Archive pour octobre, 2009

Giovanni Paolo II : La santità dal volto femminile

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091006

Martedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario : Lc 10,38-42
Meditazione del giorno
Giovanni Paolo II
Lettera apostolica « Spes aedificandi », § 2-3

La santità dal volto femminile

      Nell’imminenza del Grande Giubileo dell’anno 2000, mi è parso che i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall’invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia… Ritengo tuttavia particolarmente significativa l’opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna.

      In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, pur risentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l’attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo. Un impulso costante è stato offerto dall’icona di Maria, la « donna ideale », la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente forza d’animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella « Chiesa domestica » che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno offerto alla Chiesa un’indicazione preziosa per cogliere pienamente il disegno di Dio sulla donna. Esso del resto ha già in alcune pagine della Scrittura, e in particolare nell’atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche l’opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d’Europa.

Maria nell’Inno Akatistos (quando trovo l’inno commentato bene, ossia da un mio ex docente lo posto su Pages)

Maria nell'Inno Akatistos (quando trovo l'inno commentato bene, ossia da un mio ex docente lo posto su Pages) dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 5 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

Jean Galot : La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra

dal sito:

http://www.gesuiti.it/moscati/Ital4/Galot_Maria2.html

La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra

Madre di Dio
 
Jean Galot s.j.

Un titolo audace

Quando l’angelo si era rivolto a Maria per rivelarle il disegno del Padre e chiedere il suo consenso alla venuta del Salvatore nel mondo, l’aveva chiamata « colmata di grazia ». Riconosceva in lei una dignità singolare, altissima, che non avrebbe potuto appartenere a un’altra creatura. In un primo momento, non la chiamava con il suo nome, perché il suo vero nome consisteva nella grazia eccezionale che aveva ricevuto e che, agli occhi di Dio e di tutto il cielo, la distingueva da tutte le altre persone umane.

Quando riprendiamo nella nostra preghiera l’espressione formulata dall’angelo, dicendo a Maria « piena di grazia », alziamo il nostro sguardo verso una donna in cui si è sviluppata la grazia con una totale pienezza. In Maria lo Spirito Santo ha spinto all’estremo la sua potenza santificatrice e ha fatto sorgere nella più segreta profondità dell’anima un amore puro e perfetto. Scoprendo in lei questo capolavoro di grazia, possiamo entrare più facilmente nel vasto universo della grazia e partecipare allo sviluppo del più autentico amore.

Eppure il vertice che costituisce Maria nell’universo spirituale è ancora più alto. Questo vertice, lo raggiungiamo quando chiamiamo Maria « Madre di Dio ». Il titolo è molto audace, perché se Dio designa l’Essere supremo, che gioisce di una autorità sovrana su tutti gli esseri, come ammettere che possa avere una madre? Attribuire a una donna la dignità di Madre di Dio sembra collocare una creatura al di sopra del Creatore, riconoscere una certa superiorità di una donna su Dio stesso.

Si capisce che un titolo così audace non sia stato accettato facilmente da tutti. All’inizio non fu in uso nella pietà cristiana e non fu adoperato nel linguaggio di coloro che nel primo secolo si dedicarono alla diffusione della buona novella. Nella Scrittura, e più precisamente nei testi evangelici, è assente. E’ dunque ignorato nei primi tempi della Chiesa. Questo fatto sembra essere il segno che tale titolo non era necessario per esprimere la dottrina cristiana.

Il titolo più necessario sarebbe stato « Madre di Gesù » o « Madre di Cristo ». Era inseparabilmente affermato nel mistero dell’Incarnazione. Per affermare che il Figlio di Dio è venuto sulla terra per vivere come uomo e con gli uomini, si deve ammettere che è nato dalla Vergine Maria e che una donna è madre di questo Figlio. L’intervento di una donna è stato necessario per una nascita veramente umana; la maternità di questa donna appartiene al mistero dell’Incarnazione.

Gesù è un uomo, di sesso maschile, ma indissolubilmente legato al sesso femminile, perché una donna l’ha partorito e perché questa donna ha pienamente svolto il ruolo di madre nei suoi riguardi.

S. Paolo ha sottolineato la portata del mistero, ricordando il grande gesto del Padre che ha mandato il Figlio all’umanità: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… » (Galati 4,4). Il nome di Maria non è pronunziato, ma l’importanza essenziale del contributo della donna è posta in luce. Senza questa donna, il Padre non avrebbe potuto dare il suo Figlio come egli l’ha fatto con la nascita di Gesù. « Nato da donna » è una proprietà caratteristica dell’identità del Salvatore, che fa scoprire in un uomo, con la debolezza della carne, la personalità di colui che prima, nell’eternità, era nato dal Padre.

In questa nascita « da donna », Paolo discerne l’umiltà della venuta del Figlio, che ha accettato le condizioni abituali della nascita umana. Non considera esplicitamente la grandezza della donna che interviene in una nascita di carattere straordinario. Ma fa capire che questa donna è stata associata in virtù della sua maternità, al progetto divino di comunicazione ella filiazione divina a tutti gli uomini: il Figlio è nato da donna « perché ricevessimo, l’adozione a figli ».

Così, la maternità di Maria viene elevata a un livello divino, dal punto di vista del suo orientamento fondamentale. La dignità di Maria come madre appare più chiaramente: il Figlio che la donna ha partorito è destinato a condividere la sua figliolanza divina personale con tutti gli uomini. Il Padre che, mandando il suo Figlio nel mondo, ha suscitato questa maternità eccezionale, si serve di essa per diffondere nell’umanità la propria paternità, che fa sorgere i figli adottivi. Mai una maternità avrebbe potuto rivendicare una efficacia così alta e così universale.

Questo livello divino attribuito alla maternità di Maria non esprime ancora il vertice della sua dignità. Solo il titolo « Madre di Dio » può definire questo vertice. S.Paolo non ha mai usato questo titolo, perché la sua attenzione non si portava sulla dignità propria a Maria nella nascita di Cristo, ma sull’abbassamento di Dio che manifestava così un estremo amore verso gli uomini.


« Madonna della Strada » venerata
nella chiesa del Gesù di Roma
« Il salto »

Un salto era necessario se la comunità cristiana voleva raggiungere questo vertice significato dal titolo « Madre di Dio ». Il titolo esprime una verità che viene enunciata nella rivelazione evangelica: se Gesù, essendo il Figlio di Dio, è Dio lui stesso, dobbiamo affermare che questo Dio è nato da Maria, e in conseguenza Maria è madre di Dio. Maria non è madre del Dio Padre; è madre di Dio Figlio. Pur essendo evidente agli occhi della fede cristiana, l’attribuzione del titolo ha richiesto un tempo prima che fosse avvenuto il salto, perché in se stesso il titolo appare molto audace. Una riflessione sul dato rivelato è stata necessaria per giustificare il suo uso.

Il titolo sembra in un senso attribuire a Maria una certa superiorità su Dio stesso. Abbiamo già notato che non poteva essere una superiorità su Dio Padre, perché Maria non è madre di lui. La superiorità deve essere anche esclusa riguardo al Figlio, se viene considerato nella sua natura divina, identica a quella del Padre. Il Figlio è soltanto figlio di Maria nella sua natura umana. In questa natura « era sottomesso » a Maria e Giuseppe, come dice il vangelo (Luca 2,51).

La maternità di Maria viene spesso chiamata « maternità divina », perché è una maternità in relazione con la persona divina del Figlio; ma in realtà è una maternità umana, maternità che si è prodotta e sviluppata nella natura umana della Vergine di Nazaret. A questa maternità appartiene la ricchezza dei sentimenti umani: il cuore materno di Maria è un cuore umano, molto sensibile a tutti gli avvenimenti che toccavano o colpivano il proprio Figlio. Il carattere verginale della sua maternità non ha tolto niente alla tenerezza del suo affetto materno; anzi l’ha reso più ardente, più puro, più perfetto.

L’espressione « Madre di Dio » pone in luce la relazione stupenda di una persona umana con Dio. La maternità è una relazione di persona a persona. Una madre è madre della persona del suo figlio; siccome nel caso di Gesù la persona è divina in una natura umana, Maria è madre di una persona divina, persona che in virtù della generazione umana verginale è suo Figlio.

Sull’origine dell’attribuzione del titolo « Madre di Dio » a Maria nella preghiera cristiana e nel culto cristiano, abbiamo poca informazione. È pure significativo che la più antica preghiera mariana che conosciamo sia rivolta alla Madre di Dio. La preghiera è stata scoperta su un papiro egiziano che è stato datato del terzo secolo; il papiro era molto danneggiato, ma portava chiaramente l’invocazione Theotokos: « Sotto il tuo patrocinio cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio… ».

La preghiera, formulata in somiglianza di altre preghiere rivolte a Dio, chiede il soccorso di Maria nei pericoli. Essa testimonia che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo « Madre di Dio » era in uso in alcuni ambienti cristiani.

Questo uso viene confermato per un ambiente più dottrinale: sappiamo che nel suo commento della lettera ai Romani, il grande teologo Origene (253-255) aveva dato una lunga spiegazione del termine Theotokos. Non possediamo il testo di questo commento, ma è il segno che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo era in uso nell’esposizione della dottrina.

Gli storici hanno cercato di determinare i motivi per i quali il titolo ha avuto una diffusione particolare in Egitto. Sembra infatti che l’Egitto sia stato il luogo di origine dell’uso del titolo. Nella religione pagana esisteva il culto della dea Isis. Questa dea era venerata, sotto il titolo di « madre del dio », perché era considerata come la madre del dio Oro. Clemente d’Alessandria usa a questo proposito l’espressione: « madre degli dei ». I cristiani dell’Egitto vedevano nel linguaggio dei pagani un omaggio alla « madre del dio ». Come non avrebbero reagito, pensando che loro conoscevano l’unica Madre di Dio, che non era una dea, ma una donna? Possiamo supporre che sotto l’influsso del culto pagano hanno affermato il loro proprio culto di venerazione della Madre di Dio. La religione pagana, in cui si esercitava l’azione dello Spirito Santo, aveva preparato gli Egiziani alla venuta del cristianesimo e al culto della vera « Madre di Dio ».

Il salto che si è prodotto per rivolgersi a Maria, chiamandola « Madre di Dio », non è stato l’effetto di un ragionamento dottrinale. È venuto da un bisogno popolare di riconoscere in una donna, secondo la rivelazione, la vera madre di Dio, madre del Figlio incarnato, che apriva la porta a tutte le speranze. Il valore del ruolo di Maria era stato capito e accolto dal popolo cristiano, che, invocando la madre di Dio, poteva aspettare la migliore risposta ai suoi problemi e l’aiuto nei pericoli.

Obiezione e risposta

Quando, nell’anno 428, Nestorio diventò Patriarca di Costantinopoli, la controversia a proposito del titolo « Madre di Dio » era scoppiata. Diversi pareri si erano manifestati; alcuni volevano riconoscere Maria come madre dell’uomo Gesù e non come madre di Dio. Nestorio si limitava al titolo: « Madre di Cristo ». Egli non ammetteva il titolo « Madre di Dio », perché pensava che Maria non poteva essere madre di una persona divina.

Abbiamo osservato che il titolo è audace e che un salto è stato necessario, nel terzo secolo, per introdurre l’invocazione nella preghiera cristiana. Nestorio non ha voluto fare questo passo avanti, non ha accettato un titolo che si era diffuso ampiamente nel linguaggio della Chiesa e che costituiva un progresso nell’espressione della fede. Infatti non accoglieva il valore della tradizione che si era formata per invocare Maria sotto il nome di « Madre di Dio ».

Rifiutando questo titolo, doveva ammettere in Cristo una divisione fra l’uomo generato da Maria e il soggetto divino che era il Figlio; questa divisione avrebbe implicato l’esistenza di due persone in Cristo, cioè un dualismo che non poteva essere compatibile con l’unità di Cristo secondo la verità rivelata nel vangelo.

La Chiesa aveva sempre creduto che l’uomo Gesù era Dio, secondo la dimostrazione che Gesù stesso aveva fatto della propria identità. Nel vangelo, non ci sono due personaggi, uno che fosse l’uomo e l’altro che fosse il Figlio di Dio. La meraviglia dell’Incarnazione consiste nel fatto che il Figlio di Dio è divenuto personalmente uomo, nascendo da una donna.

Al momento dell’Incarnazione, questo Figlio non si è spaccato in due persone. Rimanendo persona divina, è divenuto uomo, assumendo una natura umana; non si è associato una persona umana. La sua unica persona è persona divina, persona che esiste dall’eternità e non può cambiare nel suo essere eterno. Questo spiega che Maria, diventando madre di Gesù, sia madre della persona divina del Figlio e dunque Madre di Dio.


La Vergine Maria « Theotokos », cioè « Madre di Dio », come l’ha proclamata
il Concilio di Efeso.
Così l’affermazione di Maria come Madre di Dio è la garanzia dell’affermazione della persona divina di Cristo. Il problema posto dalla crisi nestoriana non era soltanto mariologico; era più fondamentalmente cristologico. La verità contestata era l’unità di Cristo.

Questa unità fu riconosciuta dal concilio di Efeso, che condannò Nestorio. In base alla seconda lettera di Cirillo di Alessandria a Nestorio, che fu approvata dal concilio, il Figlio eterno del Padre è colui che, secondo la generazione carnale, è nato dalla Vergine Maria. Da questa verità su Cristo, deriva la conseguenza per Maria: « Per questo, Maria è legittimamente chiamata Theotokos, Madre di Dio ».

Dopo la proclamazione di questa dottrina, i Padri del concilio furono accolti con entusiasmo dalla popolazione di Efeso. Il popolo cristiano si rallegrava dell’onore reso alla Madre di Dio.

Quattro secoli prima, la città pagana di Efeso aveva manifestato il suo attaccamento alla dea Artemide. Gli Atti degli Apostoli ci riferiscono l’episodio in cui Paolo aveva incontrato ad Efeso una forte ostilità della folla, che l’accusava di aver voluto porre fine al culto della dea. Le grida « grande è l’Artemide degli Efesini! » (Atti 19,28) mostravano la potenza di un culto che ha indotto Paolo a lasciare la città. Ma il loro ricordo fa anche capire la preparazione adoperata dallo Spirito Santo alla proclamazione di una donna come Madre di Dio. Il culto alla dea Artemide era una via che finalmente doveva porre in luce il volto della Madre di Dio.

In quattro secoli, il culto reso a una dea pagana si è trasformato in culto reso a Maria. Nella religione pagana si era rivelato il bisogno fondamentale degli uomini di avere una donna veramente ideale per aprire la via della salvezza. Nel cristianesimo, questa donna ideale è stata riconosciuta in tutta la sua perfezione a un livello molto superiore, come quella che meritava il nome di Madre di Dio.

Dimostrazione del più alto amore divino

Il titolo che dal terzo secolo è stato pronunziato dalla pietà cristiana nel culto mariano porta con sé la dimostrazione del più alto amore divino. Maria è Madre di Dio perché Dio ha voluto una madre. Il Dio che l’ha voluto è prima di tutto il Padre: la sua intenzione era di esprimere, con questa maternità, in un volto umano, la propria paternità divina. Anche il Figlio di Dio l’ha voluto, perché voleva essere integralmente uomo simile agli altri uomini, nascere da una madre e crescere con l’aiuto e la cura di una madre.

Il vocabolo greco usato per designare la maternità di Maria ha un significato che secondo la sua origine è abbastanza ristretto. « Theotokos » significa « quella che ha generato Dio ». L’atto di generazione ha un valore essenziale per la maternità, ma è soltanto un inizio. La madre ha il compito di contribuire alla crescita del figlio e di educarlo in vista della sua vita futura di adulto. Maria è stata impegnata in questo compito, con questo aspetto stupendo della sua maternità che consisteva in una educazione di colui che era Dio.

Educare Dio sembra un compito paradossale. Dobbiamo precisare che si tratta del Figlio di Dio nella sua natura umana: è l’uomo Gesù che Maria ha educato, aiutandolo a crescere e a svilupparsi. Ma siccome questo uomo era Dio, con una persona divina, l’educazione che concerneva tutti gli aspetti umani della sua esistenza era una educazione di Dio, di un Dio fatto uomo.

Quella che era stata la generatrice di Dio era anche, in tutta verità, l’educatrice di Dio. Questo compito fa meglio scoprire la grandezza singolare della maternità di Maria.

Dobbiamo osservare che nell’attività educatrice, Maria condivideva con Giuseppe la responsabilità. L’evangelista Luca lo ricorda quando dice, per descrivere la vita di Gesù a Nazaret: « Stava loro sottomesso » (2,51). Gesù cresceva sotto la duplice autorità di Giuseppe e di Maria. La loro unione era un contributo all’efficacia dell’educazione di colui che avrebbe insegnato più tardi il valore dell’amore mutuo.

Conosciamo un frutto dell’educazione data da Giuseppe. Gesù che era « figlio del carpentiere » (Matteo 13,55) è divenuto « il carpentiere » (Marco 6, 3) di Nazaret, perché aveva imparato da Giuseppe questo mestiere. I frutti dell’educazione data da Maria non sono così evidenti, perché non conosciamo gli umili segreti della vita di Gesù a Nazaret.

Nel suo compito di educazione, Maria ha avuto molti contatti intimi con Gesù, che hanno contribuito allo sviluppo di tutte le sue qualità umane. Infatti riceviamo nei racconti evangelici i frutti di questa educazione nascosta, data da quella che fu la più perfetta educatrice e che preparò il Salvatore al compimento della sua missione.

La donna che, essendo Madre di Dio, ha educato il Figlio di Dio, esercita ancora un influsso sulla vita spirituale dell’umanità con i frutti prodotti in Cristo dalla sua educazione materna.

Maria Santissima Madre di Dio

dal sito:

http://www.santorosario.net/mariologia/2.htm

Maria Santissima Madre di Dio

Mariologia e Cristologia

La Vergine Maria è innanzitutto la Madre del Verbo Incarnato, la Madre di Dio. Questo è il suo titolo principale e il fondamento di tutti i suoi privilegi. Possiamo quindi dire che la mariologia, almeno nel suo aspetto essenziale, è una parte della cristologia. Già S. Tommaso infatti tratta di Maria Santissima nella parte della Somma Teologica dedicata al mistero di Cristo. Il fatto poi che la trattazione di Maria sia stata inserita dal Concilio nella Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa non deve trarre in inganno. Scrive G. Söll:

 «L’inserimento della dottrina mariana nello schema della Costituzione sulla Chiesa avvenne in conseguenza della volontà della maggioranza del Concilio di non elaborare alcuno schema proprio per Maria, e il fatto non può perciò essere inteso come un’assegnazione, confermata dal Magistero, della dottrina mariana all’ecclesiologia. Il luogo genuino della trattazione di questa parte della dogmatica, giustificato dalla storia dei dogmi, resta il trattato sulla persona e l’opera salvifica del Redentore».
 

Del resto questo fatto è ricordato anche dai Sommi Pontefici, come ad esempio da Pio XII, che scrive:

 «Da questo sublime ufficio di Madre di Dio, come da arcana fonte limpidissima, sembrano derivare tutti quei privilegi e quelle grazie che adornarono in modo e misura straordinaria la sua anima e la sua vita».
 

Identico il pensiero di Paolo VI:

 «Questa dignità e gloria della Madre di Dio non ha pari tra le creature, ed è per Maria un sommo titolo di onore, poiché nella divina maternità trovano fondamento tutti i privilegi e le prerogative di Maria».
 

Il Cardinale Suenens riporta il pensiero di un teologo ortodosso, Aleksander Schmeman:

 «Affrontando il tema in modo alquanto paradossale, dirò che se null’altro fosse rivelato nella Scrittura all’infuori del fatto puro e semplice dell’esistenza di Maria, e cioè che Cristo, Dio e uomo, ha una madre e che il nome di questa era Maria, già questo fatto sarebbe sufficiente perché la Chiesa l’ami, la pensi in relazione al figlio e tragga conclusioni teologiche da questa contemplazione. Non abbiamo nessun bisogno di rivelazioni supplementari o speciali: Maria è una dimensione evidente ed essenziale del Vangelo stesso».
 

Vogliamo vedere dunque se, e perché, e in che senso Maria può e deve essere detta Madre di Dio, e cominciamo a esaminare la Sacra Scrittura.

I fondamenti biblici del titolo «Madre di Dio»

La formula «Madre di Dio» non appare esplicitamente nella Sacra Scrittura, ma in essa sono affermate nel modo più chiaro due verità: la prima è che Gesù è veramente Dio; la seconda è che Gesù è veramente figlio di Maria. A questo punto la logica ci obbliga a porre questo sillogismo:

Gesù è Dio;
Maria è la madre di Gesù:
quindi Maria è la madre di Dio.

Tuttavia possiamo trovare nella Scrittura anche delle formulazioni praticamente equivalenti a quella di «Madre di Dio». E procediamo secondo il probabile ordine cronologico dei testi scritturali.

In S. Paolo, come già abbiamo visto nel Primo Capitolo della Prima Parte, leggiamo (Gal 4,4): «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna». Ora, qui il termine «Figlio» è usato in senso forte. Gesù di Nazaret non è soltanto un uomo particolarmente caro a Dio, ma è il Figlio di Dio in senso vero e proprio. È l’Unigenito del Padre. Ora, questo Figlio è nato da una donna: quindi questa donna è sua madre. Così questa donna, madre del Figlio di Dio, che è Dio lui stesso, è la madre di Dio.

In S. Paolo c’è anche un altro testo bellissimo (Rm 9,5): «Da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli». Questo Dio benedetto nei secoli, che è Gesù, proviene dagli Israeliti secondo la carne, cioè secondo la generazione umana, e ciò avviene attraverso Maria, di cui egli è figlio. Quindi Maria è la Madre di colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. È quindi Madre di Dio.

In Mc 6,3 leggiamo: «Non è costui il figlio di Maria?». Gesù è il figlio di Maria. Ma Gesù, come noi sappiamo, è Dio. Quindi Maria è la Madre di Dio.

Nel passo di S. Matteo dedicato all’annunzio a Giuseppe (1,18-25) appare chiaramente che il bambino concepito da Maria ha caratteri divini. «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». L’espressione «il suo popolo» è molto forte. Il popolo di Dio è diventato il popolo di Gesù. Quindi Gesù è quello stesso Dio a cui apparteneva il popolo di Israele.

«Dai suoi peccati». Chi può salvare dai peccati se non Dio solo? (cf. Mc 2,7). Qui appare chiaramente che Gesù è il Dio Salvatore, che redime dal peccato il popolo di sua proprietà.

«Emmanuele… Dio con noi». È veramente Dio colui che dirà: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

In S. Luca, come abbiamo già visto a suo tempo, Maria è presentata come madre di Dio o attraverso allusioni all’Antico Testamento (la nuova tenda in 1,35 e la nuova arca in 1,39-44.56), oppure con una professione esplicita da parte di Elisabetta. Infatti, come abbiamo visto, l’espressione «la madre del mio Signore» è equivalente a «la madre del mio Dio». Fra tutti i testi biblici è questo il più diretto e formale.

In S. Giovanni infine Maria è sempre indicata dall’Evangelista come «la madre». La madre di chi? Del Verbo incarnato, di quel Verbo che era presso Dio e che è Dio (1,1.14).

I Santi Padri

Le due verità che abbiamo enunciato, che cioè Gesù è veramente Dio e Maria è la sua vera madre sono presenti nei Santi Padri sin dagli inizi, anche se non compare subito l’espressione «Madre di Dio». Come abbiamo già accennato a suo tempo, forse questa formula compare in Origene, quindi nella prima metà del III secolo. Essa è attestata anche dalla più antica preghiera mariana che si conosca: «Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genetrix…» (Sotto la tua protezione ci rifugiamo, o santa Madre di Dio…), che risale probabilmente al III secolo. All’inizio e nel corso del IV secolo la formula viene usata, soprattutto nell’ambiente alessandrino, anche con l’aggiunta di spiegazioni. La troviamo in Alessandro di Alessandria, Eusebio di Cesarea, Costantino Imperatore, Giuliano l’Apostata («Voi non cessate di chiamare Maria Madre di Dio», egli scrive), S. Atanasio, S. llario, S. Efrem, S. Basilio, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Gregorio Nazianzeno, S. Zeno di Verona, S. Gregorio Nisseno, S. Ambrogio, S. Epifanio. Nel V secolo poi, anche prima del Concilio di Efeso (431), l’uso diventa comunissimo e frequente.

L’eresia di Nestorio

Nestorio, eletto patriarca di Costantinopoli nel 428, a un certo punto, nelle sue prediche, inizia a combattere il titolo di Theotókos (Madre di Dio). Per quale motivo? Sentiamo le sue parole:

 «Dovunque le Scritture fanno menzione dell’economia del Signore, esse attribuiscono sempre la nascita e la sofferenza non alla divinità, ma all’umanità di Cristo, di modo che, a voler parlare esattamente, si deve chiamare la Vergine Madre di Cristo (Christotókos) e non Madre di Dio (Theotókos). Ascolta il Vangelo che grida: « Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo » (Mt 1,11). È evidente che il Dio Verbo non era figlio di Davide. Ascolta ancora, se vuoi, un’altra testimonianza: « Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, chiamato Cristo » (Mt 1,16) (…)».

«È bene e conforme alla tradizione evangelica confessare che il corpo è il tempio della divinità del Figlio, tempio che gli è unito da una suprema e divina congiunzione, fino al punto che la natura divina fa proprio ciò che appartiene a questo tempio. Ma, col pretesto di questa appropriazione, l’attribuire (al Verbo) le proprietà della carne che gli è unita, voglio dire la nascita, la sofferenza e la morte, questo è, fratello mio, il fatto di una mente fuorviata dagli errori dei Greci, o malata della follia di Apollinare, di Ario o di altre eresie, o di qualche malattia ancora più grave. Infatti, coloro che si lasciano attrarre da questa parola di appropriazione dovranno necessariamente dire che il Dio Verbo, per appropriazione, è stato allattato, è cresciuto un po’ alla volta, e nel momento della passione ha avuto paura e ha avuto bisogno dell’aiuto di un angelo. E non parlo della circoncisione, del sudore, della fame; tutto ciò che ha subito per noi nella carne che gli è unita è adorabile; ma l’attribuirlo alla divinità è una menzogna che ci farebbe giustamente accusare di calunnia».
 

Da questo brano risulta chiaramente che Nestorio non ha un’esatta nozione dell’Incarnazione del Verbo. Noi diciamo che la persona del Verbo, che dall’eternità possedeva la natura divina, ha veramente assunto anche una natura umana («il Verbo si è fatto carne», Gv 1,14), per cui ciò che appartiene alla natura umana va attribuito alla persona divina del Verbo che la ha assunta. Così noi possiamo e dobbiamo dire che il Verbo è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (naturalmente non in quanto Verbo, ma in quanto uomo). Ma siccome il Verbo è Dio, così noi possiamo e dobbiamo dire che Dio è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (sempre secondo la natura umana assunta).

Ciò che Nestorio nega è quindi la «comunicazione degli idiomi» (communicatio idiomatum), cioè la possibilità di attribuire all’unica Persona del Verbo non solo le proprietà della natura divina, ma anche quelle della natura umana. Nestorio nega tale possibilità poiché pone in Cristo non solo due nature, ma anche due persone, una divina e una umana. Ciò che compete alla natura umana va quindi attribuito alla sola persona umana, e non a quella divina. Così dobbiamo dire, secondo Nestorio, che colui che nasce a Betlemme, che patisce, che muore, che risorge, è la persona umana di Gesù, non la sua persona divina. Quindi la persona divina del Verbo, sempre secondo Nestorio, non è nata a Betlemme. Quindi Maria non è sua madre. Maria è madre soltanto della persona umana di Gesù, è madre dell’uomo Gesù. Quindi non è madre di Dio.

Da ciò si vede facilmente come la negazione della maternità divina di Maria non è che un caso particolare, un’applicazione concreta della negazione della comunicazione degli idiomi.

La risposta di S. Cirillo Alessandrino

A questa tesi di Nestorio si contrappone il suo grande avversario, S. Cirillo Alessandrino, che insiste invece sull’unità del Verbo incarnato. Il suo pensiero traspare chiaramente da questo passo della sua seconda lettera a Nestorio, che riportiamo:

 «Noi non diciamo che la natura del Verbo si è trasformata in un uomo completo composto di anima e di corpo, ma piuttosto questo: il Verbo, unendo a sé secondo l’ipostasi (cioè la persona) una carne animata da un’anima razionale, è divenuto uomo in modo indicibile e incomprensibile, e si è chiamato Figlio dell’uomo, non soltanto per volontà, né per compiacenza, e neppure assumendone solo il personaggio (prósopon). Differenti sono le nature che si sono incontrate in una vera unità, ma dalle due risulta un solo Cristo e Figlio; la differenza delle nature non è soppressa dall’unione, ma anzi, la divinità e l’umanità formano per noi un solo Signore e Figlio e Cristo, per il loro incontro indicibile e ineffabile nell’unità».

«Così, quantunque sussista prima dei secoli e sia stato generato dal Padre, è anche detto che è stato generato secondo la carne da una donna; non che la natura divina abbia cominciato a essere nella Vergine, né che abbia avuto necessariamente bisogno di una seconda nascita per mezzo di essa, dopo quella che aveva ricevuto dal Padre (infatti è leggerezza e ignoranza dire che Colui che esiste prima dei secoli e che è coeterno con il Padre abbia bisogno di una seconda generazione per esistere), ma siccome è stato per noi e per la nostra salvezza che ha unito a sé l’umanità secondo l’ipostasi, ed è nato da una donna, si dice che è stato generato da lei secondo la carne. Infatti non è stato un uomo ordinario a venire prima generato da Maria e sul quale poi sarebbe venuto a posarsi il Verbo, ma il Verbo, essendosi unito all’umanità fin dal grembo di Maria, si dice che ha accettato una nascita carnale, avendo rivendicato per sé la nascita dalla sua carne (…)».

«Ecco perché hanno osato chiamare Theotókos la Vergine Maria: non nel senso che la natura del Verbo, ossia la sua divinità, abbia preso da Maria il principio della sua esistenza, ma siccome è nato da lei questo santo corpo animato da un’anima razionale a cui il Verbo si è unito secondo l’ipostasi, si dice che da lei il Verbo è stato generato secondo la carne».
 

Il Concilio di Efeso

Il Concilio di Efeso (431) fa sostanzialmente sua la tesi di S. Cirillo e condanna quella di Nestorio: afferma innanzitutto il dogma dell’unità di Cristo, in un’unità secondo l’ipostasi, cioè secondo la persona, e di conseguenza afferma che Maria deve essere detta «Madre di Dio» (Theotókos).

È importante notare che «la definizione dogmatica di Efeso fu prima di tutto cristologica, ma in conseguenza fu anche mariologica. Quando fu definito il carattere personale divino dell’uomo Cristo, la maternità di Maria fu definita come divina».

Scrive molto bene Max Thurian:

 «Il dogma di Efeso ha essenzialmente una portata cristologica: Maria non è chiamata « Madre di Dio » per glorificare la sua persona, ma a causa di Cristo, affinché la verità sulla persona di Cristo sia pienamente messa in luce. Anche là Maria è Serva del Signore; il dogma che la concerne è al servizio della verità che riguarda suo Figlio, il Signore. Il Concilio di Efeso, chiamandola Madre di Dio, riconosce in Cristo due nature, umana e divina, e una sola Persona: esso riconosce così la realtà dell’Incarnazione fin dal concepimento miracoloso del Figlio di Dio nella Vergine Maria».
 

Il Concilio di Calcedonia, nel 451, riprenderà l’affermazione di Efeso:

 «Seguendo i Santi Padri noi proclamiamo tutti con una sola voce un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo (…), generato dal Padre prima dei secoli quanto alla sua divinità, ma negli ultimi giorni, per noi e per la nostra salvezza, generato da Maria Vergine, Madre di Dio, quanto alla sua umanità» (DS 301).
 

Il medesimo insegnamento verrà ripreso da Giovanni II († 535), dai Concili Costantinopolitano II (553) e III (681) (DS 401, 427, 555) fino al Vaticano II compreso.

Non si tratta di una definizione diretta e formale dal punto di vista giuridico, ma dato che il termine Theotókos è stato assunto solennemente dai Concili ecumenici e accolto senza discussione, esso appartiene senza dubbio al deposito della Rivelazione. Che Maria sia Madre di Dio è quindi una verità di fede.

Volendo a questo punto riassumere ed esprimere l’insegnamento della Chiesa in una formulazione semplice possiamo dire così: Che cosa significa che Maria è Madre di Dio? Non significa certamente che ha generato la divinità, cosa che sarebbe priva di senso, perché la creatura viene sempre dopo il Creatore. Significa invece che ha dato la natura umana al Verbo di Dio, cioè alla seconda Persona della Santissima Trinità, che è Dio. Ma dare la natura umana al Verbo significa generarlo secondo la natura umana, significa essergli Madre. Quindi Maria è Madre del Verbo, che è Dio, cioè è Madre di Dio. Più brevemente ancora: che Maria sia Madre di Dio significa semplicemente che gli ha dato la natura umana.

Ricchezza della formula «Madre di Dio»

C’è un detto antichissimo, e che entrò anche nel Breviario Romano, secondo cui Maria è la vincitrice di tutte le eresie: «Tu sola cunctas haereses interemisti in universo mundo» (Tu sola hai distrutto tutte le eresie in tutto quanto il mondo). Ora, ciò si verifica perfettamente rispetto alle prime tre grandi eresie cristologiche, che Maria distrugge col suo essere proclamata «Madre di Dio».

La prima grande eresia cristologica fu l’Arianesimo. Secondo Ario il Verbo, la seconda Persona della Santissima Trinità, non sarebbe veramente Dio, ma solo una creatura eccelsa, una specie di superangelo. In questo caso Maria non può evidentemente essere detta Madre di Dio, poiché il Verbo, di cui è Madre, non è Dio. Quindi quando noi diciamo che Maria è Madre di Dio distruggiamo l’eresia di Ario.

La seconda grande eresia fu il Nestorianesimo, di cui abbiamo già parlato. Nestorio ammette sì che il Verbo sia Dio, ma dice che non ha assunto la natura umana nell’unità della persona, per cui in Cristo vi sono due persone, quella umana e quella divina, unite solo in senso morale. Maria sarebbe così la madre della persona umana di Gesù, ma non del Verbo, quindi non di Dio. Infatti, come abbiamo visto, Nestorio rifiutava decisamente questa formula. Dicendo quindi che Maria è Madre di Dio noi distruggiamo l’eresia di Nestorio (ed è proprio quello che ha fatto il Concilio di Efeso).

Qualche anno dopo sorge un’altra grande eresia, di segno opposto, l’eresia monofisita. Secondo i monofisiti (monofisismo significa: una sola natura), in Gesù Cristo c’è la persona divina del Verbo con la sua natura divina, ma non c’è una vera umanità, poiché la natura umana è stata come assorbita da quella divina. L’umanità di Gesù è quindi un’umanità apparente. Gesù sembra un uomo, ma non è un vero uomo. In lui c’è soltanto la natura divina e non c’è quella umana. Ora, se le cose stanno così, come fa Maria a essere sua madre? Una donna per essere madre deve comunicare una vera umanità, una vera natura umana. Se l’umanità di Gesù è un’umanità apparente, anche la maternità di Maria nei suoi riguardi sarà una maternità apparente. Quindi se noi accettiamo il monofisismo non possiamo dare a Maria il titolo di «Madre di Dio». Se invece noi affermiamo questo titolo, veniamo a distruggere anche questa eresia.

Così dunque Maria, quando viene proclamata Madre di Dio, distrugge davvero tutte le eresie cristologiche.

La ricchezza e la profondità della formula «Madre di Dio» appare anche considerando le cose da un punto di vista positivo.

Tutta la fede cristiana riguardo al Verbo Incarnato può essere sintetizzata così: Gesù è insieme vero Dio e vero uomo. Dicendo che Maria è Madre «di Dio» diciamo che Gesù è vero Dio; dicendo che Maria è «Madre» di Dio diciamo che Gesù è vero uomo; e diciamo anche che in lui la divinità e l’umanità sono unite nella stessa persona.

Il fondamento della relazione di maternità

Se Maria è Madre di Dio, ciò significa che vi è una relazione fra lei e Dio, più precisamente fra lei e la persona divina del Verbo. Qual è il fondamento di questa relazione? È l’atto generativo di Maria riguardo a Gesù, al Verbo incarnato. Vogliamo quindi considerare qual è l’apporto dato da Maria nella formazione dell’umanità di Cristo. Grazie a questo apporto ella è detta Madre di Cristo, e quindi Madre di Dio.

Ci chiediamo innanzitutto: qual è l’apporto dei genitori nelle generazioni ordinarie? Esso comporta tre elementi: a) l’azione dei genitori (causa seconda) per la formazione del corpo; b) l’azione divina motrice riguardo a questa azione (causa prima); c) l’azione divina creatrice che produce e infonde l’anima. I genitori sono insieme la causa seconda di questa generazione: la causalità di ciascuno è parziale e complementare rispetto a quella dell’altro.

Nel caso di Maria vi è il miracolo della concezione verginale. Con tale miracolo Dio fa sì che l’azione generatrice della donna, che per sua natura è parziale, incapace di produrre quell’effetto che è un nuovo vivente, produca da sola la cellula iniziale del nuovo organismo. Nell’istante stesso della formazione di questa cellula avviene la creazione dell’anima, e con ciò la costituzione di tutta la natura umana, da parte di Dio. Maria è così la Madre di questo nuovo essere vivente che è comparso nel mondo, di questo nuovo uomo: ella è quindi la Madre del Verbo, poiché quest’uomo è il Verbo.

Non è necessario immaginare qualche sopraelevazione dell’azione generatrice di Maria: per il fatto stesso che il Verbo ha assunto una natura umana individuata e del tutto simile alla nostra, ne viene di conseguenza che questa umanità è stata formata da un’azione generatrice naturale (a parte il miracolo della concezione verginale). Questa generazione, anche se verginale, avrebbe prodotto un semplice uomo se non vi fosse stata l’assunzione della natura umana da parte del Verbo.

La relazione di maternità in se stessa

In base al fondamento che abbiamo visto (l’apporto di Maria nella formazione dell’umanità di Gesù), Maria è sua Madre, cioè ha con lui una relazione di maternità. Ma Gesù è Dio, quindi questa relazione rapporta Maria a Dio, o più precisamente al Verbo, alla seconda Persona della Santissima Trinità.

Questa relazione è reale in Maria. Cioè il fatto di essere diventata la Madre del Verbo aggiunge in lei qualcosa, le dona una perfezione che prima non aveva. Viene a questo punto spontaneo chiedersi: nel Verbo sorge una relazione di figliolanza (o di filiazione, per usare un termine più filosofico) nei riguardi di Maria? E se sorge, è una relazione reale o soltanto di ragione? Dobbiamo rispondere che questa relazione sorge, ma è soltanto di ragione, poiché essendo il Verbo Dio, cioè l’Essere perfettissimo, Egli non può ricevere alcun perfezionamento dalle creature. È questa una legge generale che non ammette eccezioni: tutte le relazioni fra Dio e le creature sono relazioni di ragione, a cominciare dalla relazione stessa che nasce dall’atto creativo di Dio. Cioè Dio non ha una relazione reale con il mondo da lui creato. La relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione.

Ma allora uno dirà: se la relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione e non è reale, ne viene di conseguenza che Dio non è realmente Creatore. Non è vero: Dio è veramente e realmente Creatore, ma non in forza di una relazione reale fra Lui e la creatura, bensì in forza della reale, realissima relazione fra la creatura e Lui.

E così è nel caso di Maria: il Verbo è realmente Figlio di Maria anche se la sua relazione verso di Lei è soltanto di ragione. Infatti è vero Figlio di Maria grazie alla reale, realissima relazione di maternità di Maria verso di Lui.

Che cos’è dunque questa relazione di maternità che si trova in Maria? È qualcosa di straordinario e di unico, per cui il Cardinale Gaetano, il grande commentatore di S. Tommaso, arriva a dire che «Maria ha toccato con la sua operazione i confini stessi della divinità, quando ha concepito, dato alla luce e generato Dio». Qualcosa di simile aveva già detto S. Tommaso, quando aveva scritto che

 «l’umanità di Cristo, in quanto è unita a Dio, la beatitudine creata, in quanto è il godimento di Dio, e la Beata Vergine, in quanto è la Madre di Dio, hanno una dignità in certo qual modo infinita, che deriva ad esse dal bene infinito che è Dio. Da ciò consegue che non può essere fatto nulla che sia migliore di queste tre cose, poiché non c’è nulla che sia migliore di Dio» (S. Th., I, q. 25, a. 6, ad 4).
 

Così da una parte l’azione generatrice di Maria è «naturale» (a parte la concezione verginale), ma da un’altra la maternità che essa fonda è «soprannaturale», poiché raggiunge Dio stesso.

Finora abbiamo considerato la maternità di Maria da un punto di vista puramente fisico e biologico. Ma una maternità che sia veramente umana non si ferma a questo aspetto. Innanzitutto essa comporta l’implicazione di una volontà mossa dall’amore. Una vera madre accoglie liberamente suo figlio con amore. Una madre degna di questo nome deve mettere tutta se stessa in questa maternità.

Inoltre la maternità umana non comporta solo il concepimento, la gestazione e il parto. Essa comporta tutte le cure che il bambino richiede sin da quando viene alla luce, e in seguito la sua educazione da tutti i punti di vista.

Nel caso di Maria poi tutto ciò risulta accentuato dal fatto che Maria è madre vergine, il che significa che l’umanità di Gesù viene unicamente da lei, è un dono esclusivo della madre al figlio. E questo dono è stato fatto nella più totale e perfetta libertà e nel più ardente amore. Da quando ha pronunciato il suo Fiat, Maria è tutta e soltanto di Gesù, e Gesù, come uomo, è tutto e soltanto di Maria. Relazione mirabile!

Scrive molto bene il Melotti: «La genetica moderna ha messo in luce la profondità di azione della madre su tutto l’essere del figlio. Questo influsso ha qui un’intensità eccezionale, poiché Maria è una madre resa feconda da Dio, perfettamente santa ed equilibrata, unica « genitrice ». Non si deve temere di dire che Maria ha fornito al Verbo, oltre alla sua carne (caro Christi; caro Mariae, dice S. Agostino) e oltre ai suoi lineamenti fisici, tutto ciò che nell’essere spirituale è condizionato dalla carne: abitudini mentali, una certa qualità di immaginazione, di sensibilità, un dato carattere e temperamento. A partire di qui Maria ha assunto in pienezza il compito materno che va molto più in là della concezione-gestazione-nascita: l’educazione di suo figlio, la formazione della sua anima, come pure quella del suo corpo. Educatrice perfetta di un figlio perfettamente docile (cf. Lc 2,51), quantunque sottomesso innanzitutto al Padre trascendente, Maria lo ha fatto crescere « in statura e in sapienza »: iniziazione pratica all’obbedienza, alla sofferenza, il tutto nella luce dell’insegnamento biblico (Gesù è religiosamente istruito dall’Antico Testamento, cf. Lc 2,46-47)».

Scrive a sua volta Ortensio da Spinetoli:

 «L’umanità di Gesù, per sé integra e ideale, va assumendo i segni, le note somatiche, ma più ancora le impronte fisico-psichiche, le eredità in una parola, della madre. Anche nel suo spirito, oltre che nel suo fisico, Gesù assomiglia a Maria».
 

La coscienza di Maria

Trattando della maternità di Maria nei riguardi di Gesù non si può evitare di porsi questo problema: la Vergine Maria era sin dall’inizio cosciente della divinità del bambino da lei concepito e da lei nato? Secondo alcuni autori Maria Santissima era cosciente che quel bambino era il Messia, e anche il Figlio di Dio, intendendo però l’espressione «Figlio di Dio» nel senso di una figliolanza secondo la grazia e l’elezione, com’era nell’uso abituale dell’Antico Testamento.

Romano Guardini, ad esempio, scrive:

 «Durante la vita terrena di Gesù Maria non ha ancora riconosciuto in lui il Figlio di Dio nel senso totale della rivelazione cristiana. Prendere parte coscientemente alla vita di un tale essere sarebbe stato al di sopra delle sue forze».
 

Così la pensano anche altri autori, come Feuillet, Zedda, Galot, Schelkle.

Diversa è invece l’opinione di Laurentin, Lyonnet e altri. Il ragionamento di questi autori si basa sia su motivi esegetici, sia su motivi teologici. I motivi esegetici li abbiamo già accennati nella parte biblica, quando abbiamo visto che dalle parole dell’Angelo, dal saluto di Elisabetta e da altre circostanze Maria poteva intuire che quel bambino da lei concepito era di natura divina. E ciò tenuto conto soprattutto della ricchezza di grazia di cui Maria era ricolma, e quindi della presenza in lei dei doni dello Spirito Santo, in particolare di quelli riguardanti la conoscenza soprannaturale, come i doni della sapienza, dell’intelletto e della scienza. Maria Santissima quindi non soltanto conosceva bene la Bibbia, ma ne coglieva il senso profondo attraverso la sua illuminazione interiore.

Il motivo teologico è che una maternità che sia veramente umana esige di essere consapevole e cosciente. Se Maria non avesse saputo che il suo bambino era veramente Dio, essa sarebbe stata Madre di Dio in senso puramente biologico, non in senso pienamente umano. Per usare il linguaggio filosofico, sarebbe stata Madre di Dio materialmente, non formalmente (materialiter, non formaliter). Scrive M. D. Philippe:

 «Se si pretende che Maria nell’Annunciazione non ha creduto alla divinità del Figlio dell’Altissimo, ma soltanto al suo carattere messianico di inviato di Dio, allora bisogna affermare che Maria è soltanto materialmente Madre di Dio».
 

Si potrebbe anche aggiungere che in questo caso Dio l’avrebbe, in certo qual modo, … ingannata, facendo sì che divenisse la Madre di Dio senza saperlo, in modo incosciente. Non sembra che questo sia un modo di comportarsi conveniente a Dio, e in particolare al Dio della Rivelazione cristiana, profondamente rispettoso della dignità della persona.

Concedendo dunque che Maria all’Annunciazione comprese che quel bambino che ella era chiamata a concepire era Figlio di Dio nel senso forte della parola, ci chiediamo: quale tipo di conoscenza era quella di Maria, almeno nella fase iniziale? Possiamo rispondere con A. George:

 «Maria conosce il legame che esiste tra il Figlio suo e Dio, legame inaudito, unico, che le viene rivelato nella concezione verginale, Essa non ha, però, i concetti intellettuali che le permettano di esprimerlo con chiarezza: ignora gli ulteriori sviluppi teologici, non conosce i termini dei simboli degli Apostoli o di Nicea. Ora, è proprio qui che si trova la risposta alla domanda posta tante volte: Al momento dell’Annunciazione Maria ha creduto nella divinità di suo Figlio? Io rispondo sì senza riserva alcuna. Però essa l’ha pensata nel linguaggio che le era allora accessibile. Non le è stato impartito un corso di teologia mariana; non è questo il modo di Dio… Maria è una mistica che sa, ma non ha la teologia scientifica che le permetta di esprimere la sua esperienza».
 

Appurato questo punto, possiamo dire che Maria fu la donna unica in cui due sentimenti, in qualche modo apparentati, troveranno la loro esatta coincidenza: l’amore di una madre nei riguardi di suo figlio, e l’amore di una creatura nei riguardi del suo Dio. L’amore materno talvolta diventa adorazione. Il Laurentin riporta due belle citazioni a tale riguardo. La prima è tratta da Basilio di Seleucia († 459):

 «Quando ella contemplò quel divino infante, io immagino che, vinta dall’amore e dal timore, parlasse così tra sé: Che nome posso trovare che si convenga a te, figlio mio? Uomo? Ma la tua concezione è divina. Dio? Ma tu hai assunto l’umana incarnazione. Che farò dunque per te? Ti nutrirò di latte o ti celebrerò come un Dio? Avrò cura di te come una madre, o ti servirò come una serva? Ti abbraccerò come un figlio o ti supplicherò come un Dio? Ti offrirò del latte o ti porterò degli aromi?».
 

L’altro testo è di un autore che mai avremmo pensato che potesse scrivere in questo modo. Si tratta niente meno che di Jean Paul Sartre, il campione dell’ateismo del XX secolo, l’uomo che ha distrutto la fede in intere generazioni di giovani, l’uomo che tanto male ha fatto con i suoi romanzi.

Come mai Jean Paul Sartre ha scritto sulla Madonna? Si era in tempo di guerra, e Sartre era prigioniero. In occasione del Natale fu pregato dai suoi compagni di prigionia di descrivere una scena natalizia. Sartre, il grande romanziere ateo, mosso da un senso di solidarietà verso i suoi compagni, accetta la proposta e scrive, tra l’altro, questa pagina:

 «La Vergine è pallida e guarda il bambino. Quel che bisognerebbe dipingere sul suo volto è una meraviglia ansiosa che non è comparsa che una volta su una fisionomia umana. Perché il Cristo è suo figlio, la carne della sua carne e il frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato nove mesi e gli darà il seno, e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E sul momento la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe nelle sue braccia e gli dice: « Piccolo mio »».

«Ma in altri momenti, resta interdetta e pensa: « Dio è qui », ed è presa da un timore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Perché tutte le madri si arrestano a momenti, davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro figlio, e si sentono in esilio davanti a questa vita nuova che si è fatta con la loro vita e che è abitata da strani pensieri. Ma nessun figlio è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, perché egli è Dio e supera da ogni lato ciò che ella può immaginare…».

«Ma io penso che vi siano anche degli altri momenti, rapidi e fuggevoli, in cui lei sente al tempo stesso che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: « Questo Dio è il mio bambino. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi, e questa forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. Egli è Dio e mi assomiglia ». E nessuna donna ha avuto in tal modo il suo Dio per sé sola, un Dio piccolino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride: ed è in uno di questi momenti che io dipingerei Maria se fossi un pittore».
 

La maternità «divina»

Per esprimere il fatto che Maria Santissima è vera Madre di Dio la teologia, sembra a partire dal XVII secolo, ha coniato l’espressione «maternità divina». La maternità di Maria è una maternità divina. Si tratta di una formula astratta, che tende a far considerare la relazione in se stessa, indipendentemente dal suo soggetto, che è la persona di Maria. Ma a parte questo inconveniente, la formula si presenta assai ricca di contenuto, poiché dice qualcosa di più del semplice fatto che Maria, attraverso la sua maternità, si relaziona in modo tutto speciale, diretto e immediato, al Verbo, che è Dio. Infatti la maternità di Maria appare «divina» anche se è considerata alla luce delle tre Persone della Santissima Trinità.

a) Essa è divina se è vista nella luce del Padre. Infatti la Beata Vergine, in forza della divina maternità, ha conseguito una singolare somiglianza con il Padre. Come il Padre infatti ha generato dall’eternità il Verbo secondo la natura divina, così Maria Santissima lo ha generato nel tempo secondo la natura umana. Come il Padre lo ha generato dalla sua sostanza divina, così la Madre lo ha generato dalla sua sostanza umana. Come il Verbo è l’unico Figlio del Padre, da lui generato verginalmente, così è anche l’unico Figlio della Madre, da lei generato verginalmente. Il tutto è sintetizzato dalle bellissime parole di S. Anselmo: «Il Padre e la Vergine ebbero naturalmente uno stesso Figlio comune» (Naturaliter fuit unus idemque communis Dei Patris et Virginis Filius). Conseguentemente sia il Padre che la Madre, rivolti allo stesso Figlio, possono dirgli in piena verità: «Tu sei mio Figlio». Nessun’altro lo può fare.

b) La maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce del Figlio, anzi, lo è soprattutto e in primo luogo sotto questo aspetto. Maria è veramente Madre di Dio, quindi la sua maternità è divina nel suo termine. Qualcuno però potrebbe obiettare: l’attività materna di Maria si esercita nell’ordine corporeo, e non solo essa non genera in alcun modo la divinità, ma Gesù Cristo non riceve da essa la sua personalità divina, che è eterna e preesistente.

A ciò rispondiamo che anche le altre madri non danno ai loro figli né l’anima, che è creata da Dio, né la personalità, che è legata all’anima. Eppure vengono dette madri non del corpo dei loro figli, ma dei loro figli in quanto persone e in quanto dotate di anima e di corpo. Allo stesso modo Maria non è Madre della sola carne di Gesù, ma è Madre di questo Figlio che essa ha concepito e generato. E anche se la persona di Gesù è divina, Maria è veramente Madre di questa Persona, che sussiste nella carne. Ella non è solo Madre del corpo di suo Figlio, ma è, come ogni altra madre, Madre di suo Figlio. È Madre di Gesù, che è Dio.

c) Infine la maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce dello Spirito Santo. Gesù infatti fu concepito per opera dello Spirito Santo, il quale agì come causa efficiente nella formazione del suo corpo nel seno di Maria. Maternità divina quindi in quanto operata direttamente da Dio non solo quanto alla creazione dell’anima, ma anche quanto alla formazione del corpo.

La dignità della maternità divina

Vogliamo adesso considerare l’aspetto per così dire «morale» della maternità divina, cioè quello riguardante la dignità che compete alla Beata Vergine per il fatto di essere la Madre di Dio.

Dobbiamo dire che questa dignità è così grande che, dopo quella che compete all’umanità di Gesù, Dio non potrebbe crearne una maggiore. Perché infatti vi possa essere una madre più grande e più perfetta di Maria bisognerebbe che ci fosse un figlio più grande e più perfetto di Gesù, cosa impossibile, non potendovi essere nulla di più grande di Dio. Con la divina maternità Dio ha concesso alla creatura tutto ciò che ad essa si può concedere, dopo l’unione ipostatica.

Ciò risulta anche dal confronto fra questa e le altre dignità create. Ora, è fuori dubbio che la maternità divina supera in dignità tutte le realtà naturali (minerali, vegetali, animali, uomini e angeli considerati secondo la loro natura, prescindendo dalla grazia santificante). Il problema però si pone riguardo alle realtà della grazia. L’ordine della grazia infatti supera talmente l’ordine della natura che S. Tommaso è arrivato a dire che «il bene della grazia di un solo uomo è superiore al bene naturale di tutto l’universo» (S. Th., I-II, q. 113, a. 9, ad 2). Si impone allora il confronto fra la dignità della grazia santificante (che è il germe della gloria) e quella della maternità divina.

È chiaro che se noi consideriamo la maternità divina arricchita di tutte le grazie che la accompagnano, essa è superiore al bene della grazia e della gloria. Ma il problema si pone se consideriamo la maternità divina in astratto, cioè solo in quanto è formalmente maternità e nient’altro. Non mancano in questo caso dei teologi (Vasquez, i Salmanticesi e altri) i quali affermano che l’unione con Dio mediante la grazia e la gloria supera l’unione con Dio mediante la maternità divina. Essi si basano principalmente su due motivi. Il primo si fonda sulla risposta che Gesù diede all’anonima donna del popolo che aveva lodato sua madre «Beato il seno che ti ha portato…»): Gesù infatti risponde che è beato piuttosto «chi ascolta la parola di Dio e la custodisce» (Lc 11,28). Con questa risposta il Signore avrebbe indicato che l’unione della mente con Dio mediante la grazia supera l’unione della creatura con Dio mediante la maternità. Il secondo motivo è che la visione beatifica unisce a Dio in modo immediato, mentre la maternità divina unisce a Dio attraverso l’umanità data al Figlio.

Ciò nonostante la maggioranza dei teologi afferma comunemente che la maternità divina supera incomparabilmente l’ordine stesso della grazia e della gloria. Infatti essa appartiene all’ordine ipostatico, e perciò contiene in sé virtualmente ed esige tutti i privilegi della grazia. Quanto poi alle difficoltà sollevate, dobbiamo dire che la donna anonima del Vangelo non conosceva la maternità divina di Maria, per cui Gesù le risponde mettendosi dal suo punto di vista. Ma anche prescindendo da ciò, bisogna notare che Gesù non parla di dignità, ma di beatitudine. Ora, è chiaro che la beatitudine massima si ha nella visione di Dio, e la maternità divina non è in se stessa beatificante. All’altra difficoltà si risponde invece dicendo che l’unione con Dio data dalla maternità divina è un’unione ontologica e fisica, mentre quella della visione è un’unione intenzionale, cioè posta sul piano conoscitivo. Ora un’unione fisica, anche se mediata, è superiore a un’unione intenzionale, anche se immediata.

Possiamo quindi concludere che la divina maternità supera in dignità ed eccellenza qualsiasi altra dignità creata, compresa la grazia e la gloria.

SU MARIA – PAPA BENEDETTO, UDIENZA 2 GENNAIO 2008: DIVINA MATERNITÀ DI MARIA

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20080102_it.html 

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 2 gennaio 2008

Divina Maternità di Maria

Cari fratelli e sorelle!

Un’antichissima formula di benedizione, riportata nel Libro dei Numeri, recita: « Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,24–26). Con queste parole che la liturgia ci ha fatto riascoltare ieri, primo giorno dell’anno, vorrei formulare cordiali auguri a voi, qui presenti, e a quanti in queste feste natalizie mi hanno fatto pervenire attestati di affettuosa vicinanza spirituale.

Ieri abbiamo celebrato la solenne festa di Maria, Madre di Dio. « Madre di Dio », Theotokos, è il titolo attribuito ufficialmente a Maria nel V secolo, esattamente nel Concilio di Efeso del 431, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, nel contesto delle accese discussioni di quel periodo sulla persona di Cristo. Si sottolineava, con quel titolo, che Cristo è Dio ed è realmente nato come uomo da Maria: veniva così preservata la sua unità di vero Dio e di vero uomo. In verità, quantunque il dibattito sembrasse vertere su Maria, esso riguardava essenzialmente il Figlio. Volendo salvaguardare la piena umanità di Gesù, alcuni Padri suggerivano un termine più attenuato: invece del titolo di Theotokos, proponevano quello di Christotokos, « Madre di Cristo »; giustamente però ciò venne visto come una minaccia alla dottrina della piena unità della divinità con l’umanità di Cristo. Perciò, dopo ampia discussione, nel Concilio di Efeso del 431, come ho detto, venne solennemente confermata, da una parte, l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella persona del Figlio di Dio (cfr DS, n. 250) e, dall’altra, la legittimità dell’attribuzione alla Vergine del titolo di Theotokos, Madre di Dio (ibid., n. 251).

Dopo questo Concilio si registrò una vera esplosione di devozione mariana e furono costruite numerose chiese dedicate alla Madre di Dio. Tra queste primeggia la Basilica di Santa Maria Maggiore , qui a Roma. La dottrina concernente Maria, Madre di Dio, trovò inoltre nuova conferma nel Concilio di Calcedonia (451) in cui Cristo fu dichiarato « vero Dio e vero uomo (…) nato per noi e per la nostra salvezza da Maria, Vergine e Madre di Dio, nella sua umanità » (DS, n. 301). Com’è noto, il Concilio Vaticano II ha raccolto in un capitolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium , l’ottavo, la dottrina su Maria, ribadendone la divina maternità. Il capitolo s’intitola: « La Beata Maria Vergine, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa ».

La qualifica di Madre di Dio, così profondamente legata alle festività natalizie, è pertanto l’appellativo fondamentale con cui la Comunità dei credenti onora, potremmo dire, da sempre la Vergine Santa. Essa esprime bene la missione di Maria nella storia della salvezza. Tutti gli altri titoli attribuiti alla Madonna trovano il loro fondamento nella sua vocazione ad essere la Madre del Redentore, la creatura umana eletta da Dio per realizzare il piano della salvezza, incentrato sul grande mistero dell’incarnazione del Verbo divino. In questi giorni di festa ci siamo soffermati a contemplare nel presepe la rappresentazione della Natività. Al centro di questa scena troviamo la Vergine Madre che offre Gesù Bambino alla contemplazione di quanti si recano ad adorare il Salvatore: i pastori, la gente povera di Betlemme, i Magi venuti dall’Oriente. Più tardi, nella festa della « Presentazione del Signore », che celebreremo il 2 febbraio, saranno il vecchio Simeone e la profetessa Anna a ricevere dalle mani della Madre il piccolo Bambino e ad adorarlo. La devozione del popolo cristiano ha sempre considerato la nascita di Gesù e la divina maternità di Maria come due aspetti dello stesso mistero dell’incarnazione del Verbo divino e perciò non ha mai considerato la Natività come una cosa del passato. Noi siamo « contemporanei » dei pastori, dei magi, di Simeone e di Anna, e mentre andiamo con loro siamo pieni di gioia, perchè Dio ha voluto essere il Dio con noi ed ha una madre, che è la nostra madre.

Dal titolo di « Madre di Dio » derivano poi tutti gli altri titoli con cui la Chiesa onora la Madonna, ma questo è il fondamentale. Pensiamo al privilegio dell’ »Immacolata Concezione », all’essere cioè immune dal peccato fin dal suo concepimento: Maria fu preservata da ogni macchia di peccato perché doveva essere la Madre del Redentore. La stessa cosa vale per il titolo di « Assunta »: non poteva essere soggetta alla corruzione derivante dal peccato originale Colei che aveva generato il Salvatore. E sappiamo che tutti questi privilegi non sono concessi per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina; infatti, essendo totalmente con Dio, questa Donna è vicinissima a noi e ci aiuta come madre e come sorella. Anche il posto unico e irripetibile che Maria ha nella Comunità dei credenti deriva da questa sua fondamentale vocazione ad essere la Madre del Redentore. Proprio in quanto tale, Maria è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Giustamente, pertanto, durante il Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964 , Paolo VI attribuì solennemente a Maria il titolo di « Madre della Chiesa ».

Proprio perché Madre della Chiesa, la Vergine è anche Madre di ciascuno di noi, che siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Dalla Croce Gesù ha affidato la Madre ad ogni suo discepolo e, allo stesso tempo, ha affidato ogni suo discepolo all’amore della Madre sua. L’evangelista Giovanni conclude il breve e suggestivo racconto con le parole: « E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa » (Gv 19,27). Così è la traduzione italiana del testo greco: « εiς tά íδια », egli l’accolse nella realtà propria, nel suo proprio essere. Così che fa parte della sua vita e le due vite si compenetrano; e questo accettarla (εiς tά íδια) nella propria vita è il testamento del Signore. Dunque, al momento supremo del compimento della missione messianica, Gesù lascia a ciascuno dei suoi discepoli, come eredità preziosa, la sua stessa Madre, la Vergine Maria.

Cari fratelli e sorelle, in questi primi giorni dell’anno, siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Affidiamoci a Lei perchè guidi i nostri passi in questo nuovo periodo di tempo che il Signore ci dona da vivere, e ci aiuti ad essere autentici amici del suo Figlio e così anche coraggiosi artefici del suo Regno nel mondo, Regno della luce e della verità. Buon Anno a tutti! È questo l’augurio che desidero rivolgere a voi qui presenti e ai vostri cari in questa prima Udienza generale del 2008. Che il nuovo anno, iniziato sotto il segno della Vergine Maria, ci faccia sentire più vivamente la sua presenza materna, così che, sostenuti e confortati dalla protezione della Vergine, possiamo contemplare con occhi rinnovati il volto del suo Figlio Gesù e camminare più speditamente sulle vie del bene.

Ancora una volta, Buon Anno a tutti!

San Severio di Antiochia : Cristo cura l’umanità ferita

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091005

Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario : Lc 10,25-37
Meditazione del giorno
San Severio di Antiochia (circa 465-538), vescovo
Dicorsi, 89

Cristo cura l’umanità ferita

      Alla fine passò un Samaritano… Cristo dà apposta a se stesso il nome di Samaritano… infatti di lui era stato detto, per oltraggiarlo : «Sei un Samaritano e hai un demonio» (Gv 8,48)… Il Samaritano viaggiatore, che quindi era Cristo – perché egli veramente viaggiava – ha visto l’umanità che giaceva a terra. Non è andato oltre, poiché lo scopo che aveva dato al suo viaggio era quello di ‘visitarci’» (Lc 1,68.78) ; per noi infatti egli è disceso sulla terra e presso di noi ha abitato. Infatti non solo «è apparso sulla terra», ma «ha vissuto fra gli uomini» (Ba 3,38)…

      Sulle nostre piaghe egli ha versato il vino, il vino della Parola ; e poiché la gravità delle ferite non sopportava tutta la sua forza, vi ha aggiunto dell’olio, la sua dolcezza e il «suo amore per gli uomini» (Tt 3,4)… Poi ha portato l’uomo a una locanda. Egli dà il nome di locanda alla Chiesa, divenuta la dimora e il rifugio di tutti i popoli… Giunti alla locanda, il buon Samaritano ha mostrato nei confronti dell’uomo che aveva salvato una sollecitudine ancora più grande : Cristo in persona era nella Chiesa e concedeva ogni grazia… Al padrone della locanda, simbolo degli apostoli e dei pastori e dottori che sono succeduti loro, al momento di partire, cioè di salire in cielo, egli dona due denari, perché abbia cura del malato. Con questi due denari intendiamo i due Testamenti, l’Antico e il Nuovo : quello della Legge e dei Profeti, e quello che ci è stato dato dai vangeli e dagli scritti degli apostoli. Tutti e due sono dello stesso Dio e portano l’immagine unica dell’unico Dio del Cielo ; così come le monete d’argento portano l’immagine del re, e imprimono nei nostri cuori la stessa immagine regale mediante le parole sacre, poiché un solo e medesimo Spirito le ha pronunciate… Sono le due monete di un unico re, date da Cristo nello stesso tempo e con la stessa importanza al padrone della locanda…

      L’ultimo giorno, i pastori delle sante chiese diranno al Maestro, quando egli tornerà : «Signore, mi hai consegnato due monete, vedi che, spendendole, ne ho guadagnate altre due» con le quali ho fatto crescere il gregge. E il Signore risponderà : «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto ; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,23).

Papa Benedetto XVI: « I due saranno una carne sola »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091004

XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B : Mc 10,2-16
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Lettera enciclica « Deus caritas est », § 9-11

« I due saranno una carne sola »

Nella Bibbia, il rapporto di Dio con Israele viene illustrato mediante le metafore del fidanzamento e del matrimonio; di conseguenza, l’idolatria è adulterio e prostituzione… L’eros di Dio per l’uomo è insieme totalmente agape. Non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona… Nella Bibbia, da una parte, ci troviamo di fronte ad un’immagine strettamente metafisica di Dio: Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo principio creativo di tutte le cose — il Logos, la ragione primordiale — è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape…  La prima novità della fede biblica consiste, come abbiamo visto, nell’immagine di Dio; la seconda, con essa essenzialmente connessa, la troviamo nell’immagine dell’uomo.

Il racconto biblico della creazione parla della solitudine del primo uomo, Adamo, al quale Dio vuole affiancare un aiuto… l’idea che l’uomo sia in qualche modo incompleto, costituzionalmente in cammino per trovare nell’altro la parte integrante per la sua interezza, l’idea cioè che egli solo nella comunione con l’altro sesso possa diventare « completo », è senz’altro presente. E così il racconto biblico si conclude con una profezia su Adamo: « Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24).

Due sono qui gli aspetti importanti: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo; Adamo è in ricerca e « abbandona suo padre e sua madre » per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano « una sola carne ». Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano.

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