Archive pour mai, 2009

Omelia per la VI domenica di Pasqua b

vi propongo l’omelia del Vescovo Antonio Riboldi, dal sito:

http://www.vescovoriboldi.it/Omelie/2006/mag/210506.htm

Omelia del giorno 21 Maggio 2006

VI Domenica di Pasqua (Anno B)

di DON ANTONIO RIBOLDI

Voi siete miei amici
 

Ci sono pagine del Vangelo in cui Gesù svela quel meraviglioso e a volte misterioso santuario che è il nostro cuore. E’ lì che l’uomo, tutti noi, davvero narriamo ogni giorno le nostre gioie e le nostre speranze, le nostre angosce e le nostre sofferenze. E’ lì che domina su tutto, come “impronta del Padre che ci ha creati a Sua immagine e somiglianza”, la nostra vera natura, ossia un amore ricevuto e donato.

Direbbe Paolo, l’apostolo, nella sua lettera ai Corinzi: tutto passa, ma la carità resta per l’eternità. L’amore, possiamo dirlo con franchezza, non solo è il “sigillo” di Dio, ma dovrebbe essere il “sigillo di ogni uomo”.

Chi di noi infatti non sente il bisogno, come l’aria dell’anima, di amare ed essere amato?

Purtroppo l’egoismo è capace a volte di mettere al posto della amicizia, di questo immenso bisogno di amore, le cose che non hanno anima, e quindi sono mute…come l’ambizione, il danaro, il piacere.

Ero stato invitato un giorno a cena da una famiglia. Aveva una bella villa circondata da un meraviglioso parco, il tutto protetto da un muro di cinta con tanto di telecamere per la sicurezza. Un uomo che, diremmo oggi, aveva tutto…ma nella nostra meraviglia per tutto questo, l’amico che mi aveva invitato, improvvisamente ebbe come un sussulto d’anima e con infinita amarezza, che non riusciva a trattenere, disse: “E’ vero, oggi ho tutto quello che un uomo può desiderare: casa, danaro famiglia. Ho sudato una vita per costruire tutto questo, sacrificando amicizie, a volte persino ho come sfrattato Dio, pensando che non c’era posto per Lui nella mia corsa a questo benessere. Ora mi sento come uno cui manca tutto. Uno che passa le notti fissando le telecamere per la paura che qualcuno venga a distruggere con la rapina questo stupido, inutile paradiso. E quello che più mi manca è l’amicizia”.

Aveva ragione. Se c’era un meraviglioso tesoro quando le nostre famiglie erano “povere” di cose, ma ricche di figli e di fede, era il tanto, ma tanto posto, per la fede, l’accoglienza, la gioia. Si viveva in una comunità, dove tutti ci si conosceva e si era amici, pronti gli uni gli altri a farsi in quattro perché a nessuno mancasse almeno la certezza che non era solo nella gioia e nel dolore.

La Parola di Dio oggi, sia nella lettera di Giovanni sia nel discorso di Gesù nell’ultima cena, è una solenne dichiarazione di amore che non è fondata sulla sabbia, come sono tante nostre affermazioni, ma sulla roccia del Cuore di Dio.

Possiamo facilmente immaginare il clima dell’Ultima Cena di Gesù con i suoi, prima di avviarsi verso la dimostrazione di cosa voglia dire “essere amico”, ossia dare la propria vita per renderci felici: e Gesù era atteso di lì a poco a iniziare il durissimo cammino verso il Calvario e quindi la crocifissione. Certamente davanti al suo Cuore, angosciato (lo dirà nella agonia del Getsemani) sfilavano le cattiverie, fino al disumano, di cui siamo capaci quando in noi viene meno l’amore. Ogni parola in quella Cena pesa come un testamento prezioso, affidato ad ognuno di noi: un testamento in cui si scriveva ciò che siamo chiamati ad essere e tante volte non siamo.

Così parla Gesù agli apostoli ieri, e oggi a noi. “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. VOI SIETE MIEI AMICI, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone: ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga: perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,9-17).

Mentre scrivo queste parole, mi sento come uno dei discepoli seduti a tavola nel cenacolo con Gesù, maestro di amore, dono di amore, fonte di amicizia. Sento con voi la povertà dell’uomo che “ha sete del Dio vivente” ossia dell’amore, e lo cerca con passione.

Le parole “amatevi come il Padre vi ama”. Come posso misurare l’immensità dell’amore del Padre? Ci credo almeno che Lui mi vuole un bene che nulla e nessuno può dare…nemmeno una briciola?

E parla non di un amore che conosce la fragilità nostra, ma di un amore che contiene tutto il bene possibile per noi: un amore che va oltre i confini di questa vita: un amore che non si spaventa se a volte deve condividere “la passione di Gesù” nel dare la vita.

“Mi sento talmente nel Cuore di Dio – mi confidava un giorno un mio caro amico missionario, la cui vita era uno specchio di cosa voglia dire “rimanere nell’amore di Dio” – che non ho alcuna paura. A volte contemplando questo amore mi sento sollevare da terra. E’ bello, troppo bello, avere per amico Gesù”. E quel carissimo amico, mandato in missione, , si diede totalmente alla difesa dei poveri che venne, dopo pochi mesi, ucciso ed ora gode dell’amicizia fissando il volto di Dio.

Sempre immaginando di essere a tavola con Gesù, e questo avviene nella Eucarestia, le nostre parole sembrano fastidioso rumore, nel sentire Gesù ripetermi: “Voi siete miei amici…se fate ciò che vi comando…” Ed ancora, come a sottolineare le parole: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi”.

Non so cosa dicano a voi, carissimi, queste parole che oggi, dico oggi, rivolge a noi Gesù: “Vi chiamo amici…siete miei amici”.

So quello che vuol dire la vera amicizia, anche sul piano umano: vuol dire condividere tutto con l’amico, gioie e dolori; vuol dire non essere soli, ma contare sull’amore di chi sarà sempre vicino fino all’eternità.

Sappiamo tutti che l’amicizia di Gesù è camminare con Lui, fino a salire sulla croce sua, ossia conoscere la prova dell’amore capace di offrire la vita.

A volte forse si vorrebbe che l’amore di Dio ci risparmi quelle prove che sono “la valle oscura” che tutti a volte siamo chiamati ad attraversare. Quei momenti in cui sembra che Dio ti abbia voltato le spalle e non si interessi più di te. Quanta gente, davanti alla sofferenza, si è ribellata a Dio, rinunciando al suo amore…senza sapere che quella sofferenza fa parte di un piano di salvezza, duro se vogliamo, ma in cui Lui si fa nostro Cireneo, o prende il posto di Maria sotto la croce, la nostra croce.

Ho conosciuto, sul piano umano, persone che hanno voluto bene a qualche persona: il marito, la moglie, un figlio, un amico, da non fuggire nella loro sofferenza, ma condividendola fino in fondo. Oltre la stessa morte. Una fedeltà che è la natura della amicizia, come quella di Dio per noi.

Giovanni l’Evangelista, quella sera era vicino a Gesù a tavola e fu lui che poggiò il suo capo sul petto di Gesù per sapere chi lo avrebbe tradito. E’ lo stesso discepolo che visse l’amicizia fin sotto la croce. Lui, educato alla amicizia alla scuola del Maestro, così scrive nella sua prima lettera: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’Amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio unigenito come espiazione per i nostri peccati” (1 Giov. 4,7-10).

Carissimi, che mi seguite da tempo nella riflessione, e vi considero tutti legati a me dal dolce vincolo dell’amicizia, questa sera voglio dirvi come Gesù: “Voi siete miei amici perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”. Mi resta l’augurio fatto da Gesù ai suoi: “Rimanete nella nostra amicizia”. Fa davvero bene.

Prego con Madre Teresa di Calcutta, grande esperta di questo amore:

Signore, insegnami a non parlare come un metallo squillante o come uno strumento che suona a vuoto, ma con amore. Dammi la fede che muove le montagne, ma con amore. L’amore che è paziente e sempre premuroso, mai presuntuoso o permaloso. L’amore che gode nella verità, che sempre perdona, ama, perdona, sopporta.

Fa’ che alla fine dei giorni, quando tutto apparirà chiaro, io possa essere stata un umile riflesso del tuo amore”. 

Antonio Riboldi – Vescovo –

DOMENICA 17 MAGGIO 2009 – VI DI PASQUA

DOMENICA 17 MAGGIO 2009 - VI DI PASQUA dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥ 15%20LA%20VIGNE%20MAITRE%20AUTEL%20CATHEDRALE%20DE%20TREVES

Joh-15,01_Am the vine_Suis le cep – La vigne maître autel Cathedrale de Treves

http://www.artbible.net/3JC/-Joh-15,01_Am%20the%20vine_Suis%20le%20cep/index.html

DOMENICA 17 MAGGIO 2009 – VI DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO, LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqB/PasqB6Page.htm

PRIMI VESPRI

Lettura Breve   Rm 5, 10-11
Se quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Cirillo di Alessandria, vescovo     (Cap. 5, 5 – 6; PG 74, 942-943)

Dio ci ha riconciliati per mezzo di Cristo
e ci ha affidato il ministero della riconciliazione
Chi ha il pegno dello Spirito e possiede la speranza della risurrezione, tiene come già presente ciò che aspetta e quindi può dire con ragione di non conoscere alcuno secondo la carne, di sentirsi, cioè, fin d`ora partecipe della condizione del Cristo glorioso. Ciò vale per tutti noi che siamo spirituali ed estranei alla corruzione della carne. Infatti, brillando a noi l’Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica. Quando regnava il peccato eravamo tutti vincolati dalle catene della morte. Ora che è subentrata al peccato la giustizia di Cristo, ci siamo liberati dall’antico stato di decadenza.
Quando diciamo che nessuno è più nella carne intendiamo riferirci a quella condizione connaturale alla creatura umana che comprende, fra l’altro, la particolare caducità propria dei corpi. Vi fa cenno san Paolo quando dice: «Infatti anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2 Cor 5, 16). In altre parole: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), e per la vita di noi tutti accettò la morte del corpo. La nostra fede prima ce lo fa conoscere morto, poi però non più morto, ma vivo; vivo con il corpo risuscitato al terzo giorno; vivo presso il Padre ormai in una condizione superiore a quella connaturale ai corpi che vivono sulla terra. Morto infatti una volta sola non muore più, la morte non ha più alcun potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio (cfr. Rm 6, 8-9).
Pertanto se si trova in questo stato colui che si fece per noi antesignano di vita, è assolutamente necessario che anche noi, calcando le sue orme, ci riteniamo vivi della sua stessa vita, superiore alla vita naturale della persona umana. Perciò molto giustamente san Paolo scrive: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le vecchie cose sono passate, ecco ne sono nate di nuove!» (2 Cor 5, 17). Fummo infatti giustificati in Cristo per mezzo della fede, e la forza della maledizione è venuta meno. Poiché egli è risuscitato per noi, dopo essersi messo sotto i piedi la potenza della morte, noi conosciamo il vero Dio nella sua stessa natura, e a lui rendiamo culto in spirito e verità, con la mediazione del Figlio, il quale dona al mondo, da parte del Padre, le benedizioni celesti.
Perciò molto a proposito san Paolo scrive: «Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (2 Cor 5, 18). In realtà il mistero dell’incarnazione e il conseguente rinnovamento non avvengono al di fuori della volontà del Padre. Senza dubbio per mezzo di Cristo abbiamo acquistato l’accesso al Padre, dal momento che nessuno viene al Padre, come egli stesso dice, se non per mezzo di lui. Perciò «tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5, 18).

Responsorio   Cfr. Rm 5, 11; Col 1, 19-20
R. Ci gloriamo in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo: * da lui abbiamo ottenuto la riconciliazione, alleluia.
V. Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose.
R. Da lui abbiamo ottenuto la riconciliazione, alleluia.

SECONDI VESPRI

Lettura Breve   Rm 6, 5-7
Se siamo stati completamente uniti a Cristo con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato

ho trovato questa bellissima immagine della menorah, spero che dal sito non me la tolgano

ho trovato questa bellissima immagine della menorah, spero che dal sito non me la tolgano dans EBRAISMO menorahcandle

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Publié dans:EBRAISMO, immagini varie |on 15 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino: « Non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090516

Sabato della V settimana di Pasqua : Jn 15,18-21
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 334, Nel natale dei martiri, §1

« Non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo »

« Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi ? » (Rm 8,31). È la sfida di tutti i buoni fedeli cristiani, ma soprattutto dei martiri gloriosi. Fremeva contro di loro il mondo, cospiravano invano i popoli, i principi congiuravano insieme (Sal 2,1); si escogitavano nuovi mezzi di tortura, e dalla fertile inventiva della crudeltà sortivano effetti di pene indicibili. I martiri di Cristo venivano coperti di insulti, incolpati di falsi crimini, rinchiusi in carceri intollerabili, scavati da uncini, uccisi di spada, dati in pasto alle belve, bruciati tra le fiamme e, intanto, dicevano: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? »

Il mondo intero è contro di voi, e voi dite: « Chi sarà contro di noi? » Ti rispondono: « E chi è il mondo intero, dal momento che noi moriamo per colui che ha creato il mondo? » Dicano, dicano pure, ascoltiamo, diciamo insieme: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » Possono infierire, possono maledire, possono calunniare, possono propagare false accuse infamanti, da ultimo, possono non solo far perire il corpo, ma pure lacerarlo; e con questo? « Ecco, Dio è infatti il mio aiuto e il Signore accoglie il mio spirito » (Sal 53,6)… A che mi nuoce il fatto che il mondo faccia perire il mio corpo, dal momento che il Signore accoglie il mio spirito?… Sarà anch’egli a restituire il mio corpo… « I vostri capelli sono tutti contati » (Lc 12,7)… Perciò, diciamo, diciamo con fede, diciamo nella speranza, diciamo nella carità più accesa: « Se Dio è per noi, chi è contro di noi? »

SABATO 16 MAGGIO 2009 – V DI PASQUA

SABATO 16 MAGGIO 2009 – V DI PASQUA

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 22, Mistagogica 4, 1. 3-6. 9; PG 33, 1098-1106)

Il pane del cielo e la bevanda di salvezza
«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. E preso il calice rese grazie, e disse: Prendete e bevete; questo è il mio sangue» (1 Cor 11,23). Poiché egli ha proclamato e detto del pane: «Questo è il mio corpo», chi oserà ancora dubitare? E poiché egli ha affermato e detto: «Questo è il mio sangue» chi mai dubiterà, affermando che non è il suo sangue?
Perciò riceviamoli con tutta certezza come corpo e sangue di Cristo. Nel segno del pane ti vien dato il corpo e nel segno del vino ti vien dato il sangue, perché, ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, tu diventi concorporeo e consanguineo di Cristo. Avendo ricevuto in noi il suo corpo e il suo sangue, ci trasformiamo in portatori di Cristo, anzi, secondo san Pietro, diventiamo consorti della natura divina.
Un giorno Cristo, disputando con i Giudei, disse: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita (cfr. Gv 6, 53). E poiché quelli non capirono nel giusto senso spirituale le cose dette, se ne andarono via urtati, pensando che li esortasse a mangiare le carni.
C’erano anche nell’antica alleanza i pani dell’offerta, ma poiché appartenevano all’Antico Testamento, ebbero termine. Nel Nuovo Testamento c’è un pane celeste e una bevanda di salvezza, che santificano l’anima e il corpo. Come infatti il pane fa bene al corpo, così anche il Verbo giova immensamente all’anima.
Perciò non guardare al pane e al vino eucaristici come se fossero semplici e comuni elementi. Sono il corpo e il sangue di Cristo, secondo l’affermazione del Signore. Anche se i sensi ti fanno dubitare, la fede deve renderti certo e sicuro.
Bene istruito su queste cose e animato da saldissima fede, credi che quanto sembra pane, pane non è, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo. Credi che quanto sembra vino, vino non è, anche se così si presenta al palato, ma sangue di Cristo. Di queste divine realtà già in antico David diceva nei Salmi: «Il pane che sostiene il suo vigore e l’olio che fa brillare il suo volto» (Sal 103, 15). Ebbene sostieni la tua anima, prendendo quel pane come pane spirituale, e fa’ brillare il volto della tua anima.
Voglia il cielo che con la faccia illuminata da una coscienza pura, contempli la gloria del Signore, come in uno specchio, e proceda di gloria in gloria, in Cristo Gesù, Signore nostro. A lui onore, potestà e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

VENERDÌ 15 MAGGIO 2009 – V DI PASQUA

VENERDÌ 15 MAGGIO 2009 – V DI PASQUA

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 21, Mistagogica 3, 1-3; PG 33, 1087-1091)

L’unzione dello Spirito Santo
Battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo, avete assunto una natura simile a quella del Figlio di Dio. Il Dio, che ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi, ci ha resi conformi al corpo glorioso di Cristo.
Divenuti partecipi di Cristo, non indebitamente siete chiamati «cristi» cioè «consacrati», perciò di voi Dio ha detto: «Non toccate i miei consacrati» (Sal 104, 15).
Siete diventati «consacrati» quando avete ricevuto il segno dello Spirito Santo. Tutto si è realizzato per voi in simbolo, dato che siete immagine di Cristo. Egli, battezzato nel fiume Giordano, dopo aver comunicato alle acque i fragranti effluvi della sua divinità, uscì da esse e su di lui avvenne la discesa del consustanziale Spirito Santo: l’Uguale si posò sull’Uguale.
Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque, è stato dato il crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui anche il grande Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo riguarda: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri» (Is 61, 1).
Cristo non fu unto dagli uomini con olio o altro unguento materiale, ma il Padre lo ha unto di Spirito Santo, prestabilendolo salvatore di tutto il mondo, come dice Pietro: Gesù di Nazareth, che Dio unse di Spirito Santo (cfr. At 10, 38). E il profeta David proclama: «Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno. Ami la giustizia e l’empietà detesti; Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali» (Sal 44, 7-8).
Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l’autore della spirituale letizia. Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e solidali con lui.
Guardatevi bene dal ritenere questo crisma come un puro e ordinario unguento. Santo è quest’unguento e non più puro e semplice olio. Dopo la consacrazione non è più olio ordinario, ma dono di Cristo e dello Spirito Santo. E’ divenuto efficace per la presenza della sua divinità e viene spalmato sulla tua fronte e sugli altri tuoi sensi con valore sacramentale. Così mentre il corpo viene unto con l’unguento visibile, l’anima viene santificata dal santo e vivificante Spirito.

Responsorio    Cfr. Ef 1, 13-14; 2 Cor 1, 21-22
R. Venendo alla fede, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo promesso, che è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, * a lode della sua gloria, alleluia.
V. Con l’unzione, Dio ci ha segnati e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori,
R. a lode della sua gloria, alleluia.

GIOVEDÌ 14 MAGGIO – V SETTIMANA DI PASQUA

GIOVEDÌ 14 MAGGIO – V SETTIMANA DI PASQUA

SAN MATTIA (FESTA)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Catechesi» di Gerusalemme.
(Catech. 20, Mistagogica 2, 4-6; PG 33, 1079-1082)

Il battesimo, segno della passione di Cristo
Siete stati portati al santo fonte, al divino battesimo, come Cristo dalla croce fu portato al sepolcro.
E ognuno è stato interrogato se credeva nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; avete professato la fede salutare e siete stati immersi tre volte nell’acqua e altrettante siete riemersi, e con questo rito avete espresso un’immagine e un simbolo. Avete rappresentato la sepoltura di tre giorni del Cristo.
Il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel seno della terra. Nella prima emersione voi avete simboleggiato il primo giorno passato da Cristo nella terra. Nell’immersione la notte. Infatti, chi è nel giorno si trova nella luce, invece colui che è immerso nella notte, non vede nulla. Così voi nell’immersione, quasi avvolti dalla notte, non avete visto nulla. Nell’emersione invece vi siete ritrovati come nel giorno.
Nello stesso istante siete morti e siete nati e la stessa onda salutare divenne per voi e sepolcro e madre.
Ciò che Salomone disse di altre cose, si adatta pienamente a voi: «C’è un tempo per nascere e un tempo per morire» (Qo 3, 2), ma per voi al contrario il tempo per morire è stato il tempo per nascere. L’unico tempo ha causato ambedue le cose, e con la morte ha coinciso la vostra nascita.
O nuovo e inaudito genere di cose! Sul piano delle realtà fisiche noi non siamo morti, né sepolti, né crocifissi e neppure risorti. Abbiamo però ripresentato questi eventi nella sfera sacramentale e così da essi è scaturita realmente per noi la salvezza.
Cristo invece fu veramente crocifisso e veramente sepolto ed è veramente risorto, anche nella sfera fisica, e tutto questo è stato per noi dono di grazia. Così infatti partecipi della sua passione mediante la rappresentazione sacramentale, possiamo realmente ottenere la salvezza.
O traboccante amore per gli uomini! Cristo ricevette i chiodi nei suoi piedi e nelle sue mani innocenti e sopportò il dolore, e a me, che non ho sopportato né dolore, né fatica, egli dona gratuitamente la salvezza mediante la comunicazione dei suoi dolori.
Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo. E’ per questo che Paolo proclama: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte» (Rm 6, 3-4a).

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