Archive pour mai, 2009

Saint Germain

Saint Germain dans immagini sacre

http://santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 27 mai, 2009 |Pas de commentaires »

San Germano di Parigi Vescovo

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/54950

San Germano di Parigi Vescovo

28 maggio (mf per la Francia)
 
Autun (Francia), fine del V secolo – Parigi, 28 maggio 576

Saint-Germain-des-Prés è oggi tra i quartieri più suggestivi di Parigi. La chiesa che vi sorge è stata ricostruita nel 990, dopo la distruzione dell’abbazia precedente. L’edificio – che sorgeva appunto « nei prati » attorno a Parigi – era stato voluto da re Childerico, che l’aveva donato a Germano (496-576), abate del monastero benedettino di San Sinforiano, cui attribuiva la sua miracolosa guarigione. Saint-Germain divenne il monastero più importante di Parigi e uno dei grandi polmoni spirituali dell’Occidente. Germano fu poi nominato vescovo di Parigi. Oggi riposa nella chiesa che porta il suo nome. (Avvenire)

Etimologia: Germano = fratello/sorella, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, san Germano, vescovo, che fu dapprima abate di San Sinforiano di Autun e, eletto poi alla sede di Parigi, mantenne uno stile di vita monastico, dedicandosi a una fruttuosa opera di cura delle anime. 

La vita di s. Germano è nota soprattutto attraverso la biografia scritta dal suo amico Fortunato di Poitiers impostata, peraltro, con un troppo evidente gusto per il meraviglioso. I documenti piú seri, relativi soprattutto alla fondazione dell’abbazia di S. Germano e ai primi tempi della sua storia, sono scomparsi al tempo delle invasioni normanne, alla fine del IX sec., e non è quindi possibile effettuare su di essi un controllo severo. Altri documenti sono falsi, redatti molto tempo dopo.
Germano, nato ad Autun verso la fine del V sec., sarebbe stato vittima di due tentativi di assassinio, a cui sfuggí miracolosamente: il primo per una minaccia di aborto mentre la madre lo attendeva ed il secondo poco dopo per avvelenamento. Doveva essere di famiglia relativamente agiata dato che proseguí negli studi ad Avállon. Per quindici anni abitò presso un parente, Scopillone, in una località di incerta identificazione: Laizy (Saoneet-Loire), o Lucey (Cote-d’Or). Già in quest’epoca, senza dubbio, doveva condurre vita eremitica o di reduso, usanza assai frequente nella Francia del V e VI sec. Richiamato da Agrippino, vescovo di Autun, è ordinato diacono e poi, tre anni dopo, prete. Il successore di Agrippino, Nettario, gli affida la direzione del monastero di S. Sinforiano che egli risolleva, non senza difficoltà, dalla decadenza e nel quale egli cercherà i primi elementi per la sua fondazione parigina.
Verso il 556, mentre si trova a Parigi presso il re Chilperico, questi, che apprezza i suoi consigli, lo chiama a succedere al vescovo Libano. D’ora in avanti egli dedicherà parte del suo zelo al compito di moderatore presso il principe ed i suoi successori Clotario e Cariberto; moderatore, tuttavia, piú o meno ascoltato, soprattutto in occasione delle crudeli lotte che segnarono la successione di Clotario e che resero famosi i sinistri nomi delle regine Brunechilde e Fredegonda. Fortunatamente conobbe anche la sposa di Clotario, s. Redegonda, e nel 561, a Poitiers, vide anche benedire la prima badessa di Santa Croce, stabilendo nella stessa epoca legami di amicizia con il poeta Fortunato, suo futuro biografo.
Il nome di Germano è soprattutto legato alla fondazione, da parte di Chilperico, dopo il 543, di un monastero destinato ad ospitare i trofei riportati dalla Spagna: ciò spiega il primitivo patronato della Santa Croce e di S. Vincenzo di Saragozza. Qui Germano chiamò alcuni monaci da S. Sinforiano, sotto la direzione di Drottoveo, e ne consacrò la chiesa un 23 dicembre, probabilmente del 558.
Infine Germano partecipò ad alcuni grandi avvenimenti della Chiesa di Francia: il concilio di Tours del 567, i concili di Parigi, tra cui quello del 573, e la consacrazione del vescovo Felice di Bourges nel 570. Fino a data recente gli si attribuivano anche due lettere, molto interessanti per la conoscenza della liturgia gallicana, che, tuttavia, il Wilmart ha dimostrato essere a lui posteriori.
Germano morì ottuagenario il 28 maggio 576 e fu inumato nella cappella di S. Sinforiano attigua alla chiesa abbaziale, in una tomba decorata, verso il 635, da s. Eligio, consigliere di re Dagoberto. Nel 54, per ordine di Pipino il Breve, fu effettuata una solenne traslazione alla presenza del giovane Carlo Magno e di numeroso clero; tale traslazionè portò al cambiamento della dedicazione della chiesa, mentre avvenivano i miracoli narrati abbondantemente dal monaco Aimone.
Da questo momento il monastero e la sua chiesa (distinta dalla antica chiesa di St.-Germainle-Vieux, demolita nel 1802) onorano il quartiere di St.-Germain-des-Prés, importante centro di vita benedettina dei secc. XVII-XVIII ed uno dei piú pittoreschi della Parigi moderna. 

Publié dans:SANTI, Santi - biografia |on 27 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Guigo il Certosino: « Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php

Giovedì della VII settimana di Pasqua : Jn 17,20-26
Meditazione del giorno
Guigo il Certosino (?-1188), priore della Grande Certosa
Meditazione 10 ; SC 163, 187

« Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io »

Dobbiamo seguire Cristo, dobbiamo aderire a lui, non dobbiamo abbandonarlo fino alla morte. Come Eliseo diceva al suo Maestro: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò» (2 Re 2,2)… Seguiamo dunque Cristo e attacchiamoci a lui! «Il mio bene è stare vicino a Dio» dice il salmista (72,28). «A te si stringe l’anima mia e la forza della tua destra mi sostiene» (Sal 62,9). E san Paolo aggiunge: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6,17). Non soltanto un solo corpo, ma anche un solo spirito. Dallo spirito di Cristo vive tutto il suo corpo; mediante il corpo di Cristo, giungiamo allo spirito di Cristo. Dimora dunque mediante la fede nel corpo di Cristo e sarai un giorno un solo spirito con lui. Già mediante la fede sei unito al suo corpo; mediante la visione, sarai anche unito al suo spirito. Non perché lassù vedremo senza corpo, ma perché i nostri corpi saranno spirituali (1 Cor 15,44).

«Padre, dice Cristo, voglio che siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda»: ecco l’unione mediante la fede. E dopo egli domanda: «Siano perfetti nell’unità perché il mondo sappia»: ecco l’unione mediante la visione.

Tale è il modo di nutrirci spiritualmente del corpo di Cristo: avere in lui una fede pura, cercare sempre per mezzo della meditazione assidua il contenuto di questa fede, trovare con l’intelligenza ciò che stiamo cercando, amare ardentemente l’oggetto della nostra scoperta, imitare per quanto possibile colui che amiamo; e imitandolo, aderire a lui costantemente per giungere all’unione eterna.

P.Prof. Giuseppe Barbaglio: Il vangelo della pace nelle scritture ebraico-cristiane

dal sito:

http://www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana13.pdf

Il vangelo della pace nelle scritture ebraico-cristiane

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 17 gennaio 2004

L’espressione « vangelo della pace » si trova in Paolo nella lettera agli Efesini: è la lieta notizia della pace, annunciata e realizzata da Dio stesso.  La parola pace ha molti significati, sia nel mondo biblico che in quello greco-romano. Può anzitutto indicare una condizione in cui il popolo si trova, negativamente la condizione in cui non c’è guerra, positivamente la condizione di benessere, soprattutto materiale. Può avere un significato collettivo, indicando rapporti buoni tra i popoli e tra i gruppi. Nella tradizione biblica è presente la concezione della pace come rapporti buoni tra l’umanità e Dio e della pace come salvezza. Meno presente è la concezione di pace come serenità d’animo, o come rapporti interpersonali buoni.

ubi desertum faciunt pacem appellant

L’anelito alla pace emerge anche nel mondo greco romano. Nel 9 a.C. Augusto, sconfitti i nemici, inaugura un’era di pace e fa costruire l’Ara pacis, l’altare alla dea della pace. Era una svolta per una città, Roma, la cui divinità principale era Marte, il dio della guerra. Nel frattempo, Tacito, molto critico nei confronti della politica imperiale afferma con ironia che i romani fanno deserto della terra e la chiamano pace (ubi desertum faciunt pacem appellant).

pace e sicurezza

Stupefacente la modernità di alcuni testi scritturistici antichi. Paolo, nel più antico scritto neotestamentario, chiama figli della luce i membri della piccola comunità di Tessalonica che
vivevano in un contesto molto ostile, mentre sostiene che per la stragrande maggioranza, che si illude di vivere nella pace e nella sicurezza, sarà la rovina: Quando dicono pace e sicurezza allora all’improvviso verrà su di loro la rovina…

la pace nella bibbia ebraica

Verranno presi in esami alcuni testi profetici.

Geremia

È un profeta dalla parola molto libera, osteggiato dal potere politico, ma anche da altri profeti, suoi avversari, che dicevano pace: dicono pace, pace, ma pace non è (8,11). Pace è utilizzato in senso negativo, come legittimazione di una situazione esistente ingiusta. O si cambia o non ci sarà pace, dice il profeta. In un altro brano Geremia afferma che Dio coltiva pensieri di pace (29,11).

Isaia

In Isaia 52,7 appare la categoria del vangelo della pace, del lieto annuncio da parte del profeta dell’esilio (l’attuale libro di Isaia è composto di almeno tre distinti testi di diversi autori): Come sono belli i passi dell’evangelista, del lieto annunciatore, che proclama la pace.
In Isaia 9,1-5, nel libro dell’Emmanuele che contiene gli oracoli del grande Isaia, si presenta
l’ideologia regale del principe di pace. Dio dona la pace attraverso l’azione umana del principe, che instaura una pace senza fine, fondata sulla giustizia. La giustizia del re è una giustizia molto particolare, diversa da quella dei tribunali, ed è volta a rendere giustizia a chi giustizia non ha, a prendere le difese dei deboli. L’anelito alla giustizia è il grande portato di Israele all’umanità. Questa azione giusta del re è ampiamente descritta al capitolo 11: giudicherà con giustizia i poveri e emetterà sentenze giuste a favore dei miseri del paese. Questa pace fondata sulla giustizia si estende a tutto il cosmo, a tutto il mondo creato: il lupo dimorerà presso l’agnello / e la tigre si accovaccerà accanto al capretto / il vitello e il leone pascoleranno insieme / e un bambino piccolo li condurrà…
Sulla stessa linea è il testo di Isaia 2,1-5, in cui si sogna il grande pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme. La pace diventa pace universale.

Zaccaria

Un testo famoso di Zaccaria, utilizzato anche da Matteo per illustrare Gesù messia pacifico, indicail re che entra a Gerusalemme cavalcando un asino. È la cavalcatura utilizzata in occasioni di pace.

la pace nel nuovo testamento

Nelle lettere di Paolo il saluto è: « grazia e pace », cioè vi auguro il dono della pace.

Romani 5,1: pace come salvezza

« …abbiamo pace nei confronti di Dio… » Paolo dopo aver detto che la lieta notizia è che Dio
accoglie in modo indiscriminato tutti sulla base della fede, afferma che, sempre come dono di
grazia, abbiamo un buon rapporto con Dio.

Romani 5,11: pace come riconciliazione

Paolo usa il termine riconciliazione in senso religioso: Dio ci ha riconciliato.
Dio non ha bisogno di essere riconciliato, al contrario di quanto sosteneva la religione romana tutta intenta a placare la ira Deum (l’ira degli dei) con riti e preghiere. C’era una concezione minacciosa del divino, che appare anche nella tradizione ebraica recente, come nel libro dei Maccabei. Paolo dice che è Dio a vincere la nostra distanza da lui.

Giovanni e Luca: pace come dono

Il Pace a voi del Cristo risorto nel vangelo di Giovanni, come il pace in terra agli uomini che sono oggetto della benevolenza divina di Luca (2,14) indicano la pace come dono di Dio. Dio ha donato la pace agli uomini sulla terra.

Matteo: la pace interpersonale

La beatitudine in Matteo 5,9: beati i creatori di pace, saranno chiamati figli di Dio. Nel rabbinismo, a cui Matteo è vicino, emerge il significato di pace interpersonale, di pace come riconciliazione tra persone. Anche in Matteo 5,23: Se ti avviene di presentare il tuo dono all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti…La comunione con Dio, espressa nel culto che si celebra, non avviene se due persone non sono in comunione tra loro.

Efesini 2: nella croce crollano i muri di separazione

È una lettera della scuola di Paolo, in cui si afferma che la chiesa universale è il luogo dove gli
opposti si sono riconciliati. Nel mondo di allora c’erano molte divisioni. I greci distinguevano le
persone tra greci e barbari (quelli che non parlavano greco). I romani tra romani, greci e tutti i barbari. Anche nel mondo ebraico c’era una grande divisione di tipo religioso dell’umanità: gli incirconcisi (la maggioranza, 70 milioni di persone) e i circoncisi (la consistente minoranza di ebrei, 6 milioni di persone). Queste due parti si disprezzavano cordialmente (anche Gesù parla di « cagnolini » riferendosi alla Cananea). I non ebrei disprezzavano gli ebrei, accusati di ogni tipo di nefandezze (uccisioni rituali…)

…Ma ora in Cristo Gesù voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini mediante la morte violenta di Cristo. Egli infatti è la pace. Lui che ha fatto le due parti le ha ridotte ad unità. Ha sbriciolato questa parete che sta in mezzo e che separa. Cioè l’inimicizia l’ha distrutta mediante la sua carne, ha reso inoperante la legge mosaica dei comandamenti che si esprime nei precetti. Gesù toglie le radici del conflitto, cioè la legge mosaica. La legge mosaica era il segno della separatezza: privilegio per chi la possedeva e handicap per gli altri.
Paolo dice che gli ebrei possono tenersi la legge, ma questa non può essere il motivo della identità del credente. Le diversità non sono annullate, ma sono depotenziate. Le diversità (essere circoncisi o incirconcisi) non sono più elemento separatore. Il muro è abbattuto.
Egli è venuto ad annunciare, a dare la lieta notizia della pace, a voi che eravate lontani e pace a
voi che eravate i vicini, perché mediante lui noi abbiamo questa entratura in un solo Spirito presso l’unico Padre.

La legge non è più la carta di identità dell’uomo.

Dietro questo testo c’è la teologia di Paolo, cioè la grazia incondizionata di Dio verso gli uni e verso gli altri e la giustificazione sulla base della sola fede, senza la legge. Giudei e non giudei sono su di un piede di parità nei confronti del vangelo della pace, del vangelo della riconciliazione. Mentre la comunità di Gerusalemme, capitanata da Giacomo, il fratello di Gesù, era aperta al mondo pagano, a patto che si giudaizzasse, accettando la circoncisione, e mentre la comunità di Antriochia era composta anche da gentili a cui si chiedeva di osservare i precetti della legge, Paolo proclama la libertà dalla legge, non solo nella pratica ma anche attraverso una giustificazione, una riflessione.

i muri di separazione oggi

Anche oggi occorre saper far risuonare l’antica lieta notizia del vangelo di pace individuando quali sono i muri di separazione di cui annunciare l’abbattimento. Oggi la grande divisione non è più tra circoncisi e incirconcisi, ma tra nord e sud del mondo. La lieta notizia per i deprivati, per gli esclusi, per i lontani di oggi ha come punto di riferimento remoto il Cristo in croce che viene a chiamare su di un piede di parità alla salvezza, e come punto di riferimento prossimo Paolo che ha annunciato e operato l’abbattimento del muro di separazione tra circoncisi e incirconcisi. A noi spetta il compito di individuare il muro di separazione di oggi e di annunciarne anche fattivamente l’abbattimento, proclamando così la lieta notizia, il vangelo della pace.

San Cirillo Alessandrino: « Perché siano una cosa sola, come noi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090527

Mercoledì della VII settimana di Pasqua : Jn 17,11-19
Meditazione del giorno
San Cirillo Alessandrino (380-444), vescovo, dottore della Chiesa
Commento sul vangelo di Giovanni, 11, 11 ; PG 74, 558

« Perché siano una cosa sola, come noi »

Quando Cristo divenne simile a noi, cioè quando si fece uomo, lo Spirito Santo l’ha unto e consacrato, benché lui fosse Dio per natura…. Egli stesso santifica il suo corpo, e ogni cosa creata è degna di venire santificata. Il mistero operato in Cristo è il principio e l’itinerario della nostra partecipazione allo Spirito.

Per unire anche noi, che siamo separati dalla differenza delle nostre individualità, delle nostre anime e dei nostri corpi, per fonderci nell’unità con Dio e fra di noi, il Figlio Unigenito ha creato e preparato un mezzo per radunarci, grazie alla sapienza sua e secondo il consiglio del Padre suo. Con un solo corpo, il corpo suo, benedice coloro che credono in lui, e, in una comunione mistica, fa di loro un solo corpo con lui.

Chi potrebbe dunque separare, chi potrebbe privare dell’unione fisica coloro che, per l’unico mezzo di questo corpo sacro, sono uniti nell’unità di Cristo? Se partecipiamo dell’unico pane, tutti siamo un solo corpo (1 Cor 10,17). Cristo infatti non può essere diviso. Per questo anche la Chiesa è chiamata Corpo di Cristo, e noi siamo chiamati sue membra, secondo la dottrina di San Paolo (Ef 5,30). Tutti uniti all’unico Cristo per mezzo del suo santo corpo, lo riceviamo, unico e indivisibile, nei nostri corpi. Dobbiamo dunque considerare i nostri corpi come se non ci appartenessero più.

Papa Bendetto XVI; « Spe salvi »: « Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090526

Martedì della VII settimana di Pasqua : Jn 17,1-11
Meditazione del giorno
Papa Bendetto XVI
Enciclica « Spe Salvi » § 41,43 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato  »

Nel grande Credo della Chiesa la parte centrale, che tratta del mistero di Cristo a partire dalla nascita eterna dal Padre e dalla nascita temporale dalla Vergine Maria per giungere attraverso la croce e la risurrezione fino al suo ritorno, si conclude con le parole: « …di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ». La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l’alto, ma sempre anche in avanti verso l’ora della giustizia che il Signore aveva ripetutamente preannunciato.

In Lui, il Crocifisso, la negazione di immagini sbagliate di Dio è portata all’estremo. Ora Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la « revoca » della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto.

Per questo la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza – quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli. Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna. Il bisogno soltanto individuale di un appagamento che in questa vita ci è negato, dell’immortalità dell’amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l’uomo sia fatto per l’eternità; ma solo in collegamento con l’impossibilità che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita.

Vian: “Paolo, di fronte al nostro mondo, piange e lo ama”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-18319?l=italian

Vian: “Paolo, di fronte al nostro mondo, piange e lo ama”

Il direttore de “L’Osservatore romano” sottolinea l’attualità dell’apostolo

di Patricia Navas

BARCELLONA, martedì, 19 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il direttore del quotidiano vaticano “L’Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, ha sottolineato l’attualità di San Paolo in una conferenza sull’apostolo da lui svolta questo lunedì nella Cattedrale di Barcellona.

“Paolo è presente tra noi oggi; spiritualmente, e potremmo dire anche materialmente – ha affermato –. Paolo continua a parlare alla nostra società: Paolo, di fronte al nostro mondo attuale, piange e lo ama, lo minaccia e lo perdona, lo attacca e, con tenerezza, lo abbraccia”.

Vian si è riferito al progetto con cui il regista Pier Paolo Pasolini voleva plasmare l’attualità di San Paolo, anche se alla fine non è riuscito a realizzare ciò che si proponeva.

La pellicola collocava San Paolo a New York, vista come la Roma di oggi, attualizzandone la figura.

Vina ha lamentato il fatto che spesso si cerchino libri come “Il Codice da Vinci” senza conoscere però la Scrittura.

“Abbiamo documenti autentici e andiamo a cercare sciocchezze”, ha constatato.

Il direttore del quotidiano vaticano, storico delle origini del cristianesimo e docente all’Università La Sapienza di Roma, ha esposto una documentata visione storica di San Paolo, con riferimento ai suoi testi autobiografici degli Atti degli Apostoli e delle Lettere.

Ha anche offerto alcune spiegazioni storiche sul suo ruolo alle origini del cristianesimo. “Si è detto che San Paolo e San Giovanni sarebbero i fondatori del cristianesimo, ma in realtà il fondatore è Gesù”, ha dichiarato.

“Paolo è il più antico testimone del cristianesimo; di lui abbiamo alcuni scritti, la cui autenticità è riconosciuta da tutti gli storici, sia credenti che agnostici o non credenti”.

Vian ha anche parlato dei rapporti di Pietro e Paolo con la città di Roma, con riferimento ai primi autori cristiani, come Clemente da Roma, Ireneo di Lione, il presbitero Caio, Dionisio, Vescovo di Corinto, e altri.

Ha anche detto che il sepolcro dei due apostoli è stato sempre considerato il tesoro più prezioso della Chiesa romana.

Sul martirio di Paolo, avvenuto a Roma nel 67 d.C., lo storico ha citato il documento “Atti di Paolo”, uno scritto apocrifo, spiegando che Paolo, come cittadino romano, venne condannato a morte e decapitato fuori Roma.

Arrivato alla fine del suo viaggio terreno, con le mani legate, Paolo volle rivolgere il suo ultimo sguardo a Oriente, levò le mani al cielo, pronunciò alcune preghiere in ebraico e, senza aggiungere una parola, offrì la testa alla spada dell’aguzzino.

Vian ha infine ricordato alcuni testi di Papa Paolo VI sul significato di Paolo per la Chiesa di Roma, che è chiamata a diffondere in tutto il mondo la luce di Cristo, testimoniata dai due grandi apostoli.

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