IL MARTIRIO DI STEFANO, ICONA, ILLUSTRAZIONE (E MEDITAZIONE)
IL MARTIRIO DI STEFANO
Tempera su tavola, 50×40
di Donatella Capograssi
Allieva della Glikophilousa
Il nostro itinerario contemplativo sulle orme luminose dell’apostolo Paolo ha inizio con la raffigurazione del martirio di Stefano, che compie efficacemente la parola di Gesù: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
Stefano, il seme. Paolo, il frutto. «Uomo pieno di fede e di Spirito Santo» (At 6,5), il giovane diacono cade, marcisce e muore mentre, tra i persecutori, l’irreprensibile fariseo di Tarso presto sarà il germoglio nuovo della sua indefettibile testimonianza.
L’icona annuncia questa fecondità maturata nel sangue del martirio senza trascurare la rappresentazione dell’intolleranza sprezzante che deraglia nel linciaggio di un innocente, come ammetterà lo stesso Paolo riferendo di sua una sua visione al tempio di Gerusalemme: «Signore, …facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano» (At 22,19-20).
Nell’icona, lo sfondo architettonico rimanda alla città di Gerusalemme. Gli edifici si stagliano nel grigiore di un’ostentata freddezza. Le forme scarne e i colori ferrigni sottolineano il bieco livore degli oppositori che si scagliano contro Stefano, ma soprattutto il raggelante rifiuto di riconoscere in Gesù il Messia.
È insomma il disseccarsi del cuore che, nel torbido offuscarsi della ragione, si abbandona ad un’inaudita violenza, come notifica il testo biblico: «erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano» (At 7,54).
In primo piano, Stefano e, sulla sinistra, Saulo: il martire e il persecutore. Il primo, ardente seguace della Via (cfr. At 9,2), raffigurato nell’elevatezza spirituale dell’ardimento, fissa lo sguardo sulla gloria di Dio. È ritto in piedi e celebra solennemente la vittoria di Cristo sul male e sulla morte: il suo martirio è infatti «la manifestazione della forza della risurrezione, perché nei martiri Cristo soffre e vince la morte» (W. Rordorf). Già davanti alla divina maestà, è vestito di bianco, essendo tra «quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Ap 7,14).
Tra le mani regge il turibolo e il rotolo della Parola. Con la sinistra, il turibolo, quasi oscillandolo nell’atto di spargere la fragranza dell’incenso per indicare il soave profumo della sua offerta.
«Vi esorto, per la misericordia di Dio, – scriverà più tardi l’apostolo Paolo – a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1), in ciò forse esaltando anche il giovane martire. Di certo, ben consapevole che «l’offerta del giusto arricchisce l’altare, il suo profumo sale davanti all’Altissimo. Il sacrificio dell’uomo giusto è gradito, il suo ricordo non sarà dimenticato» (Sir 35,8-9).
Con la destra, Stefano stringe il rotolo della Scrittura: egli ha servito il Cristo nella diakonía istituita per il servizio quotidiano delle mense, ma ha anche predicato efficacemente spezzando con sapienza il pane della Parola. Ed ora con fierezza, nell’acme del martirio, rinnova la sua fede sostenuta dalla promessa di Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Sulla candida tunica dell’integrità provata, egli indossa un manto rosso riccamente adornato, che rinvia alla magnificenza dei paramenti sacerdotali e ci sottrae alla vicenda cruenta della lapidazione per trasferirci sul piano di una liturgia in atto: con la sua passione e morte, egli partecipa al sacrificio di Cristo nell’alleanza nuova della Chiesa nascente ed eleva in pienezza il suo battesimo.
Fagocitato nel suo zelo arrogante, Saulo invece, a sinistra, regge il mantello dei complici ed assiste, approvandolo, all’annientamento del giusto. Il suo sguardo fissa il martire, ma i suoi occhi sono accecati dall’odio: non scorge il chiarore luminoso del santo sedotto da Cristo, imbavagliato com’è nella sua presunta verità, miseramente scaduta in violenza ideologica e integralista. Il rigore morale del suo afflato religioso si è ormai inabissato nel magma della più fredda e spietata intransigenza. A nulla è valso il principio del suo maestro, il saggio Gamaliele: «Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (At 5,38-39).
Scrive san Fulgenzio di Ruspe: «Sostenuto dalla forza della carità, Stefano vinse Saulo che infieriva crudelmente, e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore. Ed ecco che ora Paolo è felice con Stefano, con Stefano gode della gloria di Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna. Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiera di Stefano».
suor Renata Bozzetto
suor Rossana Leone

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