Archive pour mai, 2009

Concilio Vaticano II, LG: « Un apostolo non è più grande di chi lo ha mandato »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090507

Giovedì della IV settimana di Pasqua : Jn 13,16-20
Meditazione del giorno
Concilio Vaticano II
Constituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium), §8

« Un apostolo non è più grande di chi lo ha mandato »

Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di condizione divina… spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo » (Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo…

La Chiesa « prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio » (San Agostino), annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce.

MERCOLEDÌ 6 MAGGIO 2009 – IV DI PASQUA

MERCOLEDÌ 6 MAGGIO 2009 – IV DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   At 12,24-13,5a
Riservate per me Bàrnaba e Sàulo.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, la parola di Dio cresceva e si diffondeva. Bàrnaba e Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco.
C’erano nella comunità di Antiòchia profeti e dottori: Bàrnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca, e Sàulo.
Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Sàulo per l’opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono.
Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Selèucia e di qui salparono verso Cipro. Giunti a Salamìna cominciarono ad annunziare la parola di Dio nelle sinagòghe dei Giudei.

UN OMELIA BREVE DALL’EREMO DI SAN BIAGIO:


http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7108.html

Omelia (05-05-2004) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
C’erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori…Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati.

Come vivere questa parola?
E’ dalla vivace e fervente comunità cristiana di Antiochia che parte la prima missione affidata a Barnaba e Paolo, diretta alle regioni meridionali della Penisola Anatolica. Interessante il contesto in cui ciò avviene. C’è una comunità che prega e digiuna, cosciente che l’evangelizzazione non è un’impresa umana pianificata a tavolino, ma un’azione dello Spirito che « suscita il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni » (Cfr. Fil 2,13). Ed è altrettanto bello notare come anche nel congedare i due missionari, la comunità locale li accompagni con la preghiera, il digiuno e l’imposizione delle mani, ultimo gesto benedicente per accomiatarli nel nome del Signore.
Tutto dunque avviene in un’atmosfera di forte tensione spirituale, che certo non s’improvvisa. Anzi, lascia intendere come la comunità si allenasse quotidianamente all’ascolto dello Spirito vivendo sobriamente, in comunione fraterna, attorno al fuoco della Parola pregata, per introdursi adeguatamente nel progetto di Dio, sempre attenta a coglierne i segni, nella perseveranza del cuore risoluto.

Per noi, che oscilliamo sempre tra due atteggiamenti: l’ascolto e la sordità rispetto alla Parola che c’interpella, è salutare oggi più che mai fare una sosta contemplativa per imparare dalla comunità antiochena lo stile più autentico d’essere Chiesa. Invocando luce di Spirito Santo, staniamo in noi quelle sacche di resistenza che c’impediscono di ascoltare la voce del Signore, consapevoli che esse sono lì dove alligna l’opulenza dell’avere e si professa una fede parolaia; lì dove si tessono relazioni sul canovaccio della superficialità e del tornaconto, mentre si respira il vuoto di preghiere senz’anima. Perciò pregherò:

Donami, Signore, d’entrare limpido e puro nel tuo modo semplice d’essere amore, cercando vie sempre nuove di comunione, attingendo luce dalla preghiera incessante e forza spirituale dal sobrio porsi rispetto alle cose.

La voce di un profeta del nostro tempo
La testimonianza viva della Chiesa primitiva che ci raggiunge e viene interiorizzata nella preghiera, ci permette d’essere anche oggi testimoni della risurrezione… E’ stato detto che il cristiano del terzo millennio o sarà mistico o non sarà più cristiano. Si possono intendere queste parole come un invito alla preghiera, all’interiorità, alla carità.
Card. Carlo Maria Martini 

MARTEDÌ 5 MAGGIO 2009 – IV SETTIMANA DI PASQUA

MARTEDÌ 5 MAGGIO 2009 – IV SETTIMANA DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   At 11, 19-26
Cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona novella del Signore Gesù.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, i discepoli che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, erano arrivati fin nella Fenìcia, a Cipro e ad Antiòchia e non predicavano la parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni fra loro, cittadini di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore.
La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Bàrnaba ad Antiòchia.
Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore.
Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Sàulo e trovatolo lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gente; ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo
(Disc. 108; PL 52, 499-500)

Sii sacrificio e sacerdote di Dio
«Vi prego per la misericordia di Dio» (Rm 12, 1). E’ Paolo che chiede, anzi è Dio per mezzo di Paolo che chiede, perché vuole essere più amato che temuto. Dio chiede perché vuol essere non tanto Signore, quanto Padre. Il Signore chiede per misericordia, per non punire nel rigore.
Ascolta il Signore che chiede: vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, le vostre ossa, il vostro sangue. E se temete ciò che è di Dio, perché non amate almeno ciò che è vostro? Se rifuggite dal padrone, perché non ricorrete al congiunto?
Ma forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi.
Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l’amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.
Ma ascoltiamo adesso l’Apostolo: «Vi esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12, 1). L’Apostolo così vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente.
O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane, senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il sacrificio.
Mirabile sacrificio, quello dove si offre il corpo senza ferimento del corpo e il sangue senza versamento di sangue. «Vi esorto per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente».
Fratelli, questo sacrificio è modellato su quello di Cristo e risponde al disegno che egli si prefisse, perché, per dare vita al mondo, egli immolò e rese vivo il suo corpo; e davvero egli fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la vittima vive e la morte è punita. Da qui viene che i martiri nascono quando muoiono, cominciano a vivere con la fine, vivono quando sono uccisi, brillano nel cielo essi che sulla terra erano creduti estinti.
«Vi esorto, dice, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo». Questo è quanto il profeta ha predetto: Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo (cfr. Sal 39, 7 volg.) . Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio; non perdere ciò che la divina volontà ti ha dato e concesso. Rivesti la stola della santità. Cingi la fascia della castità. Cristo sia la protezione del tuo capo. La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fa’ salire sempre l’incenso della preghiera, come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fà del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio.
Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte.

UN’OMELIA DELL’EREMO DI SAN BIAGIO:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/4196.html

Omelia (23-04-2002) 
Eremo San Biagio

Dalla liturgia del giorno
Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

Come vivere questa Parola?
La prima lettura di oggi offre una bella descrizione della primitiva diffusione del cristianesimo. In primo luogo, essa avviene grazie alla persecuzione (v.19): in quanto perseguitati, infatti, i discepoli vengono dispersi tutto intorno e possono portare il vangelo fino agli estremi confini della terra. La persecuzione ha gli effetti di una semina: proprio in quanto sparso e gettato, il seme porta frutto in tutto il campo, in tutto il mondo. In secondo luogo, l’evangelizzazione supera le intenzioni dei discepoli (vv.19-20): essi infatti volevano rivolgersi solo ai giudei, ma poi per caso si rivolgono anche ai pagani. Proprio là dove non se l’aspettavano, ottengono maggiore successo: perché l’evangelizzazione è opera del Signore e non nostra. Quel che conta è che i nostri progetti, pur necessari, non diventino ostacolo all’operare dello Spirito. Infine, il frutto dell’evangelizzazione è di ricevere il nome di « cristiani » (v.26), e cioè di essere riconosciuti solo dall’appartenenza a Cristo. Non importano titoli, onorificenze, cognomi illustri: quel che solo abbiamo da dire di noi è che siamo di Cristo.

Oggi guarderò al nome che tanti santi si sono dati: S.Teresa di Gesù Bambino, S.Giovanni della croce ecc. Chiederò al Signore che anche di me, alla mia morte, si possa dire semplicemente: era cristiano, era di Gesù.

La voce di un poeta mistico persiano
Sono solo dell’Amato! Uno cerco, Uno conosco, Uno canto, Uno contemplo! Se ho passato in vita mia un sol giorno senza te, io mi pento della vita, per quel giorno e per quell’ora!
Rûmî 

Sant’Anselmo d’Aosta: « Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090506

Mercoledì della IV settimana di Pasqua : Jn 12,44-50
Meditazione del giorno
Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), monaco, vescovo, dottore della Chiesa
Meditazioni

« Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre  »

O buon Signore Cristo Gesù, come sole tu illuminasti me che non ti cercavo né ti pensavo, e mi mostrasti come ero… Hai rimosso il peso che mi opprimeva dall’alto; hai respinto chi mi percuoteva con la tentazione… Tu mi chiamasti con un nome nuovo (Ap 2,17) tratto dal tuo nome e, incurvato com’ero, mi innalzasti fino alla tua visione dicendo: «Non temere, io ti ho riscattato, ho dato per te la mia vita. Se stai unito a me, fuggirai i mali in cui ti trovavi e non precipiterai nell’abisso verso il quale correvi; ma io ti condurrò nel mio regno…»

Sì, Signore, tutto questo facesti per me. Ero nelle tenebre e non lo sapevo…, scendevo verso gli abissi dell’ingiustizia, ero caduto nella miseria del tempo per cadere ancora più in basso. E nell’ora in cui mi trovavo senza soccorso, illuminasti me mentre non ti cercavo… Nella tua luce, vidi ciò che erano gli altri, e ciò che ero io…; mi desti di credere nella mia salvezza, tu che desti la tua vita per me… Lo riconosco, o Cristo, devo tutta la mia vita al tuo amore.

Beata Teresa di Calcutta: « Le mie pecore ascoltano la mia voce »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090505

Martedì della IV settimana di Pasqua : Jn 10,22-30
Meditazione del giorno
Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No Greater Love

« Le mie pecore ascoltano la mia voce »

Riterrai difficile pregare, se non sai come fare. Ognuno di noi deve aiutare se stesso a pregare: in primo luogo, ricorrendo al silenzio; non possiamo infatti metterci in presenza di Dio se non pratichiamo il silenzio, sia interiore che esteriore. Fare silenzio dentro di sè non è facile, eppure è uno sforzo indispensabile; solo nel silenzio troveremo una nuova potenza e una vera unità. La potenza di Dio diverrà nostra per compiere ogni cosa come conviene; lo stesso sarà riguardo all’unità dei nostri pensieri con i suoi pensieri, all’unità delle nostre preghiere con le sue preghiere, all’unità delle nostre azioni con le sue azioni, della nostra vita con la sua vita. L’unità è il frutto della preghiera, dell’umiltà, dell’amore.

Nel silenzio del cuore, Dio parla; se starai davanti a Dio nel silenzio e nella preghiera, Dio ti parlerà. E saprai allora che non sei nulla. Soltanto quando riconoscerai il tuo non essere, la tua vacuità, Dio potrà riempirti con se stesso. Le anime dei grandi oranti sono delle anime di grande silenzio.

Il silenzio ci fa vedere ogni cosa diversamente. Abbiamo bisogno del silenzio per toccare le anime degli altri. L’essenziale non è quello che diciamo, bensì quello che Dio dice – quello che dice a noi, quello che dice attraverso di noi. In un tale silenzio, egli ci ascolterà; in un tale silenzio, parlerà alla nostra anima, e udremo la sua voce.

PHILEMON – EPITRE

PHILEMON - EPITRE dans immagini sacre 16%20WEIGEL%20PAUL%20LETTER%20TO%20PHILEMON%20PHIL%2002

PHILEMON – EPITRE

http://www.artbible.net/2NT/PHILEMON%20-%20EPISTLE%20…PHILEMON%20-%20EPITRE/slides/16%20WEIGEL%20PAUL%20LETTER%20TO%20PHILEMON%20PHIL%2002.html

Publié dans:immagini sacre |on 4 mai, 2009 |Pas de commentaires »

Papa Giovanni Paolo II, udienza 10 ottobre 1990 (tema: Paolo – lo Spirito Santo)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1990/documents/hf_jp-ii_aud_19901010_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 10 ottobre 1990 

1. Abbiamo visto nella catechesi precedente che la rivelazione dello Spirito Santo come Persona nell’unità trinitaria col Padre e col Figlio trova negli scritti paolini espressioni molto belle e suggestive. Continuiamo oggi ad attingere dalle Lettere di san Paolo altre variazioni su quest’unico motivo fondamentale. Esso ritorna spesso nei testi dell’apostolo, permeati di una fede viva e vivificante nell’azione dello Spirito Santo e nelle proprietà della sua Persona che, mediante l’azione, si rendono manifeste.

2. Una delle espressioni più elevate e più attraenti di questa fede, che sotto la penna di Paolo diventa comunicazione alla Chiesa di una verità rivelata, è quella della “inabitazione” dello Spirito Santo nei credenti, che sono il suo tempio. “Non sapete – egli apostrofa i Corinzi – che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Cor 3, 16). “Abitare” si dice normalmente di persone. Qui si tratta dell’“inabitazione” di una persona divina in persone umane. È un fatto di natura spirituale, un mistero di grazia e di amore eterno, che proprio per questo viene attribuito allo Spirito Santo. Tale inabitazione interiore influenza l’uomo intero, così com’è nella concretezza e nella totalità del suo essere, che l’apostolo più volte denomina “corpo”. Difatti anche in questo scritto, poco più oltre il passo citato, sembra incalzare i destinatari della sua Lettera con la stessa domanda: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1 Cor 6, 19). In questo testo il riferimento al “corpo” è quanto mai significativo circa il concetto paolino dell’azione dello Spirito Santo in tutto l’uomo!

Si spiega così e si capisce meglio l’altro testo della Lettera ai Romani sulla “vita secondo lo Spirito”. Leggiamo infatti: “Non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”. “E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8, 9. 11).

Dunque l’irradiazione dell’inabitazione divina nell’uomo è estesa a tutto il suo essere, a tutta la sua vita, che si colloca in tutti i suoi elementi costitutivi e in tutte le sue esplicazioni operative sotto l’azione dello Spirito Santo: dello Spirito del Padre e del Figlio, e quindi anche di Cristo, Verbo incarnato. Questo Spirito, vivente nella Trinità, è presente in virtù della redenzione operata da Cristo in tutto l’uomo che si lascia “abitare” da lui, in tutta l’umanità che lo riconosce e lo accoglie.

3. Un’altra proprietà attribuita da san Paolo alla persona dello Spirito Santo è lo “scrutare” tutto, come scrive ai Corinzi: “Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio”. “Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio” (1 Cor 2, 10. 11).

Questo “scrutare” significa l’acutezza e la profondità della conoscenza che è propria della Divinità, nella quale lo Spirito Santo vive col Verbo-Figlio nell’unità della Trinità. Per questo è uno Spirito di luce, che è per l’uomo maestro di verità, come l’ha promesso Gesù Cristo (cf. Gv 14, 26).

4. Il suo “insegnamento” riguarda prima di tutto la realtà divina, il mistero di Dio in se stesso, ma anche le sue parole e i suoi doni all’uomo. Come scrive san Paolo: “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1 Cor 2, 12). È una visione divina del mondo, della vita, della storia, quella che lo Spirito Santo dà ai credenti; un’“intelligenza di fede” che fa innalzare lo sguardo interiore ben al di sopra della dimensione umana e cosmica della realtà, per scoprire in tutto la proiezione dell’azione divina, l’attuazione del disegno della Provvidenza, il riflesso della gloria della Trinità.

Per questo la liturgia nell’antica sequenza della Messa per la festa della Pentecoste ci fa invocare: “Veni, Sancte Spiritus, et emitte coelitus lucis tuae radium . . . Vieni, Spirito Santo, e donaci un raggio della tua luce di cielo. Vieni, padre dei poveri, elargitore di doni, vieni, luce dei cuori . . .”.

5. Questo Spirito di luce dà anche agli uomini – specialmente agli apostoli e alla Chiesa – la capacità di insegnare le cose di Dio, come per un’espansione della sua stessa luce. “Di queste cose noi parliamo, – scrive Paolo – non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali”. È il discorso dell’apostolo, il discorso della Chiesa primitiva e della Chiesa di tutti i tempi, il discorso dei veri teologi e catechisti, che parlano di una sapienza che non è di questo mondo, di “una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria” (1 Cor 2, 13. 6-7).

Una tale sapienza è un dono dello Spirito Santo, che occorre invocare per i maestri e predicatori di tutti i tempi: il dono di cui parla san Paolo nella stessa Lettera ai Corinzi: “A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scienza” (1 Cor 12, 8). Scienza, sapienza, forza della parola che penetra nelle intelligenze e nelle coscienze, luce interiore che mediante l’annuncio della verità divina irradia nell’uomo docile e attento la gloria della Trinità: tutto è dono dello Spirito Santo.

6. Lo Spirito, che “scruta anche le profondità di Dio” e “insegna” la sapienza divina, è anche Colui che “guida”. Leggiamo nella Lettera ai Romani: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio”. Qui si tratta della “guida” interiore, che va alle radici stesse della “nuova creazione”: lo Spirito Santo fa sì che gli uomini vivano la vita dei figli della divina adozione. Per vivere in questo modo, lo spirito umano ha bisogno della consapevolezza della divina figliolanza. Ed ecco, “lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8, 14. 16). La testimonianza personale dello Spirito Santo è indispensabile perché l’uomo possa personalizzare nella sua vita il mistero innestato in lui da Dio stesso.

7. In questo modo lo Spirito Santo “viene in aiuto” alla nostra debolezza. Secondo l’apostolo, ciò avviene in modo particolare nella preghiera. Egli scrive infatti: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26). Per Paolo, dunque, lo Spirito è l’artefice interiore dell’autentica preghiera. Egli, mediante il suo divino influsso, penetra dall’interno la preghiera umana, e la introduce nelle profondità di Dio.

Un’ultima espressione paolina in un certo modo comprende e sintetizza tutto ciò che abbiamo attinto finora da lui su questo tema. Eccola: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Lo Spirito Santo è dunque Colui che “riversa” l’amore di Dio nei cuori umani in modo sovrabbondante, e fa sì che possiamo prendere parte a questo amore.

Da tutte queste espressioni, così frequenti e coerenti col linguaggio dell’apostolo delle Genti, ci è dato di conoscere meglio l’azione dello Spirito Santo e la persona stessa di Colui che agisce nell’uomo in modo divino. 

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