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SABATO 4 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

SABATO 4 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 8, 1-13

Il sacerdozio di Cristo nella nuova alleanza
Fratelli, il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda che  ha costruito il Signore, e non un uomo.
Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anch’egli abbia qualcosa da offrire. Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge. Questi però attendono a un servizio che è una copia e un’ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte (Es 25, 40).
Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse. Se la prima infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
Ecco vengono giorni, dice il Signore,
nei quali io stipulerò con la casa d’Israele
e con la casa di Giuda
un’alleanza nuova;
non come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poiché essi non son rimasti fedeli alla mia alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
E questa è l’alleanza che io stipulerò
con la casa d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello, dicendo:
Conosci il Signore!
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più
dei loro peccati (Ger 31, 31-34).
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire.

Responsorio   Cfr. Eb 8, 1. 2; 9, 24
R. Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è adesso alla destra dell’Onnipotente nei cieli, ministro del santuario e della vera Tenda, * per presentarsi davanti a Dio in nostro favore.
V. Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso,
R. per presentarsi davanti a Dio in nostro favore.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 23-24; PG 36, 654-655)

Saremo partecipi del mistero pasquale
Saremo partecipi della Pasqua, presentemente ancora in figura (certo già più chiara di quella dell’antica legge, immagine più oscura della realtà figurata), ma fra non molto ne godremo di una più trasparente e più vera, quando il Verbo festeggerà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre. Allora ci manifesterà e insegnerà quelle realtà che non ci mostra ore se non di riflesso.
Infatti quali siano la bevanda e il cibo del nuovo banchetto pasquale, il nostro compito è solo di apprenderlo. Spetta al Verbo di insegnarcelo e comunicarcene il significato. L’insegnamento effettivamente è come un cibo, il cui possessore è colui che lo distribuisce. Entriamo, dunque, nella sfera della legge, delle istituzioni e della Pasqua antica in modo nuovo per poter arrivare alle realtà nuove simboleggiate dalle figure antiche.
Diveniamo partecipi della legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli.
Sacrifichiamo non giovenchi, né agnelli, con corna e unghie, che appartengono più alla morte che alla vita, mancando d’intelligenza. Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste insieme ai cori degli angeli. Superiamo il primo velo del tempio, accostiamoci al secondo e penetriamo nel «Santo dei santi». E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri.
Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato. Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di quali beni ti eri privato. Contempla quelle bellezze e lascia che il mormoratore, del tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.
Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo.
Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fà di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.

Responsorio   Cfr. Eb 13, 12-13; 12, 4
R. Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città. Usciamo anche noi dall’accampamento, * andiamo verso di lui, portando la sua croce.
V. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato:
R. andiamo verso di lui, portando la sua croce.

VENERDÌ 3 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

VENERDÌ 3 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 7, 11-28

Il sacerdozio eterno di Cristo
Se la perfezione ci fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico — sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge — che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchisedek, e non invece alla maniera di Aronne? Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. Questo si dice di chi è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. E` noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchisedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza:
Tu sei sacerdote in eterno
alla maniera di Melchisedek. (Sal 109, 4).
Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità — poiché la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione — e l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio.
Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; costui al contrario con un giuramento di colui che gli ha detto:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre. (Sal 109, 4).
Per questo, Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.
Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo; egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all’umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.

Responsorio   Cfr. Eb 5, 5. 6; 7. 20. 21
R. Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: * Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melchisedek.
V. I figli di Levi diventavano sacerdoti senza giuramento; Gesù al contrario con un giuramento di colui che gli ha detto:
R. Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melchisedek.

Seconda Lettura
Dal trattato «Sulla fede: a Pietro» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo.
(Cap. 22, 62; CCL 91a, 726. 750-751)

Egli offrì se stesso per noi
Nei sacrifici delle vittime materiali, che la stessa santissima Trinità, solo vero Dio del Nuovo e Vecchio Testamento, comandava venissero offerti dai nostri padri, veniva prefigurato il graditissimo dono di quel sacrificio con cui l’unico Figlio di Dio avrebbe offerto misericordiosamente se stesso per noi.
Egli, infatti, secondo l’insegnamento dell’Apostolo «ha dato se stesso per noi offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5, 2). Egli è vero Dio e vero pontefice, che è entrato per noi nel santuario non con il sangue di tori e di capri ma con il suo sangue. E questo stava a significare allora quel pontefice che ogni anno entrava nel Santo dei santi con il sangue delle vittime.
Questi è dunque colui che in sé solo offrì tutto quello che sapeva essere necessario per il compimento della nostra redenzione, egli che è al tempo stesso sacerdote, sacrificio, Dio e tempio: sacerdote, per mezzo del quale siamo riconciliati, sacrificio che ci riconcilia, Dio a cui siamo riconciliati, tempio in cui siamo riconciliati. Tuttavia come sacerdote, sacrificio e tempio era uomo e solo, perché Dio operava queste cose in quanto uomo. Invece come Dio non era una Persona sola perché il Verbo realizzava le medesime cose con il Padre e lo Spirito Santo. Credi dunque con fede saldissima e non dubitare affatto che lo stesso Unigenito Dio, Verbo fatto uomo, si è offerto per noi in sacrificio e vittima a Dio in odore di soavità; a lui, insieme al Padre e allo Spirito Santo, al tempo dell’Antico Testamento venivano sacrificati animali dai patriarchi, dai profeti e dai sacerdoti; e a lui, ora, cioè al tempo del Nuovo Testamento, con il Padre e lo Spirito Santo con i quali è un solo Dio, la santa Chiesa cattolica non cessa di offrire in ogni parte della terra il sacrificio del pane e del vino nella fede e nell’amore.
Nelle antiche vittime materiali venivano significati e la carne di Cristo che egli, senza peccato, avrebbe offerto per i nostri peccati, e il suo sangue che avrebbe versato in remissione dei nostri peccati. In questo sacrificio poi c’è il ringraziamento e il memoriale della carne di Cristo, offerta per noi, e del sangue che lo stesso Dio sparse per noi.
Di questo sangue san Paolo dice negli Atti degli Apostoli: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistato con il suo sangue» (At 20, 28). In quei sacrifici si rappresentava con figure ciò che sarebbe stato donato a noi. In questo sacrificio invece si mostra all’evidenza ciò che ci è stato già donato. In quei sacrifici veniva preannunziato il Figlio di Dio che doveva essere ucciso per gli empi, in questo lo si annunzia già ucciso per gli empi, secondo quanto attesta l’Apostolo: «Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito» (Rm 5, 6) e «quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo» (Rm 5, 10).

Responsorio   Cfr. Col 1, 21-22; Rm 3, 25
R. Voi un tempo eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; ora Dio vi ha riconciliati con il sacrificio del corpo di Cristo, *
per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto.
V. Dio lo ha stabilito come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue,
R. per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto.

GIOVEDÌ 2 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

GIOVEDÌ 2 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 7, 1-11

Melchisedek figura del vero e perfetto sacerdote
Fratelli, Melchisedek re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa; anzitutto il suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche re di Salem, cioè re di pace (Gn. 14, 17-20). Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno.
Considerate pertanto quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. In verità anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo. Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa. Ora, senza dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore.
Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava infatti ancora nei lombi del suo antenato quando gli venne incontro Melchisedek (Cfr. Gn. 14, 17).
Or dunque, se la perfezione ci fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico — sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge — che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchisedek, e non invece alla maniera di Aronne?

Responsorio    Gn 14, 18; Cfr. Eb 7, 3; Sal 109, 4; Eb 7, 16
R. Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo, a somiglianza del Figlio di Dio. * A lui il Signore ha giurato: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.
V. Non è diventato tale per una legge terrena, ma per la potenza di una vita indefettibile.
R. A lui il Signore ha giurato: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.

Seconda Lettura
Dalla Costituzione dogmatica «Lumen gentium» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa.  (N. 9)

La Chiesa, sacramento visibile di unità
«Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali io stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo … Porrò la mia legge nelle loro viscere e nei loro cuori l’imprimerò: essi mi avranno per Dio e io li avrò per mio popolo … Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore» (Ger 31, 31-34). Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11, 23), chiamando gente dai giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, per la parola di Dio vivo (cfr. 1 Pt 1, 23), non dalla carne ma dall’acqua e dallo Spirito santo (cfr. Gv 3, 5-6), costituiscono «una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo tratto in salvo … quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è il popolo di Dio» (1 Pt 2, 9-10).
Questo popolo messianico ha per capo Cristo «che è stato dato a morte per i nostri peccati, ed è risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4, 25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito santo come nel suo tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13, 34). E, finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3, 4) e «anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio» (cfr. Rm 8, 21).
Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini, e apparendo talora come il piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5, 12-16), è inviato a tutto il mondo.
Come già Israele secondo la carne, pellegrinante nel deserto, viene chiamato la chiesa di Dio (Ne 13, 1; cfr. Nm 20, 4; Dt 23, 1 ss.), così il nuovo Israele, che cammina nel secolo presente alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13, 14), si chiama pure la chiesa di Cristo (cfr. At 20, 28), riempita del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l’unione visibile e sociale. Dio ha convocato l’assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica.

MERCOLEDÌ 1 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

MERCOLEDÌ 1 APRILE 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 6, 9-20

La fedeltà di Dio è la nostra speranza
Fratelli, siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza. Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi. Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine, e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, dicendo: Ti benedirò e ti moltiplicherò molto (Gn 22, 16-17). Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa. Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia. Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell’afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa infatti noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell’interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek (Sal 109, 4).

Responsorio  Cfr. Eb 6, 19. 20; 7, 25. 24
R. Nel santuario Gesù è entrato per noi come precursore, divenuto sommo sacerdote per sempre al modo di Melchisedek; * sempre vivo intercede per noi.
V. Egli possiede un sacerdozio che non tramonta: perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio.
R. sempre vivo intercede per noi.

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Salmo 85, 1; CCL 39, 1176-1177)

Gesù Cristo prega per noi, prega in noi, è pregato da noi
Dio non poteva elargire agli uomini un dono più grande di questo: costituire loro capo lo stesso suo Verbo, per mezzo del quale creò l’universo. Ci unì a lui come membra, in modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell’uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con gli uomini.
Di conseguenza, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega il corpo del Figlio, esso non deve considerarsi come staccato dal capo. In tal modo la stessa persona, cioè l’unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi.
Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio.
Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua voce in noi. E quando, specialmente nelle profezie, troviamo qualche cosa che suona umiliazione, nei riguardi del Signore Gesù Cristo, e perciò non ci sembra degna di Dio, non dobbiamo temere di attribuirla a lui, che non ha esitato a unirsi a noi, pur essendo il padrone di tutta la creazione, perché per mezzo di lui sono state fatte tutte le creature.
Perciò noi guardiamo alla sua grandezza divina quando sentiamo proclamare: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto» (Gv 1, 1- 3). In questo passo ci è dato di contemplare la divinità del Figlio di Dio, tanto eccelsa e sublime da sorpassare ogni più nobile creatura.
In altri passi della Scrittura, invece, sentiamo che egli geme, prega, dà lode a Dio. Ebbene ci è difficile attribuire a lui queste parole. La nostra mente stenta a discendere immediatamente dalla contemplazione della sua divinità al suo stato di profondo abbassamento. Temiamo quasi di offendere Cristo, se riferiamo alla sua umanità le parole che egli dice. Prima rivolgevamo a lui la nostra supplica, pregandolo come Dio. Rimaniamo perciò perplessi davanti a quelle espressioni e ci verrebbe fatto di cambiarle. Ma nella Scrittura non si incontra se non ciò che gli si addice e che non permette di falsare la sua identità.
Si desti dunque il nostro animo e resti saldo nella sua fede. Tenga presente che colui che poco prima contemplava nella sua natura di Dio, ha assunto la natura di servo. E’ divenuto simile agli uomini, e «apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 7-8). Inoltre ha voluto far sue, mentre pendeva dalla croce, le parole del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).
E’ pregato dunque per la sua natura divina, prega nella natura di servo. Troviamo là il creatore, qui colui che è creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo.
Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi.

MARTEDÌ 31 MARZO 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

MARTEDÌ 31 MARZO 2009 – V SETTIMANA DI QUARESIMA

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 3, 1-19

Gesù, apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede
Fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l’apostolo e, sommo sacerdote della fede che noi professiamo, il quale è fedele a colui che l’ha costituito, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior gloria, quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè fu fedele in tutta la sua casa come servitore, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi; Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.
Per questo, come dice lo Spirito Santo:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri
mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant’anni le mie opere.
Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: Hanno sempre il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.
Così ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo (Sal 94, 8-11).
 
Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest’oggi, perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato. Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio. Quando pertanto si dice:
 
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione (Sal 94, 8),
 
chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? (cfr. Nm 14, 29). E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo (cfr. Nm 14, 22 ss.), se non a quelli che non avevano creduto? In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede.

Responsorio   Cfr. Eb 3, 6; Ef 2, 21
R. Cristo, come figlio, è capo della propria casa: * e la sua casa siamo noi.
V. In Cristo ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore;
R. e la sua casa siamo noi.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 8 sulla passione del Signore, 6-8; PL 54, 340-342)

La croce di Cristo è la sorgente di ogni benedizione e la causa di tutte le grazie
Il nostro intelletto, illuminato dallo Spirito di verità, deve accogliere con cuore libero e puro la gloria della Croce, che diffonde i suoi raggi sul cielo e sulla terra. Con l’occhio interiore deve scrutare il significato di ciò che disse nostro Signore, parlando dell’imminenza della sua passione: «E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo» (Gv 12, 23), e più avanti: Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il Figlio tuo (Gv 12, 27-28). Ed essendosi fatta sentire dal cielo la voce del Padre, che dichiarava: «L’ho glorificato, e di nuovo Lo glorificherò», rispondendo ai circostanti, Gesù disse: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 30-32).
O ammirabile potenza della Croce! O ineffabile gloria della passione, in cui troviamo riuniti insieme il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e il potere del Crocifisso. Si, o Signore, tu hai attirato a te tutte le cose, perché ciò che si svolgeva nell’unico tempio della Giudea, sotto il velo di arcane figure, fosse celebrato in ogni luogo e da ogni popolo con religiosità sincera e culto solenne e pubblico.
Ora, infatti, più nobile è la gerarchia dei leviti, più augusta la dignità dei presbiteri e più santa l’unzione dei vescovi, perché la tua Croce, sorgente di tutte le benedizioni, è causa di tutte le grazie. Per essa viene elargita ai credenti la forza nella loro debolezza, la gloria nell’umiliazione, nella morte la vita. Ora inoltre, cessata la varietà dei sacrifici materiali, l’offerta unica del tuo corpo e del tuo sangue sostituisce pienamente tutte le specie di vittime, poiché tu sei: il vero Agnello di Dio che togli i peccati del mondo (cfr. Gv 1, 29). Così compi in te tutti i misteri, e come unico è il sacrificio, che succede alla moltitudine delle vittime, così unico è anche il regno formato dall’insieme di tutti i popoli.
Confessiamo dunque, o miei cari, quanto l’apostolo Paolo, dottore delle genti, ha dichiarato solennemente: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1 Tm 1, 15). La misericordia di Dio verso di noi è davvero meravigliosa proprio perché Cristo non è morto solo per i giusti e i santi, ma anche per i cattivi e per gli empi. E, poiché la sua natura divina non poteva essere soggetta al pungolo della morte, egli, nascendo da noi, ha assunto quanto potesse poi offrire per noi.
Un tempo infatti aveva minacciato la nostra morte con la potenza della sua morte dicendo per bocca del profeta Osea: «O morte, sarò la tua morte, o inferno, sarò il tuo sterminio» (Os 13, 14). Morendo, infatti, subì le leggi della tomba, ma, risorgendo, le infranse e troncò la legge perpetua della morte, tanto da renderla da eterna, temporanea. «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1 Cor 15, 22).

Responsorio   Cfr. Cor 2, 14-15; Gv 8, 28
R. Cristo ha annullato il documento del nostro debito e lo ha inchiodato alla croce; * le potenze del mondo, sconfitte, seguono il corteo trionfale di Cristo.
V. Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono.
R. Le potenze del mondo, sconfitte, seguono il corteo trionfale di Cristo.

LUNEDÌ 30 MARZO – V SETTIMANA DI QUARESIMA

LUNEDÌ 30 MARZO – V SETTIMANA DI QUARESIMA

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 2, 5-18

Gesù, il Salvatore, si è fatto in tutto simile ai suoi fratelli
Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato:
Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui
o il figlio dell’uomo perché tu te ne curi?
Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli,
di gloria e di onore l’hai coronato
e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. (Sal 8, 5-7).
Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:
Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi (Sal 21, 23;
e ancora:
Io metterò la mia fiducia in lui (Is 8, 17; Sal 17, 3)
e inoltre:
Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato (Is 8, 18).
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Responsorio   Cfr. Eb 2, 11. 17; Bar 3, 38
R. Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; Cristo perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, * per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele.
V. Dio è apparso sulla terra e ha vissuto fra gli uomini
R. per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele.

Seconda Lettura
Dal «Commento ai salmi» di san Giovanni Fisher, vescovo e martire
(Sal 129; Opera omnia, ed. 1579; p. 1610)

Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre
Gesù Cristo è il nostro pontefice, il suo prezioso corpo è il nostro sacrificio, che egli ha immolato sull’altare della croce per la salvezza di tutti gli uomini.
Il sangue, versato per la nostra redenzione, non era sangue di vitelli e di capri, come nell’antica legge, ma dell’innocentissimo agnello Gesù Cristo nostro salvatore.
Il tempio, nel quale il nostro pontefice celebrava il sacrificio, non era stato costruito da mano di uomo, ma soltanto dalla potenza di Dio. Infatti egli versò il suo sangue al cospetto del mondo, che davvero è il tempio costruito solo dalla sola mano di Dio.
Ma questo tempio ha due parti: una è la terra, che noi ora abitiamo; l’altra parte è ancora sconosciuta a noi mortali.
Ed egli immolò il sacrificio dapprima qui sulla terra, quando sopportò una morte acerbissima, e poi quando, rivestito con l’abito nuovo della immortalità, entrò con il proprio sangue nel santuario, cioè in cielo. Qui presentò davanti al trono del Padre celeste quel sangue d’immenso valore che aveva versato a profusione per tutti gli uomini schiavi del peccato.
Questo sacrificio è così gradito e accetto a Dio, che egli non può fare a meno — non appena lo guarda — di avere pietà di noi e di donare la sua misericordia a tutti quelli che veramente si pentono.
Inoltre è un sacrificio eterno. Esso viene offerto non soltanto ogni anno, come avveniva per i Giudei, ma ogni giorno per nostra consolazione, anzi, in ogni ora e momento, perché ne abbiamo un fortissimo aiuto. Perciò l’Apostolo soggiunge: «dopo averci ottenuto una redenzione eterna» (Eb 9, 12).
Di questo santo ed eterno sacrificio divengono partecipi tutti coloro che sono veramente contriti e fanno penitenza dei peccati commessi, e che sono fermamente decisi a non riprendere più i loro vizi, ma a perseverare con costanza nella ricerca della virtù. E’ quanto insegna l’apostolo san Giovanni con queste parole: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Gv 2, 1).

Responsorio    Rm 5, 10. 8
R. Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo; * molto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.
V. Dio dimostra il suo amore per noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi:
R. molto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

Sant’Efrem Siro : « Abramo vide il mio giorno e se ne rallegrò »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090402

Meditazione del giorno
Sant’Efrem Siro (circa 306-373), diacono in Siria, dottore della Chiesa
Su Abramo e Isacco

« Abramo vide il mio giorno e se ne rallegrò »

A causa della loro vecchiaia, Abramo e sua moglie erano divenuti incapaci di dare la vita; nel cuore di entrambi, la giovinezza si era spenta, ma la loro speranza in Dio rimaneva molto viva; questa non veniva meno, era indistruttibile.

Per questo Abramo, contro ogni speranza, generò Isacco, che è stato una figura perfetta del Signore. Non era naturale infatti che il seno già morto di Sara potesse concepire Isacco e che lo nutrisse con il suo latte; né era altrettanto naturale che la Vergine Maria, senza conoscere uomo, concepisse il Salvatore del mondo, e lo partorisse senza perdere la sua integrità… Davanti alla tenda, l’angelo aveva detto al patriarca: «Fra un anno a questa data, Sara avrà un figlio» (Gen 18,10). Anche l’angelo… disse a Maria: «Ecco che la piena di grazia concepirà un figlio» (Lc 1,28.31). Sara rise dentro di sé considerando la sua età (vs 12); senza credere alla parola disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio?» Maria, pensando alla verginità che voleva custodire, esitava e disse: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc 1,34). Certo la promessa era contro natura, ma colui che, contro ogni speranza, aveva dato Isacco a Sara, è veramente nato, secondo la carne dalla  Vergine Maria.

Quando Isacco venne alla luce secondo la parola di Dio, Sara e Abramo si sono rallegrati. Quando Gesù venne nel mondo secondo l’annuncio di Gabriele, Maria e Giuseppe si sono rallegrati… «Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allatare figli? –  esclamò la sterile – Eppure gli ho partorito un figlio nella mia vecchiaia» (Gen 21,6). «Chi avrebbe detto al mondo che io avrei nutrito un figlio con il mio latte?» esclamò Maria. In effetti non a motivo di Isacco Sara si mise a ridere, bensì a motivo di colui che è nato da Maria; e come Giovanni Battista ha manifestato la sua gioia esultando nel grembo di sua madre, Sara ha manifestato la sua gioia ridendo.

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