quindi Maria è la Madre di Dio.
Nel passo di S. Matteo dedicato all’annunzio a Giuseppe (1,18-25) appare chiaramente che il bambino concepito da Maria ha caratteri divini. «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». L’espressione «il suo popolo» è molto forte. Il popolo di Dio è diventato il popolo di Gesù. Quindi Gesù è quello stesso Dio a cui apparteneva il popolo di Israele.
«Dai suoi peccati». Chi può salvare dai peccati se non Dio solo? (cf. Mc 2,7). Qui appare chiaramente che Gesù è il Dio Salvatore, che redime dal peccato il popolo di sua proprietà.
«Emmanuele… Dio con noi». È veramente Dio colui che dirà: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
In S. Luca, come abbiamo già visto a suo tempo, Maria è presentata come madre di Dio o attraverso allusioni all’Antico Testamento (la nuova tenda in 1,35 e la nuova arca in 1,39-44.56), oppure con una professione esplicita da parte di Elisabetta. Infatti, come abbiamo visto, l’espressione «la madre del mio Signore» è equivalente a «la madre del mio Dio». Fra tutti i testi biblici è questo il più diretto e formale.
In S. Giovanni infine Maria è sempre indicata dall’Evangelista come «la madre». La madre di chi? Del Verbo incarnato, di quel Verbo che era presso Dio e che è Dio (1,1.14).
I Santi Padri
Le due verità che abbiamo enunciato, che cioè Gesù è veramente Dio e Maria è la sua vera madre sono presenti nei Santi Padri sin dagli inizi, anche se non compare subito l’espressione «Madre di Dio». Come abbiamo già accennato a suo tempo, forse questa formula compare in Origene, quindi nella prima metà del III secolo. Essa è attestata anche dalla più antica preghiera mariana che si conosca: «Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genetrix…» (Sotto la tua protezione ci rifugiamo, o santa Madre di Dio…), che risale probabilmente al III secolo. All’inizio e nel corso del IV secolo la formula viene usata, soprattutto nell’ambiente alessandrino, anche con l’aggiunta di spiegazioni. La troviamo in Alessandro di Alessandria, Eusebio di Cesarea, Costantino Imperatore, Giuliano l’Apostata («Voi non cessate di chiamare Maria Madre di Dio», egli scrive), S. Atanasio, S. llario, S. Efrem, S. Basilio, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Gregorio Nazianzeno, S. Zeno di Verona, S. Gregorio Nisseno, S. Ambrogio, S. Epifanio. Nel V secolo poi, anche prima del Concilio di Efeso (431), l’uso diventa comunissimo e frequente.
L’eresia di Nestorio
Nestorio, eletto patriarca di Costantinopoli nel 428, a un certo punto, nelle sue prediche, inizia a combattere il titolo di Theotókos (Madre di Dio). Per quale motivo? Sentiamo le sue parole:
«Dovunque le Scritture fanno menzione dell’economia del Signore, esse attribuiscono sempre la nascita e la sofferenza non alla divinità, ma all’umanità di Cristo, di modo che, a voler parlare esattamente, si deve chiamare la Vergine Madre di Cristo (Christotókos) e non Madre di Dio (Theotókos). Ascolta il Vangelo che grida: « Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo » (Mt 1,11). È evidente che il Dio Verbo non era figlio di Davide. Ascolta ancora, se vuoi, un’altra testimonianza: « Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, chiamato Cristo » (Mt 1,16) (…)».
«È bene e conforme alla tradizione evangelica confessare che il corpo è il tempio della divinità del Figlio, tempio che gli è unito da una suprema e divina congiunzione, fino al punto che la natura divina fa proprio ciò che appartiene a questo tempio. Ma, col pretesto di questa appropriazione, l’attribuire (al Verbo) le proprietà della carne che gli è unita, voglio dire la nascita, la sofferenza e la morte, questo è, fratello mio, il fatto di una mente fuorviata dagli errori dei Greci, o malata della follia di Apollinare, di Ario o di altre eresie, o di qualche malattia ancora più grave. Infatti, coloro che si lasciano attrarre da questa parola di appropriazione dovranno necessariamente dire che il Dio Verbo, per appropriazione, è stato allattato, è cresciuto un po’ alla volta, e nel momento della passione ha avuto paura e ha avuto bisogno dell’aiuto di un angelo. E non parlo della circoncisione, del sudore, della fame; tutto ciò che ha subito per noi nella carne che gli è unita è adorabile; ma l’attribuirlo alla divinità è una menzogna che ci farebbe giustamente accusare di calunnia».
Da questo brano risulta chiaramente che Nestorio non ha un’esatta nozione dell’Incarnazione del Verbo. Noi diciamo che la persona del Verbo, che dall’eternità possedeva la natura divina, ha veramente assunto anche una natura umana («il Verbo si è fatto carne», Gv 1,14), per cui ciò che appartiene alla natura umana va attribuito alla persona divina del Verbo che la ha assunta. Così noi possiamo e dobbiamo dire che il Verbo è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (naturalmente non in quanto Verbo, ma in quanto uomo). Ma siccome il Verbo è Dio, così noi possiamo e dobbiamo dire che Dio è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (sempre secondo la natura umana assunta).
Ciò che Nestorio nega è quindi la «comunicazione degli idiomi» (communicatio idiomatum), cioè la possibilità di attribuire all’unica Persona del Verbo non solo le proprietà della natura divina, ma anche quelle della natura umana. Nestorio nega tale possibilità poiché pone in Cristo non solo due nature, ma anche due persone, una divina e una umana. Ciò che compete alla natura umana va quindi attribuito alla sola persona umana, e non a quella divina. Così dobbiamo dire, secondo Nestorio, che colui che nasce a Betlemme, che patisce, che muore, che risorge, è la persona umana di Gesù, non la sua persona divina. Quindi la persona divina del Verbo, sempre secondo Nestorio, non è nata a Betlemme. Quindi Maria non è sua madre. Maria è madre soltanto della persona umana di Gesù, è madre dell’uomo Gesù. Quindi non è madre di Dio.
Da ciò si vede facilmente come la negazione della maternità divina di Maria non è che un caso particolare, un’applicazione concreta della negazione della comunicazione degli idiomi.
La risposta di S. Cirillo Alessandrino
A questa tesi di Nestorio si contrappone il suo grande avversario, S. Cirillo Alessandrino, che insiste invece sull’unità del Verbo incarnato. Il suo pensiero traspare chiaramente da questo passo della sua seconda lettera a Nestorio, che riportiamo:
«Noi non diciamo che la natura del Verbo si è trasformata in un uomo completo composto di anima e di corpo, ma piuttosto questo: il Verbo, unendo a sé secondo l’ipostasi (cioè la persona) una carne animata da un’anima razionale, è divenuto uomo in modo indicibile e incomprensibile, e si è chiamato Figlio dell’uomo, non soltanto per volontà, né per compiacenza, e neppure assumendone solo il personaggio (prósopon). Differenti sono le nature che si sono incontrate in una vera unità, ma dalle due risulta un solo Cristo e Figlio; la differenza delle nature non è soppressa dall’unione, ma anzi, la divinità e l’umanità formano per noi un solo Signore e Figlio e Cristo, per il loro incontro indicibile e ineffabile nell’unità».
«Così, quantunque sussista prima dei secoli e sia stato generato dal Padre, è anche detto che è stato generato secondo la carne da una donna; non che la natura divina abbia cominciato a essere nella Vergine, né che abbia avuto necessariamente bisogno di una seconda nascita per mezzo di essa, dopo quella che aveva ricevuto dal Padre (infatti è leggerezza e ignoranza dire che Colui che esiste prima dei secoli e che è coeterno con il Padre abbia bisogno di una seconda generazione per esistere), ma siccome è stato per noi e per la nostra salvezza che ha unito a sé l’umanità secondo l’ipostasi, ed è nato da una donna, si dice che è stato generato da lei secondo la carne. Infatti non è stato un uomo ordinario a venire prima generato da Maria e sul quale poi sarebbe venuto a posarsi il Verbo, ma il Verbo, essendosi unito all’umanità fin dal grembo di Maria, si dice che ha accettato una nascita carnale, avendo rivendicato per sé la nascita dalla sua carne (…)».
«Ecco perché hanno osato chiamare Theotókos la Vergine Maria: non nel senso che la natura del Verbo, ossia la sua divinità, abbia preso da Maria il principio della sua esistenza, ma siccome è nato da lei questo santo corpo animato da un’anima razionale a cui il Verbo si è unito secondo l’ipostasi, si dice che da lei il Verbo è stato generato secondo la carne».
Il Concilio di Efeso
Il Concilio di Efeso (431) fa sostanzialmente sua la tesi di S. Cirillo e condanna quella di Nestorio: afferma innanzitutto il dogma dell’unità di Cristo, in un’unità secondo l’ipostasi, cioè secondo la persona, e di conseguenza afferma che Maria deve essere detta «Madre di Dio» (Theotókos).
È importante notare che «la definizione dogmatica di Efeso fu prima di tutto cristologica, ma in conseguenza fu anche mariologica. Quando fu definito il carattere personale divino dell’uomo Cristo, la maternità di Maria fu definita come divina».
Scrive molto bene Max Thurian:
«Il dogma di Efeso ha essenzialmente una portata cristologica: Maria non è chiamata « Madre di Dio » per glorificare la sua persona, ma a causa di Cristo, affinché la verità sulla persona di Cristo sia pienamente messa in luce. Anche là Maria è Serva del Signore; il dogma che la concerne è al servizio della verità che riguarda suo Figlio, il Signore. Il Concilio di Efeso, chiamandola Madre di Dio, riconosce in Cristo due nature, umana e divina, e una sola Persona: esso riconosce così la realtà dell’Incarnazione fin dal concepimento miracoloso del Figlio di Dio nella Vergine Maria».
Il Concilio di Calcedonia, nel 451, riprenderà l’affermazione di Efeso:
«Seguendo i Santi Padri noi proclamiamo tutti con una sola voce un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo (…), generato dal Padre prima dei secoli quanto alla sua divinità, ma negli ultimi giorni, per noi e per la nostra salvezza, generato da Maria Vergine, Madre di Dio, quanto alla sua umanità» (DS 301).
Il medesimo insegnamento verrà ripreso da Giovanni II († 535), dai Concili Costantinopolitano II (553) e III (681) (DS 401, 427, 555) fino al Vaticano II compreso.
Non si tratta di una definizione diretta e formale dal punto di vista giuridico, ma dato che il termine Theotókos è stato assunto solennemente dai Concili ecumenici e accolto senza discussione, esso appartiene senza dubbio al deposito della Rivelazione. Che Maria sia Madre di Dio è quindi una verità di fede.
Volendo a questo punto riassumere ed esprimere l’insegnamento della Chiesa in una formulazione semplice possiamo dire così: Che cosa significa che Maria è Madre di Dio? Non significa certamente che ha generato la divinità, cosa che sarebbe priva di senso, perché la creatura viene sempre dopo il Creatore. Significa invece che ha dato la natura umana al Verbo di Dio, cioè alla seconda Persona della Santissima Trinità, che è Dio. Ma dare la natura umana al Verbo significa generarlo secondo la natura umana, significa essergli Madre. Quindi Maria è Madre del Verbo, che è Dio, cioè è Madre di Dio. Più brevemente ancora: che Maria sia Madre di Dio significa semplicemente che gli ha dato la natura umana.
Ricchezza della formula «Madre di Dio»
C’è un detto antichissimo, e che entrò anche nel Breviario Romano, secondo cui Maria è la vincitrice di tutte le eresie: «Tu sola cunctas haereses interemisti in universo mundo» (Tu sola hai distrutto tutte le eresie in tutto quanto il mondo). Ora, ciò si verifica perfettamente rispetto alle prime tre grandi eresie cristologiche, che Maria distrugge col suo essere proclamata «Madre di Dio».
La prima grande eresia cristologica fu l’Arianesimo. Secondo Ario il Verbo, la seconda Persona della Santissima Trinità, non sarebbe veramente Dio, ma solo una creatura eccelsa, una specie di superangelo. In questo caso Maria non può evidentemente essere detta Madre di Dio, poiché il Verbo, di cui è Madre, non è Dio. Quindi quando noi diciamo che Maria è Madre di Dio distruggiamo l’eresia di Ario.
La seconda grande eresia fu il Nestorianesimo, di cui abbiamo già parlato. Nestorio ammette sì che il Verbo sia Dio, ma dice che non ha assunto la natura umana nell’unità della persona, per cui in Cristo vi sono due persone, quella umana e quella divina, unite solo in senso morale. Maria sarebbe così la madre della persona umana di Gesù, ma non del Verbo, quindi non di Dio. Infatti, come abbiamo visto, Nestorio rifiutava decisamente questa formula. Dicendo quindi che Maria è Madre di Dio noi distruggiamo l’eresia di Nestorio (ed è proprio quello che ha fatto il Concilio di Efeso).
Qualche anno dopo sorge un’altra grande eresia, di segno opposto, l’eresia monofisita. Secondo i monofisiti (monofisismo significa: una sola natura), in Gesù Cristo c’è la persona divina del Verbo con la sua natura divina, ma non c’è una vera umanità, poiché la natura umana è stata come assorbita da quella divina. L’umanità di Gesù è quindi un’umanità apparente. Gesù sembra un uomo, ma non è un vero uomo. In lui c’è soltanto la natura divina e non c’è quella umana. Ora, se le cose stanno così, come fa Maria a essere sua madre? Una donna per essere madre deve comunicare una vera umanità, una vera natura umana. Se l’umanità di Gesù è un’umanità apparente, anche la maternità di Maria nei suoi riguardi sarà una maternità apparente. Quindi se noi accettiamo il monofisismo non possiamo dare a Maria il titolo di «Madre di Dio». Se invece noi affermiamo questo titolo, veniamo a distruggere anche questa eresia.
Così dunque Maria, quando viene proclamata Madre di Dio, distrugge davvero tutte le eresie cristologiche.
La ricchezza e la profondità della formula «Madre di Dio» appare anche considerando le cose da un punto di vista positivo.
Tutta la fede cristiana riguardo al Verbo Incarnato può essere sintetizzata così: Gesù è insieme vero Dio e vero uomo. Dicendo che Maria è Madre «di Dio» diciamo che Gesù è vero Dio; dicendo che Maria è «Madre» di Dio diciamo che Gesù è vero uomo; e diciamo anche che in lui la divinità e l’umanità sono unite nella stessa persona.
Il fondamento della relazione di maternità
Se Maria è Madre di Dio, ciò significa che vi è una relazione fra lei e Dio, più precisamente fra lei e la persona divina del Verbo. Qual è il fondamento di questa relazione? È l’atto generativo di Maria riguardo a Gesù, al Verbo incarnato. Vogliamo quindi considerare qual è l’apporto dato da Maria nella formazione dell’umanità di Cristo. Grazie a questo apporto ella è detta Madre di Cristo, e quindi Madre di Dio.
Ci chiediamo innanzitutto: qual è l’apporto dei genitori nelle generazioni ordinarie? Esso comporta tre elementi: a) l’azione dei genitori (causa seconda) per la formazione del corpo; b) l’azione divina motrice riguardo a questa azione (causa prima); c) l’azione divina creatrice che produce e infonde l’anima. I genitori sono insieme la causa seconda di questa generazione: la causalità di ciascuno è parziale e complementare rispetto a quella dell’altro.
Nel caso di Maria vi è il miracolo della concezione verginale. Con tale miracolo Dio fa sì che l’azione generatrice della donna, che per sua natura è parziale, incapace di produrre quell’effetto che è un nuovo vivente, produca da sola la cellula iniziale del nuovo organismo. Nell’istante stesso della formazione di questa cellula avviene la creazione dell’anima, e con ciò la costituzione di tutta la natura umana, da parte di Dio. Maria è così la Madre di questo nuovo essere vivente che è comparso nel mondo, di questo nuovo uomo: ella è quindi la Madre del Verbo, poiché quest’uomo è il Verbo.
Non è necessario immaginare qualche sopraelevazione dell’azione generatrice di Maria: per il fatto stesso che il Verbo ha assunto una natura umana individuata e del tutto simile alla nostra, ne viene di conseguenza che questa umanità è stata formata da un’azione generatrice naturale (a parte il miracolo della concezione verginale). Questa generazione, anche se verginale, avrebbe prodotto un semplice uomo se non vi fosse stata l’assunzione della natura umana da parte del Verbo.
La relazione di maternità in se stessa
In base al fondamento che abbiamo visto (l’apporto di Maria nella formazione dell’umanità di Gesù), Maria è sua Madre, cioè ha con lui una relazione di maternità. Ma Gesù è Dio, quindi questa relazione rapporta Maria a Dio, o più precisamente al Verbo, alla seconda Persona della Santissima Trinità.
Questa relazione è reale in Maria. Cioè il fatto di essere diventata la Madre del Verbo aggiunge in lei qualcosa, le dona una perfezione che prima non aveva. Viene a questo punto spontaneo chiedersi: nel Verbo sorge una relazione di figliolanza (o di filiazione, per usare un termine più filosofico) nei riguardi di Maria? E se sorge, è una relazione reale o soltanto di ragione? Dobbiamo rispondere che questa relazione sorge, ma è soltanto di ragione, poiché essendo il Verbo Dio, cioè l’Essere perfettissimo, Egli non può ricevere alcun perfezionamento dalle creature. È questa una legge generale che non ammette eccezioni: tutte le relazioni fra Dio e le creature sono relazioni di ragione, a cominciare dalla relazione stessa che nasce dall’atto creativo di Dio. Cioè Dio non ha una relazione reale con il mondo da lui creato. La relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione.
Ma allora uno dirà: se la relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione e non è reale, ne viene di conseguenza che Dio non è realmente Creatore. Non è vero: Dio è veramente e realmente Creatore, ma non in forza di una relazione reale fra Lui e la creatura, bensì in forza della reale, realissima relazione fra la creatura e Lui.
E così è nel caso di Maria: il Verbo è realmente Figlio di Maria anche se la sua relazione verso di Lei è soltanto di ragione. Infatti è vero Figlio di Maria grazie alla reale, realissima relazione di maternità di Maria verso di Lui.
Che cos’è dunque questa relazione di maternità che si trova in Maria? È qualcosa di straordinario e di unico, per cui il Cardinale Gaetano, il grande commentatore di S. Tommaso, arriva a dire che «Maria ha toccato con la sua operazione i confini stessi della divinità, quando ha concepito, dato alla luce e generato Dio». Qualcosa di simile aveva già detto S. Tommaso, quando aveva scritto che
«l’umanità di Cristo, in quanto è unita a Dio, la beatitudine creata, in quanto è il godimento di Dio, e la Beata Vergine, in quanto è la Madre di Dio, hanno una dignità in certo qual modo infinita, che deriva ad esse dal bene infinito che è Dio. Da ciò consegue che non può essere fatto nulla che sia migliore di queste tre cose, poiché non c’è nulla che sia migliore di Dio» (S. Th., I, q. 25, a. 6, ad 4).
Così da una parte l’azione generatrice di Maria è «naturale» (a parte la concezione verginale), ma da un’altra la maternità che essa fonda è «soprannaturale», poiché raggiunge Dio stesso.
Finora abbiamo considerato la maternità di Maria da un punto di vista puramente fisico e biologico. Ma una maternità che sia veramente umana non si ferma a questo aspetto. Innanzitutto essa comporta l’implicazione di una volontà mossa dall’amore. Una vera madre accoglie liberamente suo figlio con amore. Una madre degna di questo nome deve mettere tutta se stessa in questa maternità.
Inoltre la maternità umana non comporta solo il concepimento, la gestazione e il parto. Essa comporta tutte le cure che il bambino richiede sin da quando viene alla luce, e in seguito la sua educazione da tutti i punti di vista.
Nel caso di Maria poi tutto ciò risulta accentuato dal fatto che Maria è madre vergine, il che significa che l’umanità di Gesù viene unicamente da lei, è un dono esclusivo della madre al figlio. E questo dono è stato fatto nella più totale e perfetta libertà e nel più ardente amore. Da quando ha pronunciato il suo Fiat, Maria è tutta e soltanto di Gesù, e Gesù, come uomo, è tutto e soltanto di Maria. Relazione mirabile!
Scrive molto bene il Melotti: «La genetica moderna ha messo in luce la profondità di azione della madre su tutto l’essere del figlio. Questo influsso ha qui un’intensità eccezionale, poiché Maria è una madre resa feconda da Dio, perfettamente santa ed equilibrata, unica « genitrice ». Non si deve temere di dire che Maria ha fornito al Verbo, oltre alla sua carne (caro Christi; caro Mariae, dice S. Agostino) e oltre ai suoi lineamenti fisici, tutto ciò che nell’essere spirituale è condizionato dalla carne: abitudini mentali, una certa qualità di immaginazione, di sensibilità, un dato carattere e temperamento. A partire di qui Maria ha assunto in pienezza il compito materno che va molto più in là della concezione-gestazione-nascita: l’educazione di suo figlio, la formazione della sua anima, come pure quella del suo corpo. Educatrice perfetta di un figlio perfettamente docile (cf. Lc 2,51), quantunque sottomesso innanzitutto al Padre trascendente, Maria lo ha fatto crescere « in statura e in sapienza »: iniziazione pratica all’obbedienza, alla sofferenza, il tutto nella luce dell’insegnamento biblico (Gesù è religiosamente istruito dall’Antico Testamento, cf. Lc 2,46-47)».
Scrive a sua volta Ortensio da Spinetoli:
«L’umanità di Gesù, per sé integra e ideale, va assumendo i segni, le note somatiche, ma più ancora le impronte fisico-psichiche, le eredità in una parola, della madre. Anche nel suo spirito, oltre che nel suo fisico, Gesù assomiglia a Maria».
La coscienza di Maria
Trattando della maternità di Maria nei riguardi di Gesù non si può evitare di porsi questo problema: la Vergine Maria era sin dall’inizio cosciente della divinità del bambino da lei concepito e da lei nato? Secondo alcuni autori Maria Santissima era cosciente che quel bambino era il Messia, e anche il Figlio di Dio, intendendo però l’espressione «Figlio di Dio» nel senso di una figliolanza secondo la grazia e l’elezione, com’era nell’uso abituale dell’Antico Testamento.
Romano Guardini, ad esempio, scrive:
«Durante la vita terrena di Gesù Maria non ha ancora riconosciuto in lui il Figlio di Dio nel senso totale della rivelazione cristiana. Prendere parte coscientemente alla vita di un tale essere sarebbe stato al di sopra delle sue forze».
Così la pensano anche altri autori, come Feuillet, Zedda, Galot, Schelkle.
Diversa è invece l’opinione di Laurentin, Lyonnet e altri. Il ragionamento di questi autori si basa sia su motivi esegetici, sia su motivi teologici. I motivi esegetici li abbiamo già accennati nella parte biblica, quando abbiamo visto che dalle parole dell’Angelo, dal saluto di Elisabetta e da altre circostanze Maria poteva intuire che quel bambino da lei concepito era di natura divina. E ciò tenuto conto soprattutto della ricchezza di grazia di cui Maria era ricolma, e quindi della presenza in lei dei doni dello Spirito Santo, in particolare di quelli riguardanti la conoscenza soprannaturale, come i doni della sapienza, dell’intelletto e della scienza. Maria Santissima quindi non soltanto conosceva bene la Bibbia, ma ne coglieva il senso profondo attraverso la sua illuminazione interiore.
Il motivo teologico è che una maternità che sia veramente umana esige di essere consapevole e cosciente. Se Maria non avesse saputo che il suo bambino era veramente Dio, essa sarebbe stata Madre di Dio in senso puramente biologico, non in senso pienamente umano. Per usare il linguaggio filosofico, sarebbe stata Madre di Dio materialmente, non formalmente (materialiter, non formaliter). Scrive M. D. Philippe:
«Se si pretende che Maria nell’Annunciazione non ha creduto alla divinità del Figlio dell’Altissimo, ma soltanto al suo carattere messianico di inviato di Dio, allora bisogna affermare che Maria è soltanto materialmente Madre di Dio».
Si potrebbe anche aggiungere che in questo caso Dio l’avrebbe, in certo qual modo, … ingannata, facendo sì che divenisse la Madre di Dio senza saperlo, in modo incosciente. Non sembra che questo sia un modo di comportarsi conveniente a Dio, e in particolare al Dio della Rivelazione cristiana, profondamente rispettoso della dignità della persona.
Concedendo dunque che Maria all’Annunciazione comprese che quel bambino che ella era chiamata a concepire era Figlio di Dio nel senso forte della parola, ci chiediamo: quale tipo di conoscenza era quella di Maria, almeno nella fase iniziale? Possiamo rispondere con A. George:
«Maria conosce il legame che esiste tra il Figlio suo e Dio, legame inaudito, unico, che le viene rivelato nella concezione verginale, Essa non ha, però, i concetti intellettuali che le permettano di esprimerlo con chiarezza: ignora gli ulteriori sviluppi teologici, non conosce i termini dei simboli degli Apostoli o di Nicea. Ora, è proprio qui che si trova la risposta alla domanda posta tante volte: Al momento dell’Annunciazione Maria ha creduto nella divinità di suo Figlio? Io rispondo sì senza riserva alcuna. Però essa l’ha pensata nel linguaggio che le era allora accessibile. Non le è stato impartito un corso di teologia mariana; non è questo il modo di Dio… Maria è una mistica che sa, ma non ha la teologia scientifica che le permetta di esprimere la sua esperienza».
Appurato questo punto, possiamo dire che Maria fu la donna unica in cui due sentimenti, in qualche modo apparentati, troveranno la loro esatta coincidenza: l’amore di una madre nei riguardi di suo figlio, e l’amore di una creatura nei riguardi del suo Dio. L’amore materno talvolta diventa adorazione. Il Laurentin riporta due belle citazioni a tale riguardo. La prima è tratta da Basilio di Seleucia († 459):
«Quando ella contemplò quel divino infante, io immagino che, vinta dall’amore e dal timore, parlasse così tra sé: Che nome posso trovare che si convenga a te, figlio mio? Uomo? Ma la tua concezione è divina. Dio? Ma tu hai assunto l’umana incarnazione. Che farò dunque per te? Ti nutrirò di latte o ti celebrerò come un Dio? Avrò cura di te come una madre, o ti servirò come una serva? Ti abbraccerò come un figlio o ti supplicherò come un Dio? Ti offrirò del latte o ti porterò degli aromi?».
L’altro testo è di un autore che mai avremmo pensato che potesse scrivere in questo modo. Si tratta niente meno che di Jean Paul Sartre, il campione dell’ateismo del XX secolo, l’uomo che ha distrutto la fede in intere generazioni di giovani, l’uomo che tanto male ha fatto con i suoi romanzi.
Come mai Jean Paul Sartre ha scritto sulla Madonna? Si era in tempo di guerra, e Sartre era prigioniero. In occasione del Natale fu pregato dai suoi compagni di prigionia di descrivere una scena natalizia. Sartre, il grande romanziere ateo, mosso da un senso di solidarietà verso i suoi compagni, accetta la proposta e scrive, tra l’altro, questa pagina:
«La Vergine è pallida e guarda il bambino. Quel che bisognerebbe dipingere sul suo volto è una meraviglia ansiosa che non è comparsa che una volta su una fisionomia umana. Perché il Cristo è suo figlio, la carne della sua carne e il frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato nove mesi e gli darà il seno, e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E sul momento la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe nelle sue braccia e gli dice: « Piccolo mio »».
«Ma in altri momenti, resta interdetta e pensa: « Dio è qui », ed è presa da un timore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Perché tutte le madri si arrestano a momenti, davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro figlio, e si sentono in esilio davanti a questa vita nuova che si è fatta con la loro vita e che è abitata da strani pensieri. Ma nessun figlio è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, perché egli è Dio e supera da ogni lato ciò che ella può immaginare…».
«Ma io penso che vi siano anche degli altri momenti, rapidi e fuggevoli, in cui lei sente al tempo stesso che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: « Questo Dio è il mio bambino. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi, e questa forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. Egli è Dio e mi assomiglia ». E nessuna donna ha avuto in tal modo il suo Dio per sé sola, un Dio piccolino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride: ed è in uno di questi momenti che io dipingerei Maria se fossi un pittore».
La maternità «divina»
Per esprimere il fatto che Maria Santissima è vera Madre di Dio la teologia, sembra a partire dal XVII secolo, ha coniato l’espressione «maternità divina». La maternità di Maria è una maternità divina. Si tratta di una formula astratta, che tende a far considerare la relazione in se stessa, indipendentemente dal suo soggetto, che è la persona di Maria. Ma a parte questo inconveniente, la formula si presenta assai ricca di contenuto, poiché dice qualcosa di più del semplice fatto che Maria, attraverso la sua maternità, si relaziona in modo tutto speciale, diretto e immediato, al Verbo, che è Dio. Infatti la maternità di Maria appare «divina» anche se è considerata alla luce delle tre Persone della Santissima Trinità.
a) Essa è divina se è vista nella luce del Padre. Infatti la Beata Vergine, in forza della divina maternità, ha conseguito una singolare somiglianza con il Padre. Come il Padre infatti ha generato dall’eternità il Verbo secondo la natura divina, così Maria Santissima lo ha generato nel tempo secondo la natura umana. Come il Padre lo ha generato dalla sua sostanza divina, così la Madre lo ha generato dalla sua sostanza umana. Come il Verbo è l’unico Figlio del Padre, da lui generato verginalmente, così è anche l’unico Figlio della Madre, da lei generato verginalmente. Il tutto è sintetizzato dalle bellissime parole di S. Anselmo: «Il Padre e la Vergine ebbero naturalmente uno stesso Figlio comune» (Naturaliter fuit unus idemque communis Dei Patris et Virginis Filius). Conseguentemente sia il Padre che la Madre, rivolti allo stesso Figlio, possono dirgli in piena verità: «Tu sei mio Figlio». Nessun’altro lo può fare.
b) La maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce del Figlio, anzi, lo è soprattutto e in primo luogo sotto questo aspetto. Maria è veramente Madre di Dio, quindi la sua maternità è divina nel suo termine. Qualcuno però potrebbe obiettare: l’attività materna di Maria si esercita nell’ordine corporeo, e non solo essa non genera in alcun modo la divinità, ma Gesù Cristo non riceve da essa la sua personalità divina, che è eterna e preesistente.
A ciò rispondiamo che anche le altre madri non danno ai loro figli né l’anima, che è creata da Dio, né la personalità, che è legata all’anima. Eppure vengono dette madri non del corpo dei loro figli, ma dei loro figli in quanto persone e in quanto dotate di anima e di corpo. Allo stesso modo Maria non è Madre della sola carne di Gesù, ma è Madre di questo Figlio che essa ha concepito e generato. E anche se la persona di Gesù è divina, Maria è veramente Madre di questa Persona, che sussiste nella carne. Ella non è solo Madre del corpo di suo Figlio, ma è, come ogni altra madre, Madre di suo Figlio. È Madre di Gesù, che è Dio.
c) Infine la maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce dello Spirito Santo. Gesù infatti fu concepito per opera dello Spirito Santo, il quale agì come causa efficiente nella formazione del suo corpo nel seno di Maria. Maternità divina quindi in quanto operata direttamente da Dio non solo quanto alla creazione dell’anima, ma anche quanto alla formazione del corpo.
La dignità della maternità divina
Vogliamo adesso considerare l’aspetto per così dire «morale» della maternità divina, cioè quello riguardante la dignità che compete alla Beata Vergine per il fatto di essere la Madre di Dio.
Dobbiamo dire che questa dignità è così grande che, dopo quella che compete all’umanità di Gesù, Dio non potrebbe crearne una maggiore. Perché infatti vi possa essere una madre più grande e più perfetta di Maria bisognerebbe che ci fosse un figlio più grande e più perfetto di Gesù, cosa impossibile, non potendovi essere nulla di più grande di Dio. Con la divina maternità Dio ha concesso alla creatura tutto ciò che ad essa si può concedere, dopo l’unione ipostatica.
Ciò risulta anche dal confronto fra questa e le altre dignità create. Ora, è fuori dubbio che la maternità divina supera in dignità tutte le realtà naturali (minerali, vegetali, animali, uomini e angeli considerati secondo la loro natura, prescindendo dalla grazia santificante). Il problema però si pone riguardo alle realtà della grazia. L’ordine della grazia infatti supera talmente l’ordine della natura che S. Tommaso è arrivato a dire che «il bene della grazia di un solo uomo è superiore al bene naturale di tutto l’universo» (S. Th., I-II, q. 113, a. 9, ad 2). Si impone allora il confronto fra la dignità della grazia santificante (che è il germe della gloria) e quella della maternità divina.
È chiaro che se noi consideriamo la maternità divina arricchita di tutte le grazie che la accompagnano, essa è superiore al bene della grazia e della gloria. Ma il problema si pone se consideriamo la maternità divina in astratto, cioè solo in quanto è formalmente maternità e nient’altro. Non mancano in questo caso dei teologi (Vasquez, i Salmanticesi e altri) i quali affermano che l’unione con Dio mediante la grazia e la gloria supera l’unione con Dio mediante la maternità divina. Essi si basano principalmente su due motivi. Il primo si fonda sulla risposta che Gesù diede all’anonima donna del popolo che aveva lodato sua madre «Beato il seno che ti ha portato…»): Gesù infatti risponde che è beato piuttosto «chi ascolta la parola di Dio e la custodisce» (Lc 11,28). Con questa risposta il Signore avrebbe indicato che l’unione della mente con Dio mediante la grazia supera l’unione della creatura con Dio mediante la maternità. Il secondo motivo è che la visione beatifica unisce a Dio in modo immediato, mentre la maternità divina unisce a Dio attraverso l’umanità data al Figlio.
Ciò nonostante la maggioranza dei teologi afferma comunemente che la maternità divina supera incomparabilmente l’ordine stesso della grazia e della gloria. Infatti essa appartiene all’ordine ipostatico, e perciò contiene in sé virtualmente ed esige tutti i privilegi della grazia. Quanto poi alle difficoltà sollevate, dobbiamo dire che la donna anonima del Vangelo non conosceva la maternità divina di Maria, per cui Gesù le risponde mettendosi dal suo punto di vista. Ma anche prescindendo da ciò, bisogna notare che Gesù non parla di dignità, ma di beatitudine. Ora, è chiaro che la beatitudine massima si ha nella visione di Dio, e la maternità divina non è in se stessa beatificante. All’altra difficoltà si risponde invece dicendo che l’unione con Dio data dalla maternità divina è un’unione ontologica e fisica, mentre quella della visione è un’unione intenzionale, cioè posta sul piano conoscitivo. Ora un’unione fisica, anche se mediata, è superiore a un’unione intenzionale, anche se immediata.
Possiamo quindi concludere che la divina maternità supera in dignità ed eccellenza qualsiasi altra dignità creata, compresa la grazia e la gloria.