PAOLO MISTICO
dal sito:
http://www.atma-o-jibon.org/italiano8/ghidelli_annopaolino2.htm
Carlo Ghidelli
Arcivescovo di Lanciano – Orlona
UN ANNO CON SAN PAOLO
Lettera dell’Arcivescovo per l’anno dedicato a san Paolo (28 giugno 2008 – 29 giugno 2009)
CAPITOLO OTTAVO
PAOLO MISTICO
Ci sono, nelle Lettere di Paolo, alcune pagine che descrivono le sue esperienze mistiche: quelle attraverso le quali egli ha potuto penetrare più a fondo nel mistero di Cristo Signore. Certo, di sua natura una esperienza mistica è unica e irripetibile, è qualcosa di personale e inimitabile: eppure ciò che Paolo dice di se stesso, sotto un certo profilo ci coinvolge come credenti e come amici di Cristo. La più importante di queste pagine la troviamo certamente in 2 Corinzi 12,1-10 e una lettura attenta non potrà non provocare in noi un forte stupore e una grande ammirazione.
Al di là di quello che di straordinario Paolo dice di se stesso (si tratta di visioni e di rivelazioni che sfuggono alla normale esperienza religiosa del credente), ci impressiona il modo con il quale egli riferisce queste sue esperienze mistiche. Comincia col dire che egli potrebbe anche vantarsi di quello che ha visto e udito, ma poi termina accennando a una spina che gli è stata messa nella carne, perché non montasse in superbia. Come si vede, il discorso è tutt’altro che autoelogiativo; al contrario, Paolo dimostra di voler inserire le sue esperienze mistiche nel vissuto quotidiano ed elevare la sua vita feriale alle somme altezze della grazia. Si tratta, direi, di una mistica ordinaria, nel senso che essa può essere appannaggio di tutti i credenti, a condizione che essi si lascino attrarre dalla forza irresistibile della grazia e si lascino introdurre nel talamo dell’intimità divina. Cosa non affatto difficile perché lo Spirito del Signore risorto agisce efficacemente e affettivamente nel cuore di ogni credente.
Una cosa è certa: a Paolo è stata donata una meravigliosa opportunità, quella di sondare il mistero della Trinità passando attraverso il mistero di Cristo nella potenza dello Spirito Santo. Ed è questo, non altro, il cammino di perfezione attraverso il quale deve passare ogni autentico discepolo di Cristo Signore: vivere nell’intimità dello Spirito Santo, pienamente sottomesso all’insegnamento di Gesù, per approdare alla comunione di Dio Padre (vedi 2 Corinzi 13,13). L’impronta trinitaria del nostro cammino di fede dovrebbe essere talmente evidente da trasformare ogni nostra azione, ogni nostra preghiera, in un inno di lode alla Trinità.
Per questo san Giovanni Crisostomo ha potuto affermare: «Cor Pauli cor Christi». Come per dire: se vuoi conoscere il cuore di Cristo cerca di conoscere il cuore di Paolo. E noi sappiamo che il termine « cuore » comprende tutto il segreto della personalità, tutte le ricchezze della persona. Certamente Paolo non è l’unica via per arrivare a Cristo, ma non c’è alcun dubbio che, per molti di coloro che tendono seriamente alla perfezione, egli ha aperto, una volta per sempre, una via maestra. Lo avvertiamo in queste sue parole che contengono un invito a seguirlo sulla via della piena assimilazione a Cristo: «lo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei eieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,14-19).
Chi scrive in questo modo dimostra chiaramente di vivere ciò che dice: è certamente il caso di Paolo che, con grande discrezione ma con altrettanta immediatezza, si propone come esempio di vita cristiana, vissuta alle massime altezze: «Vi esorto, dunque, fatevi miei imitatori!» (1Cor 4,16). Da lui noi tutti impariamo qualcosa di eccezionalmente importante: che nella vita quello che conta non è eiò che si fa, ma il grado d’amore con il quale accogliamo l’amore di Dio per noi e svolgiamo i nostri doveri di cittadini e di cristiani.
Ma forse il vertice della mistica paolina sta nel rapporto paterno-filiale di Dio con noi e di noi con Dio. Anche solo il pensare che noi possiamo rivolgerei a Dio chiamandolo con il dolce nome di « Padre » ei riempie il cuore di commozione e di gioia. Se poi, come ci insegna san Paolo, a noi è offerta la possibilità di intessere con Dio un rapporto di profonda intimità filiale, arrivando a trattarlo con quella libertà con la quale un bambino tratta il suo babbo, allora comprendiamo che in questo modo ei si apre l’accesso al mistero trinitario. Noi come Gesù possiamo invocare Dio con il dolce nome di « Abbà » che corrisponde al nostro « papi » (cfr. Gal 4,6: Rm 8,15): niente di più bello, niente di più alto, niente di più profondo.

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