Archive pour avril, 2009

Sant’Andrea di Creta: « Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele » (Gv 12,13)

 c’è qualcosa che non va, posto ugualmente così, dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=2009040 

Meditazione del giorno

Sant’Andrea di Creta (660-740), monaco e vescovo

Discorso, 9 per le Palme ; PG 97, 1002

« Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele » (Gv 12,13) Abbi fiducia, figlia di Sion, non temere: «Ecco a te viene il tuo re, umile, cavalca un asino».

Viene colui che è presente in ogni luogo e riempie ogni cosa. Viene per compiere in te la salvezza di tutti. Viene colui il quale «non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza», per richiamarli dalle vie del peccato. Non temere dunque. «Vi è un Dio in mezzo a te; non sarai scossa». Accoglilo con le braccia aperte. Accogli colui che nelle sue palme ha segnato la linea delle tue mura e ha gettato le tue fondamenta con le sue stesse mani. Accogli colui che in se stesso accolse tutto ciò che è proprio della natura umana, eccetto il peccato… Rallegrati, figlia di Gerusalemme, sciogli il tuo canto, muovi il passo alla danza… «Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te». Ma quale luce? Quella che «illumina ogni uomo che viene nel mondo». Dico la luce eterna… apparsa nel tempo. La luce che si è manifestata nella carne, luce che per sua natura è occulta. La luce che avvolse i pastori e fu guida ai magi nel loro cammino. La luce che era nel mondo fin dal principio, e per mezzo della quale è stato fatto il mondo, quel mondo che non la riconobbe. La luce che venne fra la sua gente e che i suoi non hanno accolto. «La gloria del signore» quale gloria? Senza dubbio la croce, sulla quale Cristo è stato glorificato: lui, lo splendore della gloria del Padre, come egli stesso ebbe a dire nella imminenza della sua passione: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui e lo glorificherà subito». Chiama gloria la sua esaltazione sulla croce. La croce di Cristo infatti è gloria ed è la sua esaltazione. Ecco perché dice: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». (Riferimenti biblici : Zac 9,9; Lc 5,32; Sal 45,6; Is 60,1; Gv 1,9-11; Eb 1,3; Gv 13,31-32; Gv 12,32)

DOMENICA 5 APRILE 2009 – PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

DOMENICA 5 APRILE 2009 -  PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE   dans Lettera agli Ebrei 17%20RIDING%20INTO%20JERUSALEUM

Christ riding into Jerusaleum

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-21,01-Entre_a_Jerusalem_Entry/index8.html

DOMENICA 5 APRILE 2009 -  PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE 

COMMEMORAZIONE DELL’INGRESSO DI GESU’ IN GERUSALEMME:

http://www.maranatha.it/Festiv2/quaresB/PalmeCommPage.htm

MESSA DEL GIORNO:

http://www.maranatha.it/Festiv2/quaresB/PalmeBPage.htm

Seconda Lettura  Fil 2,6-11
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippèsi
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

un commento all’inno di Papa Benedetto, del 27.10.2005:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Meditazioni/06-07/04-Cristo_servo_di_Dio.html
UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 10, 1-18

La nostra santificazione per mezzo del sacrificio di Cristo
Fratelli, poiché la legge possiede solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accostano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che i fedeli, purificati una volta per tutte, non avrebbero ormai più alcuna coscienza dei peccati? Invece per mezzo di quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
— poiché di me sta scritto nel rotolo del libro —
per fare, o Dio, la tua volontà (Sal 39, 7-9).
Dopo aver detto: Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati. Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi (Sal 109, 1). Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Questo ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:
Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro
dopo quei giorni, dice il Signore:
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente,
soggiunse:
E non mi ricorderò più dei loro peccati
e delle loro iniquità (Ger 31, 33-34).
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato.

Responsorio    Cfr. Eb 10, 5. 6. 7. 4 (Sal 39, 7-8)
R. Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti, né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: * Eccomi, o Dio, vengo per fare la tua volontà.
V. E’ impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
R. Eccomi, o Dio vengo per fare la tua volontà.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)

Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.
Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E’ disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.
Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.
Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».

 SECONDI VESPRI
 
 Lettura Breve   At 13, 26-30a
Fratelli, a noi è stata mandata questa parola di salvezza. Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non hanno riconosciuto Gesù e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato; e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti.

Akathistos alla divina passione del nostro Signore Gesù Cristo (link, e qualche spiegazione)

 Akathistos alla divina passione del nostro Signore Gesù Cristo 

questo canto, inno, è molto bello, però devo mettere il link, sia perché non sono sicura di poter copiare, sia perché l’impaginazione del testo è molto bella;
dovrebbe trattarsi di un monastero serbo ortodosso, ossia il canto liturgico è della chiesa ortodossa, il sito è in costruzione;
per il significato del termine Akathistos – piuttosto che impasticciare io con una spiegazione – ho trovato una buona introduzione al tema su Wikipedia, è in inglese, in italiano non l’ho trovato, ma io, che conosco poco l’inglese l’ho capito (anche perché conosco l’argomento) naturalmente il termine è greco;

ossia, dal libro « Inno Akàtisthos alla Madre di Dio » testo greco e traduzione di Rosa Calzecchi Onesti Guaraldi, Ed. Rimini 1994, trovo scritto nella Presentazione (stralcio):


« Questo Inno « che non si canta seduti », e per questo è detto Akathistos (dal greco akathizo=lett « non siedo)…. »

poi vi metto anche il link all’inno, Akathistos alla Madre di Dio, bellissimo, eccezionale;

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/testilit/akatistodivpass.htm

Publié dans:LITURGIA, LITURGIA - INNI |on 4 avril, 2009 |Pas de commentaires »

Ruperto di Deutz: « Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090404

Meditazione del giorno
Ruperto di Deutz (circa 1075-1130), monaco benedettino
Commento sul Vangelo di Giovanni, libro 10 ; PL 169, 646 ss.

« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »

«Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ‘Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso…»

Cosa significano queste parole: «Questo non lo disse da se stesso» se non che Caifa non traeva questa parola dal suo spirito? In verità, prima che Caifa fosse, già era stata pronunciata questa parola: «Gesù deve morire per il popolo». Sì, questa parola era stata rivelata ai santi profeti, anzi era stata pronunciata prima che i profeti fossero venuti al mondo, prima che Abramo avesse ricevuto l’esistenza, prima che Adamo fosse stato plasmato. Questa parola era già nella volontà del Padre quando dichiarò: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). Fu detto allora che Gesù doveva morire per il popolo.

Caifa non disse dunque questo di sua iniziativa. Ma «poiché era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò.» E che cosa? … Che occorreva che uno solo, un solo uomo, il Santo dei santi, il Sole di giustizia, Gesù Cristo, morisse per il popolo, e non soltanto per il popolo nato da Abramo, ma anche per tutti coloro che Dio aveva predestinati, fin dalla creazione del mondo, ad essere suoi figli adottivi (cfr Ef 1,5). Erano stati scacciati fuori dal Paradiso originale e dispersi ai quattro venti del mondo; occorreva radunarli da tutta la massa dell’umanità, fino all’ultimo eletto.

La Lectio per la Pasqua di Mons. Ravasi [Pubblicato: 20/03/2008]

dal sito:

http://www2.unicatt.it/pls/catnews/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=13776

La Lectio per la Pasqua di Mons. Ravasi  [Pubblicato: 20/03/2008]

Una riflessione sul significato profondo dell’incarnazione di Cristo, della Sua passione e della Sua resurrezione è stata dedicata da Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura agli studenti della sede di Roma dell’Università Cattolica

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,5-11).
 
L’occasione per questa speciale lectio di preparazione alla Pasqua è stata offerta lo scorso 12 marzo dai “Mercoledì della Cattolica”, gli incontri culturali promossi dal Consiglio della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo, prendendo spunto dalle parole rivolte da San Paolo a una delle comunità che in assoluto gli sono più care, quella della città macedone di Filippi.
 

“La locuzione ‘avere gli stessi sentimenti di’ in greco è resa da un solo verbo: φρονειν” ha esordito Mons. Ravasi “Tale verbo ha un’iridescenza semantica che esula dal puro orizzonte del sentimento, andando a significare non solo sentire, ma anche pensare, ragionare, avere una disposizione d’animo aperta. Questa frase, che poi si innesta su quella che è probabilmente la citazione di un inno in uso nella Chiesa delle origini, è un appello ad avere dentro di noi non soltanto un sentimento, ma uno stato d’animo, implica non solo una componente esperienziale, ma anche una componente razionale. Per Paolo l’imitazione di Cristo è fondamentale, ed egli presenta come modello, nell’inno che segue, entrambi i volti del Cristo. Prima il volto lacerato e dolente del crocifisso, di colui che precipita dall’orizzonte alto della trascendenza per assumere la forma di uno schiavo; che subisce il supplizio degli schiavi, dei rivoluzionari, dei ribelli, la croce, emblema oscuro e vergognoso”.

Qui Mons. Ravasi ha fatto una breve digressione, riferendosi alla polemica che ogni tanto emerge sull’eliminazione del crocifisso, considerato un simbolo troppo ‘specifico’, ‘di parte’, quasi in contraddizione con una cultura molteplice come quella in cui ci stiamo sempre più immergendo: “Ma il crocifisso ha un valore simbolico universale. Natalia Ginzburg, scrittrice ebrea di formazione sostanzialmente agnostica, nel 1988 sul quotidiano l’Unità così scriveva a seguito di una delle ricorrenti polemiche contro la presenza del crocifisso in un’aula scolastica o in un’aula di tribunale: E’ il segno del dolore umano, della solitudine, della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino umano. Il crocifisso fa parte della storia dell’umanità. Dell’umanità tutta, non solo del Cristianesimo!” ha sottolineato il biblista.

E ha proseguito: “Questa considerazione preliminare, deve essere declinata soprattutto qui, di fronte a voi, medici, operatori sanitari e studenti di medicina, che sistematicamente fate l’esperienza del dolore umano: questa esperienza così radicale che trova lì, in quell’uomo crocifisso, la sua sintesi. Nel Vangelo, a partire dalla domenica delle Palme, c’è lo sforzo di riassumere in Cristo tutto lo spettro della sofferenza umana. La paura della morte nell’orto del Getsemani: Padre se è possibile passi da me questo calice. La solitudine: gli amici fuggono, Giuda lo tradisce, Pietro lo rinnega. Poi ancora, la sofferenza fisica in senso stretto. La tortura. La lunga agonia. Infine, prima della morte, il silenzio di Dio: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Proprio qui è il centro della grande proclamazione cristiana: una divinità che non assiste come un imperatore indifferente alle disgrazie dell’uomo. Un Dio che, infinito ed eterno per definizione, sceglie di partecipare della fragilità e caducità legate alla condizione umana. Cristo non si comporta come un benefattore che china la mano verso il miserabile, come qualche volta fanno i medici. La rappresentazione del medico nei confronti del paziente è quella dell’uomo di potere, non di colui che condivide, anche solo fisicamente, per necessità. Il medico è in piedi, in posizione eretta, in una posizione di dominio. Il malato invece ha la posizione del morto, la posizione orizzontale, la posizione dell’impotenza. Ma, come dice Dietrich Bonhoeffer, teologo morto nei campi di concentramento nazisti: Dio in Cristo non ci salva in virtù della sua onnipotenza, Dio in Cristo ci salva in virtù della sua impotenza. [Nella foto Mons. Ravasi con il Preside della Facoltà di medicina Paolo Magistrelli e il professor Pasquale de Sole promotore dei Mercoledì della Cattolica]. Per voi medici, in particolare, che avete nel mondo della sofferenza la vostra vocazione, l’avere gli stessi sentimenti di Cristo è fondamentale. Egli è il vostro vero patrono”.
“Il Vangelo di Marco – ha proseguito Ravasi – è, praticamente per metà, dedicato a rappresentare Cristo nell’atto di guarire i malati. Tra le guarigioni più simboliche c’è quella del lebbroso, l’immondo per eccellenza, che secondo la legge del Levitico rendeva impuro chi gli si accostava: Gesù lo tocca e lo guarisce, assumendo simbolicamente su di sé la malattia, la sofferenza, la miseria e l’impurità dell’umanità sofferente”.

L’inno che San Paolo fa seguire alla dichiarazione di principio, non finisce però col Cristo crocifisso. Subito dopo segue la rappresentazione del volto glorioso di Gesù, che Mons. Ravasi evoca con accenti lirici: “Egli diventa una grande figura che domina l’abside del cosmo, il mondo intero lo contempla nella gloria della Resurrezione. Dopo il Venerdì Santo c’è la mattina di Pasqua, il momento in cui il discepolo deve scoprire il volto radioso di Cristo, la speranza della luce, di ciò che è oltre il dolore e la morte.  Per poterlo riconoscere è necessario un altro canale di conoscenza, gli occhi carnali, non bastano più, servono gli occhi della fede. Così, la mattina della Domenica, Maria di Magdala, recandosi al cimitero, non riconosce Cristo finché Egli non le parla, chiamandola per nome. Finché cioè non le dà una nuova vocazione, quella dell’essere credente. È la via della fede, la via nuova della conoscenza del Mistero profondo. È all’interno dell’esperienza di fede autentica, che riusciamo a ritrovare il germe della speranza. Perchè il Cristo – e attraverso lo sguardo della fede noi riusciamo a capirlo – attraversando il dolore e la morte lo ha fatto da Dio e come tale li ha irradiati di fecondità, ha deposto cioè un seme di immortalità, di eterno e di infinito dentro il dolore e il morire dell’uomo. Così il Lunedì, i due discepoli, non riconoscono Gesù risorto, che li accompagna nel cammino verso Emmaus, spiegando loro, in chiave cristologica, le Scritture, finché, giunti finalmente nella cittadina, Lui non spezza il pane: in quel momento si consuma il riconoscimento e l’itinerario è compiuto. Nell’ascolto della Parola e nella frazione del pane, i due discepoli di Emmaus fanno esperienza di fede, la stessa che faremo Domenica di Pasqua e che facciamo ogni domenica, quando, nella liturgia, incontriamo Cristo che spiega la nostra sofferenza e la trasfigura in quell’abisso di luce che è il volto della Speranza, della Gioia, della Pasqua”.

Valentina Zecchiaroli

CCC: « Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,25)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=04/11/2008#

Catechismo della Chiesa Cattolica
§ 1362-1366

« Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,25)

L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella liturgia della Chiesa, che è il suo Corpo. In tutte le preghiere eucaristiche, dopo le parole della istituzione, troviamo una preghiera chiamata anamnesi o memoriale. Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita (Es 13, 3.8).

Nel Nuovo Testamento il memoriale riceve un significato nuovo. Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale: “Ogni volta che il sacrificio della croce, ‘col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato’, viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione” [Vaticano II, Lumen gentium, 3].

In quanto memoriale della Pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: “Questo è il mio Corpo che è dato per voi” e “Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha “versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28). L’Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto.

San Pietro Crisologo: « Per quale opera buona mi volete lapidare ? »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090403

Meditazione del giorno
San Pietro Crisologo (circa 406-450), vescovo di Ravenna, dottore della Chiesa
Discorsi 108 ; PL 52, 499

« Per quale opera buona mi volete lapidare ? »

«Vi esorto, fratelli per la misericordia di Dio» (Rm 12,1). È Paolo che chiede, anzi è Dio per mezzo di Paolo che chiede, perché vuole essere più amato che temuto. Dio chiede perché vuol essere non tanto Signore, quanto Padre… Ascolta il Signore quando ti chiede: « Ho teso la mano ogni giorno» (Is 65,2). Non è forse elevando le mani che uno è solito chiedere? «Ho teso la mano.» A chi? «A un popolo.» Quale popolo? Un popolo non soltanto miscredente, ma «ribelle». «Ho teso la mano»: egli apre le sue braccia, dilata il suo cuore, presenta il suo petto, offre il suo seno, fa di tutto il suo corpo un rifugio, per mostrare con questa supplica a che punto egli è padre. Ascolta Dio chiedere ancora: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? » (Mic 6,3). Non dice forse : «Se ancora la mia divinità vi fosse sconosciuta, non riconoscerete almeno la mia carne? Vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, le vostre viscere, le vostre ossa, il vostro sangue! E se temete quel che è di Dio, perché non amate ciò che è vostro? E se sfuggite il Signore, perché non correte verso il Padre?

Ma forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi.

Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l’amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.

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