Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro, un commento a tutta la lettera agli Efesini
dal sito:
http://www.madonnadiporto.it/dati/schedaBiblicaLetteraEfesini.htm
Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro – Squillace
Ufficio Apostolato Biblico
Lettera agli Efesini
INTRODUZIONE
1. L’enigma dell’Autore
Molto cara a Giovanni Crisostomo (V secolo), a s. Gerolamo (V secolo), a s. Tommaso d’Aquino (XIII secolo) ed a Calvino (XVI secolo), la Tradizione cristiana l’ha sempre attribuita a Paolo, ritenendola scritta durante la sua prigionia a Roma.
A partire dal 1792, un vivace dibattito si è acceso circa la paternità paolina della Lettera agli Efesini: da un lato i Protestanti, che non ammettevano l’origine paolina della lettera, perché il vocabolario presente in questo scritto è diverso da quello presente nelle altre lettere; dall’altro lato, i Cattolici che continuavano ad attribuire a Paolo la Lettera agli Efesini, preoccupati non solo di difendere l’apostolicità della lettera, ma anche il suo carattere di testo ispirato.
Ora il dibattito continua, non tanto tra protestanti e cattolici, ma tra posizioni diverse fra gli stessi cattolici.
2. L’enigma dei destinatari
E’ proprio vero che fu indirizzata agli Efesini? L’espressione “in Efeso” (1,1) manca nel Papiro 46 (il documento più antico degli scritti paolini di origine egiziana – 200), come anche nel Codice Vaticano ed in quello Sinaitico. Origene (III secolo) non riconosce come destinatari della lettera gli Efesini e Marcione, un eretico dei primi secoli dell’era cristiana, afferma che si tratta della lettera, inviata ai Laodicesi (cfr Col 4,16).
Al di là di queste osservazioni, si avverte nella lettera stessa un certo distacco tra Paolo ed i destinatari, Efesini (cfr Ef 1,15). Paolo non ha avuto una conoscenza diretta degli Efesini, dal momento che ad Efeso è rimasto due anni? E in 3,2-3?… Per questi motivi, alcuni suppongono che questa lettera sia stata originariamente una meditazione sapienziale inviata, come lettera circolare, alle varie comunità dell’Asia Minore, aggiungendovi, al momento della spedizione, il nome della comunità, alla quale veniva inviata.
3. I principali TEMI presenti nella Lettera agli Efesini.
- La giustificazione (la salvezza) è connessa con le opere buone. Contrariamente agli altri scritti di Paolo (Galati – Romani), qui l’accento non è più posto solo sulla fede, ma anche sulle opere buone. Resta chiaro che l’origine gratuita della salvezza si trova unicamente in Dio. Le nostre opere buone (osservanza dei comandamenti…) sono la maniera giusta del nostro aprirci all’accoglienza del dono salvifico di Dio; sono la nostra partecipazione concreta e riconoscente all’azione salvifica di Dio.
- La Cristologia è diversa da quella delle altre lettere: Cristo, secondo la Efesini, non è presente soltanto nella Chiesa, facendola diventare suo Corpo; è presente in maniera efficace, totale nell’intero cosmo. E’ presente come “pleroma”, cioè come pienezza; la pienezza della vita e della energia divina, che pervade tutte le cose. Ci troviamo di fronte ad una Cristologia di tipo cosmico.
- L’escatologia si presenta già come realizzata: cioè la salvezza non è solo futura, ma, come insegna anche Giovanni, nel IV Vangelo, è già presente in noi, ora.
- L’ecclesiologia: la Chiesa è il Corpo di Cristo; corpo visibile, storico del quale Cristo si serve per parlare e per agire; corpo del quale Cristo è il Capo; specificazione quest’ultima non presente in 1Cor 12.
4. La strutture della lettera
a. L’indirizzo (1,1-2), che riproduce lo schema tipico della tradizione epistolare orientale, specialmente quella del mondo greco. Sono presenti: il mittente, i destinatari, il saluto cristiano.
– Il Mittente unico è Paolo, che si autopresenta come “apostolo” inviato da Cristo, “per volontà di Dio”, per un progetto specifico di Dio. Se la Chiesa esiste per un piano di Dio e di essa il gruppo originario sono gli Apostoli; ebbene, dice Paolo, a questo gruppo sono associato anch’io, e di questo piano faccio parte anch’io.
– I Destinatari, nello scritto come a noi è giunto, sono i cristiani di Efeso, chiamati “santi” (almeno 14 volte), perché membri del popolo santo di Dio, perché consacrati a Dio, per mezzo di Cristo, nel Battesimo.
– Il saluto cristiano: ricorrono i termini charis (grazia – amore gratuito di Dio) e shalom (pace); questo secondo termine introduce un tema importante nella Efesini, ossia la salvezza, come pacificazione universale, che trova i suoi protagonisti in Dio Padre ed in Gesù Cristo.
b. Il corpo della lettera. Costituita da 6 capitoli, rivela un progetto con due parti ben distinte da una linea di frontiera (3,20-21): infatti, giunto a questo punto, l’Autore abbandona la prosa, e, in uno slancio lirico, si orienta verso un canto, una dossologia che è resa come la conclusione della prima parte del suo discorso.
Subito dopo inizia il quarto capitolo con “vi esorto”. Siamo di fronte ad uno scritto formato da due parti: la prima parte di tipo teologico, una grandiosa riflessione sul mistero della Chiesa; la seconda parte di tipo esortativo, morale, che mette in evidenza l’impegno del cristiano, all’interno della Chiesa.
c. Saluto e benedizione finali (6,21-24). Secondo il modello tradizionale, alla fine venivano offerte le notizie personali del mittente. Qui mancano, perché sarà Tichico a portarle (6,21). Questo Tichico in At 20,4 risulta un delegato delle chiese dell’Asia Minore, che facevano capo ad Efeso. Insieme, poi, ad altri cristiani, ha accompagnato Paolo a Gerusalemme, alla fine del terzo viaggio missionario, recandovi la colletta. E’ menzionato anche in Col 4,7 e nelle lettere pastorali (2Tm 4,12; Tt 3,12). Emerge l’aspetto comunionale della Chiesa.
LA CHIESA SECONDO LA LETTERA AGLI EFESINI
Nella prima parte della lettera, quella teologica, che abbraccia i primi tre capitoli, l’Apostolo presenta il mistero della Chiesa, che noi vedremo in tre aspetti:
A. L’ASPETTO TEOLOGICO DELLA CHIESA
E’ presente soprattutto nell’inno che celebra il piano divino della salvezza (1,3-14). La Chiesa affonda le sue radici nell’infinito silenzio del pensiero di Dio, in uno sconfinato oceano di luce e di amore. Concepita prima della creazione del mondo essa fa parte di un indecifrabile ed immenso progetto di Dio, come una piccola area che si inserisce in un orizzonte più ampio e sconfinato.
Qual è questo immenso piano, all’interno del quale si colloca anche la Chiesa? E’ il disegno di riempire i tempi della storia, che scandiscono l’esistenza dell’umanità, della sua presenza efficace ed operativa (il plèroma); è il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra (v. 10). I libri di una volta erano rotoli; ed il rotolo aveva un’asta, detta in latino “capitulum”, attorno alla quale si avvolgeva e svolgeva tutto lo scritto. Paolo partendo da questa immagine ci dice che tutta la storia, tutte le parole ed i fatti dispersi nello spazio e nel tempo trovano la loro coesione ed unità in Cristo, “asse”, capitulum, che avvolge attorno a sé gli uomini, gli avvenimenti e le cose. All’interno di questo orizzonte cosmico, l’orizzonte più piccolo della Chiesa quale finalità ha?
– Quella di farci diventare, in Cristo, figli adottivi di Dio (v. 5). L’accenno all’adozione non è per sminuire questa realtà, quasi per dirci che siamo figli di serie B; ma è per metterla in relazione con la figliolanza di Gesù, modello e fonte di quella di tutti gli altri figli di Dio. Nella stessa famiglia, che è la Chiesa, come figli siamo tutti amati da Dio con la stessa intensità, con cui Egli ama Gesù.
– La finalità della Chiesa è anche quella di farci conseguire nel Figlio diletto, la redenzione, mediante il suo sangue, la remissione dei peccati (vv. 7 e 14). Il termine usato da Paolo, per dire “redenzione”, è lo stesso termine che i LXX usano per dire la liberazione dell’Egitto, “apolytrosis”; liberazione che era vista non soltanto come un atto socio – politico, ma come un atto di parentela, che scaturiva dall’obbligo del parente prossimo dello schiavo (padre, o fratello maggiore) di liberare il proprio famigliare dalla schiavitù. Era l’obbligo del cosiddetto go’el. Il parente prossimo, per liberare il proprio congiunto, doveva consumarsi, disfarsi di fatiche e di lavoro, pur di ricuperare la somma richiesta, altrimenti non era più degno di chiamarsi padre o fratello. Questa l’idea che Paolo ha della redenzione: Cristo, nostro fratello maggiore, per liberarci dal peccato, si è disfatto nella sua passione e croce.
Pietro nella sua prima lettera, così commenta questo evento: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttive, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia” (1Pt 1,18-19). Questa liberazione conosce due tempi: ora Dio ci libera dal peccato, che è una grossa schiavitù; alla fine ci libererà anche dalla schiavitù più umiliante, che è la morte.
– Una terza finalità della Chiesa è quella di farci diventare eredi: “in lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi” (v. 11). “In lui anche voi, dopo aver accolto il Vangelo, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo, il quale è caparra della nostra eredità” (v. 14).
Il termine eredità, ricorrente nei due versetti, ha due significati diversi: il primo significato è quello derivante dal termine “klèronomia” (che ha dato origine alla parola clero). Noi battezzati tutti (non soltanto i sacerdoti) siamo l’eredità di Dio, cioè la proprietà più preziosa di Dio. Nell’Antico Testamento si usava anche l’immagine, derivante dal termine segullah (quella piccola parte del gregge che un garzone aveva come propria, all’interno del gregge più grande, che era del suo padrone). L’attenzione del pastore – garzone era per tutto il gregge, ma l’amore era per quelle quattro o cinque pecorelle che gli appartenevano come piccola proprietà. Nell’A. T. Israele all’interno di tutti i popoli era definito come segullah , termine tradotto da Gerolamo con “peculium” proprietà peculiare di Dio (pecus è l’armento).
In mezzo a tutti i popoli, noi – chiesa siamo l’eredità, il possesso più prezioso di Dio.
Il secondo significato di eredità è quello che emerge dal verso 14, cioè un bene che erediteremo da Dio, in futuro, del quale lo Spirito Santo è caparra.
Concludo questa prima dimensione della Chiesa, quella teologica, riassumendo la finalità, che essa ha all’interno del progetto cosmico di Dio, con tre espressioni:
– farci diventare figli adottivi;
– farci diventare redenti, liberi;
– farci diventare eredi.
Dopo la contemplazione di questo meraviglioso mistero, in 3,20-21 Paolo esplode in un canto di lode; è il canto corale della Chiesa.
B. L’ASPETTO CRISTOLOGICO DELLA CHIESA
La Chiesa appartiene al grande progetto del Padre; ma ha la sua realizzazione in Cristo.
Esiste un rapporto particolarmente forte tra Cristo e la Chiesa, così da formare quasi un tutt’uno:
1. Anzitutto un rapporto “somatico” (soma = corpo). Ef 1,22-23: come nella 1Cor 12, la Chiesa è il Corpo di Cristo, quindi una parte rilevante del suo esistere e del suo manifestarsi. Come l’uomo si manifesta attraverso il corpo, così Cristo, divenuto glorioso, invisibile, si manifesta attraverso e all’interno della Chiesa. La Chiesa è il Corpo con il quale Cristo parla, agisce, si comunica, salva, prega, piange, riceve colpi di ogni genere, compreso il martirio.
Ne deriva per noi credenti una gravissima responsabilità: guai essere un corpo spezzato o deforme.
Questo tema viene più volte ripreso: 2,16; 4,4; 5,23.30; e soprattutto in Ef 4,15-16, dove emerge l’idea di una Chiesa, Corpo ben compaginato, le cui membra sono armonicamente unite le une alle altre.
2. Paolo aggiunge qui qualcosa di nuovo rispetto a ciò che insegna nella 1Cor 12: afferma che Cristo, all’interno della Chiesa, suo Corpo, è presente come pleroma, cioè come una energia vitale, vivificante e salvante che permea e riempie tutta la Chiesa al punto tale da diventare Egli stesso plerùmenos. E’ un concetto dinamico: Cristo, avendo in sé tutta la pienezza della vita divina, la porta dentro la Chiesa, senza nulla sottrarre alla creaturalità ed identità di ogni cosa. Nella Efesini il concetto di plèroma è ripetuto sovente: 3,19; 4,10; 5,18.
3. Un ultimo elemento caratterizzante la Chiesa, in quanto Corpo di Cristo, è la kephalè (la testa). Cristo è presente nella sua Chiesa non semplicemente aggregandola a sé come suo Corpo, ma come Capo, cioè come principio vitale, unificante, costitutivo di tutto il pensare e l’agire della Chiesa (è il concetto greco della kephalè per rapporto all’uomo).
C. L’ASPETTO ECUMENICO DELLA CHIESA
La Chiesa, in quanto aperta a tutti gli uomini e a tutte le realtà culturali e religiose, ha una dimensione universale. Il testo Ef 2,14-18 sottolinea due aspetti:
1. Cristo entra in scena ed abbatte un muro, la barriera che divideva gli Ebrei dai pagani. Qui il riferimento assume una concretezza particolare che si capisce guardando la planimetria del Tempio, formata da più cortili: il cortile dei sacerdoti, quello degli uomini, quello delle donne ed infine il cortile dei Gentili, separati da muri bassi. In particolare sul muro che separava gli Ebrei dai Gentili c’erano delle targhe marmoree con scritto un avvertimento minaccioso: la pena di morte per i pagani che varcavano la soglia delle zone riservate agli Ebrei.
Paolo dice: Cristo è venuto per abbattere il muro di separazione ed invitare i due popoli Ebrei e Gentili ad incontrarsi nel dialogo e nel rispetto vicendevole.
2. Il secondo aspetto è offerto dal verbo apokatallàsso (riconciliare); il verbo, che nel mondo greco era usato per dire il tentativo che il giudice faceva per riconciliare due sposi che stavano per separarsi.
Tentativo che ancora oggi il giudice normalmente fa prima di pronunciare una sentenza di divorzio.
Apokatallàsso è anche il verbo dell’annuncio del missionario che invita tutti a lasciarsi riconciliare con Dio, sottolineando che questa è soprattutto un’azione di Dio.
Il tema continua e s’allarga verso quell’orizzonte che preme alla Lettera agli Efesini.
In 2,5-6 c’è sempre la convinzione che i pagani devono entrare nella Chiesa. Israele deve sapere che l’essere diventato Popolo di Dio non è un privilegio, ma un impegno e un segno: l’impegno di annunciare la salvezza agli altri popoli; il segno che anche gli altri gruppi etnici possono diventare Popolo di Dio.
In 2,11-13.19, l’Apostolo afferma che anche i pagani, i lontani sono diventati vicini, grazie al Sangue di Cristo, così da sentirsi non più stranieri ed ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio. Ci sono due termini negativi: xènoi (stranieri) e pàroikoi ed un termine positivo sunpolìtai (concittadini).

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