MARTEDÏ 19 MAGGIO 2009 – IV SETTIMANA DI PASQUA

MARTEDÏ 19 MAGGIO 2009 – IV SETTIMANA DI PASQUA

SAN CELESTINO V PAPA

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   At 16, 22-34
Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, la folla degli abitanti di Filippi insorse contro Paolo e Sila, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi.
Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti.
Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gli gridò forte: «Non farti del male, siamo tutti qui». Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, cosa devo fare per esser salvato?». Risposero: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia». E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d’Alessandria, vescovo   (Lib. 11, 11; PG 74, 559-562)

Cristo è vincolo di unità
Secondo san Paolo quanti comunichiamo alla santa umanità del Cristo, veniamo a formare un sol corpo con lui. Presenta così questo mistero di amore: «Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i gentili cioè sono chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa» (Ef 3, 5-6). Se tutti tra di noi siamo membra dello stesso corpo in Cristo e non solo tra di noi, ma anche con lui che è in noi per mezzo della sua carne, è evidente che tutti siamo una cosa sola sia tra noi che in Cristo. Cristo infatti è vincolo di unità, essendo egli al tempo stesso Dio e uomo.
Quanto all’unione spirituale, seguendo il medesimo ragionamento, diremo ancora che noi tutti, avendo ricevuto un unico e medesimo Spirito santo, siamo, in certo qual modo, uniti sia tra noi, sia con Dio. Infatti, sebbene, presi separatamente, siamo in molti, ed in ciascuno di noi Cristo faccia abitare lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo Spirito. Egli con la sua presenza e la sua azione riunisce nell’unità spiriti che tra loro sono distinti e separati. Egli fa di tutti in se stesso una unica e medesima cosa.
La potenza della santa umanità del Cristo rende concorporali coloro nei quali si trova. Allo stesso modo, credo, l’unico e indivisibile Spirito di Dio che abita in tutti, conduce tutti all’unità spirituale.
Perciò ancora san Paolo ci esorta: Sopportatevi a vicenda con amore, cercate di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti, ed è presente in tutti (cfr. Ef 4, 2-6). Infatti dimorando in noi un unico Spirito, vi sarà in noi un unico Padre di tutti, Dio, per mezzo del Figlio. Lo Spirito Santo riconduce all’unità con sé e all’unità vicendevole fra loro tutti quelli che si trovano a partecipare di lui. E tutti noi evidentemente siamo partecipi dello Spirito. Infatti abbiamo lasciato la vita animale e obbediamo alle leggi dello Spirito. In tal modo abbandoniamo la nostra vita, ci uniamo allo Spirito Santo, acquistiamo una conformità celeste a lui e veniamo trasformati, in certo qual modo, in un’altra natura. Perciò siamo chiamati non più uomini solamente, ma anche figli di Dio e uomini celesti. Siamo resi cioè partecipi della natura divina.
Tutti siamo una cosa sola nel Padre e Figlio e Spirito Santo: una cosa sola dico, per l’identità della condizione, la coesione nella carità, la comunione alla santa carne di Cristo e la partecipazione dell’unico Spirito Santo.

Responsorio    Cfr. 1 Cor 10, 17, 16; Sal 67, 11. 7
R. Poiché c’è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: * tutti partecipiamo all’unico pane e all’unico calice, alleluia.
V. Nel tuo amore, o Dio, prepari una mensa al povero e lo accogli nella tua casa:
R. tutti parteciperanno all’unico pane e all’unico calice, alleluia.

la memoria facoltativa dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/santo/380.html

San Celestino V
Papa

BIOGRAFIA
Celestino V°, o Pietro da Morrone, nacque ad Isernia in Abruzzo l’anno 1215 da virtuosi e caritatevoli genitori. E’ una figura emblematica del secolo di grandi santi, ma anche di profonde lacerazioni nel tessuto della Chiesa. Fu Papa per pochi mesi soltanto. Aveva già quasi settant’anni quando fu strappato dalla solitudine della vita monastica e fu spinto ad accettare il pesante incarico di capo della Chiesa; la Santa Sede era vacante da 27 mesi: egli dovette accettare. Ma qualche mese più tardi rinunciò volontariamente al governo della Chiesa. Passò al gaudio sempiterno l’anno 1296, Clemente VI lo proclamò santo nel 1313. Figlio di San Benedetto, di cui praticò le lezioni di umiltà, S. Celestino aveva visto affluire nel suo eremitaggio numerosi discepoli attratti dalla santità della sua vita. Di qui l’origine di un ramo dell’Ordine benedettino che portava il suo nome: “ i Celestini”, soppressi al tempo della Rivoluzione francese.

DAGLI SCRITTI…
Dalle “Conferenze” di Cassiano, abate.
Arrivano a contemplare con uno sguardo limpido e penetrante la divinità di Gesù soltanto coloro che si levano al di sopra delle opere e dei pensieri del mondo, ritirandosi con lui sull’alto monte solitario. Questo monte, libero dal tumulto dei pensieri e delle passioni terrene e separato dal disordine di tutti i vizi, sulla cima di una fede purissima e di eminenti virtù, rivela lo splendore del volto di Cristo e l’immagine della sua gloria a coloro che hanno meritato di contemplarlo per la limpidezza dell’anima.
Il Signore però lo vedono anche quelli che nelle città, nei paesi e nei villaggi si danno alle opere di una vita attiva o ascetica; ma ad essi non si manifesta con lo stesso splendore col quale appare a quelle anime abbastanza forti da salire con lui sul detto monte delle virtù, come Pietro, Giacomo e Giovanni. Allo stesso modo infatti, cioè nella solitudine, apparve un giorno a Mosè e parlò a Elia. Nostro Signore, volendo confermare questa dottrina e lasciarci l’esempio di una purezza perfetta, benché egli non avesse bisogno del mezzo esteriore del ritiro e della solitudine per conseguirla, essendo la stessa fonte di ogni santità, pure si ritirò “sul monte, solo, a pregare” (Mt 14, 23). Col suo esempio volle insegnarci che, se anche noi vogliamo pregare Dio con integro e puro affetto del cuore, come lui dobbiamo fuggire lo strepito e la confusione della folla. In tal modo, pur restando in questo mondo, già potremo vivere almeno in parte la beatitudine promessa ai santi nella vita eterna, in modo che anche per noi “Dio sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 28). Allora si realizzerà perfettamente in noi la domanda che il nostro Salvatore rivolse al Padre per i suoi discepoli: “L’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26), e ancora: “Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 21). Quell’amore perfetto col quale Dio “ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19) si riverserà nei nostri cuori, quando si compirà questa preghiera del Signore, che certo non può restare inesaudita. Tutto questo avverrà quando tutto il nostro amore, tutto il nostro desiderio, l’oggetto di ogni nostra ricerca, di ogni nostro pensiero, sarà Dio: scopo di tutta la nostra vita, fonte delle nostre parole, nostro respiro. Allora, quell’unità che regna tra il Padre e il Figlio e tra il Figlio e il Padre, sarà trasfusa nel nostro sentimento e nel nostro spirito cioè, come egli ci ama di un amore sincero, puro e indissolubile, così anche noi ci uniremo a lui con un amore perenne e inseparabile, e gli saremo talmente congiunti, che ogni nostro respiro, ogni attività della nostra mente e ogni nostra parola esprimerà lui. Raggiungeremo così il fine di: cui abbiamo parlato, che il Signore chiede per noi nella sua preghiera: “Siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 22. 23). E di nuovo: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io” (Gv 17, 24). Questo dev’essere lo scopo di tutta la vita del monaco; a questo deve tendere ogni suo sforzo: meritare, cioè, di possedere fin da questa vita l’immagine della futura beatitudine e, mentre ancora vive nel corpo, cominciare a pregustare in qualche misura un saggio di quella vita e di quella gloria celeste. Questo, ripeto, è il fine di ogni perfezione: che l’anima, alleggerita da ogni peso della carne, ogni giorno si elevi verso le realtà celesti, a tal punto che tutta la sua vita e ogni movimento del suo cuore diventino un’unica e continua preghiera.

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