Paolo, una vita offerta (traduzione, dal sito: Bible-Service)

dal sito:

http://www.bible-service.net/site/556.html

traduzione mia; questo studio l’ho sicuramente già letto in precedenza, non mi sembra di averlo già tradotto, cerco di tenere degli indici, ma non ci riesco, sono un po’ impasticciati;
per la traduzione ho utilizzato la Bibbia CEI, la versione francese della Bibbia è un po’ differente, forse il biblista ha fatto un traduzione lui o ne ha utilizzata una abbastanza diversa,  naturalmente il senso è lo stesso;

Paolo, una vita offerta

Non c’è alcun dubbio che l’incontro di Cristo sulla via di Damasco ha sconvolto la vita di Paolo. Attraverso il Cristo che egli perseguitava, e che si offriva (si presentava) a lui, Paolo ha scoperto in effetti, il vero viso di Dio che egli aveva sempre cercato. Riconoscendosi amato e salvato da quello stesso che egli perseguitava, egli ha fatto, come nessun altro, l’esperienza della grazia di Dio.

Da questa esperienza scaturirà l’attaccamento di Paolo alla persona di Cristo e un cambiamento radicale di vita. Lui, il fariseo zelante e il persecutore della fede cristiana, abbandonerà le sue certezze e le sue ricerche passate per afferrare colui che un giorno l’aveva preso: Gesù il Cristo. Perché niente altro conterà più oramai per lui (cfr Fil 3, 8-9). Perché egli è stato raggiunto sulla sua strada dall’amore redentore di Dio (Gal 2,20), egli ha scoperto che tutto ciò che considerava fino ad allora come un vantaggio (nascita nel popolo della promessa, appartenenza alla corrente farisaica, conoscenza ed osservanza dei precetti della Legge, ecc.), non era niente in confronto alla conoscenza di Gesù Cristo morto e risorto. Allora egli correva dietro ad una salvezza incerta, alla misura dei suoi sforzi e del suo orgoglio, egli ha compreso che la Legge di Mosè non poteva più essere il primo referente della sua esistenza. Egli ha anche compreso che Dio, risuscitando Gesù, aveva avuto ragione dell’uso che si faceva della Legge. In breve, il Dio di cui aveva fatto esperienza sul cammino di Damasco non era più il Dio della Legge, ma il Dio del Crocifisso.

Questo rovesciamento dell’immagine di Dio chiarisce la comprensione che Paolo aveva oramai della croce, come uno dei luoghi più importanti della Rivelazione divina (cfr. 1Cor 1,18-31). Alla luce della croce Paolo comprenderà in effetti che la onnipotenza di Dio si mostra nella fragilità più estrema. Meglio, egli comprenderà che lontano dall’essere tirannico e solitario, Dio si fa solidale a ciascun essere umano, accogliendolo e amandolo per se stesso, indipendentemente dai meriti o dai peccati della appartenenza etnica o dal sesso, del ruolo nella società o nella comunità religiosa.

Trasformato sulla via di Damasco

Di tutti gli avvenimenti della sua vita movimentata  Paolo conserverà come fondamentale quello del suo incontro con il Cristo sulla via di Damasco.

Sulle circostanze precise di questo incontro con il Cristo, Paolo, a differenza di Luca, (cfr At 9, 22; 26) è molto discreto. Egli evoca nella 1Cor 15, 8-10 una apparizione personale del risuscitato, ma ne fa il racconto solamente nella Lettera ai Galati. Paolo invia questa lettera verso l’anno 56 o 57. Egli viene a sapere che i Galati, popolazione dell’Asia Minore, avevano abbandonato il Vangelo che egli aveva loro annunciato e che erano ritornati alle loro pratiche passate. Peggio, spinti dai giudaizzanti, essi sembrano mettere in causa la sua autorità apostolica. Davanti alla gravità della situazione Paolo scrive. Egli racconta come, sul cammino di Damasco, da fariseo-persecutore della Chiesa, egli è diventato apostolo di Cristo: « Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di e, mi recai in Arabia… » (Gal 1, 13-17).

« Si compiacque di rivelare a me suo Figlio »
(nella versione francese, ossia nel titolo, più esattamente: « Egli ha giudicato bene di rivelare in me suo Figlio »)

Una parola è da sottolineare: rivelare. Più che la parola conversione, essa riassume bene la natura profonda dell’incontro di Paolo con il Cristo: è una rivelazione che proviene dalla libera scelta di Dio. Per lui: « Dio ha tolto il velo che gli impediva di vedere la sua gloria (di Dio) sul volto di Gesù » (P. Bony). Gli ha donato di comprendere che colui che egli perseguitava non era, come egli credeva, maledetto da Dio, ma era suo Figlio, un Figlio perfettamente obbediente che ha elevato al rango di Signore dell’Universo (cfr. Fil 2, 8-11).

Incontrando il Cristo sulla via di Damasco Paolo si è visto rivelare il senso profondo della croce come luogo dell’amore estremo di Dio e manifestazione della sua onnipotenza. In questo incontro con Colui che: « mi ha amato e ha dato e stesso per me » (Gal 2,20), egli ha compreso che la Legge di Mosè non poteva dargli la salvezza alla quale egli aspirava con tutte le sue energie. Egli ha preso coscienza della vacuità di tutto quello che cercava fino a che: « Tutto quello che poteva essere un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di cristo » (Fil 3,7). Infine, poiché a lui era stato rivelato che la Passione era l’espressione perfetta dell’amore del Cristo per suo padre e per l’umanità, in questa egli ha deciso che non cercherà mai di cercare:  » Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso. » (1Cor 2, 2 cfr. Gal 2,20).

« Perché lo annunziassi in mezzo ai pagani » (Gal 1,16)

Alla grazia della rivelazione sul cammino di Damasco se ne aggiunge una seconda: quella dell’annunzio. Paolo stesso lo riconosce: attraverso la sua grazia, Dio l’ha messo a parte, dal seno di sua madre, per inviarlo ad annunziare suo Figlio (cfr. Gal 1,16). Se Paolo è divenuto credente ed apostolo lo deve, dunque, alla pura e gratuita iniziativa di Dio che gli ha rivelato suo Figlio e l’ha chiamato a testimoniare, l’lui l’ « aborto » (1Cor 15, 8). La missione che gli è stata affidata non è legata né ad una sua decisione personale, né a qualunque iniziativa umana, ed ancora meno alla sua formazione o al suo comportamento. Essa è un dono gratuito di Dio. Di questo dono Paolo non cesserà mai di meravigliarsi: « Io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. » (1Cor 15, 9-10).

Una volta ancora è bene notare l’insistenza di Paolo sulla grazia, tre volte nominata in questi tre versetti. Perché questa esperienza fondatrice della grazia divina totalmente immeritata è all’origine della maniera nella quale Paolo percepisce il suo ministero apostolico: è un dono di Dio nel quale la potenza divina – quella stessa che aveva risuscitato Gesù Cristo – si è mostrata comunicandogli una forza che lo rende oramai capace di tutte le audacie. Tutta la vita di Paolo sarà attraversata da questa tensione tra la grandezza della missione che gli è stata conferita e la sua debolezza che non cesserà mai di esperimentare, nel tesoro prezioso che egli ha ricevuto e il « vaso di argilla » che egli è (2Cor 4,7).

Questa tensione, come egli scriverà spesso, gli eviterà di inorgoglirsi. Essa lo condurrà ad approfondire il mistero della potenza di Dio che offre (in francese più esattamente: evidenzia) la sua misura nella debolezza dei suoi ministri: « Ed egli mi ha detto : < Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza>…perché dimori in me la potenza di Cristo » (2Cor 12,9)

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